BLOODBATH

Survival Of The Sickest

2022 - Napalm Records

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
03/11/2022
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

"Fucked, nowhere to run, skinless fingers everywhere, flesh is ripped from my back - Nella merda, non ho dove scappare, dita spellate sono ovunque, la carne viene strappata dalla mia schiena". Con queste parole foriere di immaginari horror da grindhouse, si apre il nuovo lavoro degli svedesi Bloodbath, l'album "Survival Of The Sickest". A quattro anni di distanza dal precedente "The Arrow Of Satan Is Drawn" torna infatti il supergruppo death metal composto in questa incarnazione da Jonas Renkse (basso), Anders Nyström (chitarra), Martin "Axe" Axenrot (batteria), Nick Holmes (voce), e come seconda chitarra il nuovo entrato Tomas Åkvik che sostituisce l'uscente Joakim Karlsson dei Craft. Quest'ultimo aveva molto influenzato la direzione del disco precedente, aggiungendo una componente "blackened" alla formula dei Nostri basata su una versione moderna delle influenze vecchia scuola sia svedesi, sia americane, del death metal. Componente che, come vedremo, non rimane invece nell'opera qui recensita. Come è risaputo la band è composta da veterani della scena musicale, con componenti dei Katatonia e Paradise Lost nella formazione attuale, e in passato caratterizzata anche dalla presenza di Mikael Åkerfeldt degli Opeth, Dan Swano degli Edge Of Sanity, Peter Tägtgren degli Hypocrisy tra i nomi che si sono avvicendati nel corso della loro discografia. Nati come una sorta di tributo tra il serio e il faceto nei confronti del death metal old-school da parte di musicisti cresciuti con esso, ma che ora avevano raggiunto con i loro progetti lidi diversi,poi con gli anni i Nostri sono diventati un'entità sempre più concepita come una band a tempo pieno, visione questa stabilita definitamente nel 2014 con l'arrivo dell'inglese Nick Holmes dei Paradise Lost come cantante e l'uscita dell'album più gotico e doom, oscuro, "Grand Morbid Funeral", basato sui toni più cupi e sepolcrali del cantato, meno roboante e gridato rispetto ai growl di Åkerfeldt e Tägtgren. Ora con "Survival Of The Sickest" assistiamo a un nuovo cambio di tendenza, elemento questo abbastanza costante in una discografia dove non si è mai presentato due volte lo stesso stile di scrittura in modo esattamente uguale. Prodotto da Lawrence Mackrory e con cantanti ospiti Mark "Barney" Greenway dei Napalm Death, Luc Lemay dei Gorguts e Marc Grewe dei tedeschi Morgoth, il nuovo album si allontana dalle atmosfere gotiche dei due lavori precedenti, e come detto dalle influenze black di quello appena prima, abbracciando elementi putridi e vecchia scuola di stampo statunitense conditi, come da sempre con la band, da inflessioni melodiche di stampo svedese. Anche la copertina a cura di Wes Benscoter, nome storico che sin dagli anni novanta a contribuito alla grafica di Cattle Decapitation, Defiled, Incantation, Hypocrisy, Human Remains e molti altri nomi del death metal, segnala questo passaggio, evitando i toni oscuri dei precedenti album e usando colori vivi, quasi acidi, per immagini mortifere e grottesche. Nel complessivo quindi un disco che vuole essere in ogni aspetto più diretto e violento, e possiamo anche dire "in your face". Questo è dimostrato anche nei suoni apportati dove dominano i riff a motosega e il drumming serrato, e dove gli elementi atmosferici non scompaiono, ma prendono un posto meno di rilievo rispetto all'artiglieria sonora. Viene quindi evocato il lato ossessivo e da attacco alla giugulare del death metal old-school, condito con testi ora macabri, ora nauseabondi, con qualche tinta soprannaturale e in generale un'aderenza non nascosta anche ai canoni tematici del death metal anni novanta. L'ascoltatore si ritrova quindi in un mondo sonoro ed estetico da film horror splatter e iper-violento, pieno di colori caldi che squarciano ambientazioni nere come un coltello che affonda nella carne, e dove entità non-morte attentano continuamente alla nostra vita. 

Zombie Inferno

"Zombie Inferno" ci accoglie con una chitarra in levare, che prosegue fino allo scontrarsi con una chitarra rocciosa; essa si accosta a una doppia cassa lanciata, coronata da assoli squillanti ed elaborati e da versi cupi del cantato. Ecco che i toni grevi di Holmes si legano a mitragliate di chitarra in un trotto bellico che scandisce in modo rimato le visioni apocalittiche del testo legato alla più classica delle pandemie di non morti, topos del mondo horror sempre in voga. Siamo fottuti, non possiamo scappare, mentre dita senza pelle strappano la carne dalle nostre schiene e la morte si avvicina. Occhi senza palpebre ci guardano e urla orride muoiono mentre ci fanno a pezzi. L'andamento si fa ancora più concitato, arricchito da giri a motosega e rulli furiosi che sottolineano il cantante intento a ripetere il titolo della traccia con cadenze ruggenti. Suoni vorticanti sottolineano una cantilena che ci ricorda come gli zombie infernali si aggirino in un mondo dove non c'è morte istantanea, e di seguito esercizi tecnici dalle scale altisonanti ci lanciano in una corsa spericolata, coronata da un assolo stridulo e dalla ripresa dei giri marziali e del drumming pestato. Ci attendono ore di tortura in un gioco letale, dove un cacciatore non morto ci caccia in un terrore da incubo fatto di putrida carne e ossa, mentre i secondi sembrano eterni in un nostro inferno personale in cui siamo intrappolati. Si ripete il ritornello aggressivo, sempre con giri a motosega ossessivi, a un tratto bloccato da un assolo che segna il passaggio verso una contrazione cadenzata dal groove ben strutturato; in una tomba senza colori, fatta di follia, ogni anima griderà con tristezza per i giusti e chiederà perdono. Campionamenti vocali dal gusto cinematico ci trasportano tra gli andamenti di batteria fino a una cesura che inaugura un nuovo trotto death metal greve: non c'è un ultimo desiderio prima della morte, solo la fine di una bellissima vita dove i cervelli decadono e veniamo consumati da "wretched cunts - maledetti stronzi". La musica concitata e vorticante termina con un ultimo grido protratto da Holmes.

Putrefying Corpse

"Putrefying Corpse" sceglie l'arma dell'assalto immediato per presentarsi alle nostre orecchie, un bombardamento ritmico di batteria, chitarra e urla sgolate; il risultato è una motosega sonora che ci investe e presenta modi che potrebbero ricordare anche l'ala (non a caso tipicamente svedese) più "norsecore" della musica black metal. Ma non dobbiamo fare strani pensieri: la materia qui trattata è un saldo death metal ricco di groove putridi e atmosfere sinistre, dotato di un riffing magistrale e di vocals da oltretomba regalate da un Holmes feroce e in buona forma. Un impianto sonoro ben adatto ai temi di morte, dannazione, vampirismo, e distruzione che caratterizzano il testo, ricco di accenni non espliciti, ma bensì organizzati in una sorta di mosaico fatto di suggestioni dove sta a noi, ascoltatori, riuscire a creare un filo conduttore. La colonna sonora di tutto questo è data da passaggi ora lanciati, ora basati su falcate taglienti sottolineate da momenti inequivocabilmente legati al "metallo della morte"; certo, non intendiamo cambi di tempo tecnici o virtuosismi progressivi come quelli che si possono trovare in altri esponenti del genere quali i rimpianti Death o i conterranei Spawn of Possession. I Bloodbath mantengono il discorso su un filo diretto dove i cambi di tempo si susseguono in modo lineare, ma con una performance sentita da parte di tutti i musicisti coinvolti. Non mancano cesure rocciose dalle chitarre circolari segaossa, pronte a lanciarsi in galoppi dai toni quasi punk, ed è qui che ha modo di presenziare l'ospite Mark "Barney" Greenway dei già citati Napalm Death. Il Nostro arricchisce la traccia con i suoi toni meno cavernose e gutturali, ma non meno ruggenti, seguito dalle malignità putride del cantante principale e addirittura da assoli uniti a tastiere che regalano al tutto un forte gusto primi anni novanta. Per il resto, le coordinate sono quelle di un veloce vortice che trascina ed esalta l'ascoltatore anche grazie al lavoro di chitarra di Nyström e Åkvik.

Dead Parade

"Dead Parade" è un panzer death metal dai riff pesanti e dal passo greve, terreno per i toni rauchi e rivoltanti del cantato di Holmes, che nelle trame quasi doom della traccia si trova nel suo terreno naturale. Non che qui il percorso musicale sia una marcia funebre senza intoppi o cambi di direzione: come da tradizione del genere non mancano cambi di tempo e assalti improvvisi, potenziati anche con tastiere usate con gusto e nei momenti giusti per mantenere quell'atmosfera da film horror che permea tutto l'album nel suo corso. Una parata dei morti, non a caso, simbolo della dissoluzione e dei massacri che sono presenti nel mondo. Rappresentazione anche della blasfemia e della falsità del concetto di un'entità divina, e anche di quello di una guerra per cui valga la pena morire; musicalmente il tutto è portato avanti tramite trame feroci dove loop di chitarra e impennate di batteria incontrano sezioni quasi orchestrali. Si collima poi in fraseggi squillanti di buona fattura, arricchiti dai ruggiti demoniaci del cantato mentre strisciano verso rocciosi punti quasi thrash nella loro natura combattiva; troviamo in tutto questo la parte più "americana" del suono dei Nostri. L'ascoltatore smaliziato penserà a nomi quali Morbid Angel e Massacre, e troviamo non poco soprattutto dei secondi, per quanto condito dalle tendenze più atmosferiche ed evocative che ci ricordano l'area geografica di provenienza della maggioranza dei componenti dei Bloodbath. La parte finale del pezzo offre assoli dalle scale elaborate e implosioni ritmiche che accelerano il passo toccando climax oscuri che dispiegano nuove melodie macabre e tecnicismi di chitarra appaganti. Si tratta forse di uno degli episodi che più mette in risalto gli aspetti peculiari dell'album e dello stile death d'assalto spesso preferito qui dai Nostri rispetto a toni prettamente sepolcrali. 

Malignant Maggot Therapy

L'immaginario horror è da sempre manna e fonte infinita per una parte consistente del metal, e soprattutto per buona parte del death metal stesso. Se il genere infatti è già sin dal nome una celebrazione della fine dell'esistenza nei suoi vari aspetti, sono i tratti più truculenti e splatter della cosa a catturare spesso l'attenzione delle band del settore, tanto nei testi quanto nell'estetica e nelle grafiche. Naturalmente i Bloodbath non si esimono da tutto questo, anzi essendo al continua celebrazione dei topoi del metallo della morte abbracciano a piene mani anche questo aspetto. Non ci stupiamo quindi se "Malignant Maggot Therapy" indugia senza remore in orribili descrizioni di infestazione, putrefazione, divoramento da parte dei vermi di esseri prima vivi, poi ridotti in carcasse consumate in modo disgustoso dalle creature striscianti. La musica concitata e lanciata in groove circolari tempestati da colpi duri di batteria ricrea perfettamente le immagini concitate e disgustose prima evocate, coadiuvate in colpi serrati dove il growl sepolcrale di Holmes si unisce a grida inumane in un effetto demoniaco. Ma i Nostri non sono una band brutal devota solo al massacro, ed ecco quindi che per quanto violento l'immaginario portato avanti, non mancano assoli ben piazzati che donano una grande musicalità al tutto. La traccia ne è ricca soprattutto nella coda finale, sinistra orchestrazione che si consuma in modo quasi meccanico. Nel complesso di sicuro ricordiamo del pezzo un'atmosfera pesante e satura, dominata dalle chitarre stridenti e dai tempi veloci di doppia cassa, perfettamente completati dai ruggiti del cantatom ma anche le citate intersezioni più elaborate e ariose non sono certo di scarsa fattura. Esse hanno però una durata limitata nei tre minuti del vaggio sonoro, devoto alla violenza costante. 

Carved

"Carved" vede come ospite Luc Lemay dei leggendari Gorguts, gruppo canadese pioniere nel death metal più tecnico e dissonante, qui in una traccia più lineare rispetto al suono di quella band, ma non certo per questo di fattura non godibile. Siamo naturalmente sulle coordinate di un death metal che guarda alla tradizione tra influenze scandinave e americane, e che ci riporta nei riff ai modi di "The Fathomless Mastery" confermando la ripresa da parte dei Bloodbath di un certo discorso in parte accantonato con l'arrivo di Holmes nella band. Un rullo di batteria introduce un riffing tagliente accompagnato dalla voce cavernosa e aspra del cantante, qui impegnato a delineare immaginari horror e truculenti legati a un folle chirurgo che menoma e mutila le sue vittime. Il terrore scorre nelle nostre arterie mentre insanguinatati veniamo gettati sul tavolo del macellaio, pronti per una terapia chirurgica fatta con scalpello e coltello attraverso migliaia di infezioni. Le chitarre taglienti sottolineano il ritornello greve, dove viene ripetuto il titolo della traccia in una sorta di cantilena ossessiva, ricordandoci anche come le vittime vengano sbudellate e tagliate, affamate in modo rapace. Le bordate distorte ci portano verso oasi più tetre, pronte poi a riprendere le corse lanciate con giri circolari a motosega e batteria spaccaossa. Le vittime vengono indicate come escrementi umani e archiviate in un disprezzo che le imprigiona, trovandosi sull'orlo della follia come porcellini d'india per ganci da macello, in parte putrefatte e con la schiuma alla bocca, e con gli occhi bianchi. I parassiti si muovono nella carne e il sadico maniaco non distoglie gli occhi mentre gridano chiedendo di morire. Visioni gore che collimano con una musica selvaggia che ripete versi e modi precedenti dal chiaro gusto death metal. Raggiungiamo un assolo dalle scale elaborate che si staglia su passi severi di chitarra, che poi rimangono protagonisti mentre il cantante parla di come le vittime siano legate al tavolo, con gli arti tagliati. Parte un galoppo malvagio e ritmato, foriero di nuovi orrori: prosciugate di fluidi e sanguinanti fino alla polvere, le vittime sono immerse nel dispiacere, legate e imbavagliate su spiedi come carne senza senso, smembrate oltre ogni riconoscimento con arti segati nella totale demenza con una mente annerita, la carne che sgocciola e occhi diventati ciechi. Il finale vede una ripetizione del ritornello contratto che si lancia in corse selvagge prima di riprendere le sue cantilene, con vocals doppie che uniscono tratti demoniaci e grevi.

Born Infernal

"Born Infernal" ci assalta subito con una serie di giri circolari di chitarra taglienti e ritmiche quasi "festaiole" nei loro modi sincopati; ma non dobbiamo farci ingannare, questo è un ennesimo brano death metal in tutto e per tutto, a partire dal riffing massacrante e arrivando ai ruggiti demoniaci di un Holmes sempre feroce e cavernoso. Anche qui, come nel brano precedente, il "buon" Luc Lemay fa da ospite, arricchendo il comparto vocale utilizzato in una traccia non timida nel mettere in gioco tanto cesure preparatorie aspre, quanto bordate distruttive che si fanno sempre più terremotate. Non mancano nemmeno tetri assoli vecchia scuola che portano avanti le atmosfere nefaste tanto care ai Nostri. Atmosfere che ben si legano ai temi infernali e soprannaturali del testo, che accenna a divinità demoniache e ai morti che sorgono per portare distruzione ai vivi, guidati dalle forze malvagie. Una sorta di trama "fantasy oscura" che viene rappresentata da un suono robusto e dai cambi di tempo gestiti in modo da creare esaltanti ritornelli e sfuriate dove dominano cavalcate martorianti e versi inumani dove i due cantanti duettano in canti dall'oltretomba. Largo poi a fiumi di chitarra e arie violente che alzano la posta in gioco prima di trascinarci con loro nell'oblio. E' interessante notare come la canzone presenti un impianto putrido e paludoso, che riesce però a mantenersi concitato e veloce nelle accelerazioni di chitarra e batteria. Un segnale dell'estetica qui adottata dai Bloodbath, che non indugia troppo su aspetti gotici e atmosferici, dando invece molto spazio ad assalti dalle bordate che accentuano la cadenza violenta del cantanto. 

To Die

L'ossessione per la morte può assumere varie forme, come i musicisti death metal ben sanno. La loro nera musa può essere un killer spietato, un evento soprannaturale, un incidente, ma anche un desiderio volontario di una mente fin troppo danneggiata dalla vita e stanca del dolore. Quest'ultima variante ha da sempre caratterizzato il mondo dell'arte, partendo dalla letteratura tra Shakespeare, Ernest Hemingway, e Virginia Woolf e arrivando alla musica moderna in ogni sua declinazione. Dal pop e rock con esempi come "Alone Again (Naturaly)" di Gilbert O'Sullivan, "You're Only Human (Second Wind)" di Billy Joel e "By the Grace of God" di Kay Perry, al metal con "Downfall" dei Children of Bodom o "Beyond The Realms Of Death" fra i vari esempi possibili. "To Die" dei Bloodbath tocca questo argomento in modo consono al gruppo e all'album qu recensito: con toni tetri e mortiferi accompagnati da un death metal feroce e tagliente. Qui giri di chitarra circolari e colpi duri di batteria si accompagnano a montanti possenti e vocals cavernose e rauche che si prestano a corsi destinati a incontrare assoli ben fatti e ritornelli ossessivi. Sessioni rallentate anticipano atmosfere cupe che si aprono in paesaggi ammalianti e quasi malinconici che richiamano nomi come gli Asphyx in un suono che sa essere sia diretto, sia grandioso. L'ospite Marc Grewe è una perfetta aggiunta alla ricetta del pezzo, capace di portare una parte d'influenza del suo ex-gruppo Morgoth e delle sue trame a volte rallentate ed emotive. Accelerazioni improvvise e nuovi abissi doom si danno il cambio in una conclusione magistralmente evocativa, finale di uno dei momenti più solenni dell'album. Analizzando la traccia individuiamo uno dei momenti del disco più legati al passato della band, con influenze tanto di stampo europeo quanto americano, e con un dosaggio maggiore nell'uso di assoli grandiosi e malinconici. Non mancano certo i riff circolari segaossa, che però s'intersecano come ponti tra i rallentamenti maestosi, probabilmente i veri protagonisti della canzone. 

Affliction Of Extinction

"Affliction Of Extinction" non perde tempo e ci investe subito con esercizi ritmici di batteria e chitarre marziali dall'impeto distruttivo. Torniamo sulle coordinate di brani come "Zombie Inferno", ovvero di un death metal moderno che guarda anche al passato, dai tempi contratti che però evitano tecnicismi troppo contorti e groove ipnotici potenziati da un cantato che sa essere tanto rauco e cavernoso, quanto minaccioso e feroce. Il testo sembra quasi voler fare da summa di molti degli argomenti trattati nei pezzi precedenti, tra riferimenti al genocidio, suicidio, carestia e a forze demoniache che portano morte e distruzione su un'umanità già sfiancata dagli eventi sopra descritti. Un'atmosfera ben poco da festa, ben rappresentata dai riff rocciosi e aggressivi che s'intersecano con epocali fraseggi sinistri lanciati in galoppi forsennati e dalle bordate potenti. Un viaggio nel suono Swedish anni novanta, ma con alcuni elementi vicini al gusto d'oltreoceano del metallo della morte. Il risultato è una traccia capace di consegnarci ritornelli e pari trascinanti senza rinunciare alla parte estrema del genere affrontato dai Nostri. Una traccia più che competente che funziona egregiamente e che di sicuro darà modo di far muovere non poche teste in sede live, e un altro dei momenti che richiama i primissimi passi degli svedesi. Ma qui il tutto gode della produzione del disco potente e moderna, che da nuova luce anche a strutture già sentite nella discografia del gruppo. Un punto di plauso si trova certamente anche nella performance di Holmes, che qui usa il suo stile greve in modo effettivo intersecandosi perfettamente tra le sinistre melodie di chitarra, riservando un tratto più gridato per la conclusione. 

Tales Of Melting Flesh

L'ossessione per la carne, la sua putrefazione, gli effetti della violenza su di essa, sul concetto di mortalità legato fisicamente al suo decadimento, è uno degli aspetti più tipici del death metal vecchia scuola, e non solo. Uno degli obiettivi del genere è sempre stato quello di parlare e portare in rilevanza aspetti socialmente tabù della nostra esistenza e della sua fine, insieme anche a elementi fantasiosi di stampo horror legati sempre a queste concetto. Immaginari di carne che si scioglie dopo la morte, di stanze in un inferno dove ogni condannato è solo, e di ossa di miliardi di morti raccolte come in una collezione, in un mondo dove chi non segue il credo principale viene condannato a tale terribile destino. Questo viene offerto in "Tales Of Melting Flesh", nona traccia dell'album da noi recensito. Una marcia death dalle scale altisonanti e dal passo martellante, contrastata da cesure rocciose e sottolineata da improvvisi assoli striduli e notturni, terreno per i ruggiti non morti di Holmes e per i suoi ritornelli coadiuvati da riff circolari di ottima fattura. Un racconto sonoro che ci porta verso l'oblio e fuochi immensi che bruciano le carcasse degli infedeli che non seguono un culto che ha ben poco di sacro e santo. Growl e screaming si uniscono in duetti malsani, mentre non mancano punte vecchia scuola dal gusto quasi tecnico. Ma niente paura, la brutalità rimane intatta negli assalti continui; la sezione finale ci sorprende con un ponte dall'atmosfera misteriosa e medioevale, liberata in note altisonanti e cantici di distruzione che proseguono in una cantilena che si consuma in un suono di carillon nella conclusione. Un tripudio di tratti old-school e tempi medi che si lanciano a galoppi ritmati e chitarre che sanno costruire paesaggi sonori ora trattenuti, ora rilasciati in accelerazioni thrash. La sorpresa del finale mostra comunque un gruppo ben conscio di se stesso e che sa quando variare all'improvviso la formula senza sconvolgere il percorso complessivo, dando un gusto quasi narrativo all'approccio adottato. 

Environcide

Negli ultimi anni il tema del disastro ambientale è diventato sempre più presente e pressante nelle nostre esistenze. Se ormai da svariati decenni è stato dato monito continuo degli effetti delle scellerate politiche intraprese da nazioni e multinazionali, ormai da anni queste predizioni non possono più essere negate in quanto palesi nella loro terribile realtà. E uno degli scopi del death metal è anche quello di toccare aspetti del reale, non importa quanto scomodi, anche se con modi generalmente meno "socialmente impegnati" del thrash e sempre sublimati in un'universale evocazione della morte nei suoi vari aspetti. "Environcide" segue questa linea convertendo il tema dell'apocalisse ambientale in uno scenario di distruzione portato avanti da una divinità della morte, simbolo al contempo dell'umanità stessa che ha portato a questo disastro, sia della religione dietro la quale si è nascosta per secoli giustificando ogni propria azione. Musicalmente, siamo davanti a un panzer granitico lanciato in severe corse death coadiuvate da vocals rauche e secche, unite a ritornelli pestati dove è la batteria a farla da padrona. Le trame militanti investono l'ascoltatore, lasciando però anche posto a sezioni più evocative e pregne di tetre atmosfere vecchia scuola. Largo poi a bordate monolitiche e suoni stridenti, alfieri di appassionanti assoli che riportano l'elemento scenico in gioco. Non ci facciamo mancare nemmeno esercizi più tecnici dalle scale alte, coronamento di un songwriting abbastanza variegato che impiega vari elementi della storia del genere per creare qualcosa di familiare, ma allo stesso tempo non propriamente una copia dei modi della vecchia scuola a cui si fa riferimento.

No God Before Me

"No God Before Me" è la conclusione dell'album, affidata a quello che è probabilmente il brano più atipico per i Nostri, tra quelli presenti nel disco. Immaginiamo una parata colossale di creature non-morte, una marcia verso un nero maniero contornato da cieli neri dai lampi rossi, un'ambientazione fantasy oscura e tetra tanto grandiosa quanto inquietante e terribile, foriera di mondi fatti di orrore. Ecco, queste le immagini evocate dal brano in questione, e dal suo suono che si mantiene per tutta la sua durata lento e trascinato, per un death dai forti connotati doom che richiama molto alcune cose del disco "Grand Morbid Funeral" e le sue atmosfere gotiche, dove compaiono anche momenti "orchestrali" che rimandano al suono melodeath degli Hypocrisy. Notiamo anche alcuni tratti black che rimangono però marginali rispetto al già citato disco precedente, qui usati per aiutare le atmosfere solenni e nere della traccia. Il testo è una blasfema negazione della divinità e dell'idea di un aldilà, in visioni misteriose di realtà multi-universali dove regna il vuoto cosmico e la presenza di demoni che ci guidano come ministri di un culto terribile nella morte e nella dissoluzione della carne. Come detto in precedenza, qui i tempi rimangono rallentati per la totalità del pezzo, consegnandoci dei Bloodbath decisamente più d'atmosfera e meno da attacco alla gola, in uno stile che potrebbe anche richiamare i Morbid Angel di "Domination" pur con tutti i distinguo a livello di performance vocale. La sensazione lasciata all'ascoltatore è quella di una parata sonora onirica e possente, che avanza con un passo greve a cui non ci si può opporre. A livello di songwriting è il momento più atipico di tutto l'album, lontano dallo stile ben più diretto e veloce mantenuto per ll resto dell'opera. Funziona molto bene come conclusione, dimostrazione che anche la scaletta dei pezzi è stata ragionata in modo da offrire un'esperienza globale sensata. 

Conclusioni

Non è fuori luogo definire "Survival Of The Sickest" una scommessa tutto sommato riuscita, ma non scontata. Questo perché un ritorno ai connotati meno oscuri, gotici, doom e più groove e diretti dei Bloodbath con Holmes alla voce non è affare così liscio o facile; il cantante inglese ha un timbro e stile ben diverso da quello dei passati Tägtgren e Åkerfeldt, rauco e cavernoso, perfetto per lo stile doom dei Paradise Lost, ma molto meno adatto per un death metal vecchia scuola dai tempi veloci e dalle atmosfere violente e ossessive. Nonostante questo "deficit" sulla carta, nel pratico l'album riesce a funzionare egregiamente, questo grazie a una serie di accorgimenti. Prima di tutto il già citato cantante si impegna al massimo per adattare il suo stile alla materia sonora, impiegando anche accelerazioni e parti più stridule. Inoltre il produttore Lawrence Mackrory riesce intelligentemente a operare sulle vocals a livello di mixaggio inserendole nel contesto musicale senza che suonino coperte o troppo prominenti, allo stesso tempo dando potenza e sostanza alla strumentazione in sede di produzione e mastering. Gli ospiti presenti sono usati al meglio per supportare la voce principale e operano nel contesto dell'estetica e dei modi dei Nostri senza snaturarne il corso o farci pensare più alle loro band di origine, che ai Bloodbath. Detto questo, non bisogna pensare a una mera copia di dischi come "Resurrection Through Carnage" o "The Fathomless Mastery"; una delle costanti della band svedese è sempre stata quella di mantenere una certa formula di base pur variandola in qualche modo e grado in base all'album. "Survival Of The Sickest" è quindi tanto diverso dalle ultime produzioni del gruppo, quanto dai dischi prima citati, con i quali pur condivide una maggiore affinità verso la commistione di suoni death metal vecchia scuola di stampo svedese e americano. A questo giro i tecnicismi sono ridotti al minimo, così come le sezioni di assoli che non scompaiono, ma vengono usate più come delineazioni per gli attacchi a motosega costanti delle chitarre, piuttosto che come lunghe cesure sinistre. Certo, non mancano alcuni momenti che ci riportano anche al lato più atmosferico dei Bloodbath e in particolare la finale "No God Before Me" offre un suono lento e cinematico che tocca elementi quasi inediti per il gruppo, ma nel complesso ci troviamo davanti a un'opera dall'impianto tirato e aggressivo vicino allo spirito di nomi come Massacre e Obituary sul piano di riffing e batteria. Ultimo aspetto non scontato e probabilmente la vera carta vincente: è chiaro che i Nostri si siano divertiti a suonare il disco, seguendo meno restrizioni rispetto alle ultime opere e meno una volontà di suonare oscuri e seriosi a tutti i costi, pur senza perdere di vista la materia sonora estrema trattata. In definitiva un'opera che farà felice chi non vedeva di buon occhio l'ultimo periodo degli svedesi, e che pur non toccando gli apici della loro discografia si inserisce tranquillamente in chiave positiva in quest'ultima proseguendo il discorso particolare dei Bloodbath, continua celebrazione del death metal vecchia scuola, ma sotto un'ottica di rielaborazione e revisione molto moderna che li separa spesso dall'ondata vecchia scuola underground ben più violenta e sepolcrale, ma anche dal death iper-moderno e giocato solo sulla velocità. In una scena metal dove ormai esistono un underground e una parte "mainstream" abbastanza separati tra loro a livello di etichette, festival, e in parte pubblico, il supergruppo si colloca nella seconda categoria, ma con un proprio piglio e spirito che li rende subito identificabili e con un proprio suono. Forse hanno perso qui alcuni punti di originalità rispetto agli elementi black del precedente "The Arrow Of Satan Is Drawn", ma la cosa viene compensata con un songwriting più convincente e una sinergia decisamente sentita tra i vari componenti. Ogni membro opera per la struttura complessiva dei brani, e il lavoro di voce, chitarra, batteria e in alcune parti anche di basso sono udibili e allo stesso livello di performance. Quasi ogni pezzo potrebbe essere un singolo e non è difficile immaginarne l'applicazione in sede live, dimensione da non sottovalutare e importante per i Nostri, come dimostrato in album live come "The Wacken Carnage", mettendo in chiaro la natura senza molti fronzoli dell'album.

1) Zombie Inferno
2) Putrefying Corpse
3) Dead Parade
4) Malignant Maggot Therapy
5) Carved
6) Born Infernal
7) To Die
8) Affliction Of Extinction
9) Tales Of Melting Flesh
10) Environcide
11) No God Before Me
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