BLOOD CEREMONY
Blood Ceremony
2008 - Rise Above Records
STEFANO VIOLA
20/04/2015
Recensione
E' sempre bello venire a conoscenza di nuove band e soprattutto è ancora meglio se la band in questione si rivela essere una vera e propria "perla" dal valore quasi inestimabile. I Blood Ceremony sono la formazione magicamente uscita da quel cilindro tecnologico che è il ventaglio proposte dalla vasta gamma di supporti multimediali a cui abbiamo illimitato accesso, giunti alle mie orecchie quasi per caso grazie ad una “proposta” dei cosiddetti supporti (modalità “consigliati”)ed hanno attirato subito la mia attenzione. Le ricerche effettuate in seguito mi hanno messo a conoscenza del fatto che la band è Canadese, di Toronto (Ontario), la stessa città che ha sfornato i Killer Dwarfs, gli Skid Row di Sebastian Bach, gli alfieri dell’Heavy Metal Anvil e la formazione da tutti ritenuta come il "Big Bang" dell' Heavy Metal, avendone creato il nome ed avendo contribuito a sviluppare il genere, ossia gli Steppenwolf. Questa affermazione affibbiata loro dalla stampa di settore, vive ancora oggi il suo dualismo con i Black Sabbath che vengono a loro volta nominati dalla controparte Europea come i veri inventori della fortunata corrente musicale a noi tanto cara. Disquisizioni a parte (che non portano mai ad una vera e piena risoluzione del contendere) i "Lupi della Steppa" trovarono la fama ed il successo in quel di San Francisco, dove si spostarono alla fine degli anni '60, ma le loro radici affondano oltre il confine del territorio Nord Americano. Tornando ai Blood Ceremony, apprendo che muovono i primi passi nel 2006, fondati da Sean Kennedy (Chitarra) e derivano il loro nome da un Horror Movie datato 1973, ad opera del regista Spagnolo Jorge Grau, dal titolo "Cerimonia Sangrienta" (arrivato nelle nostre sale come "Le Vergini Cavalcano la Morte"), la cui storia ruota attorno ad un fatto realmente accaduto nel 1610. La Contessa Ungherese Eszerbeth Bathory, la stessa a cui i Venom dedicarono l'omonima track (“Countess Bathory”, dall’album “Black Metal”, 1982) si dice facesse sgozzare delle vergini per potersi successivamente bagnare con il loro sangue, credendo possedesse proprietà anti invecchiamento; processata per stregoneria la sua pena fu quella di essere murata viva. Continuando nella narrazione, la formazione si stabilizza con l’arrivo di Lucas Gadke (Basso, dal 2013 anche membro dei Volur), Michael Carrillo (Batteria) e Alia O'Brien (Voce, Organo, Flauto Traverso ); questa line up si assesta nella configurazione descritta dopo che il precedente cantante lascia il gruppo e parte per un viaggio in India. A questo punto, dovendo riempire il vuoto venutosi a creare, Alia O'Brien assurge al ruolo di Front Woman evolvendosi da quello che era il suo ruolo solo strumentale. Il genere proposto è una nuova forma di Doom Metal che si apre a infinite contaminazioni musicali di matrice Prog/Folk/Nwobhm frutto delle influenze che i singoli membri hanno avuto nel loro percorso di crescita come musicisti. Assistiamo così alla nascita di qualcosa di nuovo, una sinergia tra elementi che fanno del proprio bagaglio musicale un pozzo dove attingere sonorità che richiamano nomi quali Uriah Heep, Pentagram, Pagan Altar ed ancora gli Electric Wizard, oppure band progrock quali i nostrani Osanna, e miti del Folk Britannico come i Fairport Convention. La base si cui poggia questo intreccio di melodie è tipicamente Sabbathiana, quale sigillo migliore da apporre se non quello dettato dai quattro Cavalieri Oscuri di Birmingham, e ancora possiamo ascoltare radici che conducono alla NWOBHM rincorrendo i tipici riff alla Witchfinder General o la nobile scuola doom americana (Sant Vitus). La presenza del Flauto Traverso di Alia che con la sua magia evoca la figura di Ian Anderson ed i suoi Jethro Tull, infine, riesce a creare un suono ipnotico e decisamente onirico al quale è impossibile restare impassibili. Tutto questo melting pot sonoro arriva alla sua naturale collocazione quando vengono messi sotto contratto dalla "Rise Above Records", etichetta discografica fondata nel 1988 da Lee Dorian dei Napalm Death, e la band si appresta ad incidere il primo, omonimo, album nel 2008. Questo vede la luce con una accattivante copertina dallo sfondo cremisi, sulla cui parte superiore sinistra " fluttua " , in rosso, il moniker della band scritto a caratteri pseudo-occulti che richiamano la natura del sound. Nella parte centrale si staglia la figura di una strega, se così possiamo definirla, dal corpo anch'esso cremisi, dalle braccia allargate su cui posa un abito talare di foggia Cardinalizia che riprende il colore rosso del nome "Blood Ceremony" impreziosito da un orlo damascato color oro. La figura femminile presenta una capigliatura e degli accessori che rimandano ad una cerimonia solenne, infatti innanzi a lei notiamo del fumo uscire da un calderone, preludio di un qualsivoglia sortilegio. Tra le sfere di vapore che ne fuoriescono, quella più grande racchiude una "Drakkar", tipica nave vichinga che sembra solcare il mare. La postura delle mani, ed il volto della donna non sembrano presagire buone intenzioni. La formazione Canadese, dopo l'uscita dell'album, ha viaggiato in lungo e in largo supportando in tour gli Electric Wizzard e ricevendo ampi consensi ovunque si è esibita ed al suo ritorno in patria si è messa al lavoro per produrre il secondo, ancor più splendido album. "Blood Ceremony" è stato recentemente ristampato e la band è sotto contratto anche con la Metal Blade, epica etichetta discografica che tra le sue pu te di diamante annovera nomi quali Metallica e Slayer. Il futuro del combo occulto diventa sempre più roseo. Trovarsi al cospetto di una band simile sovverte l'ordine che ci eravamo creati riguardo ai gruppi e ai generi musicali ( in questo caso, sottogeneri ) che abbiamo sempre ascoltato, una formazione trasversale quella dei Blood Ceremony , capace di inventare un nuovo filone musicale che, auspichiamo, possa essere seguito come esempio dalle nuove realtà emergenti del panorama Doom. La sinergia tra i diversi elementi, in questo caso, è stata in grado di dare al sound quella completezza sonora che oserei definire perfetta.
Il primo brano, “Master of Confusion”, prende forma da una introduzione d'organo che ci porta subito alle atmosfere lisergiche degne del miglior periodo fine anni '60, irrobustito da una base "corale" in cui dialogano all'unisono Basso/Chitarra e Batteria creando un background in puro stile Sabbathiano. Dietro a questa base sorge, evocativa, la voce di Alia che in sinergia con l'incedere del brano crea una dimensione onirica nella quale catturare l'ascoltatore. La presenza della tastiera di sottofondo amplifica la parte psichedelica del pezzo che, a tratti, ricorda da vicino le sonorità di certe escursioni ad opera di Ray Manzarek, figura chiave dei mitici Doors. A dispetto delle molte band con cantante donna, le quali ci hanno abituato a vocalità "celestiali", Alia ha una timbrica in controtendenza rispetto a quanto ascoltato finora e, pur non eccellendo in gorgheggi degno di nota, modula le corde vocali in modo sinuoso, a tratti ipnotico, che la rendono meravigliosamente perfetta per il genere proposto dalla band. Bello il breve assolo che avviene di concerto con la tastiera in un gioco di intrecci che fanno risaltare prima l'uno e poi l'altro dei due strumenti, dove a prevalere è l'organo che si lancia in un excursus dal sapore marcatamente retro il quale, inserito in un contesto Doom sovverte ogni riferimento a noi noto proiettandoci di fatto al centro di qualcosa di nuovo e inaspettato. Questo connubio di stili e contaminazioni sonore giungono ad un punto di sospensione a meno di un minuto dalla fine del brano, da dove ripartono con nuovo vigore trascinandoci in un finale che porta il pezzo su delle basi Prog/Rock inaspettate. Quattro differenti generi musicali in un brano solo ed è solo la prima track, l'album non poteva iniziare meglio di così. Come abbiano detto all'inizio dell'articolo, la band si ispira al mondo Occulto/Horror e alla stregoneria, e questo testo sembra avere attinenze con riti magici e oscuri sortilegi. Viene nominato Cagliostro ("Cagliostro sits in his vault of nepenthe"), celebre figura nata e vissuta nella seconda metà del diciottesimo secolo (1743-1795) personaggio sempre in bilico tra la legalità e non, famoso per essere stato un alchimista/esoterista. Il “mago” è seduto in un caveau di Nepenthe, probabilmente una stanza dove ritirarsi e abbandonarsi a questa sostanza che appare anche nell'Odissea di Omero, nota agli antichi Greci come la "Droga della Dimenticanza" (Drug of Forgetfulness): quest’ultima è un potente oppiaceo usato come anti dolorifico/anti depressivo ed ha lontane origini Egizie. E’ capace di portare ad uno stato illusorio/visionario, facendo dunque dimenticare i mali che affliggono il corpo “fisico”, proiettando la persona in un piano maggiormente “spirituale” ed allucinogeno. Si spiegano allora le immagini che il testo ci descrive, quando recita di soldati riportati in vita armati con falci di cristallo (“Necromantic Soldier arme with crystal scythes”) e donne dalle fattezze di uccello (forse un altro riferimento alla mitologia classica, in quanto in origine le Sirene avevano proprio questa fisionomia). Questo genere di testi lascia sempre molto spazio ad immagini evocative quanto sinistre, le quali trovano spazio nella seconda strofa e ci affrescano una scena degna di rito pagano: in una città a forma di bara, i fedeli sono radunati nelle tenebre al cospetto di una strega e della sua arpa eolica; mentre questa è intenta a suonare che, un mago cerca l'allineamento delle stelle per aprire un portale verso Marte. "Worshippers have gathered under cover of dark, the sorceress is stroking her Aeolian harp, a magus seeks alignment of stars Coffin, shaped citadel a door to Mars". Testo dal significato alquanto ermetico ma di sicuro impatto per gli amanti del genere, questo primo brano si chiude lasciandoci esterrefatti dinnanzi al valore di questa band. La seconda traccia, “I'm Coming With You”, è caratterizzata da un riff che ricorda, ai cultori del genere, il brano “Inquisitor” dei nostrani Death SS, tratto dal disco “Heavy Demons” (1991). Questa track ci porta dunque nella contaminazione tra il Doom, base trainante del pezzo, e le atmosfere Prog/Rock di matrice Andersoniana, magistralmente sottolineate dal flauto traverso di Alia O'Brien. L'entrata in campo della sua voce ha un che di ipnotico, per cadenza e tonalità, e ci accompagna per mano attraverso le sonorità che, verso la metà del brano, cambiano di ritmo e si aprono in una escursione rock progressiva degna delle migliori formazioni targate 1970. La band ci mostra quanto è stata in grado di creare tessendo insieme il meglio della musica rock degli ultimi quarant'anni, e il risultato ha un che di sublime. La chiusura del pezzo omaggia ancora una volta lo stile di Ian Anderson (in questo album ricorrerà spesso il parallelismo) con il tocco di flauto finale. La track ha una " story line " che parla di Messe nere ed evocazione del Diavolo, un must per quanto riguarda il genere Occulto/Stregato/Horror: "Dicono che questi riti sono pericolosi, Dicono che siamo pazzi, Io sono qui per aiutarti a fraternizzare con Caino ", viene citata una figura biblica che sicuramente fa al caso dei nostri, intenti a parlarci del lato oscuro di ciascuno di noi. Caino, difatti, è il primo uomo a vivere all'Inferno con Satana, in quanto primo omicida della storia dell'umanità, come descritto sul libro della Genesi (tutti noi ricordiamo la vicenda, Caino che guidato da una folle gelosia nei riguardi di suo fratello Abele arrivò ad ucciderlo senza pietà, non mostrando nemmeno pentimenti o rimorsi). Forse l'intento dell’utilizzo di un’espressione come "fraternizzare con Caino" è da vedersi come il prendere confidenza con il Male. Il significato che possiamo attribuire a questo brano è racchiuso in un passaggio che recita "Quando invochiamo il nome del Diavolo, un cerchio si forma nella mia mente, il Pentagramma e le stelle sono allineate.. queste parole rilassano il mio cervello". Abbiamo citato i Death SS come influenza musicale, possiamo citarli anche come influenza testuale, in quanto queste parole sono di forgia simile a quelle comparse in una nota canzone del gruppo di S. Sylvester, “S.I.A.G.F.O.M.”, nel quale il Diavolo ci viene presentato appunto come un amico, come un elemento di pace ed armonia. Anche per i Bloody Ceremony, votarci a quest’ultimo significa trovare la pace e la beatitudine, una sorta di “illuminazione” che favorirà il degno riposo della nostra anima inquieta. Notiamo come nella terza track, “Into the Coven”, riff dall'incedere ipnotico si librino letteralmente nell'aria, in questo brano che erge la sua struttura su solide basi "Early Doom" del periodo embrionico della NWOBHM. Il brano condivide la sua omonimia con il ben noto pezzo dei Mercyful Fate datato 1983, tratto dall'album "Melissa". Diversamente dalla track appartenente ai "Master" danesi capitanati da King Diamond, il pezzo del combo Canadese verte su una diverso cardine sonoro, orientato ad una forma dove il Flauto traverso è sempre splendidamente presente nel creare quell'atmosfera che, associata agli accordi ritmici, trasporta il sound in una dimensione sinistra ed evocativa che richiama immediatamente immagini oscure. La voce di Alia scorre tra le note insinuandosi nelle nostre teste, generando una sensazione di piacevole ottundimento dalla quale non ci si vorrebbe riprendere. Lo stile compositivo è davvero notevole, la band riesce ad incastrare perfettamente diverse espressioni musicali distanti tra loro, a livello temporale e oltremodo consecutive l'una all'altra, facendole convivere in modo assolutamente naturale senza che se ne avverta la minima forzatura. Si parla di droghe consumate nel "Bong di Saturno", grossa pipa a base di acqua con cui fumare tabacco aromatico e/o sigarette che inducono alla felicità (per non usare termini espliciti), si parla inoltre degli "Occhi di Quaalude ", tipica espressione usata per definire lo sguardo vacuo e assente di chi faceva largo uso, nel periodo degli anni 70, di questo potente farmaco (poi riclassificato come vera e propria sostanza stupefacente). Gli effetti del Metaqualone, o "Lude" come veniva chiamato in gergo, si possono vedere (per chi ne fosse interessato) nel film "The Wolf of Wall Street" con Leonardo Di Caprio. Una vittima illustre del Quaalude fu Billy Murcia, batterista dei New York Dolls che ci lasciò annegando nella vasca da bagno perché totalmente “strafatto” di tale sostanza. La parte conclusiva del brano, caratterizzato dall'organo a tratti ossessivo, tipicamente "sixties", amplifica maggiormente la connotazione lisergica del testo: "Fumano droga nera nel bon di Saturno e fanno esplodere la nostra mente con canzoni malvagie, vedo streghe nel cielo volare sopra occhi di Quaalude ", la Congrega a cui fa riferimento questo testo deve essere dedita al consumo di sostanze allucinogene generatrici di potenti visioni , tali da giustificare la presenza dei "demoni del sole generano visioni di luce, Servitori dalle teste di Capricorno brindano a questa alba con una strana annata imbottigliata in botti oblunghe, in profumate messe nere con coppe a forma di rettili “. Potrebbe essere anche la descrizione di un rito di iniziazione per nuovi adepti che si apprestano ad entrare in questo circolo esclusivo di seguaci dell'oscuro, il tutto rimanda a diverse esperienze di stampo Crowleyiano e a diversi rituali sacri in cui era lo stesso mago Aleister a sfoggiare incredibili doti divinatorie, cadendo in trance mistiche e comunicando direttamente con degli esseri superiori, fungendo da tramite fra il suo mondo e quello di queste divinità. Atmosfere Barocche di scuola menestrellesca caratterizzano la quarta track, la strumentale “A Wine of Wizardry”, breve interludio dal deciso sapore medievale. Nel suo incedere si può notare la struttura del Branduardi primo periodo e anche sonorità riconducibili agli Olandesi Focus, band strumentale del periodo incantato che sono stati gli ani '70. Il Front Man della band, Thjis Van Leer, era anch'esso Flautista e tastierista, e certi solfeggi presenti nel brano si vanno a collocare decisamente molto vicini al suo stile. Abbiamo citato Angelo Branduardi, la prima parte della sua carriera è stata dedicata alla ricerca del suono che vibrava nelle corti e nei castelli del Medioevo, andando a anche a ricostruire gli strumenti musicali secondo le tecniche dell'epoca. Ascoltare richiami che echeggiano in sottofondo e ci ricollegano a questo nostro artista, non sappiamo se siano voluti o meno, è comunque un motivo in più per apprezzare questa "piccola" perla musicale. "Il Vino della Magia" parte lento, cadenzato, come un boccata di nettare d'uva che scende nella gola ad inebriarci. Procede in leggero crescendo fino ad aprirsi e a rafforzarsi sul finire, simile a quando il troppo bere ci prende alla testa e ci le sensazioni ovattate ci alienano dalla realtà. La trasversalità di questo quartetto ci impressiona brano dopo brano ed è sulla via del crearci una dipendenza da Blood Ceremony difficile da guarire. Giungiamo così alla quinta track, “Rare Lord”. Con un testo che recita più o meno quanto andiamo a tradurre, la band si addentra ancora più in profondità nella coscienza cosmica correlata all'occultismo e alle forze oscure che lo governano. Queste discipline esoteriche dipingono tramite delle tinte che rifuggono la luce, e rendono “oscuro” ciò che invece sempre è stato rappresentato con immagini di positività e speranza, ponendosi completamente in antitesi con il credo dell'era della "Summer of Love" che richiamava l'uomo ad una consapevolezza Universale, la quale poneva l'individuo come parte del tutt'uno cosmico appunto. "L'universo è legge, questo lo so da tempo. Di Meraviglie evocate sotto cupole magiche”, “L'universo è legge, e spirali gireranno come filtri nati su altari di demoni infuocati", "Attraverso incantesimi necromantici, invadendo le loro menti, le armate della notte avanzeranno al suo segnale": esiste infatti una corrente di pensiero che vede l'universo governato dalle forze del male, quest’ultimo inteso non secondo i canoni della religione bensì come un qualcosa formato da vere e proprie essenze di un concetto di "malvagità" a noi sconosciuta. E' anche vero che quello che l'uomo non conosce automaticamente lo spaventa, per cui la vastità dell'universo stesso potrebbe indurre a tale timore; è altresì provato (dagli astronauti delle missioni lunari e in seguito anche da alcuni membri degli equipaggi Shuttle) che nelle profondità dello spazio si percepisce una presenza sconosciuta, estremamente disagevole al punto da sentirne la negatività quasi palpabile. Queste testimonianze, che lasciano l'uomo comune spiazzato davanti ad un concetto di portata enorme per il cervello umano, fortunatamente non vanno ad intaccare il nostro discorso quando torniamo a parlare della parte musicale della track. Se il testo ci porta nei meandri oscuri, il sound invece ci eleva a delle vette di pura estasi dalla quale veniamo rapiti. L'incedere ipnotico, creato dalle sonorità del flauto in parallelo con gli altri strumenti, è amplificato dalla voce di Alia che intona il pezzo come fosse una "ninna nanna" d'altri tempi e procede di questo passo per quasi quattro minuti fino al punto in cui il ritmo assume una dimensione più dinamica addentrandosi in una lunga parte strumentale da "pelle d'oca". La spettacolare professionalità con la quale il combo fa convivere sonorità di matrice classica (il flauto) con altrettante di scuola settantiana, mixate a basi di pura New Wave of british Heavy Metal, è a tratti commovente e riesce a trasmettere sensazioni che risultano difficili da tradurre a parole. L'immancabile accostamento ai Jethro tull è d'obbligo, in quanto Alia O'Brien è dichiaratamente una seguace del carismatico Ian Anderson e le ispirazioni nel riproporne lo stile si possono avvertire a più riprese durante tutta la durata del pezzo. La chiusura dello stesso ci riporta sulla base originale d'apertura ma viene lasciata al solo flauto traverso che, dolcemente, ci porta a chiudere gli occhi e ad entrare nella dimensione onirica. In “Return To Forever”, sonorità Sabbathiane si intrecciano a riff più recenti e vanno a costituire l'ossatura portante di questa track che viene a rimarcarci quanto è "avanti" questa band. Ogni brano cela al suo interno una varietà di suoni che ci fanno scoprire, ogni volta che riascoltiamo l'album, qualche cosa di nuovo. Quando un gruppo è capace di creare questa condizione di "assuefazione" nell'ascoltatore vuol dire che ha centrato in un colpo solo tutti gli obiettivi. La track qui presente lo dimostra già dai primi riff i quali catturano la nostra attenzione, che va a posarsi inizialmente sul trio basso/chitarra/batteria, texture sonora dalle poderose fattezze, per poi concentrarsi sul cantato di Alia la quale, senza eccellere nei gorgheggi, riesce sempre a rapirci nel suo labirinto onirico. Il suo timbro vocale ha un fondo ipnotico, la sua vera qualità è proprio quella di modulare l'ugola come fosse uno strumento incantatore, oltre ad avere anche un che di finemente erotico ( ma questa è una considerazione puramente personale ). Il brano segue un percorso lineare per circa un minuto e trenta secondi fino ad un primo punto di sospensione che apre alla parte strumentale divinamente orchestrata tra gli elementi che, all'unisono, danno vita a qualcosa di magico. Il flauto traverso è padrone e allo stesso tempo servitore degli altri strumenti (favoloso il breve intermezzo Flauto/Basso) i quali, distinguendosi singolarmente alla perfezione, ci permettono di seguire al meglio l'evoluzione del pezzo. L'assolo di chitarra ci fa viaggiare avanti e indietro nel tempo attraverso uno stile che passa dall'Hard Rock alla NWOBHM fino ai riff degli Electric Wizard, altra formazione che i Blood Ceremony citano come loro mentori (e con cui sono andati in tournée). La chiusura del pezzo, come da copione, torna al riff di partenza e si perde nella ripetizione delle strofe iniziali lasciandoci per qualche secondo frastornati da tanta bravura. Ancora una volta si torna a parlare di Maghi, Rituali, Magia Nera, Astronavi e Pianeti lontani, tutto questo in un solo contesto che sembra affrescare immagini fantasy o, per chi ne avesse dimestichezza, può rivedere un certo parallelismo con le teorie degli antichi Astronauti di cui parlano i libri di Zecharia Sitchin e Erik Von Daniken. "Nella camera rituale il Mago sintonizza uno scrigno a forma di polmone, tutti pregano fino all'alba ", "Sorseggiando nettare cosmico, e ascoltando le letture del mago" , "La nave di Astaroth imposta la rotta per attraversare i cieli passando attraverso la grandine di Saturno": riferendoci ad Astaroth possiamo dire che Egli viene indicato, secondo una branca del Satanismo Spirituale, come parte della triade cosmica insieme a Enlil ed Ea/Enki (rispettivamente Satana e Belzebu), nonché come un potentissimo demone appartenente alla “prima gerarchia”, raffigurato come un uomo con le ali ai piedi e le mani da drago, “patrono” della pigrizia e della vanità. Il suo avversario “naturale”, per quanto riguarda la demonologia cattolica, è San Bartolomeo. Parlando invece di Saturno, la presenza di questo è forse interpretabile (dati i continui riferimenti al cosmo e all’occulto) in chiave “lovecraftiana”, in quanto il Solitario di Providence ha spesso fatto riferimento a questo pianeta gassoso nei suoi racconti. Egli lo chiamò Cykranosh e ne fece dimora del dio rospo Tsathoggua, nonché pianeta natale del sommo Hziulquoigmnzhah, zio del dio rospo ed ancora sovrano di questo pianeta, un po’ il “simbolo” della fantascienza per via del suo apparire (il vistoso “anello” di materiali che gravita attorno ad esso), tanto che oltre Lovecraft anche altri mostri sacri della fantascienza o comunque della letteratura avventurosa / fantastica decisero di “adottarlo” nei loro racconti, come Jules Verne o Isaac Asimov. Per quanto ci sforziamo di interpretare un testo simile, salvo sporadici e lampanti riferimenti, riesce comunque abbastanza difficile catturare la vera essenza del significato che nascondono queste parole, molto probabilmente di più facile comprensione per chi è avvezzo ai testi occulti e/o di settore. Ci piace lasciare libera interpretazione (il che non si traduce per forza in ignoranza o incompetenza ), invece, alle immagini che tutto ciò evoca nella nostra/vostra mente mentre ci facciamo trasportare dall'energia che il combo riesce a creare. Il titolo dell'ottava track, “Hop Toad”, significa letteralmente "Rospo Saltellante" e ci introduce alla stregoneria raccontandoci di uno strano incontro. La voce narrante è quella di una donna ormai adulta che rimanda i propri ricordi ad un tempo in cui era bambina. "Sulle mie terre una volta ho visto camminare una strega che aveva ghirlande di fiori tra le mani, quando le ha posate su alcune rocce la terra ha iniziato a gemere e ad aprirsi". L'immagine creata dalla descrizione sembra attingere a quelle fiabe tipiche dei paesi del Nord Europa e già dalle prime strofe riesce a catturare la nostra attenzione, presentandoci l’elemento cardine delle lyrics, ovvero la Strega. "Anche se qualcuno giura di non aver avuto paura la mia anima si è gelata quando mi è venuta vicina. Portava un rospo sulla mano sinistra che con una voce familiare proveniente da terre inimmaginabili ha parlato così-Voi bambini potreste essere Dei nell'oscurità tra le stelle". L'immagine centrale ruota intorno al rospo che, con il carico di significati che la stregoneria gli attribuisce rende questa "storia" interessante da analizzare, in quanto si potrebbe vedere in lui ( il rospo appunto ) la figura di Satana che, dicendo agli astanti "Potreste essere degli Dei", li invita a guardare oltre quello che è stato messo loro a disposizione, quasi fosse una allegoria dell'Eden Biblico. Di contro, volendo approcciare il testo da una angolazione differente da quella legata alla stregoneria, la si potrebbe leggere come una allucinazione indotta dalle proprietà naturali tipiche del batrace, le cui ghiandole secernano un liquido che induce tali sintomi. Affrontando la parte strumentale notiamo che si apre con una velata sonorità accostabile alla musica Araba (o comunque “Arabeggiante”) a cui seguono momenti di delicati solfeggi dovuti al sempre presente flauto traverso, il quale si contrappone alla batteria che "picchia" nel caratteristico stile Proto Metal/Doom ed alla chitarra/Basso i quali seguono l'evolversi del brano tenendosi nello sfondo a saturare il suono. L'assolo sorge quasi a sorpresa ricordando vagamente qualcosa di Zeppeliniano al suo interno, dovuto alla tonalità tenuta da Kennedy e al modo in cui viene interpretato, portando la track ad assumere tonalità più psichedeliche con l'entrata in campo dell'organo che evoca, ancora una volta, lo stile di Manzarek. Abbondanza di richiami ad un periodo musicale ormai tramontato ma, come si può evincere ascoltando brani di questo livello, questo periodo ha lasciato decisamente il segno. Con un duetto Flauto/Chitarra ispirato forse da sonorità rinascimentali ci apprestiamo ad ascoltare la penultima track dell'album, “Children of the Future”. L'incedere dei riff è lento e greve, tipicamente Sabbathiano, alimentato dall'ipnotica voce di Alia che seguendone l'architettura contribuisce a creare quella sensazione di oppressione lisergica tipica di quei " viaggi " che non hanno preso la direzione voluta. L'atmosfera plumbea si trova a condividere la scena con un cambio di rotta del brano, verso la metà, che ci trasporta in un contesto diametralmente opposto aprendosi a sonorità Prog/Folk dove Alia fa volteggiare le note del suo flauto magico capace di creare splendide sonorità. Molto bella la parentesi in tandem di Basso e Batteria che portano ulteriore vigore alla ripresa della parte strumentale la quale, in chiusura, ritorna nella struttura di partenza e termina in un solfeggio di flauto che denota la formazione classica che c'è alla base dello studio di questo fantastico strumento. In questo brano non si affronta la stregoneria o l'occulto ma sembra invece esserci un messaggio di speranza e positività legato al messaggio che propone. "Bambini del futuro non guardate oltre perché il sole cocente sta sorgendo sopra la città di Xanadu, Bambini del futuro fate quello che il vostro amore vi dirà di fare", Xanadu è una città realmente esistita, fatta erigere da Kublai Khan nel 1271 e deve la sua "Aura" mistica ai racconti fatti su di essa da Marco Polo, nel “Milione”, e da Samuel T. Coleridge nel suo poema "Kublai Khan"; si trova nell'odierna Mongolia e da sempre viene menzionata quando si vuole fare riferimento a luoghi mistici circondati da poteri che un umano non potrebbe mai comprendere. Troviamo un brano dal titolo omonimo anche nella discografia dei Rush (“A Farewell to Kings”, 1977 ) e di lei ce ne parla anche Orson Wells. Il messaggio che traspare, a nostro avviso, richiamerebbe l'attenzione sul portare avanti quello che la nostra coscienza di individui ci spinge a fare, senza farsi condizionare da controlli esterni o da falsi miraggi, che l'immagine della città di Xanadu appunto sembrerebbe evocare. Il sole cocente che sorge sulla città potrebbe essere in realtà una immagine negativa da cui fuggire, non guardare oltre indicherebbe non farsi abbagliare da qualcosa che potrebbe deviarci dal fare o dall'essere quello che "Il nostro amore ci spinge a fare". Eccoci arrivati al brano conclusivo di questa prima Opera discografica che si chiude nel migliore dei modi, con una lunga ( quasi otto minuti ) track sapientemente articolata tra sonorità Doom ed episodi che omaggiano l'epoca Psichedelica/Prog, seguendo lo stile compositivo proposto lungo tutto l'album. In “Hymn to Pan” La sinergia tra gli elementi è al massimo livello in questo pezzo che tradisce tutto l'amore di Alia O'Brien per i Jethro Tull nell'intermezzo a base di Flauto di cui possiamo deliziarci. Il modus operandi è lo stesso dei precedenti brani, gli strumenti viaggiano tutti in un unica direzione fino circa metà del brano per poi elevarsi in intrecci sonori che spaziano attraverso i generi musicali preferiti dalla formazione fondendosi tra loro fino a creare nuove evoluzioni che vengono rafforzate, ora dal flauto, ora dall'organo traboccante lisergiche note caleidoscopiche, ora dalla chitarra che a tratti ricorda i fasti delle band 70/80 fino ai riff più recenti legati a formazioni storiche del Doom. Se la musica proposta dai Blood Ceremony è da Standing Ovation alcuni testi non sono da meno, e quello scritto per questo brano è uno di questi. Lasciando per un attimo da parte il discorso legato alla stregoneria, andiamo ad affrontare il delicato tema degli "Antichi Astronauti" come vengono definiti gli antichi visitatori del pianeta terra, dagli appassionati seguaci dell'archeologia spaziale. Il tema è visto in maniera differente rispetto all'Ufologia, parlando di Antichi Astronauti ci si riferisce a degli esseri provenienti da un altro pianeta che avrebbero colonizzato la terra e creato il genere umano, e nei libri di Zecharia Sitchin ci si pongono le stesse domande che troviamo anche in questo testo "Gli Dei che hanno prosperato nei tempi antichi, che hanno governato la terra, i mari e i cieli, ora se ne sono andati, qualcuno saprebbe dire il perché? “, le domande a cui non troviamo risposta diventano una forma di implorazione, affinché un Dio discenda a noi, e questi nella fattispecie ha le fattezze di Pan, la Divinità Greca raffigurata in origine come amica degli uomini e protettrice del bestiame e poi usata dalla Chiesa Cristiana per raffigurare Satana. Pan usava vagare per le montagne suonando il suo flauto (Alia O'Brien deve essere una sua ninfa ) e seducendo le ninfe dei boschi e dal testo viene evocato così: "Pan arriva con Ninfe e Satiri che gli fanno la guardia, attraverso gli alberi della foresta, attraverso la luce beata, Pan vieni da me". La figura di Pan è da sempre legata alla stregoneria e alle forze del "male", anche se non abbiamo ancora capito, a distanza di più di duemila anni, il vero Male da che parte stia. E' bello l'uso di queste immagini, anche se scritte, per evocare concetti che la maggior parte delle volte non vengono affrontati dalla maggior parte delle persone, a volte perché non capite, a volte perché semplicemente ignorate o per indifferenza voluta; ma andando a fondo nella disamina dei testi si trovano argomenti che inducono a riflettere sulle controversie legate da sempre all'esistenza dell'uomo e dei " Poteri " imposti. L'album si chiude nel migliore dei modi, inanellando una serie di brani uno più bello dell'altro che riuniti in questa produzione d'esordio creano una delle uscite più belle e innovative degli ultimi anni.
Sono di gusti molto difficili in fatto di musica, che sia essa Hard Rock, Heavy Metal, Prog o altro, e raramente mi è capitato di ascoltare una band e di innamorarmene perdutamente dalle prime note. Con i Blood Ceremony questa magia si è attuata nel momento stesso in cui è iniziato il pezzo, il quale ha suscitato immediatamente la mia totale attenzione poi tramutata in devozione nel giro di qualche minuto, giusto il tempo di arrivare a metà del primo brano. Ascoltare il meglio delle sonorità degli anni '70 fuse insieme con lo stile NWOBHM e intrecciate con il Prog e il Folk è stato uno Shock dal quale non voglio riprendermi per paura di accorgermi che tutto questo non è mai esistito ed è stato solo un sogno. L'album è perfetto sotto ogni punto di vista, iniziando dall'egregio livello di registrazione che lascia distinguere perfettamente ogni singolo strumento, la produzione è stellare e si denota l'altissima professionalità di chi sta dietro al mixer e non solo, si capisce subito quando un produttore è allo stesso tempo un musicista. Per passare poi al livello tecnico del quartetto decisamente elevato visto il loro standard qualitativo. Una menzione particolare va senza dubbio a Alia O'Brien per la sua capacità di gestire contemporaneamente la parte cantata, la parte strumentale legata ai fiati e quella legata all'organo con cui riesce perfettamente a portare l'ascoltatore nelle sonorità psichedeliche dei tempi andati. Le passioni musicali dei singoli membri sono state sfruttate all'unisono per creare questa realtà, e lo si può evincere da come tutto quanto si incastri alla perfezione in fase di esecuzione; una Standing Ovation è sicuramente da riservare al modo in cui viene suonato il flauto traverso, vero e proprio cardine su cui ruota tutta la struttura dei Blood Ceremony. Ascoltare questa formazione ci permette di attraversare quarant'anni di storia della musica Rock, senza possibilità di rimanere delusi in quanto ogni nota che uscirà dagli amplificatori saprà ripagarci nel giusto modo e non ne rimarrete delusi. Dovendo dare una valutazione all'album non posso che alzare la paletta ed emettere un Dieci, e mi fermo a questo perché nella nostra linea editoriale non possiamo andare oltre, riesco a stento a trovare le parole per esprimere il grado di apprezzamento che ho nei confronti della Band. Accettate un consiglio, fate girare "Blood Ceremony" nei vostri supporti audio e concentratevi ad ascoltarne ogni nota, ogni cambio di tempo, ogni inflessione vocale di Alia, ogni solfeggio, ogni vibrazione d'organo che arriva a farvi venire i brividi lungo la schiena, alzate il volume oltre il limite consentito dal regolamento condominiale, cazzo ve ne frega, sentite la vibrazione di quarant'anni di musica "maledetta" che vi entra dentro e vi possiede; solo allora potrete dire di aver compreso in pieno il sound di questa fantastica Band e, quando lo capirete, ne sarete già perdutamente innamorati come il sottoscritto.
1) Master of Confusion
2) I'm Coming With You
3) Into The Coven
4) A Wine of Wizardry
5) The Rare Lord
6) Return to Forever
7) Hop Toad
8) Children of The Future
9) Hymn To Pan