BORKNAGAR

Urd

2012 - Century Media Records

A CURA DI
FABIO MALAVOLTI
14/05/2012
TEMPO DI LETTURA:
8

Recensione

Sin dai primi anni di attività i Borknagar si sono dimostrati una band particolarissima, in grado di produrre musica di elevata qualità, senza aver mai esagerato in quanto a proposte innovative, ma che con il tempo si è costruita una sua precisa identità. Se i primi lavori erano forgiati su uno stampo black metal infarcito di consistenti potenza e melodia, con il tempo la band ha iniziato una fase sperimentale alla cui base sono finite sonorità progressive e viking metal. In questo nuovo panorama avantgarde metal il sestetto di Bergen pare proprio trovarsi a suo agio, dato che fino ad oggi non ha praticamente mai staccato o minimamente deluso. Con queste ottime premesse, la band ha dunque sfornato il suo nono capitolo discografico, questo "Urd" che seppur non proponendo particolari novità rispetto al predecessore "Universal" (2010), ha confermato per l'ennesima volta la genialità e la classe dei ragazzi norvegesi. Anzi, con le colonne scandinave del metal estremo in una fase di declino che pare proprio irrecuperabile, i Borknagar possono tranquillamente essere definiti come una delle band migliori dal 2000 a questa parte. Se il passaggio dalla Indie Recordings alla Century Media Records non ha minimamente abbassato la qualità (già di notevole spessore nelle uscite precedenti) del disco fonicamente parlando, il re-inserimento nella line up di ICS Vortex al posto di Erik Tiwaz al basso, ha dato senza dubbio nuova linfa alla produzione del disco, ribadendo la genialità ed eccentricità dell'ex bassista e back vocalist dei Dimmu Borgir, che l'anno scorso ha anche realizzato un buonissimo album da solista. Come prevedibile, Urd è un disco di difficile comprensione specialmente nell'immediato, che come nel caso degli album precedenti, è destinato a dividere la critica ed i fans in due tronconi, ma in ogni caso per assimilare pienamente ogni suo aspetto sono necessari attenti e ripetuti ascolti. La registrazione, di superba qualità, è avvenuta nei noti Fascination Street Studios, in Svezia, dove grandi band come Opeth, Katatonia e Paradise Lost hanno realizzato buona parte dei loro lavori. "Epochalypse" parte subito con i ritmi veloci e trascinanti tipici del black metal, ed a definire queste decise coordinate stilistiche ci pensano i vocalizzi in screaming e l'agghiacciante riffaggio delle chitarre, le quali ci traghettano virtualmente in una foresta scandinava grazie ad un elevato accento epico. Lo stacco centrale apre il brano verso una cristallina ed eterea melodia che conferisce al pezzo un'impostazione decisamente onirica e di sicuro effetto. Quest'apertura all'insegna del progressive e del black è solo un piccolo accenno alla massiccia dose di viking metal che la band ci riserverà da qui in avanti nel disco. Non a caso già dalle prime battute di "Roots" il sound confluisce verso territori consoni alle ultime uscite dei Borknagar. Fondendo la malignità del black metal all'elevato respiro epico del viking la band crea un ispiratissimo pezzo che consiste in un rapido susseguirsi di sezioni veloci e martellanti delle quali diverremo succubi. Anche in questo brano va sottolineata la componente melodica, quella che ha sempre contraddistinto ad esempio le release centrali della storia dei Bathory."The Beauty of Dead Cities" parte un pò in sordina, provocando un deciso rallentamento al ritmo, rivelandosi sin dalle prime battute come una lenta ed inesorabile cavalcata dove melodia e potenza si incrociano, dando vita ad una chimera di suoni velata di magia ed epicità. In seguito a questo breve excursus in territori più melodici e pacati, le tonalità di Urd si fanno ancora più placide e sulfuree con il bellissimo arpeggio che fa da intro per "The Earthling". Sebbene i primi due minuti la facciano sembrare una ballad, cambia totalmente faccia poco dopo, divenendo una feroce ed epica traccia all'insegna del black/viking metal, che non mancherà certo di appassionare e rapire l'ascoltatore con le sue atmosfere scure ed offuscate, quasi nebbiose. Un altro dolcissimo arpeggio, più malinconico, apre invece "The Plains of Memories", brano che mette subito in evidenza qual è la sua chiave, ovvero quella di un etereo e poetico progressive metal. Questa una toccante ballata strumentale spezza un pò l'andamento del disco permettendo all'ascoltatore di spaziare un pò sotto l'aspetto emotivo, cullandolo in maniera placida ed eterea, grazie anche allla tastiera di Lars Nedland, mai così dolce ed argentina. "Mount Regency" riporta immediatamente Urd a livelli più incalzanti e battaglieri, a suon di epici riff in stile progressive/viking. Mentre si prosegue all'insegna di una miscela di potenza ed atmosfera, un bellissimo solo di tastiera conduce il pezzo su terreni ancora più gloriosi e marziali, prima che gli ultimi minuti siano all'insegna della melodia e dell'atmosfera. Un gelido riff di chitarra apre la bellissima "Frostrite", uno dei pezzi più ispirati in assoluto del platter e nel quale David Kinkade dimostra come solito tutta la sua qualità nelle vesti di drummer, infarcendo il brano della giusta dose di potenza. Nella parte centrale il brano viene letteralmente spaccato da un ispiratissimo ed etereo solo di chitarra. Da qui in poi l'atmosfera si fa ventosa e tagliente, mentre il ritmo prosegue su coordinate viking. Il finale, naturalmente carico di pathos e di marzialità, precede la lunga, gelida ed onirica "The Winter Eclipse", il vero capolavoro del disco, un intenso concentrato di puro black metal norvegese e di un atmosferico progressive. Mentre ci si avvia verso la parte centrale, i toni si addolciscono grazie all'ispirato cantato in clean di Vintersorg, per poi tornare a congelarsi ed irrigidirsi poco dopo la metà. Con questi due filoni che si intrecciano alternativamente più volte ci si incammina verso l'episodio conclusivo di questo disco, ossìa "In a Deeper World". Mentre l'atmosfera si fa sempre più coinvolgente e cristallina, assistiamo ad un'ottima performance strumentale da parte di tutti i membri, mentre ad inspessire il brano di evocatività ci pensano eterei chorus femminili. Gli ultimi minuti sono un susseguirsi di candidi arpeggi che chiudono in bellezza un disco senza particolari sbavature, che conferma per l'ennesima volta la grandezza di questa band infallibile.


1) Epochalypse
2) Roots
3) The Beauty of Dead Cities
4) The Earthling
5) The Plains of Memories
6) Mount Regency
7) Frostrite
8) The Winter Eclipse
9) In a Deeper World