BLIND GUARDIAN

Somewhere Far Beyond

1992 - Virgin Records

A CURA DI
CRISTIANO MORGIA
10/01/2017
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Con "Tales From The Twilight World" (1990) la strada verso il successo e la fama si apriva ormai abbastanza chiara davanti agli occhi dei Blind Guardian, così come l'inarrestabile percorso verso la maturazione artistica e la ricerca stilistica. Questo "Somewhere Far Beyond" esce due anni dopo il sopracitato lavoro (è la prima volta che la band lascia passare più di un anno tra una pubblicazione e l'altra), ma non più per la fallita "No Remorse Records", bensì per la potente e celebre "Virgin Records" (altro sintomo di un balzo in avanti), mentre produttore e studio restano gli stessi, ossia Kalle Trapp e i Karo Studios di Amburgo. Per quanto riguarda il lato strettamente musicale la band decide di non allontanarsi troppo dal sound di "Tales?", avendo ormai trovato una formula vincente e molto personale. Questo però non vuol dire che i quattro tedeschi si siano adagiati sugli allori, tutt'altro: pur restando nel solco tracciato due anni prima, i Guardiani aggiungono qualche nuovo elemento qua e là, come da loro abitudine, rendendo l'album abbastanza diverso dal precedente e decisamente più maturo e più studiato. Le tastiere hanno più spazio, anche se non sono mai preponderanti (eccettuato un episodio), parimenti gli sprazzi acustici, anch'essi sono più frequenti ed inglobati alla perfezione nelle tracce, anche in quelle più veloci e potenti. Al di là dei dettagli, sicuramente importanti, è proprio la qualità e la maturità dei pezzi in questione a risultare ancora una volta vincente. Tutte le caratteristiche sperimentate in "Tales?" vengono infattiqui ampliate e perfezionate. C'è un "di più" per ogni cosa: più cori, più parti acustiche, più tastiere, più armonie chitarristiche e più ricercate ecc.. L'affiatamento tra i membri della band è ormai innegabile e tangibile. Il loro Power ora non è più così canonico, acquista ancor più personalità ed originalità; inoltre resta potente e roccioso, e anzi, se vogliamo è anche più pesante ed aggressivo rispetto a quanto espresso nell'album precedente. Qui infatti, quell'energia e quella solarità che alcune tracce precedenti avevano, viene abbandonata quasi del tutto, lasciando il posto ad un'aura di mistero e di oscurità che pervade un po' tutto il lavoro. C'è sicuramente qualche episodio più solare, ma l'atmosfera generale è più votata alla drammaticità, alla malinconia e, appunto, all'oscurità. Tutto questo è favorito anche da una produzione che mette particolarmente in risalto le chitarre di Olbrich e Siepen, rendendole più taglienti che mai; anche il basso di Hansi è più udibile rispetto al recente passato, soprattutto nei momenti più aggressivi e pesanti dell'album, dove il Nostro va a mettere l'accento. Niente di nuovo, invece, per quanto riguarda la batteria di Thomen Stauch, perfettamente bilanciata e riconoscibile come sempre. "Somewhere.." è un album importantissimo anche per un altro fattore, non soltanto per la sua bellezza indiscussa e per il nuovo step intrapreso dalla band, ma anche perché è proprio da qui che i 4 prenderanno il celebre soprannome di "Bardi di Krefeld" o più semplicemente di "Bardi": già dal debutto la band avrebbe potuto tranquillamente guadagnarsi questo appellativo per il loro modo di fare musica e di narrarla, ma in questo frangente discografico è proprio una canzone a favorire quest'associazione. Sto parlando di una delle canzoni più famose della band: non a caso, sto parlando di "The Bard's Song: In The Forest"; una canzone che, a dispetto del titolo, nasconde un certo autoreferenzialismo. Ma l'analizzeremo meglio in seguito. Tra l'altro anche in questo disco troviamo Kai Hansen come ospite, ma solo alla 6-corde per un assolo, andando a diminuire quindi il suo apporto. Di fatto questo sarà l'ultimo album dei Blind che lo vedrà come ospite. Una prova particolarmente degna di nota è data da Hansi dietro al microfono: nell'album precedente il cantante ha forse raggiunto la maturità ed il suo timbro caratteristico, ma non è detto che dopo la maturità non si possa migliorare; ed è proprio quanto fa il Nostro, regalandoci quelle che forse sono le sue prove vocali migliori di sempre, almeno fino al periodo in questione, dato che Hansi dimostrerà di poter incredibilmente migliorare ancora e ancora nei due album che seguiranno. Il tedesco si dimostra nuovamente un cantante molto versatile, capace di passare da vocals più acide e sporche a vocals più pulite e delicate, che si sposano alla perfezione con il comparto lirico, sempre curatissimo e di altissimo valore, sempre strettamente legato agli universi Fantasy e anche fantascientifici. Insomma, un altro album di assoluto spessore che innalza ed evidenzia ancora di più le capacità, già ottime, dei Blind Guardian, aggiungendo un altro gradino, anzi, un altro "gradone", al loro cammino verso l'Olimpo del Metal. Passiamo ora ad un'analisi approfondita di quanto detto finora.

Time What Is Time

"Time What Is Time" (Il Tempo.. Cos'è Il Tempo?) presenta sin da subito delle novità, essendo introdotta da delle chitarre acustiche, a tratti delicate, a tratti sinistre, che si intrecciano per i primi 40 secondi circa. Giusto il tempo di renderci conto dell'inizio dell'album e di immergerci in un'atmosfera misteriosa. All'improvviso infatti un riff pesantissimo e dannatamente thrashy piomba dal cielo e rompe la quiete; anche il basso di Hansi è ben presente, qui contribuendo alla riuscita dell'instaurarsi di un bzckground opprimente. Una breve progressione su queste coordinate e su tempi medio-veloci si abbandona presto alle melodie di André Olbrich, le quali invece smussano di molto i toni del pezzo, essendo abbastanza malinconiche e quasi sognanti. Sensazioni che si riconfermano nella prima, brevissima strofa, in cui Hansi canta con una timbrica pulita ed evocativa, salvo poi passare in un attimo a timbriche sporche ed aggressive nella strofa seguente. Strofa che fa riemergere le ritmiche veloci e serrate ed in cui viene a delinearsi subito il tema della canzone: "The things she remembered/ Had never been her own/ Replicant or human?". Chi è un fan della fantascienza avrà già capito. La canzone prende infatti spunto dal romanzo fantascientifico "Il cacciatore di androidi" (1968) di Philip K. Dick, da cui è stato tratto  l'ancor più famoso film "Blade Runner" (1982), di Ridley Scott. Siamo in un futuro post-apocalittico, un futuro in cui gli umani devono convivere con gli androidi, chiamati qui replicanti, appunto. Tutta la storia gira intorno al cacciatore di taglie Rick Deckard, che deve catturare alcuni replicanti fuggiti da una colonia extra-mondo e "ritirarli", ossia eliminarli del tutto. Sia nel film, sia nel romanzo ci sono però molti risvolti esistenziali, momenti in cui si riflette sulla vita, anche dal punto di vista di un replicante, umano nella forma ma non nella mente e nell'anima che non ha. Quei versi che ho citato più su fanno riferimento proprio al fatto che ai replicanti viene inserita una memoria artificiale con dei ricordi falsi, dandogli la sensazioni di aver vissuto una vita vera a tutti gli effetti, rendendo labile il confine tra ciò che è vero e ciò che finto. In ogni caso la strofa continua, accelerando sempre di più fino all'esplodere del bellissimo ritornello in cui Hansi dialoga con i soliti cori. Un ritornello davvero ben fatto e memorabile, apparentemente semplice ma in realtà ben costruito e possedente un lato emotivo non indifferente. Già, perché anche qui è il tema esistenziale a farla da padrone, il problema dello scoprire la verità su sé stessi (siamo macchine o no?) mentre il tempo scorre inesorabile. Vi ricordo infatti che i replicanti hanno soltanto 4 anni di vita. Dopo il ritornello la canzone cambia decisamente atmosfera e rallenta il tiro, con Hansi che si adagia su queste ritmiche lente e quasi atmosferiche, con la sua voce che si fa più melodica e quasi triste. Dopo solo un paio di versi però i riff tornano ad essere granitici, pur mantenendosi cadenzati e le backing vocals vengono a dare manforte, così come Hansi ritorna su vocalità aggressive mentre canta il dramma dello stesso Deckard, messo di fronte a delle scelte e a dei dubbi: "?Who can say what's wrong or right?" e ancora "?I know it's all a lie?". A questo punto parte l'assolo di André, melodico ma conservante una certa dose di malinconia, in linea con quanto espresso finora. Nella breve strofa seguente invece Hansi resta su toni aggressivi, dando maggiore slancio ad un ritornello che, mantenendo la stessa melodia, questa volta contiene liriche piuttosto diverse, più fatali e terribili. Deckard è stato ingaggiato per uccidere i replicanti e così farà, ma nello stesso tempo sembra invitarli a fuggire da lui, anche perché egli si innamora di Rachel, una replicante: "?Come lock the door don't let me in/ I am the one your destiny?". Un nuovo assolo di André viene a porre l'accento su questo momento decisivo, alternando, come suo solito, momenti veloci e virtuosi a momenti più distesi e melodici in cui fanno anche la comparsa le chitarre acustiche in sottofondo. Un contrasto che sembra descrivere appieno quanto succede nella mente di Deckard. La nuova strofa è una delle più belle ed enfatiche di tutto il pezzo, questa volta è proprio un replicante a parlare, forse è proprio Roy Batty (quello protagonista del celebre monologo del film: "io ne ho viste cose.."), il replicante più deciso e carismatico del gruppetto di fuggitivi, che in questi versi fa la sua dichiarazione d'amore alla vita, nonostante egli sia soltanto un robot, e ne sia consapevole. Sente anche di amare tutto quello che ha vissuto e ha visto, anche se ogni cosa è destinata a finire. I 4 anni sono ormai passati ed "è tempo di morire". Come ultimo atto però, il replicante chiede a Deckard di guardarlo negli occhi e di sentire la paura, la paura vera di un essere che sa di essere in procinto della sua dipartita, dipartita che però sembra essere accettata proprio negli ultimi secondi di vita e della strofa: "Look into my eyes/ Feel the fear just for a while/ I'm a replicant and I love to live/ Is it all over now/ Only these years/ I'll leave but I'm singing". Torna quindi il ritornello, di nuovo liricamente diverso dalle esecuzioni precedenti ma sempre enfatico ed arrembante, guidato da un Hansi più espressivo che mai in continuo dialogo con i cori. La coda delle canzone è un altro dei momenti più belli del pezzo e di tutto l'album: su un tappeto di tastiere eteree e distanti ritroviamo gli arpeggi acustici di inizio pezzo, sui quali si erge il solito Hansi in una sorta di monologo tragico in cui la sua voce è grave, melodica e triste, aiutata anche dalla sovraincisione della stessa (una tecnica questa che i nostri useranno sempre più spesso). Un finale davvero evocativo che lascia la canzone su lidi piuttosto cupi e non le dà un lieto fine, abbandonando Deckard, dopo tutto quello che ha passato e visto, sempre più pieno di dubbi esistenziali.

Journey Through The Dark

La seconda traccia continua a pigiare sull'acceleratore e lo si capisce sin da subito. "Journey Through The Dark" (Viaggio Nell'Oscurità) inizia infatti senza troppi fronzoli, subito carica, veloce e ricca di riff serrati. Quando Hansi comincia a cantare aggressivamente la canzone si fa ancora più potente e veloce, guidata dalla furente batteria di Stauch. Tutta la prima strofa è così, una corsa incessante e quasi nervosa verso non si sa cosa. Forse verso la verità. Il protagonista della canzone è infatti qualcuno, un bardo a quanto pare, che ha dimenticato la sua identità, magari dopo un viaggio nel tempo. Sembrerebbe un'altra storia inventata da Hansi, però c'è anche qualche riferimento, molto implicito a dir la verità, a Jhary-a-Conel, un personaggio creato da Michael Moorcock (uno degli scrittori che più ha influito sull'immaginario della band). Le liriche però sono chiare per quanto riguarda l'aver perso la memoria e l'identità: "?Try to find them/ All the lost thoughts in my mind?" e ancora "?Frozen memories laughing/ They don't let me find the truth/ Am I born to be a king/ Or a jester of the fools". A rispondere alla domanda ci pensa direttamente il ritornello, che arriva quasi all'improvviso mantenendosi sulle veloci ritmiche che lo precedono. Un ritornello completamente corale e quasi anthemico nel suo incedere. Un ritornello semplice ed efficace che porta anche la risposta ai dubbi esposti prima: "You're the mystical old bard/ on your journey through the dark?". Nella strofa che segue però tornano i dubbi del personaggio, il ritornello non è dunque bastato a dargli delle delucidazioni. Troviamo quindi un rallentamento inaspettato, la canzone si fa per un attimo più cadenzata mentre Hansi si diletta in linee vocali quasi oniriche, una specie di lamento che vuole uscire dall'oscurità e tornare indietro con le risposte a tutti i dubbi: "I can't remember my name/ I never knew how to find my home/ I can't remember my name?". Già alla seconda traccia ci rendiamo conto che ai Blind Guardian comincia a piacere molto spezzare il ritmo delle loro canzoni, inserendo rallentamenti e cambi d'atmosfera che rendono i pezzi più vari e maturi. Nella seconda parte della strofa la canzone ritorna sulla velocità iniziale, con un Hansi ancora più arrabbiato e deciso che ci guida fino agli ultimi due versi corali, dei versi davvero catchy che inesorabilmente riportano al ritornello, il quale ancora una volta cerca di dare una risposta al nostro personaggio. A metà canzone circa parte puntualissimo l'assolo di Olbrich, veloce ed eccitante, aiutato anche da Siepen in alcuni momenti più armonici. Il nostro personaggio però sembra non recepire tutti i messaggi che gli arrivano e continua ad essere disperato, perfettamente interpretato da un Hansi tagliente e a tratti acido: "I can't remember/ Will I ever find myself/ The distance is growing/ My hope has gone away?". Alla fine della strofa si sentono anche dei cori in sottofondo, come a dare manforte all'ormai rassegnato protagonista. Un altro assolo di Olbrich, ancora più veloce e nervoso del precedente, sembra arrivare proprio al momento giusto, per dare un'ulteriore spinta al bardo mistico della canzone; una piccola spinta che magari potrà finalmente ridonargli la memoria facendogli ricordare chi sia, se un eroe, nel caso fosse Jhary-a-Conel (un'incarnazione del Campione Eterno), oppure un semplice bardo. La strofa seguente infatti presenta un'apertura melodica un po' più marcata rispetto alle altre, quasi positiva, ma non porta con sé una vera e propria risposta, anzi, sembra quasi che il protagonista si rassegni a questo destino di oblio eterno, nonostante in lui ci sia ancora qualche spinta verso la verità ed il ricordo. Quindi il ritorno del refrain non basta, ancora una volta, a dargli una risposta. Il pezzo si chiude definitivamente con una melodia molto ricercata di Olbrich, quasi eroica, per dare un ultimo sostegno al personaggio nel suo viaggio, non ancora terminato, nell'oscurità.

Black Chamber

"Black Chamber" (Camera Nera) è invece un piccolo esperimento. La canzone, scritta esclusivamente da Hansi, dura meno di un minuto ed è una ballata composta soltanto di piano e voce. Una novità assoluta in casa Blind Guardian. Le liriche sono piuttosto oscure e drammatiche, e trovano nella performance vocale di Hansi la loro essenza, nonostante ci siano delle flessioni di serena rassegnazione. Probabilmente la storia è inventata dal tedesco, ma, come spiegato da lui stesso in un'intervista, ha a che fare con il mondo di Twin Peaks, una cittadina fittizia protagonista di un'omonima serie televisiva americana dei primissimi anni '90. La narrazione è in prima persona, in modo da farci leggere direttamente nella mente del protagonista, il quale canta di una possessione e di una cattura da parte di una creatura  che lo tiene prigioniero nella camera citata nel titolo: "I am lost in the black chamber/ There's no way to turn back?". Non c'è scampo insomma, inoltre veniamo a sapere che questa "vecchia creatura" ha organizzato tutto a puntino per prendere l'anima del protagonista: "?I'm possessed by the old creature/ Who has planned all/ To take my soul". In questo preciso istante il pianoforte si velocizza leggermente, insieme alle linee vocali, facendoci pensare ad una sorta di lieto fine o di svolta positiva, ma non è così, anzi, questa apparente positività è forse data da una specie di rassegnazione che fa capire all'Io narrante che ormai è perduto e non c'è molto da fare. Proprio verso la fine però Hansi alza il tono della voce e la rende più sporca, come per un disperato moto di ribellione. Aiutato anche qui dall'overdubbing, sembra come che voglia far uscire la sua voce dalle pareti che lo circondano. In quel modo almeno una parte di lui sarebbe salva, dispersa nell'aria. Ma purtroppo non c'è più niente da fare, ormai. Hansi ce lo dice con le ultimissime parole del pezzo, tristi e sommesse: "I'm gone?".

Theatre Of Pain

"Theatre Of Pain" (Il Teatro Del Dolore) è un'altra sorpresa dell'album, un'altra canzone dove la band si diverte a sperimentare nuove soluzioni. Riuscendoci, tra l'altro, alla grande. La sorpresa arriva immediatamente, al suono di sfavillanti e solari tastiere, quasi regali, che donano un grandissimo tocco sinfonico alla traccia. Qui sì, le tastiere risultano preponderanti e non vengono più usate soltanto come un sottofondo. Anche le percussioni si uniscono alla fanfara, dettando tempi medi con i timpani, mentre André si lascia andare ad un assolo più fluente e sanguigno del solito, come se imitasse le onde di un mare calmo. Cito il mare non a caso, anche questa traccia infatti è ispirata ad un romanzo Fantasy, per la precisione a "The Merman's Children" (1979) di Poul Anderson, un romanzo ambientato proprio sotto i mari di Danimarca, nel regno dei Merfolk, un regno di tritoni e sirene che deve sopravvivere all'arrivo del Cristianesimo. Finito l'assolo la canzone si assesta su tempi cadenzati, guidata dal solito Hansi che con il suo timbro alternante momenti ruvidi e sporchi a momenti più delicati e dolci (come quelli in overdubbing) comincia a farci immergere, letteralmente potremmo dire, nella vicenda.  Le liriche infatti già cominciano a delineare uno scenario piuttosto tragico e desolante, che quasi contrasta invece con l'andamento della canzone e delle tastiere che la sorreggono; alcuni versi sono molto esplicativi in questo senso, facendoci capire la situazione in cui si ritrovano i Merfolk, costretti a dover convivere con qualcosa di nuovo che non capiscono (il Cristianesimo) e che si rivela addirittura aggressivo nei loro confronti, costringendoli anche a dover vagare in cerca di una nuova dimora: "?They all knew what it meant/ But they couldn't change it?" e ancora nella seconda strofa: "It's all gone/ What is left behind/ On a desert we called earth/ When the last whale went away?". Versi drammatici che esprimono desolazione ed un certo smarrimento. All'improvviso però le tastiere si innalzano boriose, come delle potenti onde che si infrangono sugli scogli, andando ad introdurre il solito ritornello corale, il quale risulta ottimista, solare ed incoraggiante, nonostante anch'esso nasconda negli ultimi versi una vena tragica. Le sinfonie si stemperano un po', la marea si è ritirata, lasciando brevemente spazio al basso e ai lenti e cupi riff di Olbrich e Siepen. Questa piccola sezione introduce una nuova strofa, in cui le tastiere ancora si rincorrono veloci in sottofondo e Hansi rivela il suo lato più melodico e pulito, coadiuvato ancora una volta dalle sovraincisioni. Si sarà ormai capito come questa traccia risulti davvero innovativa nel sound dei Guardiani, andando ad anticipare, e a testare, molte cose che verranno usate molto più ampliamente in seguito. L'assolo di André è simile a quello introduttivo per quanto riguarda le sue caratteristiche, molto melodico e fluido, che lascia un po' da parte le note più veloci e taglienti. La strofa che segue però è forse la più tragica di tutto il pezzo, sia per come viene cantata da Hansi, sia per i versi che contiene, i quali trovano la loro espressione più ideale proprio nella voce del tedesco, andando a dimostrare tutta la sua grandissima abilità interpretativa; versi in cui la spinta incoraggiante del ritornello sembra essere scomparsa, il Cristianesimo è una novità troppo grande da contrastare, non c'è più spazio per le sirene e per le altre creature fantastiche, anche perché gli esseri umani, con cui prima vivevano in pace, si sono fatti convincere da un prete a non avere più contatti con loro. Sembra proprio tempo di andare, dunque: "Now I'm gone/ And it seems that life has never existed/ So we left the dark and cold/ All I left behind are my tears". Nel momento più tragico della canzone tornano però le tastiere ed il teatrale ritornello, in cui i cori risultano più esplosivi e pieni che mai. Forse, però, non basta.. e la canzone si chiude con un tappeto di tastiere piuttosto cupo ed una nota molto malinconica, quasi un lamento, che esce fuori dalla chitarra di André. Il cambiamento non può essere fermato, così come non può essere fermata la spinta evolutiva della band. E siamo ancora alla canzone n°4. 

The Quest For Tanelorn

Un leggerissimo tappeto di tastiere, sinistro e cupo, e una serie di arpeggi altrettanto cupi introducono "The Quest For Tanelorn" (La Ricerca Di Tanelorn). A questi arpeggi si aggiunge un'evanescente melodia chitarristica che sembra svanire non appena entra in gioco Hansi, ma in realtà continua a suonare sotto di lui, quasi dialogandoci. La prestazione di Hansi è particolare e inusuale, pulita e melodica ma molto piena e compatta e un po' oscura, una prestazione da vero cantore, da vero bardo. In questa prima strofa si cominciano a delineare i tratti principali del pezzo, ossia la ricerca della mitica città Tanelorn da parte del Campione Eterno, entrambi elementi usciti fuori dalla mente di Michael Moorcock (autore da cui la band ha preso ispirazione già per altre canzoni, come si ricorderà). Tanelorn è la citta che tutte le incarnazioni del Campione Eterno di ogni tempo e spazio (compreso Elric di Melniboné) cercano disperatamente, in quanto è l'unica città in cui possono trovare riposo e conforto dal peso delle loro responsabilità cosmiche. Il problema però è che nonostante si dica che la città sia raggiungibile da ogni dimensione del Multiverso, per chi la voglia raggiungere, molti falliscono nell'intento o la trovano soltanto dopo lunghissime ed estenuanti ricerche, essendo una città che sparisce e riappare in continuazione nello spazio e nel tempo. Non una ricerca facile dunque, e i toni cupi della canzone ce lo confermano. Quando sta per scoccare il minuto la canzone cambia e lascia da parte le velleità acustiche: la batteria incombente e minacciosa introduce un riff  Thrash monolitico ed opprimente, come la responsabilità dei Campioni di mantenere l'equilibrio tra Ordine e Chaos. Questo però si trasforma in una melodia chitarristica che lancia la canzone verso la cavalcata in perfetto stile Blind Guardian con un Hansi ruvido ed aggressivo sugli scudi che narra la disperata ricerca di un Campione generalizzato: "He tries to conquer it/ Again and again/ But at last he's almost/ A ruined man/ Not a king or God/ Who's searching for/ A place called Tanelorn/ Far beyond your dreams". Dopodiché arriva improvvisamente il ritornello, un ritornello sempre corale, lento, dalle tinte ariose ed epiche ma nello stesso tempo anche oniriche e distese che sembrano espandersi per tutto il Multiverso, cercando un appiglio che possa portare a Tanelorn per liberarsi dallo smarrimento: "On our quest for Tanelorn/ We lose our way?". La canzone riparte veloce e tagliente, soprattutto per quanto riguarda il lato canoro (Hansi non è mai stato così tagliente e graffiante), dando il via ad un veloce ma brevissimo assolo dell'ospite fisso Kai Hansen. L'assolo però è, come appena detto, brevissimo e fa da introduzione ad un momento molto particolare che rende la canzone ancor più variegata. Canzone che già fin qui, comunque, si è dimostrata piuttosto imprevedibile, passando dai momenti acustici introduttivi alle cavalcate serrate per arrivare all'ennesimo cambio con il ritornello. Questo momento, difatti, è davvero particolare e rappresenta una novità per il sound dei Blind, ossia l'utilizzo del latino all'interno di una canzone: le velocità si stemperano e tornano gli arpeggi e le melodie sommesse che avevamo apprezzato all'inizio, tutto mentre i cori, qui gravi e pacati, cantano ossessivamente e sempre più forte "spiritus sanctus, vita aeterna?"; Al contempo però Hansi continua con la sua disperazione, il Campione è circondato dall'oscurità, sembra non riuscire nella sua ricerca ed abbandonarsi alla negatività che lo circonda, arrendendosi. Così come testimoniano anche la strofa seguente e, nuovamente, il ritornello. Un nuovo assolo di Kai torna però a dare linfa al Campione e anche alla canzone, riportandola su ritmiche veloci. L'assolo è inoltre davvero bello, veloce ed eccitante, uno dei migliori di tutto l'album. Così la nuova strofa segue le coordinate stilistiche di quelle già apprezzate ad inizio canzone, e così fa quella che si lega ad essa, andando però a narrare, con versi molto più esplicativi ed espressivi, la tragedia e la ricerca incessante del Campione Eterno, stanco e pieno di responsabilità ma che decise comunque di imbarcarsi (speranzoso di trovare la pace) per una ricerca dall'incerto lieto fine che forse lo stancherà ancora di più: "To know the truth/ Just for a while/ He's longing for a place/ Where he can find himself/ Deliverance/ It could be everywhere/ How can he find/ He's waiting for me/ And for you/ Tanelorn". Il ritornello ritorna puntualmente, con la sua epicità dal retrogusto onirico, a testimoniare che giunti a fine canzone il Campione non è però giunto alla fine della sua ricerca, lasciandolo quindi ancora solo e affamato di pace e tranquillità. 

Ashes To Ashes

La traccia n°6 risponde al nome di "Ashes To Ashes" (Cenere Alla Cenere) ed è l'unica a non prendere ispirazione dal Fantasy, dalla Fantascienza o dall'Horror. La canzone infatti prende spunto da fatti reali, in questo caso da un episodio assai tragico: la morte del padre di Hansi. Il tedesco ne fa una riflessione generale sullo scorrere del tempo e sulla morte stessa. Ci si potrebbe aspettare una ballata triste, invece questa è una delle canzoni più rabbiose e furenti di tutto l'album e una delle mie preferite, nonostante sia un pezzo abbastanza "dimenticato". L'inizio della canzone è ancora una volta oscuro e sinistro, come nella traccia precedente, ma non ha più quell'aura di mistero tipica di un immaginario Fantasy, è un'oscurità tutta reale e tangibile, quella che nasce dallo scorrere incessante del tempo che porta inevitabilmente verso un solo fine, ovvero la morte. Le sinistre tastiere iniziali, oltre a donare quest'aura opprimente, sembrano anche imitare il ticchettio dell'orologio della vita che scorre e si appresta a suonare la mezzanotte. Anche la batteria sembra partecipare, scandendo lenti colpi di grancassa simili al battito di un cuore, mentre dei vocalismi filtrati ed incomprensibili contribuiscono ancora di più ad incupire il tutto. L'arrivo di nervosi riff simil-Thrash non fanno altro che aumentare la tensione, la quale esplode quando questi riff aumentano di potenza, aiutati dal ben udibile basso di Hansi. I riff poi non perdono l'occasione di lasciarsi andare liberi a grandi velocità, salvo essere interrotti dalla sentenziosa voce del cantante e da un rallentamento generale del pezzo: "Taste the poison/ Feel that this is life/ Hallowed be the game". Le backing vocals fanno ripartire ancora una volta il pezzo verso ritmiche veloci, guidato dalle scorribande di André Olbrich e da un Hansi sempre più arrabbiato e minaccioso. La strofa prosegue proprio così, con i continui botta e risposta tra Hansi e le voci di Olbrich e Siepen che cantano dell'approssimarsi della morte, un'ospite ben poco accetto che bussa alle nostre porte e che è andata a trovare proprio il padre del cantante tedesco. Viene usata proprio la metafora dell'orologio; tra l'altro, una volta giunta la fine gli unici luoghi che resteranno saranno Inferno o Paradiso: dopo anni e anni di vita ciò che resta è il dubbio definitivo sulla destinazione finale. Il ritornello che segue ha due anime, una più calma, lenta e riflessiva, l'altra più simile al resto della canzone, quindi veloce ed arrabbiata. Quello che non cambia è ciò che recita: "?Ashes to ashes, dust to dust/ When the life clock strikes you obey/ Time isn't here to stay/ Ashes to ashes, dust to dust". Cenere alla cenere, polvere alla polvere. Una melodia di André ci porta alla strofa seguente, sempre ricca di riff serratissimi, in cui Hansi continua con le sue liriche tragiche e senza speranza che vanno a descrivere proprio l'ultimo momento dell'essere umano: "Too late to say goodbye/ Too late/ The last breath's done?". Il momento esatto in cui la morte sopraggiunge ed è troppo tardi per pensare a qualsiasi cosa, troppo tardi per dire addio, appunto. Ma proprio in quell'esatto momento, quando ogni speranza è svanita e l'ignoranza su ciò che accadrà regna, arrivano delle parole incoraggianti. Il finale della strofa infatti è più aperto e più Power in senso lato, aprendosi ad una soluzione più melodica e distesa accentuata dal lavoro solista di André: "?And don't be afraid/ To step into the dark/ Be sure that my voice/ will take you home". Una voce sembra incoraggiare l'uomo nel suo salto nel buio, che sia Dio? Non lo sapremo mai, per lo meno, non ora. Il ritornello però riporta la canzone su toni pessimistici, salvo poi essere a sua volta interrotto da un vivace e vario assolo di Olbrich, un assolo ricco di sfumature e velocità diverse in cui sembra chi il chitarrista sembra dialoghi con sé stesso. Da segnalare poi l'ottimo apporto di Stauch dietro le pelli, anch'esso vario e vivace. La strofa che segue però sembra non risentire della spinta dell'assolo e riporta il nostro pensiero per l'ennesima volta verso il pessimismo ed il nichilismo, andando addirittura a dubitare dell'operato di Dio, additato come un qualcuno che ormai si è arreso da tempo. André però non si perde d'animo e con la sua chitarra sembra voler bilanciare il pessimismo del suo collega e amico. Questa volta sembra riuscirci: "The clock has struck the end/ Up to heaven?". Dunque il dubbio di inizio canzone sembra svanire proprio ora, il salto nel buio si trasforma in un'ascesa verso la luce, verso il paradiso.  Il ritornello però torna come un monito, dobbiamo sempre ricordare quel mantra "cenere alla cenere, polvere alla polvere", non c'è niente da fare. La canzone si chiude proprio con i versi iniziali, quelli in cui la vita viene accostata ad un veleno. A quanto pare quello sprazzo di luce non è bastato a portare il pezzo verso un'atmosfera più serena, lasciandolo così immerso nella cupezza e nel pessimismo.

The Bard's Song - In The Forest

Arriva dunque il momento del classico dei classici, della canzone dei Blind Guardian forse più conosciuta in assoluto ed uno dei picchi emotivi dell'album. Arriva il momento di "The Bard's Song - In The Forest" (La Canzone Del Bardo - Nella Foresta), la canzone che li consegnerà alla storia dandogli anche un soprannome che li marchia tutt'ora; è proprio da qui infatti che i Nostri cominceranno ad essere chiamati "i Bardi di Krefeld" o semplicemente "i Bardi", grazie anche ad un testo che sembra proprio parlare di loro. Musicalmente parlando la canzone è un altro piccolo esperimento, essendo una ballata completamente acustica dalla tinte medievaleggianti. La forma della ballata era già stata provata nell'album precedente, con grandissimo successo, ma ancora facevano capolino le chitarre elettriche. Qui, invece, i Bardi si spingono ancora più oltre accantonandole completamente e facendo fuoriuscire tutto il loro lato evocativo e magico. Sorretta da malinconici arpeggi comincia la canzone, con dei versi celeberrimi (cantata da un ottimo e melodico Hansi) che ogni fan conosce a memoria: "Now you all know/ The bards and their songs/ When hours have gone by/ I'll close my eyes/ In a world far away/ We may meet again/ But now hear my song/ About the dawn of the night/ Let's sing the bards' song". Questi versi sembrano proprio descrivere l'attività dei Blind Guardian, qui impersonate nella figura del bardo. Ogni fan ormai conosce le loro canzoni, grazie alle quali è possibile viaggiare in altri mondi, soltanto chiudendo gli occhi e lasciandosi andare alla musica, dalla Terra di Mezzo a Melniboné e così via. Nel ritornello confluisce tutta la cantabilità della canzone, essendo un refrain davvero memorabile al quale non si può dire di no. Sotto il tappeto acustico i cori sembrano ancora più udibili ed eroici, nonostante portino con sé una certa atmosfera crepuscolare, ottima per cantare il pezzo intorno ad un fuoco, magari in mezzo ad una foresta. Neanche il ritornello disdegna l'autoreferenzialità, anzi, qui sembra far riferimento alle attività live della band, sempre in giro a concertare e a far conoscere le loro magnifiche canzoni magiche, grazie alle quali ogni paura che ci affligge oggi può scomparire; nei momenti difficili possiamo sempre immergerci nella musica ed andare a trovare personaggi e mondi che mai troveremmo nella noiosa e grigia vita reale, possiamo evadere (per usare un concetto caro al Maestro Tolkien). Marcus e André si rincorrono per un po' con le loro chitarre, ma ecco riapparire Hansi con dei versi che sembrano anticipare il tema della canzone successiva ("There's only one song/ Left in my mind/ Tales of a brave man/ Who lived far from here?"), che sarà su Lo Hobbit. Questa strofa però ha anche un lato abbastanza triste, poiché il Bardo qui ci dice che le sue canzoni sono terminate ed è arrivato il momento di lasciarci. Proprio come ad un concerto, siamo lì estasiati e felici, ma ad un certo punto ci rendiamo conto che manca soltanto una canzone, dopo la quale tutto sarà finito e i Bardi se ne andranno. Fantastici ed evocativi arpeggi sorreggono ancora una volta il ritornello, cantato tutte le volte da folle intere. Il ritornello questa volta cambia leggermente liriche, ma esponendo nuovamente lo stesso concetto visto più sopra, ossia la musica come compagna, come ancora di salvezza che resterà per sempre, anche quando il concerto sarà finito e la band se ne sarà andata: "Tomorrow will take us away/ Far from home...". Insomma, il Metal come rifugio, un concetto bellissimo presente fin dai tempi dei Manowar. L'ultima strofa presenta un'apertura melodica più marcata, favorita anche dall'apparizione di alcuni archi in sottofondo. Abbiamo passato la notte a cantare insieme ai Bardi nella foresta, ora i primi raggi di Sole attraversano le fronde degli alberi, la canzone sta per finire e loro se ne andranno, non senza averci lasciato un messaggio fondamentale però; è proprio in questo momento che ci rendiamo conto di una verità, il concerto, o un eventuale album, sarà anche finito, ma le canzoni resteranno per sempre nella nostra mente, e con esse anche la fantasia, colonna portante dei Blind Guardian e della loro "filosofia". Basta soltanto chiudere gli occhi: "In my thoughts and in my dreams/ They're always in my mind/ These songs of hobbits, dwarfs and men/ And elves/ Come close your eyes/ You can see them too". 

The Bard's Song - The Hobbit

Si prosegue con "The Bard's Song - The Hobbit" (La Canzone Del Bardo - Lo Hobbit), pezzo che porta metà del titolo della canzone precedente ma che se ne discosta di molto per quanto riguarda le sonorità. E' evidente sin dall'inizio, con i riff cadenzati e rocciosi che si accompagnano alle melodie solistiche di Olbrich. Hansi accantona le timbriche pulite per lasciare nuovamente spazio a vocals più graffianti, mentre i cori dialogano costantemente con lui, soprattutto nei tre versi finali della strofa, che potrebbero quasi prendere il posto del ritornello, altrimenti assente nella canzone (una novità anche questa): "?Blind in the dark dungeon's night/ So God please take me away from here/ And Gollum shows the way right out". Come si sarà capito la canzone porta l'influenza di Tolkien, questa volta però non è solo un episodio ad essere preso in considerazione, ma è tutto il romanzo Fantasy "Lo Hobbit" (1937). La canzone è infatti un riassunto di tutta l'opera, quasi ogni vicenda del libro trova spazio in questa canzone, riuscendo ad amalgamare tutto in neanche 4 minuti di musica. Si va quindi dall'episodio degli "enigmi nell'oscurità" tra Bilbo e Gollum stesso, all'episodio dei Troll pietrificati dal Sole; dalla cattività presso Re Thranduil alla distruzione portata dal drago Smaug e via dicendo. Tutto ha posto, qui, senza per forza seguire un filo logico. Tutta la canzone è narrata sotto il punto di vista di Bilbo Baggins, il vero protagonista dell'opera, il quale nella strofa seguente realizza un affresco di quanto successo prima dell'inizio del "viaggio inaspettato", ossia della presa di Erebor da parte di Smaug. Poi però lo hobbit salta subito ad un episodio che succede molto dopo, cioè il furto dell'Arkengemma, un oggetto prezioso reclamato dal nano Thorin e che rischiava di farlo impazzire. Anche in questa strofa i cori sono in costante dialogo con Hansi. Improvvisamente arriva un'accelerazione guidata da riff melodici e dalla rocciosa batteria di Stauch. Su queste ritmiche Hansi/Bilbo ci racconta proprio gli episodi citati prima della cattività presso gli elfi e di quella presso i troll, poi pietrificati. L'accelerazione però non dura molto e lascia spazio ad un breve assolo melodico e leggermente malinconico che rappresenta un po' la solitudine di Bilbo, lontano dalla sua casa ed immerso in un'avventura molto più grande di lui, affrontata con dei compagni di viaggio con cui fatica a legare. L'ultima strofa narra degli ultimi eventi del romanzo, quando Thorin, "il re sotto la montagna", rischia di far scoppiare una guerra tra nani da una parte ed elfi e uomini da un'altra, pur di non condividere con nessuno l'immenso tesoro costudito nella sale di Erebor, ora libere dopo l'uccisione di Smaug. Per uno hobbit una guerra talmente stupida è inaccettabile, soprattutto quando si viene da una vita passata nella tranquilla campagna a mangiare, a coltivare ed a bere. Per questo sarà proprio Bilbo a cercare una soluzione: "By the spell of gold/ The king under the mountain/ Will risk the great war/ Oh what a fool/ He's losing control/ So I am trying to find a way?". La soluzione è quella di offrire proprio l'Arkengemma agli elfi in cambio della fine dell'assedio. La battaglia tra nani ed elfi non avrà comunque luogo, perché ben presto arriva un pericolo più grande ed un nemico comune da combattere, ovvero gli orchi. A questo punto ritornano quei versi corali simili ad un ritornello apprezzati più sopra, questa volta con parole diverse però, parole che descrivono appieno la situazione appena descritta: "?Blind in the dark dungeon's night/ Then darkness comes from the northern side/ And Thorin clears his mind". La canzone termina qui, poco prima dell'inizio della Battaglia dei 5 Eserciti che vedrà elfi, uomini e nani combattere contro orchi e mannari sotto l'ombra della Montagna Solitaria, battaglia in cui lo stesso Thorin troverà la morte. Forse proprio per questo la coda del pezzo è acustica, calma e molto atmosferica, una specie di rispettoso e dolce omaggio a Thorin, re sotto la montagna per un giorno. Un pezzo molto interessante che rinuncia alla classica forma-canzone per svilupparsi in sole 4 strofe dal sapore scaldico, senza un vero e proprio ritornello ma con melodie che si ripetono più di una volta nel corso della canzone.

Piper's Calling

"Piper's Calling" (La Chiamata Del Pifferaio) è una strumentale di soltanto un minuto che per la prima volta non lascia spazio alle sfuriate ed alle fughe solistiche di André Olbrich e Marcus Siepen (com'era successo in tutte le altre strumentali degli album precedenti), ma anzi fa in modo che a "sfogarsi sia esattamente un altro strumento. E' infatti una cornamusa scozzese solitaria, suonata da Peter Rübsam, ad accompagnarci in questo minutino, riprendendo tra l'altro un pezzo già esistente chiamato "The 79th's Farewell to Gibraltar": una marcia militare composta da un certo John MacDonald per il 79° Reggimento a piedi. Questa stessa melodia verrà ripresa anche dalla title-track.

Somewhere Far Beyond

La title-track (Da Qualche Parte, Molto al di là) è la canzone più lunga del lotto, con i suoi 7 minuti e mezzo, e forse anche la più magniloquente. L'inizio è in pieno stile Blind Guardian: un riff granitico ma melodico si lascia presto andare ad una veloce cavalcata che non lascia prigionieri, con il solito Thomen Stauch a pestare duro. Da questo turbinio metallico emerge la voce di Hansi, ormai diventato un narratore provetto, intento a fare ciò che gli riesce meglio: cantare e, appunto, narrare. Qui i Bardi prendono a piene mani da Stephenk King e dalla saga della Torre Nera, soffermandosi però ai primi due libri, cioè "L'ultimo Cavaliere" e "La Chiamata Dei Tre". In questi primi due libri, così come nella canzone,  cominciano a delinearsi le vicende del protagonista Roland di Gilead, un pistolero che vive in un mondo parallelo al nostro in cui una qualche catastrofe l'ha riportato "indietro" all'1800, in un mondo simile al Far West, quando ancora non c'era tecnologia. Troviamo Roland ad intendo ad inseguire uno stregone chiamato semplicemente "l'uomo in nero", ed ha intenzione di inseguirlo fino alla Torre Nera. Ed Hansi si cala proprio nei panni di Roland, narratore della sua stessa storia: "?I am the narrator/ And now I'll tell you/ Where I've been/ And what I saw/ And how it ends". Questo mondo parallelo è però un mondo strano, in cui il tempo sembra scorrere diversamente, forse più velocemente e senza logica, un mondo desertico in qui ci si sente soli e con la pressione del tempo stesso che scorre imperterrito, schiacciandoci. Intanto, André con le sue melodie sorregge la canzone e dialoga con Hansi, così come fanno gli onnipresenti cori. Lui, però, ad un certo punto suona una melodia che porta ad un rallentamento della canzone, su tempi marziali, e che ricorda molto quella del pezzo precedente.  Questo rallentamento si prolunga anche nella strofa seguente, rendendosi però decisamente più oscuro e minaccioso, quasi stessimo di fronte a qualcosa di pericoloso. E così è. "The man in black he waits?" canta Hansi con voce grave, Roland ed il suo amico Jake lo vedono e stanno quasi per raggiungerlo, ma si rivela un compito più difficile del previsto, soprattutto quando sotto le montagne vengono attaccati da alcuni mutanti che tentano di fermarli, comunque non riuscendoci. La strofa successiva ritorna su ritmiche serrate, Hansi suona quasi arrabbiato, ci rivela che Roland si sente solo nella sua missione. Ma bando agli indugi, bisogna andare avanti! In questo momento difficile arriva il ritornello come una manna dal cielo, esso si lega benissimo alla strofa precedente, ed è un epico tripudio di cori che si intrecciano in un vortice senza fine. Si sentono addirittura delle campane, le quali danno un certo tocco sacrale al tutto: "Somewhere far beyond/ The march of time it has begun/ Somewhere far beyond your reality/ And then the march of time begins". Proprio qui André lascia libera la sua 6-corde in un assolo breve ma veloce. Dopo questo punto arriva anche una svolta decisiva comunque, il giovane Jake rischia di cadere in un precipizio, ma Roland non lo aiuta, nonostante lo consideri quasi un figlio, lasciandolo precipitare. Trovare l'uomo in nero è più importante: "?I'm following the black man/ I'm losing control/ And I don't care/ What's happening to the boy". L'ultimo grido di Hansi si lega poi ad un'ennesima melodia della 6-corde di André, che non perde mai l'occasione dialogare col cantante e di attorcigliarsi intorno alle strutture musicali che compongono le canzoni. Dopo una strofa essenzialmente simile a quelle già analizzate finora parte un insolito intermezzo strumentale che, come già annunciato in precedenza, riprende la melodia di "The 79th's Farewell to Gibraltar", già usata in "Piper's Calling". Questa volta però la cornamusa è irlandese, non scozzese. I tempi di marcia e la cornamusa danno un tocco gioioso al pezzo, che però ritorna veloce ed aggressivo dopo non troppo. Nei tre versi successivi vengono citati tre personaggi che Roland troverà nel capitolo successivo della saga: "The Prisoner did bring the healing spell/ The Queen of shadows found herself in pain/ And Death brings answers to us all". Personaggi che lo aiuteranno nella ricerca della Torre Nera, una ricerca che non gli dà tregua. Un pensiero però lo attanaglia: questa ricerca senza tregua a cosa porterà? Alla Torre Nera, certo, ma dopo? Una volto raggiunto lo scopo, Roland sarà libero e in pace oppure dovrà ripartire per una nuova ricerca? Il protagonista si chiede questo, e ce lo chiediamo anche noi, visto che, essendo la narrazione in prima persona, scopriremo le cose mano a mano che l'Io narrante ce le racconta. André cela la risposta con un altro assolo eccitante e veloce che ci trascina direttamente al vorticoso ed epico ritornello, che sembra espandersi per tutto il mondo di Roland e arrivare fino al punto più alto della Torre Nera, tanto è evocativo ed enfatico. Anzi, nella seconda ripetizione i cori si fanno più acuti ed avvolgenti. Piano piano però ci avviciniamo alla fine della canzone, senza aver raggiunto né la Torre Nera né lo stregone (l'uomo in nero); per questo il pezzo rallenta e fa riemergere le ritmiche marziali già apprezzate, mentre André suona e Hansi canta su tonalità più melodiche con un certo sfondo di malinconia. Ritornano anche i cori del ritornello, questa volta però più lenti e cupi, che dialogano con un Hansi che sembra quasi disperato. Uno stravolgimento temporale sta per arrivare e non c'è modo di fermarlo e la ricerca della Torre Nera sembra destinata a durare ancora a lungo: "?The march of time it has begun/ The march of time it has begun". Così si chiude la traccia più magniloquente, variegata e maestosa dell'album , una specie di epica summa di tutto il lavoro, strutturata così bene da sembrare davvero un edificio, una torre per esempio.. una Torre Nera!

Conclusioni

Con "Somewhere Far Beyond" i Bardi raccolsero consensi e critiche positive un po' ovunque, soprattutto in Giappone, diventando ancor di più, e forse definitivamente, una band di caratura internazionale. Ed è tutto meritato, non c'è che dire. Qui, come abbiamo visto nel corso di questa lunga analisi, i Guardiani affinano ancora di più le loro capacità tecniche e compositive, creando canzoni bellissime, molto compatte, ben strutturate e soprattutto memorabili; canzoni che ancora oggi hanno una freschezza ed una potenza da far invidia alle nuove leve. Tutto questo senza abbandonare quanto era stato raggiunto in "Tales From The Twilight World": tra i due album infatti non c'è il distacco che c'era stato tra quest'ultimo e "Follow The Blind", a riprova che la band aveva ormai trovato una formula vincente da riproporre, apportando comunque molti elementi nuovi e migliorie; cosa che, d'altronde, continueranno a fare ancora. Rispetto a "Tales.." questo è un album più cupo e dalle frequenti atmosfere tragiche, mentre nel lavoro del 1990 erano molto più usate le aperture melodiche e solari tipiche di certo Power teutonico; ecco, qui i Blind Guardian sembrano aver ripreso alcuni elementi dei primi due album, ma solo per il lato meramente atmosferico e lirico, sia chiaro. "Somewhere.." forse non contiene tanti classici quanti ne contiene "Tales.." (un vero concentrato di hit), ma le canzoni di questo frangente discografico hanno uno spessore in più, sono più mature, più imprevedibili e la vena epica è più sviluppata, favorendo di molto il lato espressivo ed enfatico della musica. Questo si riflette anche sulle chitarre: i riff sono più granitici e taglienti che mai, ma nello stesso tempo non disdegnano le soluzioni più melodiche e distese, dando varietà all'intero lavoro. Varietà data anche dalle canzoni stesse, le quali sono molto diverse tra loro: in "Tales?" si ricorre alla speed song per quasi tutto l'album, qui invece troviamo canzoni più veloci affiancate da una "Theatre Of Pain" per esempio, un pezzo cadenzato e per la prima volta ricco di tastiere, oppure da una "The Bard's Song - In the Forest", ballata completamente acustica. Le canzoni stesse trovano molti cambiamenti al loro interno, anche quelle più arrembanti. E così troviamo dei rallentamenti, degli intermezzi acustici, delle code atmosferiche o addirittura una cornamusa. Insomma, i Blind Guardian sono quasi al massimo dell'ispirazione, quasi al loro apice. Si divertono ad usare tanti modi diversi di fare musica, non contentandosi della "solita" cavalcata Power; questa voglia di fare li porterà ancora più in alto, ed è incredibile pensare come siano stati in grado di migliorarsi ancora di più. Per quanto riguarda le cosiddette hit, quest'album comunque non ne è privo, c'è sì qualche canzone che a volte viene (stranamente) "dimenticata", ma neanche qui mancano i classici: canzoni come "Time What Is Time", "Journey Through The Dark", la title-track e soprattutto la stessa "The Bard's Song - In the Forest" sono pezzi che ormai ogni fan della band conosce a memoria e scalpita ogni qualvolta vengano proposti dal vivo, con una menzione particolare proprio per la Canzone del Bardo, dove Hansi quasi si mette da parte per far cantare il pubblico. Tirando le somme, "Somewhere.." è decisamente l'album più complesso e completo mai composto dai Blind Guardian fino al 1992, un album che non dovrebbe mancare nella collezione di ogni fan del Power che si rispetti, ma anche in quella di chi ama dell'ottimo Metal in generale, dato che i Bardi sono sempre stati una band che è riuscita ad andare oltre i confini del loro genere, stupendo anche chi di solito non predilige certe sonorità. Una cosa era comunque chiara, già nel '92: il fatto che i Blind Guardian sembravano inarrestabili, e come ci ha dimostrato la Storia, inarrestabili lo sono risultati per davvero.

1) Time What Is Time
2) Journey Through The Dark
3) Black Chamber
4) Theatre Of Pain
5) The Quest For Tanelorn
6) Ashes To Ashes
7) The Bard's Song - In The Forest
8) The Bard's Song - The Hobbit
9) Piper's Calling
10) Somewhere Far Beyond
correlati