BLIND GUARDIAN
Imaginations from the Other Side
1995 - Virgin Records
CRISTIANO MORGIA
14/08/2016
Introduzione Recensione
Siamo nel 1995, ossia nell'anno dell'assoluta consacrazione per i Blind Guardian; l'anno in cui esce il loro quinto album, "Imaginations From The Other Side". Fino a questo punto della loro carriera, i bardi di Krefeld avevano comunque composto grandi, grandissimi lavori, partendo dai più seminali e leggermente acerbi "Battalions Of Fear" (1988) e "Follow The Blind" (1989), più vicini a soluzioni più classiche di tipo Heavy (o addirittura Speed/Thrash in alcuni riff e ritmiche), arrivando sino a "Tales From The Twilight World" (1990) e "Somewhere Far Beyond" (1992), i quali hanno di fatto inaugurato un nuovo corso in grado di spostare l'asticella della loro proposta verso il Power in senso stretto, senza comunque abbandonare la potenza e la genuinità delle due prime produzioni. In questo nuovo corso le canzoni si fanno più complesse e personali, i Blind Guardian affinano la loro tecnica, migliorano e variano ancora di più la loro proposta musicale e perfezionano il loro modo di scrivere testi e di raccontare storie, confermando che il Fantasy e la Fantascienza sono i temi a loro più cari. Due album pieni di classici e tra i migliori di tutto il Power. E' da questi due album dunque che il sound e l'immagine dei tedeschi si definisce e smette di essere "seminale", per divenire più completa e codificata. Era quindi lecito, per un fan di quegli anni, chiedersi come sarebbero stati i Blind Guardian del 1995. Se avessero continuato la loro parabola ascendente oppure, dopo quattro album di ottimo livello, si sarebbero fermati a godere di ciò che avevano brillantemente seminato. La risposta fu, come già detto, "Imaginations From The Other Side", un capolavoro che innalzò ancora di più il livello qualitativo della band, continuando la loro parabola ascendente, confermandoli non solo fra i gruppi più iconografici del genere, ma anche come una delle migliori realtà Metal (in senso generale) del periodo. L'album in questione mantiene le tipiche sonorità della band, non stravolge sostanzialmente niente, ma aggiunge qualche nuovo elemento, come le tastiere, espediente il quale darà nuova linfa e spessore all'opera. Tastiere che qui non hanno un ruolo primario, ma che servono soprattutto a creare atmosfera e ad aiutare ad invigorire il muro sonoro dei Bardi, svolgendo egregiamente il proprio compito senza invadere lo spazio sonoro riservato agli altri strumenti, o risultando eccessive. Le chitarre di André Olbrich e di Marcus Siepen ancora la fanno da padrone, macinando riff rocciosi e armonie memorabili. In quest'album migliora anche la produzione, il suono è più cristallino e pulito rispetto ai precedenti lavori e questo non può far altro che migliorare la resa sonora rendendo ogni strumento perfettamente udibile, compresa la batteria di Thomas "Thomen" Stauch, sempre potentissima e arrembante. Del resto, per questa release, i Blind Guardian poterono contare nientemeno che sugli arcinoti "Sweet Silence Studios" di Copenaghen, di proprietà di Fleming Rasmussen; nome, quest'ultimo, già parecchio noto al pubblico metal per via dei suoi trascorsi con i Metallica, band con la quale il produttore danese collaborò per la realizzazione di due autentici capolavori come "Ride the Lightning" e "Master of Puppets". Un collaboratore d'eccezione, quindi, il cui operato incise sicuramente sull'ottima resa finale del prodotto. Per quel che concerne l'apparato lirico, le tematiche sono sempre quelle care a Hansi Kürsch e soci: quest'album, infatti, è un tuffo non solo nel Fantasy ma nell'immaginazione in generale, un elemento importantissimo nella vita dell'essere umano che in questo disco trova una delle sue più alte nobilitazioni e tributi. Il tutto gravita attorno ad un filo comune, ovvero l'interesse che, in quel periodo, Kürsch aveva maturato per la cosiddetta "letteratura arturiana". Tutta una serie di romanzi, poemi e poesie dedicati infatti al mondo di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda. Le leggende del noto Re e del mondo di Camelot rivivono dunque lungo i solchi di questo "Imaginations?". Inoltre, quest'ultimo risulta il primo album dopo "Battalions?" a non annoverare il ben noto Kai Hansen come special guest, o alla chitarra o alla voce (come invece era avvenuto nei tre capitoli precedenti). Sarà invece l'ultimo capitolo discografico in cui il frontman Hansi ricoprirà il ruolo di bassista, visto che dal successivo disco le quattro corde sarebbero state appannaggio totale del turnista Oliver Holzwarth, il quale avrebbe iniziato proprio con "Nightfall in Middle-Earth" un lungo sodalizio con i bardi tedeschi, che lo avrebbe portato ad incidere la bellezza di quattro album, sino al 2010. Tornando a "Immaginations?", possiamo notare come la grafica dell'album risulti assai in tema con le liriche presenti e trattate. Un immaginario epico, fantasy, accattivante e sognante. Lo specchio posto in copertina forse suggerisce proprio questo tuffo verso un'altra ipotetica parte dominata dall'immaginazione stessa, come capiremo meglio nelle prossime righe.
Imaginations from the Other Side
L'album inizia proprio con la title-track, ed è un inizio pesante, oscuro e atmosferico, dominato da un tappeto di tastiere assai singolare. Cori evocativi e misteriosi presto supportati da un ritmo preciso ed incalzante, un ensemble particolarmente onirico che presto lascerà spazio a dei riff taglientissimi e nervosi, tutt'altro che ariosi e sognanti come la gran parte della tradizione Power vorrebbe. Le "eteree" melodie Power vengono infatti sacrificate da un riffing generale assai aggressivo e serrato: il lavoro di chitarra risulta infatti pesante ed oscuro al punto giusto, un tappeto sul quale si staglia l'altrettanto minacciosa voce di Hansi Kürsch, qui con un tocco di malinconia, mentre intona i celebri versi iniziali: "Where are these silent faces/I took them all?". Dopodiché la canzone si velocizza e si fa più aggressiva, e con i riff delle due asce la voce stessa diventa più cattiva e tagliente. Una strofa che quindi scorre via, dominata nella sua seconda parte da vocals ben più eteree e sommesse, le quali sono però destinate ad esplodere con l'arrivo dell'anthemico ritornello, letteralmente da cantare con i pugni al cielo. Un refrain incredibilmente ben riuscito, potente ed imperiale, il quale lascia spazio ad un assolo al fulmicotone, ben eseguito e presto infranto verso il battere nervoso delle pelli. E' dunque tempo, per una nuova strofa, di palesarsi; una strofa nella quale assistiamo ad un maggior uso della tastiera ed anche a tutta una serie di particolari virtuosismi vocali, a partire dalla voce del cantante ai cori adoperati. Ora frazioni più epiche ora scream acidissimi, ora cori evocativi ora vocals più aggressive. Un ottimo frangente che ben presto si avvia verso un nuovo, incredibile ritornello, il quale lascia spazio ad un nuovo assolo dal vago sapore Epic. Un guitar solo che proseguendo si tinge anche di sfumature neoclassic, andando a riprendere vagamente lo stile di uno dei virtuosi per antonomasia, ovvero Yngwie Malmsteen. Le velleità classicheggianti durano comunque poco, visto che l'epica e le chitarre massicce vengono riprese in chiusura di brano. Un pezzo che dunque si chiude riproponendo un bel refrain e riprendendo la parentesi strumentale simile a quella ascoltata nei primi secondi. Dal punto di vista testuale, la canzone sembra parlare di una capacità di sognare ed immaginare persa per sempre nei meandri degli anni passati. Una capacità che non tornerà mai più nonostante se ne senta il disperato bisogno: l'adulto non è più in grado di immaginare, tutti i sogni e le invenzioni della fanciullezza sembrano svanire non appena ci si tramuta in dei "grigi" e vuoti adulti. Responsabilità sempre crescenti, obblighi, doveri... Un insieme di elementi che sembra dunque giocare a sfavore della volontà di perdersi nei sogni giovanili. Non abbiamo la forza per poter credere ancora nelle fantasie di qualche anno fa, preferendo immolarci ad una triste e monotona realtà. Questo sembra essere confermato dai seguenti versi, pieni di riferimenti letterari: "Where's the ocean's daughter/Was Peter Pan in Mordor/No one's there to keep alive/All these fairy tales/May I return to Oz/Will I meet the "Tin Man"/"Coward Lion" where are you?". L'adulto ha ormai dimenticato tutti i personaggi che l'hanno accompagnato durante la sua infanzia, nella fattispecie si fa riferimento al "Mago di Oz", a "Peter Pan" e all'universo narrativo di J.R.R. Tolkien. Letture cariche di magia e suggestioni, nei quali i personaggi vivono avventure al limite del fantastico. Dopo lo splendido assolo di Olbrich posto a metà canzone e già segnalato, torna infatti il disperato grido di Hansi: "So I look into myself/ Into the days when I was just a child/ Come follow me to wonderland/ And see the tale that never ends/ Don't fear the lion nor the witch?", versi che confermano quanto detto più sopra. Nella stessa strofa c'è anche una drastica presa di coscienza: la fanciullezza non tornerà mai più, però resta una piccola speranza, poiché "There is another world", l'immaginazione per viaggiare verso altri mondi esiste ancora, e questo pezzo ne è la riprova.
I'm Alive
Si prosegue senza un attimo di esitazione con "I'm Alive (Io sono vivo)", pezzo tiratissimo e forse il più aggressivo dell'album. Dopo dei riff introduttivi non troppo veloci e un brevissimo stacco acustico la canzone decolla infatti rapidissima, abbandonandosi ad una cavalcata che non lascia prigionieri. Una cavalcata magnificamente scandita dalla potente voce di Hansi, qui taglientissima, posta in cima a guidare il tutto. Come se non bastasse, la cavalcata è impreziosita da delle parti corali che inspessiscono ancora di più il sound e rendono la canzone potente e battagliera, caratteristica tipica dei Blind Guardian. Potrebbe essere solo una canzone veloce e potente, ma i nostri Bardi non si accontentano di questo; e prima del ritornello, inseriscono una parte acustica più delicata del resto, in cui anche la voce si attenua e diventa quasi triste, come testimoniano anche le parole di questa strofa: "Caught in an old cage/ The system failed/ Built up on lies/ Now I see that I'm alone/ In asylum's cage/ I'm left alone". La quiete prima della tempesta. Sì, perché il ritornello esplode in tutta la sua rabbia al grido disperato di "I'm alive my friend!". Davvero una grande esecuzione, forzuta ed al tempo stesso ispiratissima. Il pezzo in questione prende ispirazione dal "Ciclo di Death Gate", dei romanzi Fantasy scritti da Margaret Weis e Tracy Hickman. Romanzi in cui la nostra Terra è suddivisa in quattro mondi, ognuno dei quali dominato da uno dei quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco). C'è però anche un quinto mondo, che è in realtà una prigione, chiamato Il Labirinto. Ed è proprio in questo mondo che troviamo il riferimento al testo della canzone: "They say the system keeps/ The last chance to survive/ Caught in this labyrinth/ Of walls and lots of lies?". Come nella canzone precedente, anche qui il testo non è per niente positive o solare, anzi, si può ben vedere dalle liriche citate finora che c'è una continua sensazione di angoscia claustrofobica mista a rabbia e alla voglia di evadere, forse proprio dalla prigione del Labirinto. Superata di poco la metà della canzone troviamo il pregevole assolo, che nonostante il ritmo veloce sui cui si inserisce risulta comunque pulito, preciso ed estremamente melodico. Dopo di esso Hansi torna sugli scudi accompagnato dalle armonie chitarristiche delle due asce con una notizia terribile "Outside they say death is waiting?", questa strofa e la successiva sono diverse da tutte le precedenti per quanto riguarda ritmiche e melodie, a conferma della voglia dei Blind Guardian di allontanarsi dalla classica forma-canzone, anche se di poco e con leggere modifiche che non stravolgono troppo il pezzo. La canzone si conclude con l'efficiente alternanza tra pre-ritornello, dove possiamo apprezzare di nuovo lo stacco acustico, e ritornello. Non è chiaro se il protagonista delle lyrics sia effettivamente riuscito a scappare da questo labirinto; leggendo il testo, sembra proprio che egli abbia compiuto l'impresa, evadendo e guardando finalmente il cielo, nel quale un vero sole risplende fiero. Mai più luci artificiale, ma solo i raggi del grande astro. Tuttavia, egli non riesce a godere appieno della sua nuova vita, in quanto pensa a chi è ancora smarrito nell'oscurità del labirinto. Chi, come lui poco prima, si vede privare di ogni sua gioia ed affetto. Non esistono sogni, all'interno di quel luogo. Si può solo peregrinare come anime dannate, persi nel buio, rinunciando a qualsiasi cosa od affetto; compresa la propria umanità. Dopo due canzoni del genere, sarebbe stato lecito aspettarsi un'altra cavalcata, ed invece i Bardi decidono di respirare e di far respirare anche l'ascoltatore.
A Past and Future Secret
E' così che troviamo "A Past and Future Secret (Un segreto passato e futuro)", la ballata del disco posta insolitamente come traccia numero 3. L'arpeggio acustico che apre la canzone è dolce, delicato e dal sapore medievale, siamo infatti davanti ad un esperimento riuscitissimo, è la prima volta che i Bardi si cimentano in una canzone così tanto medievaleggiante. Ad onor del vero e per dovere di cronava, le avvisaglie già c'erano tutte in "The Bard's Song: In The Forest", capolavoro e super classico dell'album precedente: ma qui, in questa occasione, questo loro lato antico e pittoresco esce fuori ancor di più ed in maniera ancor più marcata e soprattutto concreta, con tanto di tamburelli a tenere il ritmo e flauti a dare quel tocco magico e sognante, elemento che serve assolutamente ad una canzone come questa. L'atmosfera cala e si ha davvero l'impressione di stare in una piazza medievale illuminata solo da fuochi ad ascoltare un qualche cantastorie impegnato a narrare di cavalieri e dame. Nemmeno a dirlo, il tema principale è squisitamente arturiano, e il narratore impersonato da Hansi non è un cantastorie qualunque, ma Merlino in persona! Il celeberrimo mago ci parla dell'ascesa, della morte di Re Artù e di un suo futuro ritorno, tutto condensato in dei versi che vale davvero la pena leggere: "Listen crowd/ I'll tell you everything/ Though I have to say/ I don't know much/ Talking about a past/ And future secret/ Most call him once/ And future king/ Far back in the past/ I saw his ending/ Long before it started/ I knew his name/ He's the one who took the sword/ Out of the stone/ It's how that ancient tale began/ I hear it in the cold winds". Il ritornello è leggero, lento e quasi sussurrato, perfetto per l'atmosfera soffusa che si vuole qui ricreare, Hansi dimostra ancora una volta la sua versatilità, passando dalle vocals già descritte dei primi due pezzi a quelle descritte qui. Dopo il secondo ritornello la canzone sembra diventare lievemente più enfatica, la voce diventa più forte e con essa anche gli altri strumenti, fanno capolino anche delle parti corali che recitano "Take him back to Avalon", ossia l'isola leggendaria in cui sarebbe sepolto Re Artù, in attesa di essere risvegliato per riportare l'ordine nel mondo. Dopo questo momento appassionante torna il ritornello che, ripetendosi, ci trasporta delicatamente fino alla conclusione delle canzone, così come la Fata Morgana avrebbe portato il corpo di Re Artù a riposare sull'isola di Avalon. Un vero e proprio poema recitato con tanto di musica, il quale ci narra di una figura celeberrima, sospesa fra il mito e la realtà storica. Arthur, re fiabesco ed umano al contempo, il quale ottenne il trono della Britannia estraendo la famosa "spada nella roccia", dimostrandosi in questo modo diretto discendente della stirpe Pendragon, presieduta dal valoroso patriarca Uther. Da quel momento, Arthur, armato della sua fedele Excalibur (alcune leggende, però, vogliono quest'ultima regalatagli dalla "Dama del Lago"), avrebbe dominato con giustizia e coraggio su tutta la Bretagna, portando il suo popolo alla vittoria contro ogni tipo di nemico ed invasore. Dopo una canzone del genere, verrebbe da dirlo, anche noi aspettiamo il ritorno del Re.
The Script for my Requiem
Ma la pace è finita; già, perché un basso grave e tenebroso, aiutato da tastiere misteriose e da dei riff particolarmente taglienti (che diventano sempre più veloci), dà il via a "The Script for my Requiem (Il mio Requiem)", a detta di chi scrive una delle migliori canzoni dell'intera produzione dei Bardi di Krefeld e del Power tutto. Dopo quest'introduzione terremotante la canzone si assesta su ritmi medio/veloci (che non mancheranno di mutare nel corso della canzone) e Hansi emerge dal caos in tutto il suo splendore. Il cantante non è solo, però, gli onnipresenti infatti cori sono sempre là a sorreggere ogni strofa, pronti ad essere cantati a squarciagola da ogni fan degno di questo nome. Il ritornello ovviamente ripete questa formula, e quel che ne esce fuori risulta un refrain epico, potente e arioso, tipicamente Power e tipicamente Blind Guardian. Questa volta le gesta e i turbamenti narrati sono quelli di Lancillotto, uno dei più famosi cavalieri della Tavola Rotonda. Anche qui il testo è in prima persona e quindi vediamo tutto dal punto di vista di Lancillotto stesso, qui in esilio e lontano dal regno alla ricerca del Santo Graal, come si può leggere nei versi che precedono il primo ritornello: "In sunless rooms I'd sworn/ I'll finish what I started once/ I'll find the holy grail/ In the holy land!". Non ci si deve però aspettare un'avventura fiabesca tra boschi incantati e dame da salvare, Lancillotto è investito da pensieri contrastanti ed è turbato a tal punto da quasi perdere il senno, inoltre è da solo. Perciò quello che leggiamo è un soliloquio tipico di ogni eroe tragico che si rispetti. C'è però anche un momentaneo spostamento di focus poco prima dell'assolo, sono i nemici di Lancillotto (probabilmente Saraceni o più in generale Mori) che parlano e tentano di giustificarsi, forse cercando di far capire che l'appellativo di "infedeli" affibbiatogli dai Cristiani non è poi così corretto: "Take it all/ Our gold, our homes, our life,/ But we didn't kill your Christ!!". Torniamo alla traccia: posto dopo la metà della canzone torna Olbrich con un altro dei suoi assoli veloci ma pieni di melodie che si possono quasi fischiettare, caratteristica questa che lo rende uno dei migliori chitarristi del genere. Dopo questo pregevole assolo resta poco tempo, il ritornellone torna prepotentemente ma per l'ultima volta, poiché un fade-out lascia spazio alla canzone successiva. Sei minuti di epicità assoluta, che scorrono via senza far sentire il loro peso. Davvero un'ottima prova per i nostri Bardi, incredibilmente sul pezzo e mai dediti a cali di tensione o mancanza di ispirazione. Del resto, la storia di Lancillotto non poteva non essere narrata in tal maniera, visto che ai normali turbamenti del guerriero bisognava aggiungere al Nostro il peso del tradimento. Il cavaliere, infatti, aveva ceduto alla passione per la sua regina Ginevra, moglie di Arthur, intraprendendo con essa una relazione. Un amore per nulla peccaminoso ma anzi assai delicato e romantico, il quale tuttavia segnò la fine del regno di Camelot, portando la corona a perdere molto del potere guadagnato.
Mordred's Song
"Mordred's Song (La canzone di Mordred)" è un pezzo al quale Hansi è molto legato, essendo Mordred un personaggio che esercita un grande fascino su di lui, come ribadito spesso dal cantante stesso. Secondo la leggenda Mordred è il figlio incestuoso nato dall'unione tra Artù e la sua sorellastra Morgana. Già questo fatto spiega molte cose, Mordred è un personaggio inusuale e in un certo senso negativo già dal suo concepimento, un personaggio che molto probabilmente dovrà portarsi questo peso per il resto della sua esistenza; è chiaro, dunque, che le basi per farlo diventare un antagonista c'erano veramente tutte. In effetti, Mordred tradisce suo padre e lo sfiderà durante la mitica battaglia di Camlann ad un duello mortale, dove troverà la morte proprio per mano di Artù, che muore a sua volta per una ferita mortale causata da Mordred stesso. Siamo di nuovo davanti ad una tragedia quindi, tragedia che, almeno dai primi secondi della canzone sembra non esserci. Infatti, il pezzo si apre con degli arpeggi acustici medievaleggianti abbastanza solari, che farebbero in effetti quasi pensare ad un'altra "A Past and Future Secret". Le aspettative vengono subito disattese non appena la voce di Hansi si fa più aspra e la canzone si trasforma in un mid-tempo dalle atmosfere cupe e vagamente tristi, proprio per quanto detto al riguardo al personaggio in questione, il protagonista delle liriche. Sembra quasi di vedere il figlio di Artù con un sorriso amaro mentre libera i suoi pensieri pieni di odio e rabbia. Anche qui Hansi non è il narratore ma il personaggio stesso, anche qui il punto di vista è quello del protagonista, questo dimostra la grande capacità dei bardi quando si tratta di scrivere testi e spiega perché sono così amati da chi ama un certo tipo di tematiche e sonorità. Tornando alla musica, il ritornello è in pieno stile Blind Guardian, un ritornello arioso e colare ma che in questo caso si assesta su ritmiche più lente e risulta malinconico piuttosto che eroico e battagliero, e non potrebbe essere altrimenti con liriche come queste: "Pain inside is rising/ I am the fallen one/ A figure in an old game/ No Joker's on my side?". Molto belli e sentiti anche i due assoli finali, le chitarre si adattano al mid-tempo e non volano via veloci come nelle altre canzoni, ma si evolvono in note dal sapore malinconico e sanguigno.
Born in a Mourning Hall
Un riff terremotante apre la traccia successiva, il singolo "Born in a Mourning Hall (Nato in un luogo di lutto)" dal quale fu tratto anche un videoclip. Con questo pezzo si torna a velocità elevate, la coppia Olbrich/Siepen confezione riff potentissimi e taglienti incorniciati dalle solite melodie, Thomen Stauch torna a pestare con la sua batteria e il buon Hansi come suo solito alterna vocalità più acute e gridate a vocalità più gravi e gutturali, in alcuni momenti la sua voce viene anche filtrata per farla sembrare più meccanica e ipnotica, in linea con le tematiche, che tratteremo più avanti. Il pezzo non resta sempre veloce, ci sono infatti brevi rallentamenti e fulminei cambi di tempo che gli danno longevità e lo rendono interessante e non banale. "Born in a mourning hall/ Shadows left the fear inside/ The Peter Pan will never reach/ The other side", così recita la seconda parte del pomposo e anthemico ritornello, un ritornello che difficilmente vi si toglierà dalla mente una volta ascoltato. Riecco in queste frasi un riferimento a Peter Pan (già citato nella title-track), un Peter Pan che non raggiungerà mai "l'altra parte"; la sensazione che alcuni temi trattati proprio dalla title-track si trovino anche qui viene confermata da altri versi posti verso la fine, dopo l'assolo Power al 100% che riporta alla mente lo stile di un certo Kai Hansen. Eccoli qui: "And I'm a part of a machine/ A puppet on the strings/ A rebel, once/ Now I'm an old man". Ai Bardi però non piace troppo ripetersi, infatti il testo in questione riprende solo in parte il tema già trattato dell'infanzia perduta, per virare verso un tema molto più subdolo, quotidiano e tremendamente reale, ossia il potere della TV e dei sistemi messi in atto dalle società contemporanee per creare degli schiavi inconsapevoli che preferiscono stare seduti sul divano piuttosto che anche solo pensare di poter cambiare le cose, come si evince dai versi melodici sempre adattati su ritmiche abbastanza veloci che precedono l'ultimo ritornello della traccia:" Oh, I know it can't go on/ But the ghost called fear inside/ Lames my tongue, my nerves,/ My mind/ /Eternal fall down/ Someone cut the strings off/ I can't move/ To get back courage/ I've to face the truth/ But not today/ Goodbye!". Come detto più sopra c'è anche un momento in cui la voce di Hansi è leggermente filtrata, più precisamente è verso l'inizio delle canzone, dopo il primo ritornello, quando il tedesco canta quelli che forse sono i versi più espliciti di tutto il testo: "Hypnotized by the TV snake/ Obey and work hard/ And feel no anger".
Bright Eyes
Dei gelidi e cupi accordi di chitarra segnano l'inizio della settima traccia, "Bright Eyes (Occhi luminosi)". Anche per questa canzone fu girato un videoclip, ed inoltre ne esiste anche una versione acustica contenuta nella raccolta "The Forgotten Tales" del 1996. Di nuovo, anche in questo episodio, probabilmente si parla di Mordred; tematica che influenzerà il mood generale della canzone. Dopo i già citati accordi introduttivi, infatti, la canzone inizia sul serio con dei cori che ripetono ossessivamente la stessa frase "Fool just another?"; confesso che quando ascoltai questo pezzo per la prima volta mi vennero in mente i Queen, proprio per questi cori iniziali ma anche per i successivi che si intrecciano con le vocals principali durante il corso della canzone. Non un rimando casuale, non è un mistero infatti che i Bardi siano estimatori della Rock band inglese. In ogni caso siamo di nuovo al cospetto di una canzone più cadenzata, seriosa e dalle tinte oscure. I riff sono ovviamente più pesanti e minacciosi, così come la voce del solito Hansi/Mordred che ci narra le sue sventure: "Leave me alone/ Isolation bears hope/ There's something else waiting/ A promised destiny?". Il ritornello è un po' spiazzante ma tremendamente efficace ed enfatico, è spiazzante perché la formula del ritornello corale, epico e bombastico è accantonata per lasciare libero sfogo a Hansi/Mordred che in questo frangente può sfogare tutta la sua frustrazione: "Bright eyes/ Blinded by fear of life/ No Merlin is by my side". Nessun Mago Merlino è al suo fianco, come invece è stato per Artù, è evidente che il suo destino sarà anche diverso. C'è spazio anche per alcuni momenti più melodici e calmi dove voce e chitarre si attenuano, sono momenti però in cui, paradossalmente, vengono espressi i sentimenti più negativi di tutta la traccia: "Hey, mother stubborn/ I really hate you/ If you say yes I will say no?", con la stessa formula e con simili concetti questo momento si ripete dopo un ritornello, questa volta verso il padre. Forse questo contrasto tra musica e parole sta a simboleggiare una presa di coscienza da parte di Mordred: non c'è più bisogno di rabbia, l'odio verso i genitori è ormai parte di lui come il respirare. Verso metà canzone restiamo spiazzati ancora perché parte un'accelerazione suonata con tutti i crismi del caso, su questa accelerazione si intesse un altro assolo di Olbrich davvero ben fatto che ci porta verso gli ultimi momenti della canzone. Dopo l'assolo si ritorna alle ritmiche consuete, sempre con gli ipnotici cori in sottofondo. Questa è una canzone particolare anche per un altro motivo, è la prima traccia dell'album che non si conclude con una ripetizione del ritornello ma con dei brevi versi cadenzati in cui Mordred dà l'addio alle sue ultime speranze. Un personaggio sulla carta negativo ma al contempo incredibilmente affascinante, ricco di contraddizioni, le cui vicende (già narrate nel brano a lui dedicato) personali toccano l'ascoltatore, rendendolo partecipe e facendolo quasi empatizzare per lo sfortunato guerriero, sin dall'infanzia additato come una bestia rara, come un reietto, come un rifiuto, un qualcosa di sbagliato a prescindere.
Another Holy War
"Another Holy War (Un'altra guerra santa)", la penultima traccia, parte in quarta senza troppi fronzoli e si mantiene su ritmi elevati per quasi tutta la sua durata. La voce di Hansi tuttavia si fa più grave e meno infuriata, tranne per qualche scream acido più isolato, come accade ad esempio poco prima del ritornello. Quest'ultimo potremmo dividerlo in due parti: una prima metà più lenta e marziale, una seconda invece dove torna la velocità all'insegna di un "Another Holy War" ripetuto più volte e decisamente da cantare, il tutto sempre sotto forma di cori ovviamente. La struttura di questo pezzo è abbastanza lineare e classica, infatti dopo la seconda ripetizione del ritornello, a metà canzone, troviamo l'assolo, impeccabile come sempre. Quest'assolo si caratterizza da momenti più veloci alternati ad altri più lenti e riflessivi che però durano giusto il tempo di riprendere fiato, visto che si riparte subito con alte velocità e melodie aperte e anche abbastanza solari. Come da copione dopo l'assolo troviamo l'ultima strofa e l'ultimo ritornello, che concludono una delle tracce più veloci dell'album. Come si evince dal titolo le tematiche della canzone sono di stampo religioso. Non è la prima volta che i Bardi si cimentano con questi temi, già nel loro secondo album "Follow The Blind" c'era l'ottima "Banish From Sanctuary" che aveva come protagonista S. Giovanni Battista, il profeta che battezzò Gesù Cristo. Qui il protagonista è Gesù stesso, impersonato, come per gli altri personaggi dell'album, da Hansi Kürsch. Anche Gesù diventa un eroe tragico, entriamo nella sua mente e leggiamo i suoi turbamenti e paure prima di essere crocifisso, con un occhio rivolto al futuro però, infatti tante saranno le Guerre Sante che verranno fatte in suo nome dalla religione che proprio da lui prende il nome e insegnamenti, insegnamenti e idee che però non sono stati seguiti fino in fondo da chi è vissuto dopo di lui. Ma non solo dai posteri, anche i suoi contemporanei falliscono nel capirlo, decidendo come tutti sappiamo di farlo uccidere: "Sooner or later you must understand/ My words bring freedom/ And rescue for man/ What else,/ To call me your Messiah/ Oh, I wish there could be another way/ Cross and nails are already prepared". In queste parole vediamo anche un personaggio apparentemente divino che però ha paura come tutti gli esseri umani comuni, paura di morire nonostante ci sia una resurrezione in vista che lo eleverà ad uno status superiore, lontano dai mortali, quei mortali che l'hanno anche tradito (Giuda). Gesù passa dunque le sue ultime ore da "mortale" immerso nel panico e nella consapevolezza che non si può cambiare ciò che è stato scritto, per questo anche per lui arriva una presa di coscienza del suo destino che forse potrebbe dargli forza: "Wait for the dawn/ To take me away/ What will be if I fail/ Another golden calve/ Never, never ending/ Pain and agony/ Hit me, nail me make me god!".
And The Story Ends
Purtroppo la fine del disco è prossima, ci pensa una maestosa "And The Story Ends (E la storia termina)" a chiudere le danze, e lo fa nel migliore dei modi. Questa canzone infatti è forse quella che più di tutte lascia presagire il futuro dei Bardi, quella che più di tutte porta il seme di quelle che poi saranno le sonorità del successivo capolavoro dei tedeschi: "Nightfall In The Middle-Earth" (1998). In questa traccia conclusiva in effetti i cori sono ancora più marcati e presenti e si intrecciano magistralmente durante tutto il pezzo, dando una forte sensazione di composizione sinfonica, caratteristica che verrà incrementata proprio in quel "Nightfall?" e troverà l'apice in "A Night At The Opera" (2002). Non a caso quest'ultimo porta il nome di un altro famoso capolavoro degli eclettici Queen e non a caso la distanza tra ogni album comincia ad aumentare, proprio per permettere a meglio il lavoro di scrittura e composizione di un sound sempre più ricco e pomposo. Ma torniamo alla canzone, come già detto il pezzo è maestoso, ma questo non gli impedisce di cominciare in modo piuttosto oscuro e tenebroso con la batteria che tiene un ritmo da marcia mentre poco dopo iniziano i cori in bilico tra sogno e incubo che sorreggono il ritornello malinconico, posto proprio in apertura. Dopo di esso la canzone acquista velocità, salvo tornare su ritmi cadenzati dopo non molto, con addirittura una chitarra acustica che emerge dalle trame del duo Olbrich/Siepen. Hansi ancora una volta si alterna tra ruggiti profondi e parti più gridate, senza esagerare o risultare fuori luogo, lui è un narratore che sa bene come narrare le sue storie. Piccola curiosità: il titolo potrebbe far pensare a "La Storia Infinita", ma poco prima di ogni ritornello si sente esclamare "at the edge of time!", ebbene questo non deve far pensare al loro album "At The Edge Of Time" del 2010, ma alla canzone con lo stesso titolo contenuta in "Beyond The Red Mirror" (2015). Questo perché "Beyond?" continua e espande un concept che parte proprio da qui, da quest'album e in particolare da questa canzone, e, a detta dei Bardi stessi, anche da "Bright Eyes", che a questo punto acquisterebbe anche un significato più ampio rispetto a quello analizzato in questa sede, visto che non comprenderebbe più solo Mordred, ma anche la storia del bambino che scopre un altro mondo dall'altra parte dello specchio/portale (un po' come "Alice Nel Paese Delle Meraviglie" o "Alice Attraverso Lo Specchio" insomma), storia che viene ampliata per l'appunto nell'ultimo album uscito in casa Blind Guardian. Fatto confermato da queste parole: "Come with me and join me/ A new life's waiting for you/ Jump through the mirror/ Leave fear behind?" ed ancora: "We're not alone/ There's someone else, too/ From the mirror's other side?". Il giovane protagonista deve compiere una scelta, restare in questo mondo sterile e vaccinato contro ogni forma di fantasia oppure saltare nello specchio e cercare l'ignoto, questa scelta verrà svelata solo dopo tanti anni? Comunque sia il pezzo procede come è iniziato, pesante ma melodico, minaccioso ma a sprazzi etereo, qualcosa cambia durante l'assolo, i tempi si fanno più accelerati infatti e c'è anche spazio per un breve dialogo con la chitarra acustica che dona varietà e sfumature in più al tutto. Prima della fine della storia c'è ancora tempo per un ultimo ritornello e per una celata dichiarazione di intenti da parte di Hansi che inoltre ci lascia con il dubbio per quanto riguarda il continuo di questa fiaba: "I'm not a king/ I'm just a bard/ How can I trust/ If there is good and bad/ The wounds of life/ They will remain/ At least I found a friend?".
Conclusioni
Dopo 50 minuti di ottima musica non si può far altro che promuovere questo disco con ottimi voti, resta infatti uno dei migliori esempi di Power Metal (anche se non proprio tout court) ma non solo, un album che giustamente ha il suo posto tra i più conosciuti e apprezzati di sempre nel Metal tutto. Senza ombra di dubbio, poi, si può affermare come questo sia a conti fatti uno degli apici compositivi dei Blind Guardian, molto probabilmente il migliore in assoluto, per l'omogeneità e la qualità media di ogni singolo pezzo; qui si entra nel gusto personale ovviamente, ma la qualità di questo capolavoro resta comunque innegabile. Dopo quest'album i Bardi intraprenderanno un corso (che tra l'altro comincia piano piano a germogliare proprio qui) che li porterà a complicare e ad arricchire (per qualcuno anche di troppo) la loro proposta, come accennato anche più sopra, portandoli su territori più sinfonici che strizzano l'occhio anche al Prog. Si potrebbe dunque dire che questo "Imaginations?" sia l'ultimo album del secondo periodo dei Blind Guardian e allo stesso tempo il primo del nuovo. Una specie di spartiacque insomma, neanche troppo brusco alla fine dei conti. Un inizio "col botto" che ha sicuramente ricevuto apprezzamenti da ogni dove, ed ha di certo contribuito a rendere il Power come uno dei fenomeni "per antonomasia" del determinato periodo storico in cui "Imaginations.." si è ritrovato ad uscire. Era di fatto il 1995, l'anno di "Land of the Free" dei Gamma Ray, di "Masquerade" dei Running Wild; insomma, la Germania dettava le leggi del genere, fosse esso più melodico e sognante o più massiccio ed improntato verso stilemi Speed / Classic Heavy. Notiamo dunque come i Blind Guardian abbiano saputo, con questo capolavoro, sintetizzare al massimo la vasta proposta dell'epoca, donando la vita ad un disco pervaso da due anime: l'una più sognante e trasportante, l'altra più incalzante e possente. "Bipolarismo" perfetto, il che spiegherebbe dunque l'enorme successo riscosso dalla release analizzata in questo articolo. Un plauso, poi, per gli ottimi testi, mai scontati e mai necessariamente legati ad uno "stereotipo". Anzi, assai variegati ed interessanti, profondi e mai noiosi. Una sorta di "ceppo comune", la tematica Arturiana e letteraria fantasy, comunque rielaborato in modi e maniere differenti, a seconda dell'occasione. In definitiva, un vero e proprio masterpiece del Power Metal, che tutti gli appassionati del genere (e non solo) dovrebbero possedere o quanto meno ascoltare, giusto per rendersi conto di quanto "Imaginations.." si possa rivelare, canzone dopo canzone, un'autentica fucina di emozioni e sensazioni fra di loro sempre variegate, incanalate in un flusso incessante di note ora decise ora sognanti.
2) I'm Alive
3) A Past and Future Secret
4) The Script for my Requiem
5) Mordred's Song
6) Born in a Mourning Hall
7) Bright Eyes
8) Another Holy War
9) And The Story Ends