BLIND GUARDIAN
Mr.Sandman
1996 - Virgin Records
CRISTIANO MORGIA
23/12/2019
Introduzione recensione
Il 1995 è stato un anno importantissimo per i Blind Guardian e di conseguenza, diciamolo pure, anche per tutto il Power Metal: è l'anno in cui è uscito quel capolavoro che risponde al nome di "Imaginations from the Other Side", ovvero il miglior album della band o comunque uno dei picchi più alti della loro discografia, un album che non solo è bellissimo ma che si inserisce anche in un momento decisivo, quasi facendo da spartiacque. Per un'analisi più dettagliata dell'album vi rimando alla recensione ad esso dedicata, visto che qui non parleremo di lui. Il 21 giugno dello stesso anno venne rilasciato il singolo "Bright Eyes", che a differenza dell'album esce per la giapponese Victor Entertainment e la vede luce dopo l'uscita del capolavoro. Significa che serviva giusto per battere il ferro finché era caldo per fare ancora più pubblicità. Quasi sicuramente band e produttore (il noto Flemming Rasmussen, già produttore dei Metallica) avevano capito le potenzialità del capolavoro e volevano stuzzicare un po' i fan anche dopo. Inoltre, l'album precedente era "Somewhere Far Beyond" del 1992, quindi è passato del tempo, ben 3 anni per la precisione, ed è la prima volta che passa così tanto tempo tra un album ed un altro, quindi perché non fare le cose in grande? Segno che la band aveva puntato molto sul disco. Un singolo come antipasto è più che comprensibile, un altro (un po' più tardo) per confermare il successo del CD e magari spingerlo un po' più in là è ancora più comprensibile. Comunque, dopo il succitato "Imaginations?", la band non pubblica subito un altro album, ma decide di riposarsi un poco e godersi il meritato successo. Ma, diciamocelo, un album come quello ha richiesto molto lavoro e molta fatica, quindi era quasi prevedibile che il successore non sarebbe apparso subito. In questo periodo, quindi, e più precisamente nel 1996, i Bardi decidono di dare in pasto ai fan una raccolta. Una mossa abbastanza normale che ci sta tutta dopo un periodo d'oro (che ancora non era finito, tra l'altro). Tuttavia, "The Forgotten Tales" non è proprio una raccolta normale, non ci sono i classici dal primo album all'ultimo, ma una serie di cover e di ri-arrangiamenti - questa volta sì - di classici. Prima della sua uscita, però, esce sul mercato un altro singolo: "Mr. Sandman". Vediamo subito la scaletta, che è quasi identica a quella del singolo "Bright Eyes" uscito qualche tempo prima. Troviamo infatti la title-track che non ha niente a che vedere con il mondo del Rock o del Metal, essendo una cover della famosa "Mr. Sandman" delle The Chordettes, poi la stessa "Bright Eyes", ma in una veste leggermente diversa da quella dell'album, di qualche secondo più corta in realtà, ma è solo un taglio fatto in fase di missaggio per adattarla al video. Poi troviamo un'altra cover, stavolta di una band che col Rock ha molto a che fare, essendo tirati in causa addirittura i Deep Purple con "Hallelujah". A conclusione però troviamo le versioni demo di "Imaginations from the Other Side" e "The Script for My Requiem". La prima era presente anche nel singolo precedente, la seconda è una novità. Ovviamente anche stavolta messe soltanto come curiosità per i fan più ingordi. La copertina è sempre ad opera di Andreas Marschall e si vede, con un tocco inusualmente horror, ed è praticamente identica al singolo già citato prima. Resta il dubbio quindi su quest'operazione. A che serve far uscire un singolo che, non solo non anticipa un album ma è anche praticamente identico ad uno che è già uscito neanche un anno prima? Come avevamo accennato, forse solo per dare qualcosa ai fan in attesa di un nuovo album.
Mr. Sandman
Il singolo si apre con Mr. Sandman (L'omino del sonno), già sentita nel singolo precedente. È cover della conosciuta canzone delle The Chordettes, risalente addirittura al 1954. Forse il titolo da solo non vi dirà niente, ma l'ascolto vi farà sicuramente venire in mente qualcosa. I primi secondi del pezzo ci portano subito all'atmosfera tipica dell'originale, con quelle tastiere simil-carillon che sembrano suggerire una sorta di ninna nanna. Neanche quando entra in gioco il vocione di Hansi l'atmosfera cambia molto, il cantante infatti si adagia perfettamente all'umore generale e dona una prestazione delicata e quasi dolce. Stessa cosa per gli altri strumenti: le chitarre ancora non risultano marcatissime o graffianti, suonano molto anni '50, per così dire; la batteria invece risuona lontana e quasi assente. Ormai il sonno sta per arrivare e stiamo per chiudere gli occhi, manca solo qualche piccola richiesta all'uomo dei sogni (Mr. Sandman per l'appunto): "Mister Sandman, portami un sogno, rendilo il più carino che io abbia mai visto?" Dalla terza strofa le cose cominciano a cambiare lentamente; le chitarre cominciano a farsi sentire di più, soprattutto a livello di melodie, così come la batteria la quale comincia a diventare parte integrante della canzone. Senza contare che la voce di Hansi comincia a sporcarsi lievemente. Stiamo per addormentarci, eppure sembra che più andiamo avanti più cominci a mancare la quiete! Da notare ovviamente il celebre coro zuccheroso che rese famoso questo pezzo, qui cantato da dei Blind Guardian in una veste buffamente molto femminea. Dopo questo breve momento sognante la parte Metal prende il totale sopravvento e capiamo che nessuno riuscirà a dormire. La voce di Hansi è tuonante e graffiante, le chitarre sorreggono l'impalcatura del tutto con riff decisi e martellanti quanto gli assoli, la batteria di Stauch entra finalmente a far completamente parte della canzone pestando come se si volesse svegliare qualcuno, invece che farlo addormentare tra i sogni più rincuoranti. La cover prosegue così fino alla fine, trasformandosi quindi da un'innocente richiesta di un sogno ad un grido disperato per esso: "Mister Sandman, portaci, per favore, per favore, per favore, Mister Sandman, portaci un sogno". Negli ultimi secondi si può sentire una risata di Hansi, a riprova che quest'operazione è stata realizzata divertendosi e per divertire. I Bardi in passato si erano già cimentati con due cover dei Beach Boys, per niente riuscite secondo me. Qui, però, la band non si limita a risuonare un pezzo datato e lontanissimo dal Metal, lo modifica adattandolo al proprio stile, rendendo quindi il risultato finale molto apprezzabile, divertente anche, visto che il contrasto tra i coretti e le schitarrate è decisamente marcato, ed è chiaro che questo era solo un pretesto per giocare un po'.
Bright Eyes
Dei gelidi e cupi accordi di chitarra segnano l'inizio di Bright Eyes (Occhi Luminosi), che nell'altro singolo si trovava in posizione inziale. Ad un primo impatto si potrebbe pensare che il pezzo parli di Mordred, la nemesi di Artù, ma in realtà non è così, e questo lo sappiamo anche grazie a quanto successo con l'album "Beyond the Red Mirror", che tematicamente parte da qui e da "And the Story Ends". Dopo i già citati accordi introduttivi la canzone inizia sul serio con dei cori che ripetono ossessivamente la stessa frase, in un modo magico ma al contempo cupo e pauroso. Confesso che quando ascoltai questo pezzo per la prima volta mi vennero in mente i Queen, proprio per questi cori iniziali ma anche per i successivi che si intrecciano con le linee vocali principali durante il corso della canzone. Non un rimando casuale, non è un mistero infatti che i Bardi siano estimatori della Rock band inglese. In ogni caso siamo al cospetto di una canzone cadenzata e seriosa. I riff sono ovviamente pesanti e minacciosi, così come la voce di Hansi che ci narra le sue sventure: "Lasciatemi solo, l'isolamento porta speranza, c'è qualcos'altro in attesa, un destino promesso". Un destino promesso che nell'album "Imaginations.." comincerà a palesarsi con la già citata "And the Story Ends", ma proseguirà per bene con l'album del 2015. Il ritornello è un po'; spiazzante ma tremendamente efficace ed enfatico. È spiazzante perché la tipica formula del ritornello corale, epico e bombastico è accantonata per lasciare libero sfogo a Hansi che in questo frangente può sfogare tutta la sua frustrazione: "Occhi luminosi, accecati dalla paura della vita. Nessun Merlino è al mio fianco". Nessun Mago Merlino è al suo fianco, come invece è stato per Artù. Sono proprio questi versi ad avermi fatto pensare al Ciclo Arturiano, ma in realtà abbiamo a che fare con un bambino solo, quasi abbandonato a sé stesso e senza una guida. C'è spazio anche per alcuni momenti più melodici e calmi dove voce e chitarre si attenuano, sono momenti però in cui, paradossalmente, vengono espressi, intervallati dal ritornello i sentimenti più negativi di tutta la traccia, i quali provano quanto detto pocanzi: il bambino oltre a sentirsi solo e senza una guida è anche in pieno contrasto con i suoi genitori. Forse questo contrasto tra musica e parole sta a simboleggiare una presa di coscienza da parte del bambino: non c'è più bisogno di rabbia, l'odio verso i genitori è ormai parte di lui come il respirare. Verso metà ci sarebbe un'accelerazione, ma questa versione è modificata ed essa manca, così come manca l'assolo che si tesse su di essa, e quindi si ritorna alle ritmiche consuete, sempre con gli ipnotici cori in sottofondo. Questa è una canzone particolare anche perché non si conclude con una ripetizione del ritornello ma con dei brevi versi cadenzati in cui il protagonista del pezzo dà l'addio alle sue ultime speranze. Le vicende personali qui narrate toccano l'ascoltatore, rendendolo partecipe e facendolo quasi mettere nei panni dello sfortunato bambino, che però avrà molte cose da dire una volta cresciuto, ma questa è un'altra storia.
Hallelujah
Se la cover appena terminata era un'occasione per divertirsi, Hallelujah è un'occasione per ascoltare la musica con attenzione e riverenza. Il brano originale appartiene addirittura ai Deep Purple ed apparì per la prima volta nel lontano 1969, prima del celeberrimo "In Rock" (1970). Il brano porta la firma di Roger Cook e Roger Greenaway, ma è importante notare che è la prima canzone suonata e cantata dalla Mark II, ovvero la formazione storica e quella più famosa. All'inizio della canzone veniamo subito accolti dall'inconfondibile suono della chitarra di Olbrich, che si erge con una melodia potente ma dal retrogusto malinconico e quasi lacrimevole. Questa breve e fugace melodia prepara la strada, apre il sipario ad Hansi e cori che ripetono con passione il titolo del pezzo, come dei pellegrini che camminano in fila durante una processione. I pellegrini aumentano sempre di più, una folla si aduna nel deserto per sentire un uomo parlare. Hansi continua a cantare, ma le voci in sottofondo sono sempre lì a dare manforte, come un aiuto divino che è lì a vegliare sul cantante; Olbrich non pago della bella introduzione accompagna ogni verso con melodie distorte molto lontane dal Ritchie Blackmore del 1969, ma decisamente più Metal. Se aguzzate l'udito potete anche sentire un organo, e questo è un chiaro richiamo a Jon Lord. In ogni caso, l'uomo nel deserto parla: "Sono un predicatore con un messaggio per la mia gente nel mondo, graffito per terra cercando la pace che nessuno ha trovato." A questo punto capiamo che si tratta di Gesù Cristo, che nella strofa dopo parla di amore, e a questo punto non abbiamo più dubbi. I fedeli ascoltano ed inneggiano a lui cantando hallelujah con un coro che risuona tra le dune e le corrode come un vento, spianando la strada all'accelerazione che segue, in cui la batteria comincia a farsi sentire di più ed i riff di chitarra si fanno più serrati, dando ancora una volta quel tocco Metal che inietta potenza e forza insieme alle perenni voci in sottofondo, fide compagne di Hansi, in ogni occasione. La prestazione del cantante è, poco dopo che l'accelerazione si è stemperata, graffiante ed enfatica, come per lanciare per bene un messaggio importante: "C'è un modo migliore di vivere la vita e non è difficile da trovare se vivi e lasci che le persone del tuo mondo dicano la propria". Si prosegue in questo modo anche con la strofa successiva, la quale però riporta il brano su tempi medi che però hanno un retrogusto ancora più malinconico, essendoci forse un riferimento a Giuda, che ha venduto Gesù per 30 denari. Questo però non sembra alterare la maestosità della traccia, che invece ripropone ancora una volta, e per l'ultima, dei sacrali "hallelujah" che si spengono piano piano e svaniscono dietro agli aridi rilievi come un rosso Sole che tramonta. Gran bella cover, una delle migliori dei Blind Guardian. Gran parte del fascino sta nell'originale ovviamente, ma i Bardi riescono a dare il loro tocco senza snaturarla e anzi, dando anche un po' di energia in più.
Imaginations from the Other Side (demo version)
Ora si prosegue con la celeberrima Imaginations from the Other Side (Fantasie dall'Altro Lato), il pezzo che fa da apertura all'omonimo album e che stava anche nel singolo precedente. Anche qui però c'è la versione demo, che a dir la verità si sente anche piuttosto bene, l'unica cosa che cambia è qualche verso qua e là, ma il risultato non cambia. È un inizio pesante, oscuro e atmosferico, dominato da un tappeto di tastiere assai singolare. Cori evocativi e misteriosi presto supportati da un ritmo preciso ed incalzante, un ensemble particolarmente onirico che presto lascerà spazio a dei riff taglientissimi e nervosi, tutt'altro che ariosi e sognanti come la gran parte della tradizione Power vorrebbe. Le eteree melodie Power vengono infatti sacrificate da dei riff assai aggressivi e serrati: il lavoro di chitarra risulta infatti pesante ed oscuro al punto giusto, un tappeto sul quale si staglia l'altrettanto minacciosa voce di Hansi Kürsch, qui con un tocco di malinconia, mentre intona i celebri versi iniziali: "Dove sono queste facce silenziose, le ho prese tutte?" Dopodiché la canzone si velocizza e si fa più aggressiva, e con i riff delle due asce la voce stessa diventa più cattiva e tagliente. Una strofa che quindi scorre via, dominata nella sua seconda parte da voci ben più eteree e sommesse, le quali sono però destinate ad esplodere con l'arrivo dell'anthemico ritornello, letteralmente da cantare con i pugni al cielo. Un refrain incredibilmente ben riuscito, potente ed imperiale, il quale lascia spazio ad un assolo al fulmicotone, ben eseguito e presto infranto verso il battere nervoso delle pelli. Ecco, è dunque tempo, per una nuova strofa, di palesarsi; una strofa nella quale assistiamo ad un maggior uso della tastiera ed anche a tutta una serie di particolari virtuosismi vocali, a partire dalla voce del cantante e dai cori adoperati. Ora frazioni più epiche ora gridi acidissimi, ora cori evocativi ora linee vocali più aggressive. Un ottimo frangente che ben presto si avvia verso un nuovo, incredibile ritornello, il quale lascia spazio ad un nuovo assolo dal sapore epico. Le velleità melodiche durano comunque poco, visto che l'epica e le chitarre massicce vengono riprese in chiusura di brano. Un pezzo che dunque si chiude riproponendo un bel refrain e riprendendo la parentesi strumentale simile a quella ascoltata nei primi secondi. Dal punto di vista testuale, la canzone sembra parlare di una capacità di sognare ed immaginare persa per sempre nei meandri degli anni passati. Una capacità che non tornerà mai più nonostante se ne senta il disperato bisogno: l'adulto non è più in grado di immaginare, tutti i sogni e le invenzioni della fanciullezza sembrano svanire non appena ci si tramuta in dei "grigi" e vuoti adulti. Responsabilità sempre crescenti, obblighi, doveri... Un insieme di elementi che sembra dunque giocare a sfavore della volontà di perdersi nei sogni giovanili. Non abbiamo la forza per poter credere ancora nelle fantasie di qualche anno fa, preferendo immolarci ad una triste e monotona realtà. Questo sembra essere confermato dai seguenti versi, pieni di riferimenti letterari: "Dov'è la figlia dell'oceano? Peter Pan è stato a Mordor? Non c'è nessuno per tenere in vita tutte queste fiabe. Posso tornare a Oz? Incontrerò l'Uomo di Latta? Leone Codardo, dove sei?" L'adulto ha ormai dimenticato tutti i personaggi che l'hanno accompagnato durante la sua infanzia, nella fattispecie si fa riferimento al "Mago di Oz", a "Peter Pan" e all'universo narrativo di J.R.R. Tolkien. Letture cariche di magia e suggestioni, nei quali i personaggi vivono avventure al limite del fantastico. Dopo lo splendido assolo di Olbrich posto a metà canzone e già segnalato, torna infatti il disperato grido di Hansi con dei versi che confermano quanto detto più sopra e che tradiscono una voglia di tornare ai "vecchi tempi". Nella stessa strofa, però, c'è anche una drastica presa di coscienza: la fanciullezza non tornerà mai più, tuttavia resta una piccola speranza, poiché l'immaginazione per viaggiare verso altri mondi esiste ancora, e questo pezzo ne è la riprova.
The Script for my Requiem (demo version)
Un basso grave e tenebroso, aiutato da tastiere misteriose e da dei riff particolarmente taglienti (che diventano sempre più veloci), dà il via a The Script for my Requiem (Il Copione per il Mio Requiem), a detta di chi scrive una delle migliori canzoni dell'intera produzione dei Bardi di Krefeld e del Power tutto ed ennesimo pezzo del singolo già conosciuto, ma qui in versione demo. Già dall'inizio il testo è leggermente differente e le tastiere hanno un suono, per così dire, casalingo. Dopo quest'introduzione terremotante, comunque, la canzone si assesta su ritmi medio/veloci (che non mancheranno di mutare nel corso della canzone) e Hansi emerge dal caos in tutto il suo splendore. Il cantante non è solo, però, gli onnipresenti cori infatti sono sempre là a sorreggere ogni strofa, pronti ad essere cantati a squarciagola da ogni fan degno di questo nome (anche se in questa versione sono molto più in sottofondo). Il ritornello ovviamente ripete questa formula, e quel che ne esce fuori risulta un refrain epico, potente e arioso, tipicamente Power e tipicamente Blind Guardian. Questa volta le gesta e i turbamenti narrati sono quelli di un cavaliere che probabilmente si ritrova in Terra Santa. Anche qui il testo è in prima persona e quindi vediamo tutto dal punto di vista del cavaliere stesso (forse uno dei cavalieri di Artù?), qui in esilio e lontano dal regno alla ricerca del Santo Graal, come si può leggere nei versi che precedono il primo ritornello: "In stanze senza sole ho giurato: finirò ciò che ho iniziato allora, troverò il sacro graal". Non ci si deve però aspettare un'avventura fiabesca tra boschi incantati e dame da salvare, il cavaliere è investito da pensieri contrastanti ed è turbato a tal punto da quasi perdere il senno, inoltre è da solo. Perciò quello che leggiamo è un soliloquio tipico di ogni eroe tragico che si rispetti. C'è però anche un momentaneo spostamento di focus poco prima dell'assolo, sono i nemici del cavaliere (probabilmente Saraceni o più in generale Mori) che parlano e tentano di giustificarsi, forse cercando di far capire che l'appellativo di "infedeli" affibbiatogli dai Cristiani non è poi così corretto: "Prendete tutto, il nostro oro, le nostre case, la nostra vita. Ma noi non abbiamo ucciso il vostro Cristo!!". Torniamo alla traccia: posto dopo la metà della canzone torna Olbrich con un altro dei suoi assoli veloci ma pieni di melodie che si possono quasi fischiettare, caratteristica questa che lo rende uno dei migliori chitarristi del genere. Anche se in questa versione demo le chitarre si sentono pianissimo, l'assolo, si sente piuttosto bene. Dopo questo pregevole assolo resta poco tempo, c'è una nuova strofa che somiglia a quella della versione finita sull'album ma presenta qualche verso in più e qualche melodia differente. Il ritornellone, comunque, torna prepotentemente ma per l'ultima volta. Sette minuti di epicità assoluta, che scorrono via senza far sentire il loro peso, e dire che questa versione dura anche un po' di più rispetto a quella definitiva. Davvero un'ottima prova per i nostri Bardi, incredibilmente sul pezzo e mai vittime di cali di tensione o mancanza di ispirazione per tutta la durata.
Conclusioni
La comparazione con il singolo precedente è inutile, in quanto qui ci sono delle offerte già presentate. C'è da dire che, come spesso accade, l'album raccolta "The Forgotten Tales" doveva ancora uscire, quindi questo disco ha il compito di dover fare da antipasto. Per chi ancora non aveva ascoltato "Imaginations from the Other Side", però, per chi era indeciso o ancora non conosceva bene la band, non svela troppo dell'album in questione ma lascia comunque intravedere cosa c'era da aspettarsi una volta intrapreso l'ascolto di quel capolavoro. Tanto per cambiare, anche qui troviamo la tile-track dell'ultimo album, anche se in versione demo. Essa porta sicuramente la firma della band, ma ad un orecchio attento potrebbe risultare lievemente diversa da quanto sentito negli anni passati: in un certo senso è più raffinata forse, più "ragionata". In realtà tutti erano ormai abituati ai cambiamenti dei Bardi, già tra "Tales from the Twilight World" e "Somewhere far Beyond" ci sono alcune differenze stilistiche ed una maturazione non indifferente; basti pensare a come si passi da un album praticamente teorico del Power ad uno che già comincia a dimostrare la volontà di spingersi oltre. Il capolavoro menzionato poco più su prosegue proprio questo discorso. Certo, dopo due album come quelli appena citati non tutti saprebbero fare di meglio e nel contempo maturare anche, ma i Bardi di Krefeld dimostrarono che forse era possibile. D'altronde è proprio quando la qualità è alta che la curiosità cresce, così come la speranza di ritrovarsi tra le mani un lavoro che possa essere anche migliore, la speranza di trovare delle bellezze ancora più esagerate e che possano emozionarci e colpirci come non mai. Una sensazione che conosciamo tutti. "Bright Eyes" poi, con il suo stile a metà tra il raffinato ed il misterioso, che trasmette rabbia e malinconia, con tutte le varie parti corali, si lascia apprezzare nonostante il piccolo taglio che ci nega l'accelerazione. Non ci sono altri assaggi dell'album, o meglio, ci sarebbero pure, però sono in versione demo e già erano presenti nel primo singolo. Parlo ovviamente di "The Script for my Requiem", che al di là di una produzione ovviamente da demo e dei testi un po' diversi conservano tutto il loro fascino. Dunque, oltre ai tre pezzi già presenti nell'album abbiamo anche due cover. Entrambe molto riuscite a mio parere. "Mr. Sandman" lascia uscire quel lato ironico tipicamente Power che nei Bardi di Krefeld è molto nascosto, anzi, non emerge proprio, quindi una cover del genere, con un pezzo lontanissimo dal loro stile, potrebbe divertire. Sicuramente non è un capolavoro ma il tentativo è apprezzabile e piace. "Hallelujah" invece resta in linea con l'originale anche nello spirito, l'approccio è più serioso e l'atmosfera sacrale, qui non si sente la voglia di giocare, ma il risultato è comunque molto interessante. Ovviamente "The Forgotten Tales" doveva ancora uscire, quindi, ripeto, questo singolo non è da prendere come un'anticipazione vera e propria, piuttosto come un modo per far parlare di sé prima d'uscita dell'album, che in fin dei conti è solo una raccolta, pur se particolare. È anche questo un problema però, visto che in effetti la scelta di pubblicizzare una raccolta potrebbe essere strana. Le raccolte già per loro natura sono soltanto un riassunto di quanto sentito nel corso degli anni, senza nessuna pretesa o spinta artistica, quindi un singolo per anticiparla potrebbe risultare ancora più inutile. Certo, quella dei Bardi è una raccolta molto particolare, con cover e arrangiamenti, nessun pezzo preso dal passato e riproposto così com'è, ma allora risulta ancora più strano pubblicare un singolo praticamente identico ad un altro già uscito un anno prima, con la stessa copertina pure. Quindi, alla fin fine è soltanto un modo per restare sulla bocca dei fan disposti anche a comprare magari.
2) Bright Eyes
3) Hallelujah
4) Imaginations from the Other Side (demo version)
5) The Script for my Requiem (demo version)