BLINDEATH

Into The Slaughter

2014 - Earthquake Terror Noise

A CURA DI
DAVIDE CANTELMI
05/01/2015
TEMPO DI LETTURA:
7

Recensione

Se c’è una cosa che ha fortemente lasciato il segno nella storia del metal , quella che noi tutti conosciamo, è stato sicuramente l’avvento del Thrash Metal negli anni ’80, un movimento talmente energico e forte da riuscire a cambiare le carte in tavola, un genere che presentava fra le sue fila band di primissimo livello come Megadeth, Metallica, Anthrax, Slayer (i cosiddetti Big Four, appunto, le band di maggior successo del genere), Testament ma anche, spostandoci in europa, gruppi validissimi ed importanti come Sodom, Kreator, Destruction e via dicendo. Il Thrash fu un’autentica manna dal cielo per ogni metallaro dell’epoca ancor più voglioso ed affamato di velocità sempre più elevata, grazie proprio alle caratteristiche tipiche del Thrash, come la violenza sonora e quella tecnica ruvida che solo il Thrash, appunto, poteva offrire. In Italia, terra anch’essa di grandi band come Bulldozer, Schizo e Fingernails, c’è un vasto culto di quelle gloriose band degli anni ’80 e perciò, soprattutto negli ultimi anni, si è sviluppata una radicata tradizione underground che riprende gli stilemi tipici di quel movimento, proponendo una sorta di Thrash che potremmo definire Revival. La band che andremo ad analizzare, infatti, si propone proprio di fare questo: riproporre questo fantastico sottogenere del metal senza molti fronzoli, in maniera diretta e possente. I Blindeath nascono nel Settembre 2011 a Milano a opera di Danilo Sunna (Batteria) e Gioele Zoppellaro (Chitarra), pubblicano subito una Demo intitolata Dawn of Disease ed anche un Ep, “Headshot!, anche grazie all’apporto di Alessandro Preti (chitarra), Matteo Albini (voce) e Daniel Cullity (basso). Tuttavia, dopo due sole pubblicazioni, si assiste all’abbandono di Daniel, Alessandro e Matteo; la band decide temporaneamente di sciogliersi, ma presto sorge nuovamente la volontà di tornare in pista. Arriviamo quindi ai tempi più recenti, tempi in cui  Danilo e Gioele decidono di riunirsi ed addirittura di appesantire il loro sound sound. A questo punto vengono arruolati  Simone Aiello (chitarra solista) e Luca Frisenna (Basso). Il loro debutto in full length avviene avviene nell’Ottobre del 2014 con la pubblicazione di Into The Slaughter composto da ben nove tracce thrash metal in pieno stile anni ’80. La pubblicazione è a cura della casa discografica underground “Earthquake Terror Noise Records”, la quale si è sempre interessata principalmente di questo genere musicale.  L’artwork a cura di Francesca Follini riprende molto lo stile delle copertine di gruppi come Evildead, molto cartoonesca ma, allo stesso tempo, dai colori molto accesi e spigolosi. Essa ritrae molto probabilmente degli uomini di politica (o generali militari, comunque uomini appartenenti ai “poteri forti”) che sono in piedi dietro a una ragazza, quest’ultima vestita in puro stile Thrash Metal anni ’80 (maglia strappata e gilet rattoppato), impegnata con sguardo determinato a lanciare tre dadi su quello che sembrerebbe un campo da gioco. Nelle sue mani è inoltre presente una bilancia con dei soldi su un piatto e del sangue sull’altro. I due orologi digitali in alto, inoltre, segnano le tre del pomeriggio, quasi come se i Blindeath volessero evidenziare che in quel momento ci sarà una probabile “resa dei conti”. Nota molto particolare di questo tutto, è la cifra segnata dai dadi appena lanciati, ovvero il “666”, il “Numero della Bestia”, per parlare come gli Iron Maiden. Il logo della band, inoltre, ricorda molto una fusione tra quello dei Metallica e degli Annihilator. Vecchia scuola nelle illustrazioni e, naturalmente, anche nella musica: partiamo, quindi, con l’analisi track by track del primo lavoro dei Blindeath, “Into the Slaughter.



Blood and Guts, la prima delle nove tracce,  è forse è la traccia che maggiormente la band teneva a far conoscere al pubblico, visto che è stata scelta per la realizzazione del loro primo video musicale. Essa mette subito in chiaro le influenze dei Blindeath. Notiamo moltissimi riferimenti al glorioso passato anni ’80, qualcosa degli Exodus, dei Municipal Waste specialmente, degli Anthrax e di moltissime altre formazioni, comprese anche quelle moderne come gli Evile. Il thrash metal che ci propongono, inoltre, è notevolmente influenzato da sonorità hardcore punk come già possiamo sentire nella intro. La band, però, pur proponendo un sound abbastanza pesante, evidenzia sempre una certa vena melodica nelle scelte di alcuni riff. Nella intro notiamo già l’attenzione per i riff, che sono buoni pur non apparendo molto originali. La voce, d’altra parte, è aggressiva grazie al vocal fry e alla presenza di alcuni scream disseminati qui e lì, anche se non convince appieno a causa di un certo anonimato e mancanza di mordente. La presenza di alcuni cori in sottofondo rimanda moltissimo agli anni ’80, accorgimento, questo delle backing vocals, adottato anche da altri gruppi di questa “nuova ondata” (un esempio lampante ce lo forniscono anche gli odierni greci Chronosphere, per pronunciare un nome). Il breve assolo è ben eseguito, con il riff centrale che lo sostiene in sottofondo. Il pezzo si conclude con quello che sembrerebbe un brevissimo assolo di batteria sostenuto da timidi riff di chitarra. Anche il testo è chiaramente ispirato ai gloriosi Ottanta, rievocando quelle atmosfere di crudezza e violenza che contraddistinguevano le lyrics dei gruppi dell’epoca. Aspettarsi parole “profonde” dai Blindeath è una pretesa troppo azzardata poiché i temi sono quelli convenzionali, triti e ritriti del Thrash Metal (anche se poi vedremo che vi saranno delle gradevolissime eccezioni): odio, battaglie, guerra, dettagli crudi, violenza gratuita anche con un piccolo gusto per il macabro. Nella canzone in questione si fa molto accento alla mancanza di umanità, alla trasformazione degli uomini in vere e proprie bestie da guerra (e da macello). Sono chiari anche i riferimenti alla non presenza di alcuna speranza o divinità pronta a salvare il destino delle persone coinvolte nelle violenze. Il testo, come in ogni brano Thrash Metal che si rispetti, deve rispecchiare la durezza, il cinismo, la rabbia e la velocità del sound. Possiamo pensare ai Municipal Waste, una delle maggiori influenze del gruppo, che nei loro brani corti e spiccioli evocano un’atmosfera colma di violenza fine a se stessa. Giungiamo quindi al secondo brano del lotto, Murdered By The Beast, il quale comincia con un bel riff dal sapore tipicamente datato, ricordando un po’ i primi Metallica, per poi partire con la strofa contraddistinta sempre dall’insapore performance del cantante.  La canzone presenta un ritmo abbastanza lineare, muovendosi tra istanti non proprio originali. In sostanza è la solita formula trita e ritrita che, tuttavia, un minimo di funzionalità la garantisce sempre. Del resto è di Thrash che parliamo, e gli appassionati del genere avranno comunque di che gioire dinnanzi a certi accorgimenti non proprio innovativi ma comunque ben impostati ed incastonati nel loro contesto. Nota molto positiva è la scelta del veloce assolo. Congeniale al tema generale ed anche molto ben eseguito. Dopo un rallentamento dei toni la base di batteria viene lasciata da sola a scandire una specie di blast beat. A questo momento segue un altro solo di chitarra dal sapore più Heavy Metal e meno Speed, che conclude un brano tutto sommato gradevole anche se non aggressivo al punto giusto. Menzione d’onore, però, va fatta per un testo assai ricercato ed avvincente. Il brano è difatti ispirato al noto racconto di H.P. Lovecraft, “L’Orrore di Dunwich”, nel quale vengono narrate le gesta di una belva, la figlia del dio Yog-Sothoth, intenta a distruggere ogni cosa, evocata dal suo fratello gemello Wilbur, a sua volta istruito per anni alla magia nera del Necronomicon da suo nonno, che sin dall’alba dei tempi aveva intravisto nel nipote le capacità per evocare la dannata creatura. Si fa leva sulle condizioni di Wilbur, discriminato e talmente arrabbiato con il mondo da scatenare una vera e propria devastazione della quale i Blindeath, ovviamente, accentuano  la parte distruttiva e impossibile da contrastare. Non è certo da tutti citare il Solitario di Providence, ed i thrashers lombardi dimostrano in questo senso un primo elemento di originalità: narrare di un qualcosa che sia al contempo originale ed accattivante, non piegandosi totalmente a “tutti” i cliché del Thrash Metal. Un brano che tutto sommato ci invita a proseguire fiduciosi, confidando appunto nella capacità del gruppo di svelarci queste piccole e gradite sorprese. Il terzo pezzo, Toxic War, è una traccia dal gusto estremamente “Slayeriano” e “Sodomiano” per i temi trattati e per la propensione a dare vita ad un assalto speed-thrash senza quartiere e non troppo “ampio” nella sua durata. Infatti, il pezzo comincia subito con una batteria sparata e il cantato aggressivo di Gioele “Butcher” Zoppellaro. La canzone continua sulle linee musicali iniziali fino a circa metà della sua durata. A questo punto vi è un breakdown con un riff granitico che si ripete diverse volte che ho trovato abbastanza gradevole. Segue il momento un piccolo assolo seguito dal refrain sorretto dalla struttura portante e da un nuovo breakdown identico a quello precedente. Il rumore di una bomba pone fine alle danze e la canzone si dimostra molto sintetica e ad effetto risultando gradevole e divertente. La durata esigua, come dicevamo, è quella classica di molti dei pezzi presenti in molti dischi speed – thrash, notiamo quindi un’attenzione maggiormente rivolta alla sostanza che alla “quantità”. La qualità viene esaltata a discapito di una mole imponente, ma d’altro canto meglio un brano di quasi tre minuti, ben suonato, che un’intera suite senza capo né coda. Le lyrics, questa volta, nascondono un significato più profondo poiché i Blindeath analizzano la società contemporanea, definendola grossomodo come “fascista”. Nulla dunque è cambiato agli albori della Seconda Guerra Mondiale sino ad oggi, gli stati tutti sembrano ancora optare per questo modo di governare autoritario ed assai belligerante. La band italiana è molto critica nei confronti dei vari regimi, etichettando i politici di questi ultimi come corrotti, e sostenendo che in realtà il fascismo e l’imperialismo sono due facce della stessa medaglia. In effetti le due cose sono collegate ed è innegabile che i regimi totalitari abbiano intrinsecamente la volontà di espandere i propri domini perseguendo una politica espansionistica mirata allo conquista a discapito dei deboli.  E la promessa di un’epoca di splendore? Essa è solo una bugia, sostituita da questa ferrea volontà di dominare e ciò, come sappiamo, porterà inevitabilmente combattere una guerra “tossica” proprio perché il conflitto annichilirà tutto e tutti. “Tossica”, forse, anche nel senso di armamentario, dato che oggigiorno sono le armi a gas e batteriologiche ad essere più usate. Moshing Maniax , quarta canzone, è un brano celebrativo dei fasti del Thrash Metal degli anni ’80, pensiamo ad esempio agli Anthrax, quelli più “storici”, il gruppo che ha fatto la storia con la leggendaria traccia “Caught In A Mosh. Il Mosh è, come sappiamo, il tipico ballo presente nei concerti punk che, però, si è esteso anche a generi come il rock e il metal. Questo “ballo” Prevede una zona chiamata Moshpit o Circlepit dove le persone si agitano all’impazzata non temendo neppure il contatto fisico. E proprio come quella forzuta dimostrazione di emozioni e sensazioni straripanti, il brano si dimostra potente e ben calibrato, non eccedendo in termini di “varietà” ma reggendosi su un riff centrale che si ripete pressappoco per tutta la durata del pezzo. In questo caso gli influssi degli Anthrax, degli Evildead e dei Municipal Waste sono molto forti. Il tutto ci conduce poi al refrain che riprende la struttura, momento in cui Gioele ripete incessantemente “Moshing Maniacs”, facendoci capire per bene quanto la forza del pezzo si stagli alla perfezione su queste due parole. Una nuova strofa che presenta un riff diverso porta a un assolo che non mostra nulla di nuovo sotto il sole. L’ulteriore ritornello conclude questo semplicissimo brano che non fa altro che riprodurre pedissequamente la tradizione, senza troppe variazioni o sconvolgimenti di prospettiva. Come ho già scritto, il mosh è il ballo caratteristico dei concerti punk ripreso poi dal rock e dal metal, in particolar modo dal Thrash, che più che un genere è divenuto negli anni un vero e proprio lifestile.  Quasi tutte le band degli anni ’80 avevano nella loro discografia uno o più pezzi che inneggiassero al Thrash Metal (pensiamo ad esempio ai Vortex con “Thrash Metal Holocaust”) ed i Blindeath, da persone completamente ispirate da questi sound, non potevano non inserirne uno nel primo loro full length.  Il testo è una continua celebrazione dei valori del puro Thrash Metal: vi sono riferimenti all’abbigliamento tipico, alla violenza delle composizioni, al fatto che questo genere è la patria del sangue e della violenza. Il principio fondamentale è suonare il più forte possibile e velocemente, in modo da condurre le persone a uno sfrenato e violento headbanging. Arriva poi il momento di Arcadia, che parte con un melodico riff di chitarra che si alza sempre più di tono per poi condurci sino ad una struttura fortemente heavy metal. L’impostazione della voce è, come al solito, abbastanza piatta ma il brano riesce ad arrivare al sodo con una scelta abbastanza azzeccata dei riff.  Verso i due minuti comincia una lunghissima parte strumentale che si snoda tra riff in powerchord e altri più melodici in una validissima alternanza tra chitarra ritmica e solista. L’assolo che segue, pur non essendo nulla di fortemente originale o comunque innovativo, mira più a un contesto Heavy che Thrash (come del resto abbiamo evidenziato all’inizio dell’analisi di questa track) e non si può negare che non manchino delle leggerissime influenze targate Iron Maiden al sound, e altre piccolissime derivanti dal Power Metal. Un altro piccolo assolo seguito dalla ripresa della intro e da altre parti cantate conclude a una nuova struttura melodica che si rivela conclusiva per un brano che esula leggermente dallo stile della band che abbiamo incontrato finora. Altro motivo di novità, dunque, ed altro momento che spezza un ritmo che non diviene mai troppo monotono o troppo prevedibile. Si rivela non convenzionale anche la scelta del tema e già dal titolo notiamo come i Blindeath abbiano voluto celebrare lo storico anime del genio Leiji Matsumoto, ovvero “Capitan Harlock”. L’Arcadia è l’astronave / vascello di Harlock, la nave stellare più potente di tutto il cosmo ed è, per l’autore, un vero e proprio personaggio dei racconti, un’energia pulsante con la quale il protagonista può interagire, ed in compagnia della quale ergersi a super eroe  difendendo i suoi ideali, basati sulla consapevolezza della speranza di un futuro migliore, il quale arriverà quando gli esseri umani saranno coscienti che l’immobilismo e l’atteggiamento sommesso / passivo sono le cause della rovina della loro vita (quella del futuro inventato da Matsumoto, nemmeno troppo “utopistico” purtroppo..). I Blindeath, consapevoli di ciò e dopo aver evidenziato l’anno 2977 (cosa significativa per comprendere la prossima track) celebrano la potenza di questa astronave che porta libertà e pace a tutti, in un mondo controllato dai raggi ipnotici del governo (qui si spiega la scelta della presenza di questo anime, per i temi che i Blindeath volevano trattare). In questo modo ci colleghiamo a ciò che band come gli Xentrix hanno voluto sempre sottolineare: la corruzione della politica, l’eccessiva burocrazia, il controllo totale dei potenti capitalisti sulle vite della gente comune.  Ed evidentemente la formazione italiana ha molto a cuore Capitan Harlock dato che la prossima traccia si chiama proprio 2977, ovvero un riferimento all’anno nel quale opera il glorioso personaggio. Questa volta, però, si tratta di una semplice strumentale di circa due minuti che fa da intermezzo dalle altre track. In realtà si tratta di semplici arpeggi in pulito che rievocano molto ambienti lontani dalla nostra epoca. Su questa traccia non c’è molto da dire a parte che, riflettendo molto sulla scelta melodica, si può notare una piccola somiglianza con “Virus” degli Iron Maiden. Una track che comunque è indissolubilmente legata ad “Arcadia”, un combo originale e sicuramente ben strutturato, una sorta di canzone divisa in due atti. Trovata ancora una volta non troppo prevedibile, anzi, se vogliamo anche particolare. In genere, difatti, brani simili per concetto ma dei quali uno è strumentale, vengono disposti in maniera diversa, ovvero: è sempre la breve intro musicale a fare da “biglietto da visita”, mentre la canzone vera e propria giunge sempre dopo. In questo caso avviene il contrario, esperimento apprezzabile e non certo visibile ovunque. Un’ulteriore trovata che rende il tutto meno “rigido” negli schemi. Rebels Die Hard è, probabilmente, la traccia dai suoni più duri di tutto il disco anche a causa degli armonici iniziali che condiscono il riff di pura aggressività. Anche le vocals sono più graffiate e tendono allo scream, e si possono riscontrare piccoli riferimenti allo stile dei Pantera. Gioele qui ci garantisce un’ottima prova poiché riesce ad essere molto più versatile nel cantato, ed anche gli altri strumentisti riescono a produrre qualcosa di molto semplice ma ispirato. Il riff portante si ripete incessantemente, poi, con molte variazioni ispirate, e seppur  risultando molto convenzionale (ricordiamo comunque la rigorosa attitudine thrash dell’album e della band) è funzionante e riesce a conferire la giusta verve al pezzo. Le vocals a volte sfiorano scream molto cupi e quasi gutturali e il brano si dimostra come uno dei migliori dell’intero disco. La parola Rebel e la distorsione finale concludono il tutto, conducendoci alla fine di un episodio molto gradevole, in grado di fornirci grande carica e di quietare la fame di aggressività degli ascoltatori più esigenti ed attenti a questo preciso lato del thrash, ovvero la sana volontà di scatenare una tempesta di suoni senza pietà per niente e per nessuno. Gran bella esecuzione, e soprattutto ottima prova. A dimostrazione del fatto che, questa band, non imita solamente ma cerca di far proprio l’ideale del genere musicale da loro scelto. Le lyrics, d’altra parte, questa volta sono molto semplici e parlano di un tema molto caro all’Hardcore Punk specialmente: il rifiuto della società e la ribellione contro di essa. I ribelli sono arrabbiati ferocemente nei confronti delle istituzioni e sono anche schierati decisamente contro la religione intesa come istituzione a sua volta, la quale tramite i suoi dogmi cerca di piegare tutti al suo volere. Per questo i ribelli, colmi di odio, certamente non conoscono la resa e perciò non incontreranno mai la morte o, meglio, cadranno solo dopo aver combattuto strenuamente sino ad esalare l’ultimo respiro, portando in alto il vessillo di ciò in cui credono. Lo scopo principale di questo movimento di ribellione è quello di far vincere la verità sulle conclamate menzogne dei politici e dei mass media totalmente asserviti ai potenti. Senza indugi arriviamo ad ascoltarci Welcome To The Thrash Party, brano che dimostra dimostra come i Blindeath abbiano molto a cuore il loro amatissimo Thrash Metal, dato che dedicano persino una seconda traccia alle sue qualità, tessendone ancora una volta le lodi. Il brano parte subito con un assolo in puro stile anni ’80 (ovviamente riadattando secondo il sound moderno della band) e qui Simone Aiello riesce ad essere molto convincente. La batteria di Sunna è, in questo brano specialmente (ma comunque per tutta la durata del disco), giusta e azzeccata mentre Gioele non riesce molto a distinguersi dal cantato di altre band del genere. I riff in palm muting puramente classici continuano a farsi sentire almeno fino al refrain e anche in alcuni istanti successivi. Una variazione tematica conduce a una parte molto melodica composta da un piccolo assolo che presenta una struttura vagamente ispirata agli Iron Maiden (del resto, gli alfieri del Metallo Inglese sono stati imprescindibili per tanti musicisti anche non propriamente Heavy) e da distinguibili note di basso a opera di Frisenna. Un ulteriore refrain conduce a delle battute di batteria che conducono il pezzo, ancora una volta gradevole e trascinante. Le lyrics sono molto brevi e si collegano molto a quelle già lette nel brano “Moshing Maniax poiché anche qui si fa riferimento al moshpit. Si evidenzia il volere del Thrashers di divertirsi fino a notte con fiumi di alcool e cercando di buttare giù il locale. Riguardo alle tematiche non si può dire altro poiché, in realtà, il brano è solo celebrativo del genere e non mostra nient’altro di rilevante. E’ semplicemente un bell’inno alla vita del Metallaro, inteso come persona non propriamente avvezza al “nulla fare” come molti credono. Molto spesso, il Metallaro è un uomo – donna che lavora sodo per tutta la settimana, ed arrivato al week end può finalmente stapparsi una birra e sciogliersi i capelli, dando libero sfogo alla propria voglia di far “casino” senza star troppo a badare alle convenzioni sociali. Un po’ di alcool, amplificatori, un gruppo “tosto” che si esibisce su di un palco, il mosh, gli amici di sempre. Questa è la vita di chi, nelle vene, lascia che la passione per il metallo fluisca senza trovare freni! La conclusiva Feast of Blood è la traccia più lunga del disco, con i suoi sei minuti abbondanti di durata ed è una conclusione veramente degna di nota per questo album. Il brano ha dei toni molto misantropici e minacciosi già dalla intro, molto ben architettata e strutturata. Essa è seguita da un violentissimo e acidissimo scream di Gioele che aggiunge quel tocco di violenza che non guasta mai. L’approccio generale è quello di un pezzo più Technical Thrash Metal che semplicemente Thrash, e quanto asserito si riscontra sia in un’articolazione dei riff più marcata, sia alla più forte presenza del basso, in questo caso molto più presente e marcato. Le vocals incastonate in quel  determinato modo ricordano un po’ il cantato del grande James Hetfield come impostazione generale, segno che la prestazione di Gioele, seppur altalenante, è alla fine risultata convincente, anche se c’è ancora da migliorare qualche aspetto. Dopo il refrain vi è l’assolo molto libero e personale che riesce a insinuarsi facilmente nelle nostre menti; la band italiana, in questo momento, si impegna parecchio donandoci una prestazione degna di nota ed inventiva. La scelta delle note nel secondo assolo è azzeccatissima sia per il tema molto oscuro della track che per la melodia generale della composizione. Il gusto hard rock non manca questa volta, grazie ai rallentamenti delle ritmiche e a un maggiore fiuto per le soluzioni trattate. Delle battute conclusive di batteria ci portano alla distorsione finale preceduta da tre pick di chitarra in power chord, la degna fine per questo album carino ma tutto sommato altalenante, come già detto. Quel che è sicuro, però, è che “Feast of Bloodsi rivela come la traccia migliore di tutto “Into The Slaughter, sicuramente uno dei pregi migliori della band ed uno dei trampolini di lancio maggiormente sfruttabili per poter migliorare, sempre di più e costantemente. E come finisce il brano, così si conclude la razza umana destinata alla fine e alla soppressione delle proprie volontà. La famiglia del protagonista delle lyrics, infatti, è stata decimata da questa atmosfera violenta che condurrà tutto alla distruzione. Fulmini e lampi che si gettano a capofitto sul terreno uccidendo chiunque, si respira solamente aria di morte: l’atmosfera, in questo caso, non è per nulla speranzosa, non vi sono nemmeno accenni di ribellione poiché tutto è lasciato al puro, incontrollabile e cieco destino di non sopravvivenza. Ciò che rimane è, quindi, aspettare dentro l’occhio del ciclone in attesa della venuta di un fantomatico “cavaliere nero”, un’entità apocalittica che porrà fine a tutte le certezze del mondo. Seguendo il filo logico conduttore del disco si nota come questa vera e propria apocalisse sia causata proprio dagli animi corrotti del genere umano, i veri e soliti fautori di questo scempio. Causa del suo male come sempre, la razza umana viene giudicata quindi inetta ed inerme; dopo tanti vizi e strapotere, ora ha quel che si merita, ed è bene che accetti tutto a testa bassa, senza nemmeno più la forza di sognare o sperare.



Tirando le definitive somme, i nostri Blindeath hanno prodotto un disco molto altalenante, che procede certamente spedito, alternandosi però fra fasi degne di nota ed altre abbastanza anonime, ma non per questo sgradevoli. Le sorti dell’album si sollevano moltissimo con l’avvento della sua seconda parte (quella che comprende la quinta traccia e le successive), grazie a momenti più ispirati e una maggiore tecnica nei riff. La band italiana, però, non brilla per originalità poiché fa ancora piuttosto fatica a “rielaborare” il Thrash in modo personale, preferendo forse troppo fossilizzarsi sullo stile che ha reso il genere glorioso negli anni ’80. I risultati, però, sono soddisfacenti poiché le scelte stilistiche sono tutte giustificate e coerenti con i temi delle canzoni. A ciò, inoltre, è unita una buona prova strumentale che non presenta attimi scialbi ma che si mantiene su buoni standard qualitativi per tutti i trentadue minuti del lavoro della band. Il problema principale, però, è una prova canora non sempre convincente che necessiterebbe di una maggiore cattiveria e aggressività. Proprio come avviene, infatti, in determinati  momenti come “Rebels Die Hard e in “Feast Of Blood (questa traccia, in particolar modo, ha regalato istanti veramente fenomenali), frangenti in cui la performance è già molto più convincente. In conclusione, i Blindeath sono agli inizi e già hanno dimostrato le loro capacità sfornando un disco che, seppur lunatico, è veramente gradevole per tutti gli amanti del Thrash Metal e i cui difetti  elencati non incidono in modo gravissimo sul contesto tutto e suil fattore “presa sul pubblico”. Per questo promuovo il disco, poiché voglio dare fiducia a questa band che, sicuramente, rielaborerà il sound in modo molto più originale e personale. D’altronde, l’underground italiano è molto ispirato e una mano va sempre tesa, per valorizzare ciò che potrebbe divenire un capolavoro in tempi futuri. Per questo possiamo dire soltanto questi ai nostri compaesani: ci vedremo nel moshpit, e che moshpit sia!


1) Blood and Guts
2) Murdered By The Beast
3) Toxic War
4) Moshing Maniax
5) Arcadia
6) 2977 (Instrumental)
7) Rebels Die Hard
8) Welcome to The Thrash Party
9) Feast of Blood