BLIND GUARDIAN
The Forgotten Tales
1996 - Virgin Records
CRISTIANO MORGIA
04/07/2017
Introduzione Recensione
Dopo aver piazzato degli album clamorosi uno dietro l'altro, e soprattutto dopo l'uscita del celeberrimo e lodato capolavoro rispeonden al nome di "Imaginations From The Other Side" (1995), i Blind Guardian decidono di prendersi una meritata pausa e tornare sul mercato nel 1996 con questo "The Forgotten Tales": un album raccolta che contiene cover e pezzi riarrangiati. Ammetto di non essere proprio un amante di queste operazioni, ma è anche vero che devono essere prese per quello che sono, ossia dei lavori creati tanto per divertire ed incuriosire senza troppe pretese, con la volontà di "spezzare" un momento il ritmo anche per riprendere fiato, in vista della creazione di un disco di inediti. Siamo nel 1996, due anni dopo i bardi avrebbero dato alle stampe il buon "Nightfall in the Middle-Earth", il quale avrebbe ripreso laddove "Imaginations..." aveva terminato. Lecito, dunque, dopo il rilascio di un tale capolavoro, frapporre fra due uscite un qualcosa certo di interessante e particolare, ma anche - se vogliamo - "leggero". Che conquisti il pubblico a suon di curiosità e spensieratezza, preparandolo di fatto per una nuova esplosione, la quale (lo abbiamo visto, parlando a posteriori) sarebbe avvenuta nell'arco di tre anni dal rilascio di quel capolavoro targato 1995. Un'operazione, quella alle spalle di "The Forgotten Tales", che non ha comunque né dell'improvvisato né del raffazzonato, in quanto i Blind Guardian dimostrano d'essere perfettamente a loro agio in questa veste meno impegnativa del solito. Lo sappiamo bene, ad un occhio attento non sarà sfuggito il fatto che i Nostri sin da sempre amano dilettarsi in cover di canzoni che non fanno propriameente parte del mondo del Metal, omaggiando brani senza tempo assai famosi nella cultura di massa e più popolare. Non solo cover, poi: come scritto pocanzi, ci sono anche delle versioni diverse di certi classici sino ad ora già incontrati (in veste sinfonica, acustica o dal vivo), elemento che a sua volta può destare un po' di curiosità. Carne al fuoco, dunque, ce n'è abbastanza per iniziare a sfregarsi le mani, osservandola cuocere. Non certo una sensazione che - diciamolo esplicitamente - ci ha pervasi in altre occasioni simili, anche parlando di altre band. Molto spesso, infatti, quando un gruppo decide di immettere sul mercato un album del genere è perché non sa più cosa proporre; cercando quindi di "arrotondare" così, dando in pasto ai fan qualcosa nell'attesa che torni l'ispirazione. Troppo spesso, "qualcosa" buttato lì nel mucchio senza troppi accorgimenti: compilation riportanti solo grandi classici inseriti nella loro forma originaria, qualche outtake pescato alla bell'e meglio da archivi vari... insomma, operazioni le quali lasciano il tempo che trovano. Non è fortunatamente il caso dei Blind Guardian, mi sento di sottolinearlo senza troppi problemi. "The Forgotten Tales" infatti esce nel periodo di massimo splendore dei nostri bardi, ed anticipa di un paio di anni un altro loro capolavoro, come detto poco sopra; per i fan dell'epoca non c'era assolutamente da preoccuparsi dunque, i tedeschi avevano tutto sotto controllo e molto probabilmente volevano soltanto riposarsi un po' dopo un'ascesa vertiginosa. Le grandi scalate, lo sappiamo bene, costano fatica. E non si poteva certo pretendere dalla band un ritmo serrato a mo' di mitragliatrice. Bei dischi richiedono lavori imponenti, grandi sforzi compositivi ed esecutivi. Chiaro come il Guardiano avesse avuto bisogno, ad un certo punto, di quietarsi e riposarsi lungo la via, prima di riprendere il suo glorioso cammino. E come lo avrebbe ripreso! Il suo proseguo sarebbe stato più che luminoso, torno a ribadire. La raccolta è licenziata anche stavolta dalla "Virgin Records" e contiene 13 tracce che vanno dal 1989 al 1996, quasi tutto il periodo di attività della band, insomma. Da notare che anche questa copertina è disegnata dal fedelissimo Andreas Marschall, uno dei disegnatori di copertine Metal più celebri e riconoscibili di sempre. In questo art work troviamo dunque una figura incredibilmente simile al ben noto Keeper incappucciato reso famoso dagli Helloween (talmente somigliante da rasentare il tributo), intento a compilare un libro magico. Sul suo cuore, un accenno di cielo stellato. Alle sue spalle, un trono dorato entro il cui schienale è raffigurato un antico castello. In background, una foresta oscura. Elementi tipici delle cosiddette "tales", ovvero le "storie", le fiabe. Essendo una semplice raccolta, direi che non c'è molto altro da aggiungere, quindi possiamo scendere direttamente nei dei dettagli.
Mr. Sandman
La raccolta si apre con "Mr. Sandman (L'omino del sonno)", cover della stra-conosciuta canzone delle The Chordettes, risalente addirittura al 1954. Forse il titolo da solo non vi dirà niente, ma l'ascolto vi farà sicuramente venire in mente qualcosa. I Blind Guardian utilizzano il brano anche come singolo di lancio della compilation, accostandolo anche ad una cover di "Hallelujah" dei Deep Purple, e ne fanno uscire un buffo videoclip in bianco e nero in cui sono mascherati da donna. I primi secondi del pezzo ci portano subito all'atmosfera tipica dell'originale, con quelle tastiere simil-carillon che sembrano suggerire una sorta di ninna nanna. Neanche quando entra in gioco il vocione di Hansi l'atmosfera cambia molto, il cantante infatti si adagia perfettamente all'umore generale e dona una prestazione delicata e quasi dolce. Stessa cosa per gli altri strumenti: le chitarre ancora non risultano marcatissime o graffianti, suonano molto anni '50, per così dire; la batteria invece risuona lontana e quasi assente. Ormai il sonno sta per arrivare e stiamo per chiudere gli occhi, manca solo qualche piccola richiesta all'uomo dei sogni (Mr. Sandman per l'appunto): "Mister Sandman, bring me a dream/ Make it the cutest that I've ever seen...". Donaci un sogno, uomo del sonno, che sia il sogno più bello che mai abbiamo immaginato! Dalla terza strofa le cose cominciano a cambiare lentamente; le chitarre cominciano a farsi sentire di più, soprattutto a livello di melodie, così come la batteria la quale comincia a diventare parte integrante della canzone. Senza contare che la voce di Hansi comincia a sporcarsi lievemente. Stiamo per addormentarci, eppure sembra che più andiamo avanti più cominci a mancare la quiete! Da notare ovviamente il celebre coro zuccheroso che rese famoso questo pezzo, qui cantato da dei Blind Guardian in una veste buffamente molto femminea. Dopo questo breve momento sognante la parte Metal prende il totale sopravvento e capiamo che nessuno riuscirà a dormire. La voce di Hansi è tuonante e graffiante, le chitarre sorreggono l'impalcatura del tutto con riff decisi e martellanti quanto gli assoli, la batteria di Stauch entra finalmente a far completamente parte della canzone pestando come se si volesse svegliare qualcuno, invece che farlo addormentare tra i sogni più rincuoranti. La cover prosegue così fino alla fine, trasformandosi quindi da un'innocente richiesta di un sogno ad un grido disperato per esso: "Mister Sandman, brings us/ Please, please, please/ Mister Sandman, bring us a dream." Negli ultimi secondi si può sentire una risata di Hansi, a riprova che quest'operazione è stata realizzata divertendosi e per divertire, oltre che per tributare alcuni artisti da loro amati.
Surfin' U.S.A.
Si continua con la cover di un altro celebre pezzo americano, ovvero quella "Surfin' U.S.A." dei Beach Boys (1963) conosciuta da tutti e ormai divenuta sinonimo di spasso, estate, spiagge, mare, surf e così via... non proprio quello che viene in mente pensando ai nostri Bardi! Fatto sta che i Blind Guardian si calano in tutto e per tutto nella parte, con tanto di coretti e backing vocals. Anche il sound delle chitarre è quello tipico dei primi anni '60. L'unica cosa che forse resta più Metal è la grancassa di Stauch, e nel mentre Hansi canta beatamente il ritornello più celebre della storia della cosiddetta surf music: "Everybody's gone surfin'/ Surfin' U.S.A.". Un tributo alla vita da spiaggia, come intesa negli anni in cui il brano era solito scalare ogni tipo di classifica, persino contendendo il posto ai più celeberrimi singoli dei The Beatles. E dunque, camicie hawaiane ricche di appariscenti fantasie floreali, tavole pronte per solcare le onde, pin up in costume e falò in spiaggia, sino a tarda sera. Sembra proprio di essere lì, sulle assolate spiagge della California, ballando al ritmo dei Nostri e nel mentre godendosi l'ambiente festaiolo e spensierato. Tutto viene mantenuto sulla falsariga originaria, ma come già accaduto nella traccia precedente però la parte Metal torna presto - e per fortuna - a farsi sentire, a colpi di riff serrati ed intermittenti sfuriate di batteria; il tutto senza perdere l'atmosfera gioviale e positiva della canzone originale. Poco dopo la metà il lato Metal riesce ad emergere del tutto, riuscendo a dare più personalità ad una cover che altrimenti sarebbe stata soltanto una semplice riproposizione: i ritmi si velocizzano e sfociano in soluzioni tutte Power condite dai riff serrati di Marcus Siepen e da un assolo distorto di Olbrich. In effetti, all'improvviso sembra che il mare si sia ingrossato e fatto burrascoso, e così ci piace.
Bright Eyes
Con "Bright Eyes (Occhi Lucenti)" siamo al primo riarrangiamento. Il pezzo originale proviene da "Imaginations..." e qui viene riproposto in chiave acustica. Ogni velleità elettrica viene accantonata in favore di un comparto, per l'appunto, acustico, che rende la canzone molto atmosferica e dal sapore quasi medievale, come piace ai nostri. Le melodie sono le stesse dell'originale, come si sente già dai primi secondi, così come le linee vocali, ma il tutto suona più asciutto e crepuscolare. Nonostante all'apparenza risulti tutto più semplice, i Bardi non rinunciano ai loro famosi intrecci vocali e agli overdubbing che rendono il tutto molto affascinante e multiforme. La voce di Hansi è senz'altro più pulita e delicata rispetto all'originale, in cui era tagliente e quasi disperato, ma mantiene la stessa forza espressiva mentre ci canta e descrive i pensieri del protagonista. Ad una prima lettura potremmo pensare che si tratti di Mordred, ma ad una lettura più attenta, ed alla luce di quanto successo nell'album "Beyond The Red Mirror", è più probabile che si tratti di un bambino solitario (che poi sarà il protagonista del futuro concept) in cerca di un Mondo Secondario in cui rifugiarsi, un bambino che vorrebbe essere valoroso come Artù ma che purtroppo non ha nessun Merlino al suo fianco: "Bright eyes/ Blinded by fear of life/ No Merlin is by my side". Qui il ritornello suona molto più sommesso e malinconico rispetto alla disperata veemenza dell'originale, e ciò si adatta benissimo alla nuova veste dell'arrangiamento. Le chitarre di Olbrich e Siepen sono protagoniste di un gran bel lavoro dalle vaghe tinte celtiche, le quali ci trasportano davvero ai tempi del Ciclo Arturiano, ma la malinconica voce di Hansi resta salda al timone delle emozioni del protagonista, il quale comincia a parlarci anche del suo rapporto conflittuale con i genitori; dopotutto, una specie di novello Mordred: "Hey mother stubborn, I really hate you/If you say yes/ I will say no...". A metà canzone, sorrette dalle leggere e mai invadenti percussioni di Stauch, le chitarre si intrecciano ancor di più e si fanno per un attimo più vivaci, come se il protagonista riuscisse a vedere finalmente la luce dell'altro mondo che lo chiama, senza esserne accecato. All'improvviso però si ritorna alla realtà e ai suoi problemi, stavolta relativi proprio alla figura del padre (ecco perché è facile pensare che si tratti di una canzone sul già citato Mordred): "Hey father stubborn, you're yin and I'm yang/ I feel alone/ Who really cares...". Il ritornello ritorna puntualmente e più volte a ribadire la condizione del fanciullo, fino alla calma e rilassata fine, affidata al solito espressivo Hansi. Un finale molto calmo, quasi rassegnato, che contrasta di molto con quello monolitico e perentorio della celebre versione originale. Ovviamente la "Bright Eyes" classica è insuperabile, ma questo arrangiamento acustico è fatto così bene da lasciarci una sana voglia di bis.
Lord Of The Rings
L'inizio della traccia seguente è dei più inconfondibili, si prosegue infatti con "Lord Of The Rings (Il Signore degli Anelli)" in versione orchestrale. L'originale proviene da "Tales From The Twilight World" (1990) ed è subito entrata nei cuori di tutti i fan grazie alla bellezza ed alla sua carica emotiva non indifferente. La versione proposta qui non è poi molto differente, salvo qualche piccolo accorgimento qua e là. L'inizio è acustico e molto limpido, la voce di Hansi riesce ad essere evocativa e lievemente malinconica, ci trasporta in un attimo nella Terra di Mezzo a casa Baggins: "There are signs on the ring/ Which make me feel so down/ There's one to enslave all rings/ To find them all in time/ And drive them into darkness/ Forever they'll be bound...". È la celebre poesia dell'Anello riadattata per l'occasione. Anello che si trova proprio nelle mani di Frodo, il quale già si rende conto della situazione in cui si trova. Quello che ha in mano non è un semplice gioiello, ma un fardello vero e proprio, un'arma bramata dalle forze del male. Dopo questa sezione arriva una novità, ossia una strofa molto melodica ed eterea assente nella versione originale, la quale recita: "I'll keep the ring full of sorrow/ I'll keep the ring 'till I die". Frodo è consapevole del fardello, ma è deciso a farsene carico, sarà lui il portatore. Fino alla morte. Questi versi, come già detto, sono assenti nella versione del '90, ma hanno fatto breccia nei cuori dei fan, tant'è che dal vivo vengono inseriti nella versione originale e cantati a gran voce da tutti, come se, per un attimo, si sentissero tutti un po' Frodo. Il ritornello è corale e trascinante, ma possiede ancora un'anima acustica e delicata che dà un'aura tutta particolare al pezzo. Dopodiché la parte orchestrale emerge sul serio, finora era rimasta molto sullo sfondo, e dimostra tutta la passione che i Blind Guardian hanno per le tastiere e per le partiture sinfoniche di questo tipo. Se infatti nell'originale a questo punto entravano veementemente in gioco chitarre elettriche e batteria, qui troviamo tastiere, archi campionati, Hansi in overdubbing ed una certa atmosfera sognante e molto melodica. Inoltre Hansi compie una piccola correzione, cantando "Seven rings to the dwarves" invece che "...to the gnomes", rendendo dunque più giustizia ai lavori di Tolkien. L'atmosfera continua ad essere sognante, ma c'è un'ombra che rende il tutto lievemente malinconico: è l'ombra di Mordor, un'ombra terribile che avanza sempre di più e inghiotte tutto ciò che incontra, compreso il coraggio degli uomini. Non il coraggio dello Hobbit però, che ormai è deciso a portare avanti la sua missione: "I'll keep the ring" ripete Hansi (un altro nuovo verso diventato ormai "canonico"). A questo punto riparte il ritornello, impreziosito da vivaci chitarre, tastiere e da leggeri intrecci vocali che rendono il tutto più accattivante ed emozionante. Tutto ciò fino alla fine del pezzo, lasciandoci quindi con la voglia di partire per un'avventura e soddisfatti di aver ascoltato una bella versione di un classico della band.
The Wizard
Dopo due riarrangiamenti ritroviamo una cover, questa volta di un brano più vicino ai Blind Guardian, per certi versi. Il pezzo in questione è "The Wizard (Lo Stregone)" degli Uriah Heep, un titolo che già di per sé risulta essere tutto un programma. Nel brano, infatti, sono presenti a iosa elementi Fantasy (come anche in altre canzoni degli inglesi, tra l'altro) proprio come piace ad Hansi e soci, tanto più che il pezzo in questione è originariamente contenuto in "Demons & Wizards" (1972), album storico del Rock inglese, un altro titolo davvero emblematico che, non a caso, verrà ripreso ed utilizzato proprio da Hansi per il suo progetto con Jon Schaffer (Iced Earth). L'atmosfera è da subito sognante e magica, tanto che potrebbe risultare quasi come un brano dei Blind Guardian, se non fosse per quel moog in sottofondo che accompagna le chitarre classiche e ci porta direttamente agli anni '70. La voce di Hansi è molto melodica e pulita, perfetta per il contesto, ci trasporta in un mondo Fantasy in cui vivono potenti re e stregoni, ma soprattutto lo stregone protagonista del pezzo, un uomo che non sembra disdegnare la buona compagnia: "He was the wizard of a thousand kings/ And I chanced to meet him one night wandering/ He told me tales and he drank my wine/ Me and my magic man kind of feeling fine". Nella seconda strofa troviamo anche la batteria e chitarre più vivaci, come se la serata insieme allo stregone si stesse facendo ancora più piacevole e vivace, tra un bicchiere di vino e qualche saggio consiglio che mette di buon umore. Nel famoso ritornello la voce di Hansi si sporca e spuntano anche le chitarre elettriche, le quali rendono il tutto leggermente più roccioso, così come le backing vocals contribuiscono ad enfatizzare il momento; la durezza però è solo apparente, in quanto le chitarre classiche continuano a coesistere con quelle elettriche e le liriche lanciano un messaggio di pace dalle tinte hippy (d'altronde, la canzone originale risale al 1972): "...Everybody's got to be happy/ Everyone should sing/ For we know the joy of life/ The peace that love can bring". Dopodiché la canzone ritorna, con l'ultima strofa, su toni decisamente più rilassati, pur non rinunciando a leggere backing vocals e ad evanescenti accordi elettrici che accompagnano la cover fino agli ultimi istanti di vita in fade-out, in cui spiccano anche i vocalizzi di Hansi. La serata è finita, il vino è finito, non ci sono più storie da raccontare o consigli da dare, vediamo lo stregone allontanarsi sempre di più e sparire dietro alle colline, diretto verso la prossima casa e verso nuove persone a cui recare insegnamenti e consigli.
Spread Your Wings
Altra traccia, altra cover, altro gruppo inglese. Stavolta è il turno dei mitici Queen, una band famosa come poche ma che, per assurdo, a volte risulta anche sottovalutata; soprattutto se si parla dell'apporto che la Regina ha di fatto donato al movimento Metal, aiutando molti musicisti del genere a sviluppare un proprio stile. Un apporto che non si vide nell'immediato (nei primissimi vagiti del Metal) ma risultò poi evidente sul lungo corso, per così dire. In ambito Power Metal è abbastanza palese l'influenza dei Queen, soprattutto se parliamo di gruppi come Gamma Ray e Blind Guardian stessi, ed è evidente nell'utilizzo delle voci. Senza sconfinare troppo in un discorso troppo ampio, possiamo notare benissimo come i Bardi abbiano utilizzato sempre più spesso e con sempre maggiore perizia intrecci vocali, sovraincisioni ed imponenti parti corali. Inoltre, la passione per i Queen è evidente in "A Night At The Opera" (2002), intitolato così proprio in onore del capolavoro del '75. Ma torniamo a noi, la qui presente cover risale al 1992, ai tempi di "Somewhere Far Beyond" (di cui era una bonus track), il suo titolo è "Spread Your Wings (Spiega Le Tue Ali)", originariamente contenuta in "News Of The World" del '77. L'inizio è affidato al pianoforte, una delle armi segrete di Freddie Mercury, ma ecco che spunta il vocione di Hansi; a dir la verità fa molto strano questo contrasto, anche perché la voce di Freddie è molto più delicata e levigata rispetto a quella più ruggente del tedesco. Il contrasto emerge ancora di più quando entrano in gioco le chitarre e la potente batteria di Stauch, ma in questo frangente c'è da dire che Hansi risulta più a suo agio. Dopo la prima strofa è il turno del famoso e trascinante ritornello, un ritornello che sa essere delicato e anthemico allo stesso tempo (anche se la sua melodiosità non si sposa benissimo con sonorità Metal), essendo un invito a spiegare le ali e prendere il volo: "Spread your wings and fly away/ Fly away far away/ Spread your little wings and fly away/ Fly away far away/ Pull yourself together/ 'Cause you know you should do better/ That's because you're a free man". L'invito può essere rivolto a chiunque, ma, per essere precisi, è rivolto soprattutto a Sammy, il vero protagonista del pezzo: un giovane sognatore che sembra avere delle difficoltà nel mondo reale e soprattutto con il suo boss a lavoro, il quale lo bacchetta spesso. Questo porta Sammy a sperare di essere da qualche altra parte e a passare ogni sera da solo nella sua stanza d'hotel, come ci canta Hansi con la sua voce potente. Un breve assolo di chitarra ci conduce ad una nuova strofa, in cui però le chitarre elettriche si stemperano per far riemergere il pianoforte. Tuttavia le asce rientrano in campo dopo non molto, così come il lato più aggressivo di Hansi, qui nei panni del boss: "...now listen boy/ You're always dreaming/You've got no real ambition you won't get very far..." . Un'ulteriore colpo per il povero Sammy, ma ecco che il ritornello riporta il buonumore e la volontà di evadere, forse stavolta Sammy riuscirà davvero a spiccare il volo e a portare una svolta nella sua grigia vita. L'assolo finale di André sembra quasi voler imitare il volo di Sammy, alla fine ce l'ha fatta dunque: ha spiccato il volo e non passerà più le serate chiuso nell'hotel a pensare ai rimproveri del boss, ora è più libero che mai! Alla fine del pezzo restiamo con una verità in mano: i Blind Guardian non se la cavano benissimo con le cover. Ovviamente non hanno snaturato il brano originale, ma non hanno neanche creato una versione personale che viene voglia di riascoltare, tanto più perché "Spread Your Wings" in veste Metal perde qualcosa, soprattutto se ci si limita a ricalcarne la struttura.
Mordred's Song
Torniamo ai riarrangiamenti. Stavolta tocca a "Mordred's Song (La Canzone di Mordred)", tratta da "Imaginations..." (1995), presentarsi in una veste acustica. L'inizio non è molto dissimile da quello della versione originale, essendo anch'esso acustico; ma qui risulta, per così dire, epurato dalla melodia di chitarra elettrica invece lì presente; al suo posto, ad affiancare le chitarre classiche, troviamo infatti le tastiere (che imitano gli archi) ed un pianoforte. Su questo tappeto sonoro delicato e crepuscolare si inserisce la voce di Hansi,anch'essa abbastanza delicata e calma, voce di Hansi che è tutta intenta a narrare la tragedia di Mordred, il figlio illegittimo di Artù e suo futuro uccisore. La sua vita è tragica sin dall'inizio, egli infatti è nato da un'unione incestuosa tra lo stesso Artù e la sua sorellastra Morgana... una nascita "sbagliata" che probabilmente lo condizionerà per sempre. Nelle saghe e nelle storie mitologiche si capisce molto dei personaggi anche dal modo in cui vengono al mondo, ed il modo di Mordred non è certo dei più corretti, ergo non potrà che essere un personaggio dalle tinte oscure: "I've lost my battle before it starts/ My first breath wasn't done/ My spirit's sunken deep/ Into the ground/ Why am I alone/ I can hear my heartbeat/ Silence's all around". L'ultimo verso è arricchito da cori che danno un'enfasi tutta particolare, e anche una certa potenza che quasi contrasta con l'impalcatura acustica del brano. Le chitarre acustiche continuano vivacemente a suonare, dando un tocco dal retrogusto celtico non indifferente, sembrano voler rappresentare la vitalità dell'odio che cresce sempre di più nel figlio illegittimo di Artù. Hansi riprende a cantare, coadiuvato dall'overdubbing, sempre su toni bassi e quieti - molto meno aggressivi e sporchi rispetto all'originale - come se questa versione rappresentasse il lato più sommesso e triste di tutta la faccenda. Mordred è un personaggio negativo, è la nemesi di Artù, e qui vediamo i suoi pensieri. Grazie al magnifico testo, vediamo cosa c'è nei nella sua testa. Mordred ha sangue di re nelle vene, eppure è destinato a non avere gli stessi onori del padre. Tutta colpa di un destino che non si può scegliere: "See hate will rise/ So don't come closer/ Fear your child/ Born with a king's heart/ But hate fooled me/ And changed my cards/ No one asked if I want it/ If I liked it". Il ritornello arriva proprio in questo punto, con leggere tastiere al posto delle chitarre e della batteria, e risulta anche avere meno cori. Tuttavia il risultato è comunque ottimo, il dolore di Mordred lo sentiamo tutti, soprattutto perché la voce di Hansi gioca su toni puliti e alquanto tristi, enfatizzati qua e là dall'overdubbing piazzato in punti strategici. Dopo il ritornello la canzone riparte più viva che mai: la velocità aumenta e le tastiere si fanno sentire di più, Hansi dialoga con sé stesso, narrando per due strofe (sempre rigorosamente in prima persona) le pene ed i mali di Mordred, sempre più irato, sempre più disperato, deciso a fare dell'odio la sua ragione di vita, deciso a bagnarsi con il sangue di suo padre. È quello il suo destino. Non si può cambiare. Una breve e gradevole sezione strumentale ci delizia prima del ritorno del refrain, che a questo punto del brano rappresenta l'apice della tragedia, il punto in cui il dolore ha raggiunto il punto più alto e che, paradossalmente, porterà Mordred sempre più in basso verso il compimento del suo nefasto fato. Nel finale del pezzo spicca un pianoforte che non fa che dare enfasi e spessore a quanto appena detto. Un altro arrangiamento riuscito alla grande e che non snatura lo spirito dell'originale, anzi, ne mostra un altro lato, un lato più malinconico.
Black Chamber
Alla posizione numero otto troviamo la versione orchestrale della brevissima "Black Chamber (Camera Nera)", estratta da "Somewhere..." (1992). A dirla tutta, più che una versione orchestrale, sembra una versione a cappella. È vero, già l'originale era composta soltanto da piano e voce, ma qui troviamo un Hansi che sembra cantare come se fosse 3 o 4 persone diverse, anzi, sembra davvero che ci sia più di un cantante: tutto merito di un sapiente e mirato uso dell'overdubbing, una tecnica che i Bardi, da qualche anno a quella parte, avevano imparato ad usare davvero egregiamente. Possiamo apprezzare quindi intrecci vocali, letteralmente a cappella, in cui Hansi può sfoggiare tutte le sue timbriche differenti; ora suona pulito ma ecco che all'improvviso emerge "un altro" Hansi tagliente, tutto questo mentre in sottofondo c'è n'è un altro ancora con una timbrica più bassa e malinconica. Insomma, l'effetto è decisamente avvolgente (anche se preferisco la semplicità dell'originale), soprattutto quando anche le tastiere cominciano a fare la loro parte ed il sottotitolo "Versione Orchestrale" comincia ad avere più senso. Anche in questo caso il tema della canzone non è dei più solari, basti già pensare al titolo; ed anzi, è decisamente oscuro: "I'm possessed by the old creature/ Who has planned/ To take my soul". Il protagonista del pezzo è imprigionato, presumibilmente nella camera del titolo, e posseduto da una creatura che, ancor peggio, ha pianificato tutto per arrivare a questo. Nell'ultima parte gli archi si fanno sentire di più, ma è come se lo facessero per consolare il protagonista, dato che, come dice lui stesso, ormai è troppo tardi, la sua anima resterà per sempre chiusa nella camera nera.
The Bard's Song: In The Forest
La traccia successiva è un classico assoluto, uno dei brani che vengono in mente non appena si pronuncia il nome "Blind Guardian": sto parlando di "The Bard's Song: In The Forest (La Canzone Del Bardo: Nella Foresta)". Qui però viene inserita una versione dal vivo, dimostrando quindi tutta l'importanza che questo brano ha in sede di concerto. In "Toyo Tales" (1992), il primo CD live, la canzone era la grande assente, in quanto la band aveva puntato tutto su canzoni veloci ed arrembanti, accantonando le soluzioni più tranquille e le ballate; forse neanche avevano ancora capito appieno il potenziale della canzone del bardo. Fatto sta che dopo vari tour e svariate date il potenziale deve essere uscito per forza, e finalmente ecco qui la versione dal vivo di questo classico intramontabile. All'inizio sentiamo solo il rumorio del pubblico, ma poi ecco che Hansi, il bardo per eccellenza, comincia a dialogare in tedesco con esso, instaurando subito un legame che si rafforza non appena i celebri accordi di chitarra fanno capolino svelandosi ai fan, i quali non perdono tempo iniziando subito a gioire, tenendo il tempo con le mani. Le liriche della canzone parlano di un bardo, è vero, ma nascondono un significato nascosto (neanche così tanto a dirla tutta) che è tutto indirizzato alla band stessa. Il bardo del titolo rappresenta i Blind Guardian, gli interlocutori del bardo rappresentano i fan; ecco dunque spiegato perché i Guardiani vengono anche chiamati Bardi di Krefeld. In ogni caso, il bardo comincia a cantare al suo pubblico: "Now you all know/ The bards and their songs/ When hours have gone by/ I'll close my eyes/ In a world far away/ We may meet again/ But now hear my song/ About the dawn of the night/ Let's sing the bards' song" . Ora tutti i fan conoscono le canzoni dei bardi, tant'è che Hansi smette di cantare e lascia la parola ai fan; è già passato più di qualche anno dal loro debutto, sono una band esperta ormai, grazie alla quale è possibile viaggiare in mondi lontanissimi nello spazio e nel tempo, o addirittura in mondi accessibili solo tramite la fantasia. Il ritornello corale, ma sempre rigorosamente acustico, arriva con tutta la sua magia, ma neanche qui Hansi canta, lasciando che, ancora una volta, sia il pubblico ad avere in pugno la situazione. Il cantante tedesco riappare nella seconda parte del ritornello, ma per poco ed è quasi sovrastato dalla voce dei fan, i quali conoscono a memoria ogni singolo verso. A metà canzone André e Marcus possono dare sfoggio delle loro abilità acustiche tramite accordi delicati e dal sapore antico che vengono immancabilmente accompagnati dal battito delle mani del pubblico. Hansi riparte con la nuova strofa, il viaggio del bardo continua, il tour della band continua. Ma ogni spettacolo del bardo ha una fine, così come ce l'ha ogni concerto dei Blind Guardian... ogni serata è magica, ma ecco che arriva il momento in cui manca una sola canzone, quella che ci fa capire che lo show sta per finire sul serio e che porterà la band verso un'altra città. A questo punto Hansi sembra davvero sparito dal palco; per qualcuno potrebbe essere criticabile questa cosa, dato che il cantante dovrebbe cantare, ma penso che la band abbia scelto questa versione di proposito, per dimostrare con una singola traccia tutto il calore possibile del pubblico. Inoltre è ormai una prassi, in ogni concerto Hansi dà il LA (sempre parlando di questa canzone in particolare) e poi sorridente si gusta la prestazione dei suoi fan. Fan che dominano quasi tutto il ritornello anche stavolta. Stessa cosa per la melodica e sognante strofa finale, in cui viene svelata un'importante verità: il concerto sarà anche finito, ma la musica dei Blind Guardian sarà sempre là, nei nostri cuori e nelle nostre menti. Quelle canzoni pregne di Fantasy e Fantascienza faranno sempre parte di noi, anche quando non saranno i bardi a suonarcele davanti. Basta ascoltare uno qualsiasi dei loro album, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare: "...These songs of hobbits, dwarves and men/ And elves/ Come close your eyes/ You can see them too".
Barbara Ann/Long Tall Sally
Torniamo alle cover. Il brano in questione, "Barbara Ann/Long Tall Sally", è in realtà un piccolo medley risalente al 1989, e quindi contenuto in "Follow The Blind", il secondo album della band. La prima canzone è chiaramente una riproposizione del famosissimo brano dei The Regents, reso però realmente celebre dai Beach Boys e datato 1961. A dirla tutta la cover non è proprio riuscitissima, in quanto i Blind Guardian si limitano a riproporre quasi identicamente il vecchio classico senza inserire degli elementi personali, come invece è accaduto in altre cover. Le chitarre non sono per niente Metal, così come la batteria; in effetti tutti gli strumenti ricalcano lo stile tipico degli anni '60, stessa cosa per le voci, per niente à la Blind Guardian. Tutto il primo minuto passa così, con la band, interrotta soltanto per un attimino da un assolo retrò, intenta ad intonare all'infinito il titolo della canzone. Il tutto per celebrare Barbara, l'unica ragazza con la quale il protagonista del testo dice di sentirsi legato. Le ha provate tutte, eppure solo lei è riuscita a farla innamorare. Da una ragazza ad un'altra, l'amante di un protagonista il quale decide di spassarsela con lei in barba alla moglie, la quale lo crede lontano da lei per motivi seri. Questa la trama del secondo brano, questa volta appartenente a Little Richard e risalente addirittura al 1956. Neanche qui la band si sforza molto per personalizzare la cover e anzi, lascia il microfono all'ospite Rolf Köhler, il quale canta addirittura con un tipo di timbrica tipicamente Rock and Roll che spazza via definitivamente ogni speranza di sentire qualche sfumatura Metal. Stesso discorso per le chitarre, particolarmente retrò anche qui. Insomma, una traccia abbastanza dimenticabile ed una cover che non lascia il segno neanche un po'.
A Past And Future Secret
Abbastanza inspiegabile è la presenza di "A Past And Future Secret (Un Segreto Passato e Futuro)" in scaletta. Dico questo poiché questa raccolta prevede cover e brani riarrangiati, mentre il brano qui presente non mostra nessuna particolarità, essendo la stessa identica versione presente in "Imaginations...". In ogni caso, è sempre un piacere riascoltare un brano dalla così grande carica evocativa. La canzone è una vera e propria ballata medievale, come non ne avevano mai fatte prima i Bardi, e a dirla tutta come forse non se ne erano ancora mai sentite all'interno del genere Metal (vi ricordo che siamo nel 1995); impreziosita da tamburelli e flauti che le danno una maggiore tridimensionalità e carattere. Bastano i pochi accordi acustici iniziali per portarci indietro nel tempo ai tempi di Re Artù e dei suoi cavalieri della Tavola Rotonda. Inoltre, come se non bastasse, il narratore della ballata altri non è che Merlino, il famosissimo stregone mentore del re britannico. Hansi lo interpreta alla perfezione, con i suoi toni più pacati e delicati si indirizza al popolo e all'ascoltatore per narrare le vicende del passato, quando Artù era ancora vivo, quando estrasse la spada dalla roccia, quando poi morì... Merlino è sempre stato lì, consapevole di tutto ancor prima che succedesse: "?Most call him once/ And future king/ Far back in the past/ I saw his ending/ Long before it started/ I knew his name?". Artù è morto, ma è ancora il re, in quanto la leggenda narra che un giorno si sveglierà dal sonno che lo tiene fermo ad Avalon per governare nuovamente e riportare l'ordine. Con lo scorrere dei secondi la canzone sembra farsi più vivace, o per lo meno, gli strumenti in sottofondo sono più vivi e quasi giocosi, come le fiamme al vento delle torce che illuminano il luogo in cui Merlino si è messo a narrare. L'atmosfera però non è propriamente gioviale, anzi, resta perfettamente crepuscolare. Non è un'oscurità pericolosa o minacciosa, è la semplice oscurità della notte che non fa che aumentare l'enfasi della parole di Hansi/Merlino, non fa che dare spessore al mito mentre si aspetta speranzosi il risveglio del Re. Poco oltre la metà la canzone sembra farsi lievemente più pomposa, le percussioni infatti si fanno più presenti e veementi, senza tuttavia sfociare nel Metal, anche la voce di Hansi alza il volume per farsi udire da tutti, anche da chi è più lontano e non vuole saperne di Artù o Excalibur, aiutato dalle backing vocals. Dopo questo momento quasi di esaltazione è tempo di andare, Merlino ha finito la sua storia, ed infatti il ritornello è basso e quieto, al limite del malinconico. Merlino ripensa ai tempi andati, ai bei tempi andati, quando era al fianco di quella che è una delle figure regali più famose di sempre: "My song of the end/ It was nice but now it's gone...". Il finale ci regala qualche altro secondo di esaltazione sonora ed evocativa, ma stavolta è davvero ora di andare e così Merlino sparisce nel buio della notte, forse alla volta di un'altra città in cui raccontare la sua storia.
To France
La penultima traccia è un'altra cover, di un altro personaggio che poco ha a che fare col Metal, se non nulla. In verità sono queste le cover più interessanti e che destano più curiosità, proprio per vedere come una band interpreta un pezzo totalmente diverso da quelli che sono abituati a suonare. La traccia infatti è "To France (Verso La Francia)" (1984) di Mike Oldfield. Già dall'inizio capiamo che dopotutto la cover potrebbe essere davvero ben fatta e adatta ai Bardi: i primi secondi infatti sono particolarmente evocativi e dal sapore celtico, caratteristiche fanno parte anche del sound dei Nostri. Su questo tappeto di chitarre acustiche si inserisce la voce di Hansi, che ha il non facile compito di "sostituire" la delicatissima ed angelica voce di Maggie Reilly (per chi non la conoscesse è la stessa che canta nella più famosa "Moonlight Shadow"). Il tedesco se la cava piuttosto bene, in quanto è in grado, come sappiamo, di passare da timbriche ruggenti a timbriche decisamente più dolci e sognanti, come in questo caso in cui è anche aiutato dalle onnipresenti, ma non strabordanti sovraincisioni. Il ritornello è leggermente più vivace della prima strofa, lo si sempre soprattutto grazie alla strumentazione, ma anche dalla melodiosità che esso porta, una melodiosità sognante e avvolgente che ci fa quasi levitare e viaggiare col pensiero. E in effetti anche le liriche parlano di un viaggio: "Walking on foreign ground/ Like a shadow/ Roaming in far off/ Territory..." Dopo questa strofa ritorna il vivace ritornello che, in realtà, nasconde un qualcosa di molto più oscuro di quanto non si pensi: tutta la canzone infatti parla di un personaggio tragico (come piace ai Blind Guardian), parla di Mary Stuart, la famosa regina di Scozia decapitata al tempo di Elisabetta II con l'accusa di tramare dei complotti per detronizzare Elisabetta e riportare il cattolicesimo in Inghilterra. Perché allora la canzone cita la Francia? Questo perché Mary era sposata con Francesco II di Francia, ma alla sua morte dovette tornare in Scozia, da dove non se ne sarebbe più andata se non per morire. Ecco dunque svelato il significato del testo e perché esso ha un retrogusto così malinconico: "Never going to get to France/ Mary, Queen of Chance, will they find you?/ Never going to get to France/ Could a new romance ever bind you?" Mary non potrà più tornare in Francia, dovrà restare in Scozia, sperando che nessuno decida sul serio di metterla a morte. Alla luce di questo la canzone acquista un nuovo sapore, nonostante il suo incedere dalle tinte celtiche sia abbastanza solare, noi sappiamo che in realtà non è proprio così, e questa positività possiamo quasi attribuirla ai pensieri della regina, intenta ad immaginare come sarebbe viaggiare per scappare via lontano dalla sua opprimente e pericolosa vita. La canzone è anche impreziosita da un breve assolo di chitarra che ci ricorda quanto i Blind siano una band Metal. Chitarra elettrica che rispunta anche verso il finale, dove si affianca alla melodia celtica portante e la accompagna mentre lei accompagna a noi verso gli ultimi secondi del pezzo. Nel frattempo Hansi continua a ripetere il ritornello, ma solo a metà però, spezzandolo come verrà spezzata la vita di Mary Stuart.
Theatre Of Pain
La raccolta si chiude con "Theatre Of Pain (Teatro Del Dolore)" in versione orchestrale. In verità, la traccia, proveniente da "Somewhere...", era già molto sinfonica di per sé, essendo il primo esempio, almeno in casa Bardi, di un grandissimo utilizzo delle tastiere a scopi sinfonici. Una canzone molto importante, quindi, per comprendere il percorso musicale intrapreso dalla band. Qui il lato sinfonico diventa ancora più marcato, e anzi, la canzone si trasforma addirittura in una strumentale in cui anche le chitarre lasciano il posto al tripudio sinfonico. C'è da dire che le orchestrazioni, anche se non eseguite da una vera orchestra, sono davvero ben fatte, risultano avvolgenti e polifoniche: non c'è una sola linea di tastiere che esegue il pezzo, ce ne sono varie che si intrecciano e rincorrono mentre le percussioni, quando entrano in gioco, dettano ritmi medi. La canzone segue comunque la struttura e le melodie dell'originale, alternando però momenti più maestosi e ricchi di suoni sinfonici a momenti più calmi ed atmosferici, quasi di sospensione. C'è da ammettere che il lavoro dei Nostri è ottimo, per niente scontato e inoltre tradisce una passione per la pomposità, la musica classica, le sinfonie e le orchestre che emergerà ancor di più nei lavori futuri della band, portando anche a dichiarazioni coraggiose su un album totalmente orchestrale che però dovrebbe vedere la luce da anni, ormai. Insomma, un riarrangiamento piacevolissimo e, per certi versi, anche utile per capire alcune dinamiche.
Conclusioni
Tirando le definitive somme, "The Forgotten Tales" è una raccolta che può essere piacevole, ma essendo soltanto una raccolta si ferma necessariamente al suo ambito, non volendo aggiungere o togliere nulla in più di quel che un progetto del genere può effettivamente dire o dare. Certo, non è soltanto una semplice raccolta, non ci sono infatti i più grandi successi della band o i singoli più importanti; ci sono, come abbiamo visto, cover e riarrangiamenti. È dunque una raccolta particolare e curiosa, per così dire, la quale per lo meno si distanzia dai soliti progetti commerciali volti ad immettere sul mercato "qualcosa", proprio "per", senza mostrare alcun tipo di velleità se non quella di far cassa in attesa di un disco di inediti. Tutto il contrario di quel che "The Forgotten..." si propone, in quanto quel che abbiamo appena udito sembra essere un album destinato solo ed esclusivamente agli affezionati e ai collezionisti, solo a chi è veramente curioso di ascoltare i Blind Guardian destreggiarsi, non sempre benissimo, in canzoni lontane dal Metal o in altre poste sotto una veste diversa da quella con cui le si conosceva (come per esempio le versioni orchestrali o acustiche di alcuni brani). Non è certamente un album imprescindibile, è un "in più". È vero che gli arrangiamenti sono tutti molto belli e ben eseguiti, tant'è che le nuove versioni di pezzi come "Bright Eyes" e "Mordred's Song" risultano così ben fatte che viene voglia di riascoltarle anche prese singolarmente, fuori dal contesto della raccolta. "The Lord Of The Rings" orchestrale è riuscita anche ad imporre delle nuove liriche, racchiuse in un piccolo verso, che ancora oggi vengono cantate dal vivo, arricchendo quindi la versione originale. Con le cover, il discorso risulta però un po' diverso. Alcune, va detto senza mezzi termini, sono abbastanza inutili e lasciano il tempo che trovano, specialmente "Surfin' U.S.A." (la quale mostra almeno un tentativo di "metallizzazione") e "Barbara Ann/Long Tall Sally", risultanti invece come semplici copia delle storiche originali. Tutt'altro dire, invece, per le altre riproposizioni: le migliori cover del lotto risultano in questo senso "Mr. Sandman" e "To France". La prima perché è personalizzata come si deve, un pezzo vecchissimo suonato con chitarre aggressive e vocals ruggenti che danno un risultato spassoso, vista anche la volontà dei Blind Guardian di porsi in maniera comica e guascona; la seconda perché il sound dell'originale si sposa molto bene con quello di certi pezzi dei Bardi, con la sua atmosfera celtica e sognante, rendendo la prova dei nostri davvero niente male, perfettamente all'altezza del brano in questione, il quale ne esce a dir poco migliorato ed esaltato nei suoi suoni e nelle sue tematiche. Per concludere, siamo davanti a quella che in poche parole può definirsi come una pausa, una raccolta uscita per non far passare troppo tempo tra un album e un altro e per permettere quindi ai Blind Guardian di concentrarsi su quello che, all'epoca, sarebbe stato il loro lavoro più complesso, ossia "Nightfall In The Middle-Earth" (1998). Per il momento, dunque, i fan potevano godersi questa bizzarria mista comunque alla volontà di presentare versioni diverse / parimenti valide di loro grandi classici. L'estrema dimostrazione, da parte del Guardiano Cieco, di mostrarsi peer quello che in realtà è. Un gruppo incredibilmente versatile, capace comunque di non prendersi troppo sul serio e quindi di mostrarsi anche in vesti - passateci il termine - inusuali. Quale altra band Metal avrebbe, dopo tutto, avuto il coraggio di mostrarsi in vesti femminili come accaduto nel video di "Mr. Sandman"? Ben poche, se ci facciamo caso. Cioè di certo non riserverebbe a "The Forgotten..." un voto altissimo (siamo poco più oltre la sufficienza) ma è comunque, in misura minore di quanto ascolteremo "fra poco", indice della capacità dei Bardi di cimentarsi ogni volta in situazioni diverse, senza snaturarsi o comunque catapultarsi nel mero esercizio commerciale. Un lavoro da ascoltare se si è veri appassionati e, perché no, se si ha voglia di uscire dai soliti binari, provando nuove soluzioni, ogni volta differenti ed inedite.
2) Surfin' U.S.A.
3) Bright Eyes
4) Lord Of The Rings
5) The Wizard
6) Spread Your Wings
7) Mordred's Song
8) Black Chamber
9) The Bard's Song: In The Forest
10) Barbara Ann/Long Tall Sally
11) A Past And Future Secret
12) To France
13) Theatre Of Pain