BLUE OYSTER CULT

Fire Of Unknown Origin

1981 - Columbia

A CURA DI
ANDREA CERASI
27/10/2019
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

New York è una metropoli in costante trasformazione, un mostro di cemento e acciaio che assorbe ogni novità proveniente dal mondo e che alimenta la mente di artisti, di ribelli e di chiunque abbia qualcosa da dire. È qui che i Blue Oyster Cult prendono origine, dischiudendosi come un'ostrica contenente la perla più bella e ricercata della galassia, raccogliendo il nome da un poema di Sandy Pearlman, loro futuro manager, e il logo dal simbolismo legato alla mitologia greco-romana, dove un uncino e una croce sono uniti in rappresentanza del dio Cronos, il Tempo. Il Tempo, appunto, preso come spazio dilazionato da sondare in ogni dove, nel quale confluire le correnti artistiche più diverse: pop-art, psichedelia, cultura fantascientifica, rivoluzione sessuale, rock occulto. Mentalmente evoluti, anticipatori di tempi e navigatori di spazi ancora sconosciuti, i musicisti mescolano tutto quello che trovano a portata di mano, facendo della sperimentazione il loro punto di forza. Sono gli anni delle imprese spaziali, gli anni della guerra fredda, delle nuove scoperte scientifiche e della grande paura nucleare. Gli anni di una fascinazione magnetica per l'ignoto, per lo spazio profondo, allegoria di una crisi di valori e di identità che colpisce tutto il mondo. L'incertezza per il futuro è concreta, nonché argomento principale di ogni forma d'arte. Sono anche gli anni delle droghe e delle allucinazioni, e non è un caso se lo stesso Sandy Pearlman, per primo in assoluto, estrapola il termine "heavy metal" per definire la band, recuperando questa magica parola dal romanzo tossico di William Burroughs, autore del famosissimo "Il Pasto Nudo", libro maledetto costituito da una prosa difficile da seguire fatta di frammenti, pensieri, deliri appartenenti al protagonista del racconto, un uomo assuefatto dai veleni che utilizza per lavorare che lo portano a comunicare con insetti e creature nate dal suo inconscio. Ecco, le copertine e i testi degli album dei Blue Oyster Cult, che sono un lavoro di squadra e che coinvolgono diversi autori, rispecchiano tale delirante cultura, poiché sono enigmatici, composti da simboli arcani, da immagini che evocano il mistero dell'universo e contemplano l'esistenza di altre forme di vita. Il primo periodo della band, composto dalla cosiddetta "trilogia in bianco e nero" dei primi album in studio, decisamente legata all'estetica di un certo espressionismo tedesco degli anni 20, è un trampolino di lancio assai gustoso che affascina subito milioni di ascoltatori e influenza migliaia di rock band grazie ad un'originalità sbalorditiva. Un successo consolidato nel tempo, costruito disco dopo disco, che scolpisce inevitabilmente tutti gli anni 70, arrivando a consegnare alla storia una delle canzoni più famose e osannate della musica moderna, la leggendaria "Don't Fear The Reaper", che rende il vocalist Eric Blood e soci star planetarie. Ma alla fine della decade il mondo musicale viene letteralmente stravolto dall'arrivo di nuovi generi: il punk, l'AOR, la new wave, il post punk, l'heavy metal, l'elettronica. Per i Blue Oyster Cult sembra non esserci più spazio, "Mirrors" e "Cultusaurus Rex" non ottengono i riscontri sperati, nonostante produzioni curate e la collaborazione con importanti artisti come il sassofonista Mark Rivera e il popolare produttore Don Kirshner, senza contare l'aiuto di Patti Smith in fase di scrittura. All'alba degli anni 80 i Blue Oyster Cult sono costretti a reinventarsi per l'ennesima volta pur di sopravvivere, e in qualche modo ci riescono, seppur temporaneamente, decidendo di sfruttare il proprio trasformismo per assorbire le atmosfere del periodo, sperimentando nuove soluzioni sonore. "Fire Of Unknown Origin" è il disco che tutti i fans aspettavano, emblema degli anni 80, oscuro, morboso, fortemente influenzato dalla dark-wave, dall'utilizzo dei sintetizzatori che corrono e si sfidano assieme al possente basso per narrare di mondi lontani e di creature aliene che nascono direttamente dalle regioni più remote della mente umana. Un lavoro che è il frutto di un anno intenso affianco al produttore britannico Martin Birch, già alle prese con Iron Maiden, Black Sabbath, Rainbow e Whitesnake, per elaborare suoni cristallini e cosmici capaci di rispecchiare la natura dei singoli brani, concepiti come piccoli frammenti fantascientifici, inizialmente studiati come colonna sonora per il film di animazione "Heavy Metal", nel quale poi verrà inserita soltanto la splendida "Veteran Of The Psychic Wars", scritta insieme all'autore di fantascienza Moorcock e influenzata dallo space rock degli Hawkwind. Musica che viene alimentata dalla narrativa e dal cinema fantascientifico, la fantascienza come base dalla quale partire per l'elaborazione di una narrazione musicale del tutto originale, e un prodigio finale che solo una band come i Blue Oyster Cult riesce a raggiungere.

Fire Of Unknown Origin

Tastiere che svettano su cieli tersi, lanciandosi oltre la stratosfera, e un giro di basso che sembra provenire dallo spazio profondo, ci consegnano il mondo di Fire Of Unknown Origin (Fuoco Di Origine Sconosciuta), title-track messa in apertura e che sin dall'attacco ci spara in faccia tutte le sfumature della musica dei BOC. Andamento sornione, che sembra scivolare via in una danza cosmica fatta di riff chitarristici e colpi di batteria abbastanza contenuti e che strizzano l'occhio a un certo tipo di funky, e un clima spaziale che rimanda all'occult rock di fine anni 60. Il pezzo prende piede e la voce di Eric Bloom si impone placida sulla musica: "La morte scivola in corridoio come il lungo vestito di una donna. La morte arriva correndo in autostrada, la domenica è tutto libero". La metafora è subito ardita, la morte viene rappresentata con la sagoma di una seducente donna in abito da sera, che si avvicina maliziosamente. La morte è anche carica sessuale, sinonimo di fascino, di magnetismo verso l'ignoto, di scoperta di mondi sconosciuti e lontani. Il fascino per il male qui trova completezza in una cultura sci-fi che tanto ha appassionato i musicisti coinvolti. Il refrain giunge sofisticato, adagiato su cori che si impongono sulle note delle tastiere e che donano quella sensazione morbosa in più. Come sparati nel cosmo, in balia del nulla, ci ritroviamo a galleggiare tra le stelle: "Un fuoco di origine sconosciuta ha portato via il bambino, ha spazzato tutto per chilometri". Il fuoco ha molteplice sfaccettature, allegoria sia di ingegno alieno, laddove, come in copertina, un gruppo di alieni consegnano la facoltà del raziocinio al genere umano, e sia esplosione galattica di due mondi che si scontrano, in un eventuale futuro scenario apocalittico. Ma il simbolismo dei testi dei BOC, in particolare di questo album, è talmente elevato che i significati possono essere i più disparati. "La morte ha tutto inghiottito, come un oceano denso e grigio. La morte giunge e va via, non possiamo farci niente, ma deve esserci qualcosa che rimane". La catastrofe annunciata nel ritornello viene evidenziata nella seconda strofa, quando, a seguito del fuoco impetuoso, tutto è stato inghiottito e il pianeta è sprofondato nell'oblio. Deve esserci qualcosa che rimane, ci si chiede, e il pensiero va dritto alla prima metafora, quella relativa alla conquista degli alieni sul genere umano, i quali, a seguito del dono dell'ingegno e di un potere illimitato, hanno malignamente distrutto il proprio pianeta. In fin dei conti, "Fire Of Unknown Origin" è una canzone apocalittica, una specie di avvertimento sul possibile scenario futuro. Influenzata dal grande cinema di fantascienza degli anni 60, da "2001: Odissea nello Spazio" a "Il Pianeta delle Scimmie", questa perla ne rappresenta la sintesi musicale.

Burnin' For You

Il genio visivo della band è talmente forte e originale che persino una semplice hit come Burnin' For You (Bruciando Per Te), seducente semiballad hard rock, risulta essere un pezzo dalle mille sfumature e dai mille simboli. A primo impatto, potrebbe sembra una semplice canzone d'amore da dedicare alla propria amata, ma in realtà rivela un aspetto ossessivo e un'amarezza di fondo che incutono timore. Se il ritmo è allegro e punta tutto sull'orecchiabilità, imponendosi come balsamo per le orecchie degli ascoltatori attraverso un riffing fascinoso e graffiante e coretti epici in sottofondo, le strofe, costruite su un basso tetro, sono poco rassicuranti, poiché raccontano di un uomo che brucia le giornate nell'attesa dell'amore, un amore forse vano. "Casa nella vallata, casa in città, casa non è bella, perché non è casa per me. Casa tra le tenebre, casa in autostrada, ma non è il mio stile, così non avrò mai casa mia". Niente è sinonimo di casa se non esiste amore, e nell'attesa che arrivi il sogno della vita, il tempo trascorre feroce. Quello del tempo è un tema fondamentale nelle liriche dei BOC, perché viene citato in quasi ogni brano, assieme al concetto di spazio. Spazio e tempo sono organismi viventi, in continua mutazione, elementi fondamentali per la creazione di vita. "Brucia il giorno e brucia la notte, non ho ragione di continuare a lottare, sto vivendo solo per ripagare il dovuto al diavolo". La vita vissuta nell'attesa di un qualcosa di irrealizzabile non ha senso, inutile lottare e battersi contro il destino, il tempo divora corpi e menti, impietoso. "Sto bruciando, sto bruciando per te, il tempo è essenza, il tempo è stagione, il tempo non ha ragioni, io non ho tempo per andare piano", l'uomo sta bruciando, invecchiando, mentre le stagioni passano alternandosi. Il misticismo della band è molto elevato, il trapasso del tempo e dello spazio non va confinato soltanto all'esistenza umana, ma esteso nell'universo e per l'eternità, come sottolineato nell'ultima parte del brano. "Tempo eterno, è ora di utilizzare il piano B, il tempo non è dalla mia parte. Non sono io a dirti cosa c'è che non va o cosa è giusto fare, ho visto soli che congelavano e vite che stavano sopravvivendo". Soli congelati ma vite che sopravvivono, anche questa volta il pensiero va a un mondo apocalittico, distrutto, illuminato da un sole congelato, ma che comunque va avanti grazie ai pochi sopravvissuti, coloro che hanno avuto la fortuna di ricevere l'illuminazione dai sacerdoti alieni. Casa è ancora lontana, l'amore forse un sentimento vano, ma che spinge l'uomo a sperare e a combattere.

Veteran Of The Psychich Wars

Scritto insieme allo scrittore di fantascienza Moorcock e ripreso da un estratto dal suo romanzo, Veteran Of The Psychic Wars (Veterano Delle Guerre Psichiche) è il capolavoro assoluto dell'album, dotato di una sofisticata psichedelia che affonda le radici direttamente nel suono degli Hawkwind. Il drumming dinamico e le tastiere chirurgiche lo elevano a grandioso brano space rock, dall'indole oscura e sfuggevole. La sezione ritmica sembra una cantilena cerimoniale e cupa che avvolge come tenebra ogni ascoltatore. Il tempo sospeso lascia senza respiro, la voce di Bloom si staglia come faro che illumina la via. "Come vedi sono un veterano di centinaia di guerre psichiche, ho vissuto a lungo al confine, dove soffiano i venti del Limbo, e sono giovane abbastanza per cercare, e un po' anziano per vedere. Tutte le stelle sono al suo interno, non sono sicuro che ci sia ancora qualcosa in me". A raccontare i suoi dubbi e le sue esperienze è proprio il protagonista della novella inventata da Moorcock, "Eternal Champion", dove un normale cittadino si reincarna nella figura di un guerriero vissuto secoli prima, il cui compito era quello di portare l'umanità alla scoperta della verità e della luce. Una critica ai tempi moderni, ovviamente, sotto forma di romanzo fantascientifico ed epico, che i BOC hanno reso al meglio. Le tastiere sembrano varchi spazio-temporali, i riff di chitarra lame affilate che ripropongono guerre antiche, il drumming una marcia punica. "Non lasciare che queste cose ti sciocchino, è tempo di fare una pausa, è tempo di lasciare tutto per vivere in qualche altro posto. Ci stiamo mangiando i nostri cervelli, perciò mi raccomando, non lasciate che questi scossoni vi turbino". Il genere umano si è perso, corrotto dai vizi e dalla malvagità, cannibalizzandosi, divorando cervelli e logorando anime, ma è giunto il momento che un eroe venga in suo soccorso per riportare la pace. "Mi chiedi perché sono disponibile, ma non posso parlarti, mi incolpi per il mio silenzio, dicendo che è ora che io cambi e diventi adulto, ma le guerre proseguono ancora, e non c'è nessuno che io conosca". Le guerre accadono ancora, recita il testo, e questo è il passaggio chiave di tutto il brano: fin quando l'uomo non capirà di essere costantemente in guerra, non risveglierà mai il lume della ragione, non troverà mai la luce. La band si amalgama alla perfezione, tastiere, basso, colpi di tamburi, voce arcana, tutto è talmente bello e affascinante da conquistare al primo ascolto. Il clima è oscuro e ossessivo, la canzone è suddivisa in diversi blocchi tutti uguali tra loro, frammentati soltanto dal tappeto tastieristico che fa da introduzione, proiettando la mente del pubblico in mondi lontani. "Non riesco a sopportare tutto ciò, non posso dire che siamo sempre stati liberi, questi continui scossoni mi divorano, dobbiamo prenderci una pausa. Sono un veterano di guerre psichiche, la mia armatura è distrutta e la mia energia è terminata". L'epoca degli eroi purtroppo è terminata, l'amara conclusione del protagonista giunge alla fine, quando la sua armatura è andata distrutta e la sua energia si è spenta: "Ho esaurito le mie armi e sono caduto, le ferite sono tutto ciò di cui sono fatto. Hai detto che questa è una vittoria, ma per me non lo è, tutto è follia, tutto va dritto all'inferno". Il genere umano è irrecuperabile.

Sole Survivor

Sole Survivor (Unico Sopravvissuto) sembra il proseguo della precedente traccia, e prende spunto da un bel riff di chitarra e da paludose tastiere tipicamente anni 80 che denotano una certa sensazione futuristica. "Lì camminava un uomo solo, silenzioso, muto, l'unico. Non sapere il perché né il come, sappi solo che è l'unico sopravvissuto. Dovrebbe ancora essere vivo, dovrebbe respirare ancora mentre gli altri sono tutti morti". Si sta parlando di una guerra cosmica che ha coinvolto l'intero universo. Il sopravvissuto però non è un eroe, ma un essere maledetto, costretto dal destino a restare in solitudine fino alla fine dei tempi. Se la sezione ritmica è candida e punta su un andamento morbido e sinuoso, protratto dal leggiadro tocco delle tastiere e del mistico riff di chitarra, il testo incute un certo timore, come da marchio BOC, capace sempre e comunque di esplorare le più remote paure umane e di rimandare a spazi profondi e mondi lontani. Il ritornello esplode con un drumming roccioso, sostenuto da massicce tastiere, ed è una vera delizia melodica: "Unico sopravvissuto, maledetto con una seconda vita, salvatore infestato, pianto nella notte". Pesanti sono le parole che udiamo, declamate dal prode Bloom, e attraverso la sua voce sentiamo sulla pelle la crudeltà della guerra e il nefasto destino del genere umano, come ribadito nella seconda parte. "Il vento soffiava sulla sabbia, lui era solo e aveva un piano, e con gli ultimi raggi di sole urlava ad alta voce, poi cominciava a correre, e nelle sue lacrime vedeva il suo volto. La fine della razza umana". L'antieroe piange nel buio della notte, sa di essere rimasto solo, senza più nessuno, ed è circondato da morte e distruzione. La razza umana è andata estinta. Joe Bouchard si ritaglia il proprio spazio e, come un cavaliere del tempo, attacca con un grande giro di basso prendendosi la scena, per poi dare il via all'assolo di chitarra, un assolo straniante, alieno. "Quando me ne sarò andato e di me non ci sarà più traccia, forse sopravviverò anche io, sarò anche io l'unico sopravvissuto". A chiarire la natura di un testo fantascientifico, tra l'altro richiamando persino il titolo dell'album citando il fuoco sconosciuto, vi è l'ultimo blocco della canzone, dove il vocalist descrive la fine del nostro protagonista, del sopravvissuto, prelevato da una razza aliena: "Una notte di tanti anni fa, i cieli tremarono per un'esplosione di fuoco, e lì in alto vi era un'astronave venuta per salvare il sopravvissuto. Egli venne chiamato ad entrare, aveva trovato un posto sicuro nel quale rifugiarsi". L'astronave si avvicina all'uomo, apre il portone e lo invita ad entrare, salvandolo dalla solitudine e dalla desolazione. Qui, l'uomo troverà rifugio.

Heavy Metal: The Black And The Silver

Probabilmente il pezzo più potente è Heavy Metal: The Black And The Silver (Heavy Metal: Il Nero e L'Argento), dalle chitarre graffianti e dall'andamento schiacciante che riprende i primi album della band. "È nella vasca da bagno, dove la materia svanisce, stella degenerata, braccio di Orione. Un sole di ferro, il cerchio proibito, è una montagna, un orizzonte nero". Il testo è ispirato al saggio scientifico dello scrittore Adrian Berry, che scrisse "The Iron Sun" negli anni 70, indagando sull'origine dei buchi neri dello spazio e su come oltrepassarli, elencando una serie di teorie pseudoscientifiche che riteneva possibili. Il sole di ferro è proprio il vuoto del buco nero, qui tradotto dalla band in un ammasso di metallo nero e argento, come sottolineato nel bellissimo e oscuro ritornello: "Metallo pesante, il nero e l'argento, caduta della materia dal sole, si ripiega in un posto dove non siamo mai stati, nessuno", e qui si sogna sulla possibilità di oltrepassare quel territorio, dove nessuno prima d'ora è mai stato. Chissà quali altri mondi potrebbe celare, chissà quali tempi: "Alla luce delle stelle, l'orizzonte più pesante, specchi magnetici, corpo sparso lento, un caos di metallo e un fiume di fuoco. Bagliori di blu lucente". La fantasia dei Blue Oyster Cult è grandiosa, e con poche metafore e chiare immagini danno l'idea di questo buco nero in movimento e che tutto divora, inghiottendo stelle e milioni di chilometri di universo, avanzando quasi come lava fusa, o acciaio fuso. Il ritmo è cadenzato, non s spinge mai sull'acceleratore, i musicisti hanno il pieno controllo dei propri strumenti, la batteria e il basso creano un vortice sonoro robusto, mentre le chitarre sollevano un muro di pure metallo. Infine, cori e controcori si amalgamano in uno stato catatonico nell'ultima fase, rendendo un po' la claustrofobia e la paura di ritrovarsi a vagare nello spazio, verso quel buco che inghiotte ogni cosa. "La libertà non è mai stata perduta, oltre la fine noi arriveremo, oltre il tempo e lo spazio, in direzione della luce solare. Attraverseremo il fiume nella notte, seguiremo la luce delle stelle, fino a diventare stanchi. Amiamo l'oscurità e amiamo la luce". La melodia è aspra, tetra e annichilente, eppure la speranza è l'ultima a morire, dato che la band lascia un messaggio positivo, ben lontano dalla conclusione raggiunta nei pezzi precedenti. La luce ci aspetterà, oltre lo spazio e oltre il tempo, un giorno riusciremo ad attraversare quel vuoto così misterioso, e così ritorneremo alla libertà.

Vengeance (The Pact)

Le docili tastiere di Lanier restano vigili per introdurre la rocciosa Vengeance - The Pact (Vendetta - Il Patto), che riprende il muro di suono costruito in "Heavy Metal: The Black And The Silver", tanto che può essere considerata la traccia gemella. In questo caso, il ritmo si fa più cadenzato, flirta con il doom, e la voce, arricchita di filtri, evoca una specie di viaggio cosmico, al limite con lo space rock. "Lì osservi in piedi che attendono l'esecuzione, sulle ali della paura in preda a un terrore infinito. Nel ritmo della città, per difendere, questo è il patto, ma quando la vita è disprezzata il danno è fatto". Scritta per la colonna sonora del film "Heavy Metal", in particolare per l'episodio numero otto, intitolato "Taarna", questa canzone racconta dell'atto eroico della bellissima e coraggiosa guerriera Taarna, invocata dagli uomini per combattere contro una tribù di barbari mutanti assetati di sangue. La guerriera, in sella ad un eccello, combatte il nemico fino a distruggerlo, sacrificandosi per il bene dell'umanità. "Vendicarsi, questo è il patto, sulle ali della vendetta. Taarna li ritrova, morte per i barbari". La guerriera, discendente della tribù dei Taarak, si sacrifica gettandosi in un vulcano insieme al capo dei nemici mutanti, liberando il villaggio dal male. "Sorvolando il paesaggio, lei viene catturata, la tirano giù procurandole dolore. Chiudi gli occhi ed io ci sono, sento di cadere in una fossa buia e profonda. La stanno uccidendo", il bridge è liquido, astratto, molto vicino allo space, costituito da cori e tastiere magniloquenti. Il ritmo cambia vertiginosamente, accelerando all'improvviso e trasformando il pezzo in una meraviglia heavy metal: "Abbattila, dice il soldato, conficcagli una freccia in testa, ma a questo punto giunge il guerriero-uccello, pronto a mettere in salvo la sua padrona, facendola fuggire via". L'animale giunge in soccorso della sua padrona, in fin di vita, lanciatasi nel vulcano col nemico, ma non riesce a salvarla dalle grinfie di Loc-Nar, e così anche lui perisce all'interno del vulcano. Una storia di vendetta e di riscatto, di liberazione e di eroismo.

After Dark

Dal ritmo post punk, con tanto di basso in primo piano, e un'attitudine oscura e gotica, After Dark (Dopo Il Tramonto) sembra un brano uscito dalla penna di Ian Curtis. Danzereccio quanto basta, con le tastiere che brillano come stelle nella notte, questa composizione una piccola perla nera, ma dai riflessi luminosi, poiché parla di amore. "Cosa c'è nell'angolo? È troppo buio per vederlo. Cos'è quel rumore che sento? Chi mi sta chiamando? Molto tempo fa e lontano ho sentito la tua voce". Bloom è un grande interprete e la melodia si incolla sulla pelle come pioggia finissima, le tastiere ballerine flirtano con un giro di basso delizioso, descrivendo la crisi esistenziale di un uomo in attesa di amore. "Una volta che ti ho sentito cantare la tua canzone, non ho avuto scelta, il terrore ha preso il controllo e mi ha detto cosa dire. Lasciami perdere, temo di aver finalmente trovato un modo". Nel buio, subito dopo il tramonto, l'uomo ha sentito il canto di una donna, attratto come i marinai con le sirene si è avvicinato e l'ha vista. L'amore è scoccato subito: "Dopo il tramonto io ti sento. Dopo il tramonto io ti voglio, dopo il tramonto ho bisogno di te. Di età non c'è dubbio, l'ombra della morte viene annullata, abbiamo bisogno solo l'uno dell'altro, al riparo dal sole". L'amore sconfigge la morte, l'età si annulla, e così la paura. La melodia è altamente passionale, i musicisti creano questa alchimia sbalorditiva, seducendo l'ascoltatore con questo canto new-wave. "Dopo il tramonto ti vedo, non si può tornare indietro, il mio destino è tracciato nel sangue, ho assaggiato la vera salvezza, il tuo potere è la mia droga".

Joan Crawford

Dedicata alla famosa attrice, Joan Crawford è una delle perle più belle mai prodotte dai BOC. Introdotta da un solo di piano da brividi, che ne potenzia fascino e bellezza, il brano trasmette subito un'indole romantica, nel ricordo di quella che è stata una delle attrici più iconiche degli anni d'oro del cinema hollywoodiano. Il testo elaborato dalla band non è di facile interpretazione, e neanche un elogio sdolcinato alla star, tra l'altro deceduta solo quattro anni prima, nel 1997. Le liriche sono piuttosto simboliche e anche decadenti, e mettono in risalto gli ultimi anni di declino e di malattia della donna. "I drogati di Brooklyn stanno impazzendo, stanno ridendo proprio come cani affamati in strada. I poliziotti si nascondono dietro le gonne delle bambine, i loro occhi hanno cambiato il colore della carne congelata". Un mondo in caduta libera, che vive un degrado progressivo, e una donna schiava dell'alcolismo e dei farmaci, come viene raccontato nella biografia della figlia della Crawford, Christina, più volte criticata dalla famiglia per le brutte parole ai danni della madre e messa su carta per scioccare il pubblico. I BOC, affascinati dalla sensualità e dal talento dell'attrice, invocano la sua resurrezione, metafora anche di un'epoca lontana, di un ritorno alle origini e ai vecchi valori. "Joan Crawford è risorta dalla tomba" grida il bellissimo ritornello, dotato di una melodia straziante e di un duello tra chitarre e tastiere. Clacson, campanelle, stridio di gomme in strada, echi soffusi, vetri rotti ed ecco una parentesi stranissima, psichedelica, dove Bloom sospira il nome di Christina Crawford, figlia diseredata dalla madre, alla cui morte non aveva lasciato nulla in eredità per la figlia primogenita. Christina è il nome continuamente sussurrato, poi dei lamenti scaturiti dal tormento, la band è spietata nei confronti della donna e non le perdona il male causato alla madre. "Studentesse cattoliche che hanno buttato via il mascara e si incatenano alle assi dei camion. Il cielo è pieno di angeli feriti e tremanti, la signora grassa vive. Bambini, avviate i vostri camion". Le parole sono criptiche, forse legate alla biografia sulla Crawford, forse metafora degli anni 80, degenerati e viziati, ma trasmettono perfettamente la sensazione di litigi e di tensione in casa Crawford. La canzone è favolosa, dalla melodia trascinante, indubbiamente una delle hit dell'album.

Dont' Turn Your Back

Don't Turn Your Back (Non Voltare Le Spalle) è un gustoso funky con basso e tastiere in primo piano, dai tratti sofisticati e le morbide melodie. Il continuo intervento tastieristico lo rende evocativo e mistico, avvolgente, anche se non spicca per grandi linee melodiche, risultando abbastanza ripetitivo. "Non voltare le spalle, il pericolo ti circonda, non voltare le spalle ai cani che ti inseguono, non mostrare il tuo profilo, non saprai mai quando sarà il tuo turno". Un brano che parla di paura, inquietante nei suoi fraseggi e nei passaggi di tastiera, ma anche nell'ossessiva ripetizione del ritornello, che entra in testa e non va più via. "Non voltare le spalle agli istinti, non voltare le spalle alla superstizione, né al tuo vicino geloso, potrebbe solo soffiare e rovinare lo spettacolo". Praticamente la band elenca una serie di provvedimenti per evitare problemi, consigli per scacciare la paura e vivere sereni. Sono le paure di un uomo ossessionato dalla vita, spaventato da tutto e tutti. Prima dell'ultimo blocco troviamo il discreto assolo di Donald Roeser, uno dei pochissimi di questo album, improntato più che altro sulle tastiere che sugli assoli di chitarra. "Non voltare le spalle, è un'occasione per salvarla, per tenerla lontana dal pericolo. Lei ti restituirà il favore, ti vuole così temerario, perciò non dire mai di no. Le cose sono sempre come sembrano, lei dirà sempre cosa intende ma tu non saprai mai chi sono veramente i tuoi amici". Alla fine, quello che emerge, sono i consigli di una donna al proprio uomo, una donna innamorata, e con le sue parole si chiude questa magnifica opera.

Conclusioni

La copertina di "Fire Of Unknown Origin" insiste sul tema spaziale, ma in questo caso il mistero assume connotati sacri, cerimoniali, attraverso una sorta di messa cosmica celebrata da un gruppo di alieni incappucciati e dai volti dipinti, arricchiti di simboli e tatuaggi. Il culto dell'ostrica blu trova il suo messaggio più chiaro e rappresentativo proprio nella affascinante cover-art disegnata da Greg Scott, specchio di un mondo cupo tutto da scoprire. L'enigmatica copertina ci introduce con immediatezza nel magico mondo dell'ottavo sigillo rilasciato dai Blue Oyster Cult. Tra rocciosi assalti hard rock e passaggi di pura psichedelia, il disco ci regala momenti preziosi, di puro genio creativo, apici assoluti all'interno della discografia della band americana. La sofisticata produzione di Martin Birch punta a ingigantire i giri di basso e le massicce dosi di tastiere, rendendo moderno e fresco il suono dei BOC. L'interpretazione di Eric Bloom e il dinamico drumming di Albert Bouchard, qui nella sua ultima esperienza con i compagni, fanno il resto, tessendo le dinamiche di un album spaventosamente bello e affascinante, fitto di mistero e ricco di simbolismo. Dall'iconica title-track, posta in apertura e scritta insieme a Patti Smith, fino alla morbida conclusione di "Don't Turn Your Back", ci troviamo ad attraversare un viaggio musicale di grande intensità e dagli enigmi alieni che stimolano la percezione di ogni ascoltatore: la moderata e psichedelica "Veteran Of The Psychic Wars", scritta col popolare autore Michael Moorcock, racconta del protagonista di "Eternal Champion", uno dei suo romanzi, e si avvale di un drumming ossessivo e dei chirurgici interventi delle tastiere di Allen Lanier; l'avvolgente "Sole Survivor" poggia su un arpeggio misterioso elaborato dalla chitarra di Donald Roeser e possiede un refrain incredibile; la super hit "Burnin' For You", dalla struttura semplice e orecchiabile ma bella da morire; le potenti "Heavy Metal: The Black And The Silver", ispirata al saggio scientifico "The Iron Sun" di Adrian Berry, e "Vengeance (The Pact)", i brani che più si avvicinano al concetto di hard&heavy e che quindi rivelano il lato più aggressivo del combo americano; poi troviamo "After Dark", una perla post punk poggiata su un grasso giro di basso prodotto da Joe Bouchard e che riporta alla memoria il sound dei Joy Division; infine abbiamo le intime "Joan Crawford", omaggio all'attrice scomparsa pochi anni prima, icona sexy, dall'indole sensuale e romantica introdotta da un bellissimo assolo di piano, e la conclusiva "Don't Turn Your Back", dall'animo funk. "Fire Of Unknown Origin" impone i Blue Oyster Cult all'attenzione del pubblico, specialmente quello giovanile, dopo un periodo piuttosto delicato che li aveva visti scivolare lontano dalle classifiche mondiali. Di certo non un successo clamoroso come nei primi anni 70, ma uno abbastanza contenuto, stemperato solo dal singolo "Burnin' For You", hit planetaria che ricorda a tutti la classe di questa band estremamente sottovalutata. Eppure, questo lavoro testimonia la determinazione dei Blue Oyster Cult in un momento di grandi stravolgimenti musicali, riconsegnando una formazione ispirata ed eterogenea, decisa a sfidare tutti quanti e ad avvicinarsi alle nuove mode stilistiche del periodo. Lo spirito dark si sposa alla perfezione con le liriche fantascientifiche marchio della band, l'attitudine psichedelica è un connotato che i BOC hanno sempre posseduto, sin dall'esordio, e un certo dinamismo progressivo è un elemento che non è mai mancato ai singoli musicisti. Insomma, questo è il disco perfetto uscito nel momento perfetto, in grado di catturare un preciso momento per fare propri gli anni 80, e infatti viene accolto con gioia da tutti quanti, critica e fans, ma l'euforia dura ben poco, la band è in crisi, il batterista Bouchard lascia, destabilizzando la formazione storica, tentando la carriera solista. Con lo stravolgimento della formazione originale, i Blue Oyster Cult tentano un approccio più immediato, i dischi seguenti "Revolution By Night" e "Club Ninja", pur essendo molto buoni e rivestiti di un elegantissimo AOR, vengono stroncati dalla critica e ignorati dal pubblico, infine "Imaginos", studiato come lavoro solista di Bouchard in compagnia di Sandy Pearlman, viene ripreso dalla band quando la band è praticamente sciolta, andando a chiudere la prima parte di carriera. Indubbiamente, "Fire Of Unkown Origin" rappresenta il punto più alto della seconda era della band e probabilmente si candida sul podio dei migliori lavori in assoluto, dotato di un fascino particolare e unico all'interno della discografia, e con i suoi tratti occulti, gli elementi spaziali e i suoi simboli misteriosi ancora oggi resta un oggetto prezioso e di immenso valore storico.

1) Fire Of Unknown Origin
2) Burnin' For You
3) Veteran Of The Psychich Wars
4) Sole Survivor
5) Heavy Metal: The Black And The Silver
6) Vengeance (The Pact)
7) After Dark
8) Joan Crawford
9) Dont' Turn Your Back