BLIND GUARDIAN
Tokyo Tales
1993 - Virgin Records
CRISTIANO MORGIA
10/02/2017
Introduzione Recensione
Nonostante l'apice assoluto e la maturazione definitiva ci avrebbero effettivamente messo un altro po' ad arrivare, nel 1993 (anno di pubblicazione di questo live) i Blind Guardian erano in una fase d'oro e splendente. Vari successi e traguardi importanti erano stati raggiunti: dal 1988 al 1992, infatti, la band si era resa protagonista di un percorso musicale a dir poco invidiabile: dalla rozzezza e la furia che mischiava l'appena nato Power con lo Speed e il Thrash dei primi due album, al Power più propriamente detto, più raffinato, più maturo e più originale dei due episodi che hanno aperto il decennio novantiano, ossia "Tales From The Twilight World" e "Somewhere Far Beyond". Proprio grazie a questi due album i Bardi cominciarono ad esibirsi in live show al di fuori dei confini nazionali, spingendosi, con il tour per "Somewhere?", addirittura fino all'estremo Oriente, fino in Giappone. Questo "Tokyo Tales" (Virgin Records) è un CD live che testimonia proprio lo stato di grazia in cui la band all'epoca imperversava, registrato proprio, come suggerisce il titolo, durante il tour giapponese. Più precisamente, in occasione di due date, entrambe tenute nel 1992 a Tokyo: rispettivamente, nella "Koseinenkin Hall" il quattro Dicembre e nella "NHK Hall" il sei di Dicembre. Le registrazioni avvennero mediante l'utilizzo dello studio mobile "Tamco Recording Mobile", prima d'esser spedite in Germania per il consueto lavoro di mixing e mastering, curato nei "Karo Music Studio" per mano del sempiterno Kalle Trapp (produttore dei Bardi sin dai tempi di "Battalions..") e del suo aiutante Piet Sielck, all'epoca già stretto collaboratore dei Gamma Ray. Forse si sarà notato come il titolo di questo disco richiami un live classico dell'Hard'n'Heavy, cioè "Tokyo Tapes"(1978) dei mitici Scorpions. Se ci pensiamo, anche gli Scorpions rilasciarono quel live in un periodo importante e di transizione, al quale sarebbero seguiti degli album ancora più importanti e celebri, un po' come per i nostri Bardi insomma, che nel '95 e nel '98 avrebbero regalato al mondo del Metal due gemme di rara bellezza come "Imaginations From The Other Side" e "Nightfall In The Middle-Earth". Si tratta solo di una piccola coincidenza di poca importanza comunque, quindi bando alle ciance. Per essere un live, la tracklist è breve e la durata complessiva supera di poco i sessanta minuti, niente a che vedere con i concerti di due ore e più che i Blind Guardian tenevano e tangono ancora oggi; se tuttavia diamo un'attenta occhiata alla setlist/tracklist, capiamo subito che c'è solo da leccarsi i baffi. In essa infatti sono contenuti tutti, o quasi, i migliori pezzi che la band poteva permettersi di sfoggiare all'epoca. Guardando la scaletta non può che venire in mente la frase "avrei voluto essere lì", tanta è la qualità racchiusa in questo live. Ci sono pezzi da tutti e quattro gli album sino a quel momento pubblicati e questo ci dà l'occasione di ascoltare la giovane band dal vivo in tutta la sua potenza. Le canzoni dei Nostri hanno sempre avuto un gran piglio live: i cori, i contro-cori, i ritornellonianthemici ecc., tutto sembrava essere suonato per poi trovare la sua vena più travolgenti. "Tokyo Tales" ce ne dà la prova, quelle che potevano essere solo delle previsioni si rilevano invece realtà, e le canzoni tutte suonano davvero potenti ed arrembanti; il pubblico, come da previsione, accompagna ogni singola traccia con la sua voce, quasi fosse un membro aggiunto, le voci di Olbrich e Siepen a volte vengono quasi sovrastate da quelle della folla, la quale conosce perfettamente ogni strofa e ogni verso in cui c'è bisogno del suo aiuto. La produzione piuttosto grezza poi aiuta molto nel conferire alle canzoni una certa violenza in più, cosa che non guasta mai. Oggigiorno si cerca di rendere perfetti e cristallini anche i live, talvolta anche "ammutolendo" la voce del pubblico, ma sono dell'idea che un concerto sia bello anche con le sue lievi imperfezioni, che poi non sono sempre realmente tali. La batteria di Stauch, già devastante su CD, sembra ancora più presente in questo live, il batterista sembra proprio divertirsi a pestare come un matto ed ancora una volta si conferma come uno dei migliori drummer del genere, se non uno dei migliori in assoluto. Ecco, forse le chitarre risultano leggermente ovattate, purtroppo sovrastate dalla batteria stessa, ma non è un difetto che disturba l'ascolto. Il vero protagonista del live però è Hansi; se il suo basso è udibile a tratti, la sua voce potente sovrasta ogni altro strumento, ergendosi imponente ed espressiva come punto focale da cui tutto viene irradiato, in cui tutto va a confluire. Il cantante deve rinunciare alle sovraincisioni possibili in studio, certo, ma a quest'altezza della carriera dei Blind Guardian, questi espedienti ancora non erano così preponderanti, e quindi non se ne sente per niente la mancanza. Anche perché, come già detto, ci pensano le backing vocals degli altri membri ed il pubblico a riempire il sound. Prepariamoci dunque per il track-by-track di una tracklist volutamente potente e devastante, come si vedrà, in cui i Bardi accantonano le canzoni più lente e le ballate per favorire uno show all'insegna dell'headbanging, dei cori immortali e dei pugni al cielo.
Inquisition
Il live comincia con un intro molto familiare ai fan della band. Si parte infatti con "Inquisition (Inquisizione)", l'intro che aveva aperto il loro secondo album "Follow The Blind". Un'apertura perfetta per un album e un'apertura perfetta per un live, con le sue atmosfere cupe e sacrali, i cori in latino ed il crescendo musicale. Un insieme atto a far capire al pubblico che lo show vero e proprio sta per avere inizio!
Banish From Sanctuary
"Inquisition" è dunque seguita da "Banish From Sanctuary (Bandito dal Santuario)", proprio come sull'album. Un'accoppiata davvero riuscita, in quanto si passa in un attimo dalle atmosfere misteriose dell'intro alle alte velocità dell'opener, in un'esplosione di potenza guidata da Stauch dietro le pelli. Dal vivo, questo pezzo incentrato sulla figura di S. Giovanni Battista sembra acquistare ulteriore potenza, grazie anche al fatto che la voce di Hansi è maturata rispetto al 1989 e questo gli permette di suonare molto più potente ed aggressivo, ma, nello stesso tempo, di riuscire a dosare bene ogni sfumatura del suo timbro. Il cantante si cala perfettamente nei panni del profeta, facendo uscire tutta la sua frustrazione e solitudine; frustrazione e solitudine di un uomo che ha fatto del profetizzare una sua scelta di vita, nonostante non abbia la certezza assoluta di quanto dice. C'è solo la fede dalla sua parte, la fede in Dio e nel fatto che il Messia arriverà se così è stato deciso. La fede dà sicuramente forza al Battista, ma a tratti essa sembra vacillare e perdersi tra le dune del deserto, lasciando il profeta in completa solitudine, abbandonato anche da Dio stesso. Proprio per queste ragioni la canzone suona così potente, drammatica ed aggressiva: nelle parole di S. Giovanni c'è del risentimento. Il ritornello, già arioso su CD, acquista qui nuova linfa, con tutto il pubblico a partecipare al coro, ogni fan fa la sua parte e si immedesima nel profeta cantando: "No, no, turning back/ I'm banished from sanctuary/ The darkness in me isfilling me with pain/ There's no way to turn back for eternity". Il bellissimo assolo di André è un altro dei momenti migliori del pezzo, e ne abbiamo la riprova grazie alle acclamazioni del pubblico non appena la chitarra comincia a suonare uscendo dai ranghi del muro sonoro. Questo perché gli assoli di André riescono a stamparsi nella mente dell'ascoltatore, risultando cantabili quasi quanto una qualsiasi strofa di una canzone, non limitandosi quindi ad un mero sfoggio di tecnica. Nel pezzo, per un attimo, appare anche Gesù, il quale conferma al profeta che tutto ciò che era stato profetizzato finalmente si è avverato e tutti potranno vederlo. S. Giovanni però non è ancora del tutto sereno, sa infatti che il figlio di Dio è destinato a morire di una morte atroce. La voce di Hansi si fa quindi ancora più tagliente, ma ormai non c'è molto da fare, non si può cambiare il destino. In chiusura i cori del ritornello dialogano per un attimo con Hansi stesso, ma solo per un attimo però, perché la canzone si chiude sotto i gravi colpi della batteria di Stauch e con un boato del pubblico giapponese, incredulo ed eccitato all'idea che lo spettacolo sia ancora lungo.
JourneyThrough The Dark
Prima di far partire il secondo pezzo Hansi decide di ringraziare il pubblico di Tokyo, che si è rivelato davvero un gran pubblico; non a caso proprio le tappe nella città giapponese sono state scelte per questo CD. Non c'è tempo per dilungarsi troppo però, il pubblico è affamato e Hansi lo sa bene: "We came here last Sunday by plane and we were travelling by the night so it was a journey through the dark?". Neanche il tempo di finire la frase che il pubblico ha già capito quale sarà il prossimo pezzo:"JourneyThrough The Dark (Viaggio Nell'Oscurità)" ovviamente, canzone tratta proprio dall'ultimo (all'epoca) capolavoro uscito in casa Blind Guardian e per il quale era stato organizzato il tour. I riff serratissimi del duo Olbrich-Siepen lanciano la canzone a tutta velocità, aiutati da un grido acido di Hansi. Questo pezzo si muove su coordinate simili alla canzone precedente, ma risulta più arrembante ed eccitante e meno aggressivo e drammatico. Anche qui Hansi ci narra di una persona dubbiosa e alle prese con delle problematiche più grandi, questa volta però non c'è niente di biblico o religioso: il protagonista di "Journey?" è qualcuno che ha smarrito la via, ha perso probabilmente la memoria e non riconosce né dove si trova né sé stesso. Nella seconda strofa c'è un piccolo rallentamento onirico in cui si presenta il "problema" delle sovraincisioni segnalato nell'introduzione: Hansi deve infatti rinunciare a cantare un verso che in studio era stato possibile sovraincidere alle linee vocali principali. Poco male però, la canzone procede comunque senza intoppi, trovando uno dei suo apici nel gran bel coro intento a cantare versi di fuoco: "I'm on my journey through the dark/ I'm on my journey through the dark!". A quest'ultimo coro se ne aggiunge subito un altro, ossia quello del ritornello, in cui le voci dei membri della band sembrano sovrastare ogni altro strumento, aiutati senza dubbio dal pubblico, il quale si scatena sotto le note dell'assolo di André, suonato mostrando una pulizia esecutiva e sonora impressionante. Dopodiché il pezzo continua sempre velocissimo e potentissimo, non disdegnando, comunque, qualche apertura più melodica e ariosa che si alterna perfettamente con i momenti più aggressivi, grazie soprattutto al lavoro di Hansi dietro al microfono; il cantante, come segnalato più volte anche nelle altre recensioni, è in grado di passare velocemente e senza troppi sforzi da vocalismi più abrasivi a vocalismi più puliti. Il pubblico sembra davvero entusiasta di quello che è a tutti gli effetti un pezzo nuovo suonato per la prima volta proprio in questo tour, come sarà per tutte le altre canzoni estratte da "Somewhere?". Portare dei pezzi di un album nuovo porta con sé anche una piccola parte di rischio, non sapendo come il pubblico potrebbe reagire, ma nel caso dei Blind Guardian di questo periodo e di questo pezzo in particolare non c'è nulla da temere: i risultati sono più che soddisfacenti, e anzi, stiamo assistendo allo sviluppo di quelli che col tempo diventeranno dei veri e propri classici.
Traveler In Time
Il prossimo pezzo, "Traveler In Time (Viaggiatore Nel Tempo)", è un'altra scheggia Power lanciata ad alta velocità. Prima di iniziare però, Hansi con la su voce roca intona la melodia dei cori vorticosi posti poco dopo l'inizio del pezzo, chiedendo al pubblico di imitarlo meglio che può, senza fermarsi. Al coro del pubblico si aggiungono presto tutti gli altri strumenti e la canzone può finalmente iniziare. Dapprima con una strofa lenta e misteriosa, poi con un'esplosione di velocità e potenza, backing vocals e batteria a mille? Proprio le backing vocals la fanno da padrone, il pezzo è infatti un continuo dialogare tra Hansi e quest'ultime (fomentate dall'instancabile pubblico), rendendo il tutto davvero eccitante e movimentato. Da notare poi che questa era l'opener di "Tales?", ossia l'album dove in cui vi fu a tutti gli effetti un gran salto in avanti dalle sonorità iniziali, l'album del salto di qualità in cui questa canzone, posta subito all'inizio, faceva proprio da manifesto del nuovo percorso musicale dei Nostri. Un pezzo in un certo qual modo importante insomma, sicuramente una novità all'epoca della sua uscita, ma qui il pubblico sembra essere ormai abituato al sound dei Blind Guardian, cantando a gran voce il solare ritornello: "Traveler in time/ knowing that there's no rhyme!". Un momento trascinante che contagia anche noi ascoltatori, non importa dove ci troviamo, a casa, in macchina, sul treno? Dobbiamo cantare il ritornello con il pugno alzato e lo sguardo al cielo verso il pianeta di Dune (magari sul treno possiamo limitarci a cantare a mente). Da segnalare come sempre gli ottimi assoli di Olbrich che accompagnano tutto il pezzo, ora più brevi (quasi semplici melodie) ora più lunghi ed elaborati, come quello principale, che alterna momenti più veloci a momenti più lenti. Basta poco quindi per immergerci totalmente in un mondo fantascientifico e finire direttamente su Arrakis (conosciuto meglio proprio come Dune), il pianeta desertico in cui è ambientato l'omonimo romanzo, e Ciclo, di Frank Herbert. Il protagonista della canzone non è il pianeta però, ma bensì Paul Atreides, uno dei personaggi principali della saga. Nella canzone sentiamo proprio la sua voce e leggiamo i suoi pensieri, quelli di un uomo dubbioso (ad Hansi piacciono i personaggi "problematici", tragici) con il dono della preveggenza, il quale percepisce qual è il destino del suo pianeta; sull'orlo, quest'ultimo, di una guerra santa. Il Nostro deve, in qualche modo, provare a cambiarlo. Una bella responsabilità insomma.. i dubbi esistenziali però non vanno ad appesantire la canzone, che anzi, risulta una delle più positive e frizzanti di tutta la setlist, come testimonia anche il boato del pubblico una volta terminata.
The Quest For Tanelorn
Ancora da "Somewhere?" ecco gli arpeggi plumbei che introducono "The Quest For Tanelorn (La Ricerca Di Tanelorn)", accompagnati dal battito delle mani dei giapponesi. La prestazione vocale di Hansi qui è davvero notevole, pulita; il Nostro riesce a prendere note molto gravi e piene senza troppi problemi, quasi come su CD. Anzi, a tratti forse anche meglio. Dopo l'introduzione atmosferica la canzone torna su lidi totalmente metallici grazie ad un riff rocciosissimo e cadenzato, che però lancia subito la canzone verso ritmiche medio/veloci in cui Hansi sfoggia il suo lato più aggressivo ed acido. Dopo le prime 3 canzoni al fulmicotone è tempo però di rallentare un po' il tiro, ed il momento perfetto arriva con il lento ritornello epico e corale, che risuona gloriosamente per tutto il palazzetto: "On our quest for Tanelorn/ We lose our way?". Un altro momento di quiete arriva poco dopo il ritornello stesso, in un'altra parte atmosferica ed oscura in cui Hansi recita dei versi in latino con il suo pesante accento tedesco. Versi che, in crescendo, si fanno sempre più alti e potenti, fino ad interrompersi al comando dello stesso Hansi, che suona più espressivo che mai, anche nelle note più alte e taglienti. Con l'assolo (originariamente suonato da Kai Hansen) ritorniamo però su ritmiche abbastanza veloci ed arrembanti in cui Stauch mostra tutta la sua abilità dietro le pelli, facendo vedere, inoltre, come non ha problemi a passare repentinamente da una ritmica ad un'altra, cosa che succede un po' per tutta la durata del pezzo. Anche virando verso le alte velocità però, il pezzo mantiene la sua aura epica e drammatica, narrandoci del tormento che prova il Campione Eterno (figura, vi ricordo, creata da Michael Moorcok) e dei suoi sforzi, spesso vani, di trovare Tanelorn, la Città Eterna in cui riposare e dimenticare per un po' ogni responsabilità cosmica. Le altre ripetizioni del ritornello, c'è da dire, non sono potenti come la prima, visto che Hansi si toglie dal coro e dialoga invece con esso. La sua voce però suona lievemente stanca e spezza alcune note sul finale, forse risentendo dello sforzo sentito cantando questo stesso pezzo, pieno di note alte e sporche che durante un concerto possono certamente affaticare. Ma non è un problema grave comunque, lo si nota soltanto se si vuol far caso ad ogni cosa. Un tratto che non rovina l'esecuzione della canzone, grazie alla capacità di Hansi di gestire sapientemente la sua voce. In ogni caso, un altro pezzo preso da "Somewhere?" che dimostra di saper fare la sua figura anche dal vivo, essendo recepito bene anche dal solito pubblico festante. Purtroppo questa canzone in futuro sarebbe stata suonata sempre più raramente, lasciando il posto ad altri classici che l'avrebbero sostituita comunque alla grande. Apprezziamola quindi in questa gran bella testimonianza proveniente da giorni gloriosi.
Goodbye My Friend
Hansi non è proprio conosciuto per i suoi movimenti sul palco, è sempre stato un frontman molto pacato e tranquillo anche durante i concerti (all'epoca era "limitato" anche dal dover suonare il basso), però non perde mai l'occasione di scambiare qualche parola con il pubblico, anche compiendo i gesti più canonici: il gridare cercando di farsi imitare dal pubblico oppure domandare "do youwant a faster song?? Do youwant a faster song??". Entrambe le cose vengono proposte proprio qui, prima di suonare "Goodbye My Friend (Addio Amico Mio)", estratta da "Tales?". Dopo una canzone epica e più articolata come la traccia precedente, ritorna l'ora di premere sull'acceleratore e i Bardi lo fanno con uno dei loro pezzi più arrembanti e decisi. "Who can tell me who I am / who I am my friend/ I'm an Alien so they say/ a risk to everyone", con questi famosi versi la cavalcata ha inizio, una cavalcata dominata dalla solita batteria di Stauch e dai riff pesanti e serrati di Siepen e Olbrich. La band è davvero in forma, Olbrich esce ed entra dalla sezione ritmica con grande facilità e perizia, alternando i riff alle note melodie ed armonie che proprio da "Tales?" cominciavano a farsi più presenti e studiate; Hansi tiene la folla nel suo pugno anche solo restando fermo dietro al microfono, con il suo cantare e narrare. Il pubblico stesso fa quasi parte della band, cantando con veemenza tutte le parti corali della canzone, soprattutto nel potente ritornello, il quale sembra fatto a posta per situazioni come questa (un po' come tutte le canzoni della band comunque). Hansi forse sembra anche più aggressivo e sporco di quanto già sia su CD, accrescendo il lato drammatico del pezzo, ricordandoci che la canzone parla sì di E.T., ma in salsa tragica. Qui E.T. vuole tornare a casa non tanto perché ne sente la mancanza, ma per scappare dal pianeta Terra, un posto abitato da creature strane e cattive che lo hanno trattato male, terrorizzato, messo in quarantena e quant'altro. In tutto questo però c'è il suo amico Elliot, l'eccezione. Questa non è quindi solo una canzone di risentimento, dolore e paura, ma anche la storia di una separazione che diverrà insormontabile una volta che l'alieno partirà verso l'Universo sconfinato. In effetti E.T. è davvero deciso a lasciare la Terra, non c'è amicizia che tenga. Olbrich, verso metà pezzo, propone un altro grande assolo (salutato come sempre dalla folla) che non rallenta il tiro della canzone e che anzi ne evidenzia ancor di più la velocità, adattandosi ad essa con note veloci ed acute. Verso la fine del pezzo le parti corali aumentano, e di conseguenza aumenta anche l'apporto del pubblico. La vena drammatica quindi raggiunge il suo apice, pur restando sulle stesse ritmiche veloci; come detto prima, non c'è amicizia che tenga, l'alieno si domanda se mai rivedrà Elliot, sotto sotto lo spera, ma il tempo passato sul nostro pianeta è stato già troppo e poco piacevole. E quindi, usando le sue stesse parole: "I will go home now!". Con il ritornello finale e con una veloce melodia di André il pezzo si chiude, tra gli applausi dei fan.
Time, What Is Time
Con "Time, What Is Time (Tempo, Cos'è Il Tempo..)" i Blind Guardian propongono un'altra canzone dal loro ultimo lavoro, una delle migliori tra l'altro. Dopo l'universo di Dune ora ci troviamo in Blade Runner, tra esseri umani ed androidi replicanti. Si sente subito che questo è un pezzo nuovo, essendo più variegato rispetto alle canzoni più vecchie, anche rispetto a quella precedente, per esempio. Già i primi secondi mettono le cose in chiaro, con un'introduzione che in pochi istanti passa da un riff monolitico e thrashy (in cui si sente bene anche il basso) ad un momento più malinconico e pulito che sfocia, a sua volta, in una classica cavalcata. La prova del 9 ovviamente arriva però con il ritornello, i fan sembrano apprezzare parecchio e cantano le parti corali, anche se la potenza della band sovrasta comunque tutto. Lo stesso ritornello suona come più maturo: è lievemente più complicato, più lungo e meglio strutturato rispetto a tanti altri ritornelli, pur restando sempre dannatamente catchy e memorabile. Il resto della canzone procede su ritmiche particolarmente veloci e taglienti, però; e proprio come ad inizio pezzo, la band si diverte a variare la proposta, anche se per pochi secondi, cambiando spesso umore ed atmosfera, o addirittura tempo. A volte invece sono delle strofe intere a suonare diverse dal resto, come quella che segue subito il ritornello, una strofa abbastanza cadenzata in cui anche Hansi si ammorbidisce, trovando però nelle onnipresenti backing vocals delle fedeli alleate. A riprova di quanto detto poco più sopra circa il ritornello, c'è da notare che esso non è sempre uguale, musicalmente non cambia, ma le liriche invece mutano ad ogni ripetizione, rendendolo quindi un po' più complicato da ricordare. Dopo uno strabiliante assolo del solito Olbrich, arriva la strofa più aperta e tipicamente Power del pezzo, nonché una delle più espressive ed importanti per capirne il tema: "Look into my eyes/ Feel the fear just for a while/ I'm a replicant and I love to live/ I sit all over now/ Only theseyears/ I'll leave but I'm singing". Qui è proprio un replicante a parlare, uno ormai giunto al termine del suo ciclo vitale probabilmente, un ciclo di soli 4 anni in cui però l'androide ha vissuto e ed ha capito di amare la vita. Questa consapevolezza da una parte gli permette di farsene una ragione, ma dall'altra lo rende timoroso e triste, conscio che il tempo rimastogli è ormai poco. Il finale della canzone, affidato al pianoforte di Marc Zee, accentua ancor di più il lato malinconico del pezzo, spazzando via quello rabbioso che l'ha dominato per tutta la sua durata. La bellissima coda presente su "Somewhere?" però viene tagliata, purtroppo ed inspiegabilmente, e si trasforma in una lunga chiusura in cui è proprio il pianoforte a farla da padrone. Non male, certo, ma il finale originale era davvero bello ed è un peccato non poterlo sentire in questa versione live.
Majesty
E' di nuovo l'americano Marc Zee con le sue tastiere a suonare il valzer che introduce "Majesty (Maestà)", unica traccia presa dal debutto "Battalions Of Fear"; e che traccia, aggiungerei. Il valzer si interrompe per un istante, dando il tempo al pubblico di riconoscere la canzone e poterla salutare come merita. Il valzer dai suoni quasi circensi riprende, un po' più veloce che su CD c'è da dire, ma viene subito spazzato via dalle chitarre dei tedeschi, permettendo al pezzo di evolversi in tutta la sua.. maestà. Con questa canzone si torna indietro nel tempo, precisamente giungiamo al 1988, quando la band stava ancora sperimentando e creando il suo concetto di Power, restando però molto ancorata a sonorità più classiche. Cosa evidente proprio in questa canzone: ci sono molti momenti riconducibili al Power, anche se il brano è dominato sostanzialmente da rasoiate in pieno stile Speed o anche Thrash, come si può apprezzare nelle progressioni di inizio pezzo. Le prime parole sono infatti terremotanti, piene di false partenze; ora la canzone è cadenzata, ora è più veloce: un andamento che ci accompagnerà per tutti i quasi 8 minuti di durata. Con questo pezzo i Bardi già mettevano le cose in chiaro a livello tematico; tra l'altro, il comparto lirico risulta incentrato su "Il Signore Degli Anelli" di Tolkien, e più precisamente e dettagliatamente su Boromir e Frodo e sul loro rapporto, molto tormentato ad un certo punto dell'opera. La canzone sembra finalmente aver preso una direzione, assestandosi su ritmiche particolarmente veloci ed arrembanti, però c'è subito un nuovo cambiamento nella strofa che descrive proprio il rapporto tra lo hobbit e il Gondoriano; Boromir crede di poter usare l'Unico Anello come arma per difendere il suo Regno e la sua gente, un'arma del nemico da usare proprio contro di esso, Frodo però sa che non è così e sa che l'uomo è solo tentato subdolamente dall'Anello. Il rifiuto di Frodo porterà Boromir ad una sorta di frustrazione e pazzia che quasi gli farà perdere la retta via e l'onore, minacciando addirittura di uccidere: "I have a dream, the things you've to hide for/ Deliver our kingdom and our Reich/ Don'tfall in panic just give me the thing/ That I need or I kill?". In questo rallentamento è possibile anche apprezzare un Hansi più melodico, sognante e disteso che però subito si incattivisce, come Boromir, non appena arriva il rifiuto di Frodo. Il cantante/Boromir, tuttavia, rinsavisce e si rende subito conto di ciò che ha fatto e detto e aggiunge mestamente: "?Don't run away for what have I done". Un riff ultra-melodico di Olbrich ci guida verso il maestoso e drammatico ritornello, qui lievemente più potente e meno malinconico rispetto alla versione studio; impossibile, non cantare tutti in coro. Per riascoltare il ritornello però bisognerà aspettare ancora un po'. Prima infatti ci sono molte altre sezioni in cui la band continua a pigiare sull'acceleratore, simulando un po' la frenesia dello hobbit, convinto che separarsi dalla Compagnia dell'Anello sia la cosa migliore da fare, anche se forse non è la soluzione più sicura. Il ritornello però torna puntualmente con tutta la sua maestosità, che ci riporta alla mente la bellezza e la grandezza di Minas Tirith, capitale proprio di Gondor, il regno di Boromir che si affaccia su Mordor, un regno costantemente in pericolo. E' quindi una potenza che sembra quasi risentire dei colpi del Male, sembra quasi sul punto di svanire, lanciando però un grido d'aiuto che si espande per tutta la Terra di Mezzo. E' proprio Hansi con il suo basso profondo ed i suoi "no! no! no!..."disperati ad enfatizzare il lato drammatico del pezzo, affiancandolo sapientemente a quello più Speed e Thrash-oriented che invitano all'headbanging.
Valhalla
"Guardian! Guardian! Guardian! Guardian!...", il pubblico chiama a gran voce la band, la quale non si fa attendere troppo e propone subito uno dei loro pezzi più famosi di sempre: "Valhalla". Siamo ancora negli anni '80 quindi, con una canzone presa dal loro secondo album "Follow The Blind". Stilisticamente quindi siamo più vicini ad un pezzo come "Majesty" che ad uno preso da "Somewhere?"; già si sentiva, però, che qualcosa stava cambiando. I riff iniziali sono poderosi e cadenzati, come le pesanti porte del Valhalla stesso che si aprono per i guerrieri caduti. Però, dopo il primo verso, la canzone decolla verso alte velocità. In studio era presente Kai Hansen come ospite su ben due bridge, ma qui ovviamente non è possibile averlo, e, anche se nella nostra mente risuona la sua voce, Hansi lo sostituisce bene e senza cercare di imitare i suoi acuti, inarrivabili per il cantante dei Guardiani. La folla però attende soprattutto un qualcosa: è lì, in trepidante attesa, non vede l'ora di poter cantare a squarciagola il leggendario ritornello: "Valhalla - Deliverance/ Why've you ever forgotten me". Naturalmente i giapponesi non si lasciano scappare l'occasione e lo cantano a pieni polmoni. Neanche in un pezzo così potente Hansi riesce a trattenere la sua vena drammatica, scrivendo un testo che parla dell'abbandono dei culti pagani e della Mitologia Norrena con l'arrivo e l'imposizione del Cristianesimo. Scrivendo, inoltre, di uno stregone che, invano, cerca di opporsi a questa situazione compiendo uno sforzo titanico. Nell'altro bridge originariamente cantato da Hansen ci sono anche versi molto interessanti in cui si legge dell'importanza che hanno gli dei in generale; forse sono solo fantasie, ma è impossibile vivere senza, essi sono una prerogativa dell'Uomo: "So many centuries, so many gods/ We were the prisoners of our own fantasy/ But the new had nothing to lead our life/ No, no, we can't live with out Gods!". Dopo un gran bell'assolo di Olbrich la canzone si lascia andare al ritornello, quasi ne fosse posseduta, facendolo ripetere per molte volte prima della chiusura. Una chiusura che viene affidata alla chitarra acustica di Siepen (una novità per i Bardi, all'epoca dell'uscita dell'album) e da una melodia di Olbrich che suona malinconica e senza speranza. Entrambi gli strumenti riprendono la melodia del ritornello stesso. In studio la canzone finiva così, ma qui Hansi decide di prolungare il piacere dell'ascolto cantando delicatamente il ritornello, per un'ultima volta. Oggigiorno il ritornello di "Valhalla" viene cantato ad oltranza anche dal pubblico, tant'è che molte volte la band non riesce a riprendere in mano le redini dello show. In questo live non succede, ma siamo solo nel 1993, con il tempo anche i live della band si sarebbero evoluti.
Welcome To Dying
Con "Welcome To Dying (Benvenuto Nella Morte)" ci avviciniamo sempre più alla fine del live, e infatti Hansi comincia con i ringraziamenti ed i saluti di rito, che poi si rileveranno una finta (tipico dei live). Hansi la preannuncia come una canzone speciale ed incita il pubblico a gridare il suo titolo, sperando che canti a gran voce con la band ancora una volta. Altra canzone dunque, altra mazzata sui denti. "Welcome To Dying" è infatti una delle canzoni più potenti e devastanti di "Tales?" e dal vivo fa la sua bella figura. Il riff cadenzato all'inizio non trae in inganno nessuno, tutti si aspettano alte velocità. L'inizio è solo una breve rincorsa prima del salto, prima della cavalcata. Cavalcata che, come previsto, arriva a suon di colpi di una pressante batteria. Questa volta i Bardi scelgono di scomodare l'Horror, andando a trarre ispirazione dalle vicende contenute in "Floating Dragon" di Peter Straub. Hansi è aggressivo ma nello stesso misterioso, nelle strofe veloci che seguono comincia proprio a fare un quadro della situazione: in una piccola cittadina, ogni 30 anni, un killer chiamato The Dragon torna ad uccidere per vendicarsi di alcuni torti causatigli secoli or sono dagli antenati delle vittime. Il ritornello, cantato a gran voce sia Marcus e André, sia dal pubblico, è potentissimo e travolgente, porta con sé tutta la furia omicida di un essere che ormai non è più di questo mondo. Le melodie di Olbrich si susseguono senza fine, collegando le varie sezioni della canzone, non limitandosi però ad un mero esercizio di completivo, ma creando delle melodie eccitanti che suonano quasi come fossero assoli e che risultano essere davvero accattivanti e catchy. Sembrano quasi voler imitare il volo del drago. Non ci sono però soltanto strofe velocissime, ce n'è anche una (dopo il primo ritornello) in cui assistiamo ad un lieve rallentamento in cui è proprio l'assassino Gideon Winter aka The Dragon a rivolgersi direttamente all'ascoltatore in una sorta di monologo: "many times I terrorized this town/ many times and here I start again / now I'm stronger and so cold/ cold as ice/ returning is my destiny?". Il destino del killer sta per compiersi nuovamente, le vittime lo percepiscono nell'aria e lo avvertono nel buio che le circonda, ma capiranno tutto quando ormai sarà troppo tardi. Date il benvenuto alla vostra morte! Ed il ritornello arriva puntualmente a sugellare queste sensazioni mortali, travolgendo tutto quanto trova davanti al suo cammino, come una tempesta incessante e fragorosa. Tempesta resa ancor più sferzante dall'ottimo solo di Olbrich. Tutta la canzone prosegue su queste coordinate, non c'è spazio per ulteriori rallentamenti, momenti acustici o tastiere eteree. Solo pura potenza. Unicamente i cori hanno il permesso di abbondare e di arricchire il pezzo, soprattutto nel finale, dove continuano a cantare il ritornello (seppur con una linea melodica leggermente diversa) mentre Hansi dialoga con loro. La traccia termina sotto scroscianti applausi e con il pubblico che chiama la band a gran voce. C'è forse tempo per un altro pezzo?
Lost In The Twilight Hall
La risposta arriva con il riff di apertura di un altro pezzo preso da "Tales?": con le note di "Lost In The Twilight Hall (Perso Nella Sala Del Crepuscolo)", un canzone Power Metal al 100%. Siamo qui sui tipici docet del Power, soprattutto per quanto riguarda l'inarrestabile batteria, ma anche per le linee vocali ariose e molto ma molto melodiche (più del solito). Se le tracce precedenti erano sì veloci ma anche incredibilmente potenti ed aggressive, con questa canzone invece siamo su lidi più vicini al Power canonico di scuola tedesca. Come nella traccia precedente, anche qui il riff d'apertura è apparentemente cadenzato, ma solo per lasciarsi andare dopo non troppo ad alte velocità, come si evince appieno già dalla prima strofa. In studio c'era anche uno strabiliante duetto tra Hansi e Kai Hansen; qui, per forza di cose, esso non può avvenire e tocca ad Hansi eseguire anche le parti del suo collega e amico. Però c'è un incredibile aiuto da parte del pubblico, il quale arriva a dare manforte al cantante dei Bardi cantando a memoria le parti del cantante e chitarrista dei Gamma Ray, cercando di ricalcarle in tutto e per tutto, anche nelle note più lunghe ed acute. Tutto quest'entusiasmo si trasferisce alla band e, incanalato nella 6-corde di Olbrich va, a sua volta, a finire nel ritornello, corale, arioso e quasi "happy" nel suo incedere: "Look behind the mirror/ I'm lost in the twilight hall/ once I'll be back for a moment in time/ that's when the mirror's falling down". La canzone, che probabilmente parla della morte di Gandalf, del suo breve viaggio nell'aldilà e del suo successivo risveglio, rallenta dopo il refrain e si fa leggermente più cupa e misteriosa, sposandosi alla perfezione con le parole dello stregone, il quale è dubbioso sul suo destino e si domanda dove sia finito e quale sarà la sua fine. In questo rallentamento compaiono anche arpeggi rilassati che contribuiscono a spezzare un po' il ritmo e a dare varietà al tutto. Nel frattempo Gandalf, o una qualsiasi persona non meglio specificata in una situazione analoga, si domanda: "Is this deliverance? Is it the end?" permettendo però alla canzone di ripartire a mille e di ritrovare luce con il fantastico ritornello; lo stesso risultato si ha con il bellissimo assolo eseguito a quattro mani da entrambi i chitarristi, una prova solistica di alto livello, molto veloce ma anche melodicissima, soprattutto nei momenti in cui i due chitarristi eseguono armonicamente la stessa melodia. Questo era uno dei migliori assoli presenti in tutto "Tales?" e anche in questo live può meritarsi tranquillamente lo stesso elogio. Un'altra breve strofa e subito riparte il ritornello, ripetuto però una volta in più, cantato ovviamente da tutto il pubblico che lo accompagna verso la fine della canzone che termina quindi nel modo più esplosivo possibile: con un refrain eccitante in cui tutti si ritrovano a cantare con le braccia al cielo seguito poi dagli applausi entusiasti dei giapponesi, consapevoli che la fine dello show è oramai prossima e i Bardi dovranno lasciarli per partire verso nuove mete, non senza aver però lasciato un ricordo bellissimo ed una prestazione da incorniciare.
Barbara Ann
I Blind Guardian posticipano di un po' la fine definitiva del live proponendo la loro cover di "Barbara Ann", in una versione più veloce e metallica rispetto alla versione originale del 1961 dei The Regents. Versione metallica che però non rinuncia alle veloci note di pianoforte e gli assoli dal gusto retrò. Un momento di pura goliardia che comunque non aggiunge moltissimo al live, già perfetto anche senza la cover, se non un sorriso ed un pizzico di allegria in più. Ora però è giunta davvero la fine, il pubblico lo sa, ma continua a gridare il nome della band, in un'acclamazione che porta con sé il sapore del ringraziamento ma anche la speranza che la band possa uscire da un momento all'altro pronta per suonare un altro pezzo. Quest'ultima cosa naturalmente non succede, ma Hansi saluta il pubblico giapponese dicendo "we'llneverforgetyou!". D'altronde con le date in giapponesi è stato pubblicato questo live, quindi si può benissimo dire che Hansi non si è smentito e ha mantenuto la parola, dando la possibilità a quel pubblico di avere il suo piccolo spazietto nel tempo, la sua piccola fetta di gloria.
Conclusioni
Abbiamo analizzato un live che sembra proprio una raccolta delle migliori canzoni realizzati dai Blind Guardian fino al periodo in questione, un live votato alla velocità e alla potenza in cui è stato dato maggiore risalto proprio ai pezzi più veloci, potenti e catchy. C'è da dire che questo ha tolto spazio alle due ballate sino a quel momento più famose della band ("The Lord Of The Rings" e "The Bard's Song - In The Forest"), scelta che oggi sembra assurda dato che le due suddette canzoni sono tra le più celebri del repertorio della band e le più richieste nei live. Tuttavia, penso sia stata una scelta ragionata e comprensibile: in una scaletta di sole 12 canzoni i Bardi hanno deciso di concentrare tutta la loro potenza in un attacco frontale (decisamente teutonico!) senza momenti di pausa o riflessione, quindi senza ballate delicate e/o medievaleggianti. Inoltre, può anche darsi che la band ancora non avesse compreso appieno le potenzialità della canzone del bardo per esempio; e, trovandosi in un concerto di supporto al nuovo album, sarebbe stato meglio andare sul sicuro proponendo i pezzi più arrembanti. Scelta più che comprensibile, opinabile ma non certo da condannare. Anzi, tutt'altro. Le canzoni estratte dal nuovo "Somewhere?" comunque risultano più che gradite e la risposta del pubblico è più che buona. Non c'è da stupirsi, dopo tutto: è proprio grazie a quell'album che la band è ascesa ad un ruolo internazionale di particolare rilievo, quindi è normale che le canzoni fossero come minimo state apprezzate sin dall'inizio. Anzi, è un peccato che non ci sia la title-track o anche "The Last Candle" da "Tales?", ma entrambi i brani troveranno spazio in pubblicazioni live future. Quello del live è un traguardo importante, per ogni band Metal; permette di far capire che effettivamente esiste un'attività on stage attiva anche in luoghi lontani (proprio come il Giappone), e che questa attività ha un seguito folto che permette la pubblicazione di un live degno di nota, il quale permetta a sua volta di incastonare nel tempo un periodo preciso della band in questione. Nel caso dei Blind Guardian il periodo in questione è il periodo dell'ascesa totale, da band di nicchia a band di caratura internazionale in grado di sfornare non solo buoni album ma addirittura capolavori. Dopo "Somewhere Far Beyond" e "Tokyo Tales" infatti i Bardi pubblicheranno un altro album soltanto nel 1995, un certo "Imaginations From The Other Side" che avrebbe spazzato via ogni dubbio in chi pensava che "Somewhere?" non avrebbe potuto essere eguagliato. In verità, l'avrebbe anche superato.
2) Banish From Sanctuary
3) JourneyThrough The Dark
4) Traveler In Time
5) The Quest For Tanelorn
6) Goodbye My Friend
7) Time, What Is Time
8) Majesty
9) Valhalla
10) Welcome To Dying
11) Lost In The Twilight Hall
12) Barbara Ann