BLIND GUARDIAN

Follow The Blind

1989 - No Remorse Records

A CURA DI
CRISTIANO MORGIA
21/09/2016
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Nel 1989, anno di uscita di questo "Follow The Blind("No Remorse Records"), i Blind Guardian non erano ancora una band sotto la luce dei riflettori, ma una gruppo che stava cercando l'exploit definitivo per il salto di qualità che lo avrebbe portato verso livelli più alti, sino al raggiungimento della cosiddetta cima. Sicuramente, i Nostri erano comunque una band di già grandissima qualità, com'era del resto evidente nel debut "Battalions Of Fear" (1988); naturalmente,  i Bardi dimostrarono fecero in modo di farsi notare anche con questo secondo album, pur essendo la loro attitudine ancora leggermente acerba e legata a stilemi Heavy, Speed e Thrash. Aspetti che non ne facevano comunque una band derivativa o di bassa lega, anzi: quel che troviamo in "Follow.." sono tutti una serie di episodi di grande fattura, se non ottima in alcuni frangenti. Un disco che sicuramente riusciva ad emergere dal calderone di release dello stesso genere. Ad un ascolto più attento, poi, si evince come entro i solchi dell'album sopracitato è comunque presente una potente dose di personalità e originalità, un qualcosa che cercava soltanto di sbocciare; e ci sarebbe riuscito alla grande! In campo Power, la fine degli anni '80 era dominata sicuramente dagli Helloween, i quali nell'87 e nell'88 diedero alle stampe due album epocali e archetipici per questo genere. Stiamo parlando dei "Keeper Of The Seven Keys" (Parte I e II), due releases con le quali quasi ogni band Power Metal emergente in quel periodo e in futuro avrebbe dovuto confrontarsi e trarre ispirazione. Insomma, gli Helloween erano divenuti un'istituzione e con quella doppietta storica riuscirono a compiere il salto di qualità definitivo. I Blind Guardian, però, decisero comunque di non seguire la lezione stilistico/musicale dettata delle Zucche di Amburgo con quei due capolavori, proseguendo per la loro strada cercando di creare uno stile personale che prendesse piede album dopo album. Già in "Follow The Blind" abbiamo cambiamenti rispetto al debutto, infatti. D'altronde è giusto così, i Blind Guardian sono in assoluto una delle prime band Power Metal e in quanto tali dovevano avere uno stile avulso da troppi paragoni e richiami, uno stile in grado di dar davvero vita a qualcosa di nuovo. "Follow The Blind" esce appena un anno dopo "Battalions Of Fear" e ne segue la scia, proponendo uno Speed/Power seminale dalle forti tinte Thrash nelle ritmiche e soprattutto nei riff delle asce di André Olbrich e Marcus Siepen, che in questa occasione particolare suonano come un duo molto più affiatato (specialmente per quanto riguarda il comparto ritmico) e soprattutto più aggressivo, influenzati per l'appunto da un certo tipo di Thrash. I Blind stessi infatti hanno rilevato di essere stati influenzati moltissimo da band come Testament e Forbidden durante la stesura dell'album. Rispetto al debutto, però, cominciano a sparire i richiami agli Iron Maiden e agli Helloween di "Walls Of Jericho":  aumentano infatti la potenza, la pesantezza e  in certi frangenti anche l'epicità, le canzoni sono sì veloci e dai ritmi serrati, ma la furia primigenia viene incanalata e leggermente più controllata, viene messa al servizio di una prestazione musicale più attenta ai dettagli e alla creazione di pezzi più definiti, più compatti ed in grado di contenere e narrare storie, leggende e miti. I Blind Guardian infatti (all'epoca non ancora "Bardi") proseguono sul tracciato creato da loro stessi, e cioè scrivendo testi immaginifici e presi soprattutto dal mondo del Fantasy, caratteristica questa che verrà migliorata e perfezionata con il passare del tempo. Come vedremo meglio più avanti, però, anche qui i Blind Guardian differiscono dagli Helloween: i testi infatti non sono ottimisti e solari, ma tutto il contrario. Testi in cui trova spesso spazio la tragedia umana come unica possibilità di vita e di realizzazione per l'eroe, testi che, per forza di cose, sono sorretti da un impalcatura musicale che ricerca l'enfasi e l'epicità. Più di una canzone è dedicata infatti all'antieroe Fantasy per eccellenza, ossia Elric di Melniboné, personaggio oscuro e dalle tinte malinconiche uscito dalla penna di Michael Moorcock, il quale più avanti indagheremo nei dettagli. Tornando a parlare del sound in senso generale, dicevamo di come questo fosse lievemente più ricercato, rispetto all'esordio. Il disco, come il predecessore, fu prodotto sempre nei "Karo Studios" in Germania, e non cambiando moltissimo ma comunque suonando leggermente differente. Evidentemente, si era sentita la necessità di migliorare leggermente il prodotto finale, soprattutto per quanto riguardava il lato strettamente canoro (quest'ultimo sempre appannaggio totale di Hansi, anche bassista) cercando di smussare quei piccoli difetti caratteristici di un debutto degli anni '80. La produzione migliorata, anche se non di moltissimo, rende quindi il sound un po' più corposo e più denso e anche più limpido; di conseguenza quelle caratteristiche descritte pocanzi possono emergere con più facilità, grazie anche e soprattutto alla qualità dei musicisti, la quale non va mai tralasciata. Sonorità dunque più massicce in virtù delle influenze Thrash dichiarate, ma anche cura e perizia in fase di produzione, nonché l'aggiunta di stilemi che caratterizzeranno via via l'aspetto musicale dei Blind Guardian del futuro. Già in "Follow.." sono infatti presenti delle vere e proprie cavalcate epiche impreziosite da ritornelli anthemici, in cui i cori diventano sempre più protagonisti. Olbrich e Siepen, inoltre, come già accennato, sembrano davvero migliorati, non si limitano a macinare riff taglienti, ma cominciano piano piano a dedicarsi agli intrecci chitarristici e alle armonie che faranno la fortuna della band. In quest'album poi compare come ospite un certo Kai Hansen, (quasi ex) leader (all'epoca) proprio degli Helloween, a confermare come tra le due band non ci fosse mai stata nessuna rivalità, anzi: Hansi Kürsch e "Zio" Kai sono amici, tant'è che quest'ultimo comparirà come guest star anche in futuro e anche il bardo Hansi presterà la sua voce in "Land Of The Free" (1995), precisamente nella canzone "Farewell". Proprio quando Kai Hansen sarà diventato al contempo il leader di una nuova band importantissima, i Gamma Ray. Torniamo al nostro disco, troviamo Kai Hansen alla 6 corde nell'assolo di "Hall Of The King" ma soprattutto come seconda voce nel classico dei classici, nella canzone migliore di quest'album: sto parlando di "Valhalla". Addentriamoci però ora nel track-by-track di questo "Follow The Blind".

Inquisition

I primi 40 secondi dell'album sono occupati dall'intro "Inquisition (Inquisizione)", un titolo perfetto, poiché ciò che stiamo ascoltando altro non è che un tenebroso requiem, il "Pie Jesus", il quale inizia soffusamente con un fade-in per poi essere accompagnato anche da batteria e chitarra, per renderlo ancora più deciso e apocalittico. Si ha infatti la sensazione di stare dentro un monastero sperduto tra le montagne, con un coro di monaci incappucciati intenti ad intonare ossessivamente i versi "Pie Jesu Domine,/ Dona eis requiem?". Il tutto mentre assistono ad un processo della Santa Inquisizione. I Blind Guardian confermano quindi da subito di voler restare su lidi oscuri e per niente goliardici.

Banish From Sanctuary

Quest'inizio dal sapore religioso lascia presto il posto a "Banish From Santcuary (Bandito dal Santuario)", l'opener vera e propria, che continua su questi binari tematici proponendo una canzone su S. Giovanni Battista. Il pezzo irrompe devastante non appena l'intro si spegne piano piano. Si ha un inizio col botto, un inizio al fulmicotone! Il pezzo infatti parte rapidissimo con dei riff velocissimi e aggressivi come non mai, Thomen Stauch alla batteria è un terremoto e mostra qui tutta la sua presenza e abilità. Su queste ritmiche si staglia la voce di Hansi, più controllata e melodica rispetto al recente passato, ma sempre possente ed inimitabile. Le strofe proseguono su ritmi sostenuti fino al magnifico e possente ritornello, per metà corale, tutto da cantare a squarciagola, ritornello che comunque non provoca nessun rallentamento, mettendoci così davanti ad una canzone che non lascia un attimo di tregua: "No, no, turning back/ I'm banished from sanctuary/ The darkness in me is filling me with pain/ There's no way to turn back for eternity". Dopo il ritornello troviamo un'altra strofa che serve come trampolino per rilanciare il ritornello, che  già si è impresso nelle nostre teste e subito ci fa venir voglia di cantarlo, meglio se durante un concerto. Dopo di esso, André e Marcus diventano i veri protagonisti, scambiandosi assoli in una corsa senza fiato che esplode un tripudio di melodie accattivanti e momenti solistici più veloci. Già in "Battalions?" i Blind Guardian avevano provato ad usare un tema religioso, precisamente nella canzone "The Martyr", in cui si parlava della vita di Gesù e delle sue ultime ore, dimostrando in fin dei conti come quest'ultimo sia un tema molto caro alla band; a riprova di quanto si asserisce, in "Hall Of The King" verrà anche trattato il tema della fede. Tornando al brano che stiamo trattando, anche in esso è presente la figura di Gesù, ma il personaggio principale è senza dubbio S. Giovanni Battista, come specificato più sopra; il profeta è interpretato da Hansi, che non si accontenta quasi mai di fare il narratore esterno, preferendo mostrare direttamente il punto di vista dei suoi personaggi. Il protagonista che ci appare è un profeta che viene colto da dubbi riguardo la sua missione, la fede in Dio sembra cominciare a vacillare, Giovanni si sente solo e abbandonato nel deserto, battezzando genti e predicando la venuta di un Messia di cui, dopo anni, non si vede ancora l'arrivo: "In deserts I was preaching/ The hand of God was with me/ Baptized with water and I praised/ The one who came behind me". Giovanni  nonostante i dubbi resta però fedele, in cuor suo sa che Dio è là da qualche parte, quindi bisogna solo aspettare ciò che è stato profetizzato da tanti. Eppure la solitudine può far vacillare anche gli uomini più forti: "I'm sure you're there wandering around/ But do you care for me I'm alone?" e di nuovo: "In shadows I'm walking and caught in loneliness?". Alla fine, però, il Battista incontrerà davvero il Cristo, lo battezzerà anche e potrà finalmente porgli tutte le domande ancora cariche di dubbio nate durante gli anni di attesa: "Are you the one who should come show me the light in you/ Or should we wait for someone? Another!". Dopo gli assoli, le strofe riprendono veloci e incalzanti come le avevamo lasciate, portando ad un cambiamento nell'atteggiamento di S. Giovanni. In questi versi, infatti, il protagonista sembra aver ritrovato la fede e dà anche dei consigli al figlio di Dio, avvertendolo di stare attento perché ci sarà sicuramente qualcuno che lo perseguiterà così come hanno perseguitato lui. Dopodiché, Hansi si mette nei panni di Gesù stesso, che può così dire la sua. Alla fine dei conti è valso la pena aspettare, i risultati sono grandi e sotto gli occhi di tutti: "The blind can see the sun,/ cripples walk alone/ The deaf can hear my words/ they believe, just believe/ They believe in me", tuttavia nella stessa strofa, positiva e speranzosa, c'è subito un contrasto. Le liriche infatti tornano sul pessimismo, citando la crocifissione; Gesù è destinato a morire e ne è consapevole, ma purtroppo non si può cambiare ciò che è scritto: "I hear the hangman coming, I wait for execution?". Questo grande classico dal testo interessantissimo e ben fatto è uno dei punti più alti dell'album e finisce proprio con il ritornello, coadiuvato da un breve assolo che chiude definitivamente la traccia.

Damned For All Time

Si prosegue con un altro pezzo aggressivo e veloce, "Damned For All Time (Dannato Per Sempre)". Le intenzioni sono chiare sin dai primi secondi, quando dei riff pesanti e taglienti si presentano a noi, per un attimo cadenzati.. ma una volta preso il respiro, partono a gran velocità con Thomen Stauch a pestare prepotentemente dietro le pelli. Su queste ritmiche André Olbrich, con un breve assolo, il quale lascia subito spazio ad un Hansi arrabbiato e vendicativo che qui lascia uscire il lato della sua voce più sporco e sgraziato: "Conquer the whole world to satisfy/ Their lust for pain and terror!". Questa volta Hansi è un narratore esterno che, grazie al suo timbro, sembra venire dai meandri più oscuri del Multiverso, direttamente per narrarci le gesta e soprattutto i tormenti del Campione Eterno Elric di Melniboné, creatura nata dalla mente di Michael Moorcock, come anticipato già nell'introduzione. Vale la pena spendere qualche parola su questo personaggio, visto che i nostri tedeschi scriveranno altre canzoni su di lui; un paio sono in questo stesso album, altre saranno sparse negli album futuri. Inoltre, Elric è un personaggio Fantasy particolarmente amato dalla scena Rock/Metal (tanto che anche i nostrani Domine sono particolarmente affascinati dall'eroe albino), grazie alle sue tinte oscure, anticonformiste e pessimistiche, ma soprattutto per il fatto di non essere un eroe tradizionale qualunque ma invece un antieroe, ossia un eroe che non è sempre "pulito" e buono, un eroe che spesso deve scendere a compromessi e sporcarsi le mani, trovandosi anche dalla stessa parte del Male e, più accuratamente, del Caos. Elric, dicevamo, è l'ultimo imperatore di Melniboné, un impero antichissimo con le origini che si perdono nel tempo. E' però un impero che, come tutti gli imperi, sta raggiungendo la sua fine a causa dell'ascesa dei cosiddetti Regni Giovani che ne delimitano il potere e anche l'autorità. Un impero che ha perso gran parte della sua potenza e ricchezza. Elric si trova quindi a governare su dei possedimenti in crisi, per di più è anche albino, gracile e, forse anche peggio, soggetto a sentimenti umani che il resto della sua popolazione non prova. Per completare questo quadro tutt'altro che lucente, Elric deve usare delle pozioni magiche per sostenere il suo debole fisico, come fossero droghe. Possiede una spada magica chiamata Stormbringer (Tempestosa nelle traduzioni italiane), una spada che però non ha i poteri magici tipici di qualsivoglia fiaba, è un'arma che gli dà forza ma allo stesso tempo gliela succhia via affamata di anime da uccidere. Inoltre, per chiudere in bellezza, Elric ha come patrono uno dei Duchi dell'Inferno, il più potente e pericoloso di tutti tra l'altro, Arioch. Fatta questa brevissima sintesi si capirà perché è un personaggio così amato da chi suona e ascolta Rock/Metal e soprattutto perché è stato scelto dai Blind Guardian, dediti ad un certo tipo di sound, come protagonista di alcune loro canzoni. Ma torniamo al pezzo: siamo sempre su ritmi veloci e incalzanti, non c'è un attimo di tregua, un altro beve assolo di Olbrich ci guida verso una versione ancora embrionale di quello che più avanti sarà il ritornello vero e proprio; dopo di esso, la canzone sembra rallentare improvvisamente e farsi più cupa mentre una batteria pesante e terremotante ne segue e ne accompagna il corso. E' solo un attimo però, un attimo che spezza piacevolmente il ritmo della canzone e si chiude al grido acido di "The dark kingdom's time!", per tornare nuovamente sulle tipiche ritmiche veloci che continuano anche sotto al ritornello, ora più deciso e potente, ora nella sua forma perfetta, in grado di esprimere la tragedia dell'eroe albino: "Damned for all time In every age he existed/ Damned for all time In every future he'll live/ For all time He's crying He's crying". Dopo una strofa dannatamente aggressiva c'è tempo ancora per ripetere il ritornello, ma poi è il momento dell'assolo. Questa volta, André mette da parte le sue tipiche melodie per sfornare una prestazione veloce, sporca e al limite del Thrash, in linea con tutta la canzone insomma. Ci sono altri versi molto interessanti ed esplicativi all'interno della canzone, come quelli che rimandano un po' implicitamente, per chi non conosce la storia, alla figura del Campione Eterno, una figura che fa parte di ogni Universo, in ogni tempo e spazio, una figura misteriosa, e a volte inconsapevole del suo destino, che ha come compito quello di mantenere l'equilibrio tra Ordine e Caos. Elric è proprio una delle incarnazioni del Campione Eterno, ma non c'è solo lui, come ci spiega Hansi: "Damned for all time - who am I?/ Once I've been called Erekose/ I was Elric - I'll be Corum I'm the prince of the South Ice/ Now I'm nothing Wait for someone Wait for Ilian No! I'm Hawkmoon!". Un ultimo ritornello chiude questa canzone particolarmente Thrash-oriented e ci spostiamo verso la quarta traccia, la più particolare ed innovativa dell'album molto probabilmente, la title-track

Follow The Blind

L'inizio di "Follow The Blind (Segui il Cieco)" infatti è particolarmente spiazzante: la prima cosa che sentiamo è un riff pesante e cupo che si assesta su ritmiche cadenzate. Già questa caratteristica è sorprendente, finora infatti i Guardians hanno sempre proposto canzoni veloci e fomentanti, questa volta però decidono di variare la proposta e di giocare su un terreno non ancora esplorato. Le sorprese non finiscono qui, però; a sorreggere il riff monolitico troviamo anche un tappeto di inaspettate tastiere (queste ultime suonate da Mathias Wiesner) che, non risultando per niente invadente e restando comunque in secondo piano, dà un tocco di magico e di evocativo a questi primi secondi. Se togliamo l'inizio quasi scherzoso di "Majesty", i Blind Guardian ancora non avevano mai usato le tastiere, tastiere che qui hanno il ruolo di accompagnatrici vere e proprie. Il loro utilizzo dà profondità al pezzo e ne aumenta il lato enfatico, facendo risultare questo brano come il più evocativo dell'album. Ad un certo punto il riff monolitico sembra spegnersi piano piano e soffusamente, lasciando spazio all'altra innovazione della canzone e dell'album, ossia ad una chitarra acustica che delicatamente accompagna l'evoluzione della canzone verso la struttura del mid-tempo. Dopodiché, e dopo ben un minuto di introduzione, la voce di Hansi rompe la calma e spezza ogni indugio, restando sempre però su toni cupi e lievemente sommessi, in tema con l'andamento della canzone. La voce del tedesco è qui sì oscura, ma non è aggressiva e tenebrosa, anzi, si sente un leggero sentore di malinconia che dona più espressività all'interpretazione: "Follow the blind/ Your journey, your last hope, it can begin/ These passing dreams were real not fantasy/ There are more things than we know Come take my hand?". A sugellare questa prima strofa arriva una triste melodia di Olbrich che però si libera subito di questi panni portando il tutto verso un'accelerazione non troppo marcata ma contornata da bei riff variegati e decisi. Anche la batteria di Stauch si fa più varia e con più sfumature, non limitandosi più a pestare soltanto. Anche questa strofa si chiude con un assolo, questa volta di Marcus Siepen, assolo meno triste del precedente ma più energico e veloce, anche se non di molto e senza comunque abbandonare certe sfumature cupe. Sotto di esso la batteria di Thomen si fa più terremotante che mai, questo perché siamo vicini al punto focale della canzone. E' giunto infatti il momento del ritornello. Anche questa volta i Blind Guardian decidono di arrischiarsi con soluzioni abbastanza nuove ed insolite per il loro sound, il ritornello infatti non è né arrembante, né corale, né prettamente catchy, anzi è ossessivo e disperato, ipnotico, quasi una terribile nenia, come testimoniano anche il testo in questo preciso punto: "I'm alone, follow me!/ Calling you, follow me!/ I'm alone, follow me!/ Follow the blind/ Follow me/ Follow me it's my time/ Follow me/ Follow the blind!". Il perché di queste liriche così tenebrose e disperate è presto detto: anche qui, come in "Battalions.." i Blind decidono di chiamare in causa Stephen King, componendo una canzone e un testo che si ispira al romanzo "Il Talismano" (1983), scrito da King in collaborazione con Peter Straub. Il romanzo parla di un ragazzino dodicenne, Jack Sawyer, che parte per un viaggio alla ricerca di un certo "Talismano" in grado di salvare la vita di sua madre, morente a causa di un cancro. La ricerca avrà luogo sia in America sia in un mondo parallelo chiamato "i Territori", abitato da lupi mannari. Proprio uno di questi lupi mannari, portato accidentalmente nel nostro mondo, diventerà compagno d'avventure di Jack Sawyer, aiutandolo nella ricerca del Talismano, cercando nello stesso tempo di non farlo cadere nella mani dell'antagonista Morgan Sloat. Questi versi aggressivi, in cui è proprio il protagonista a parlare, sintetizzano bene quanto appena esposto. Sono dei versi tutt'altro che avventurosi: Jack Sawyer si ritrova in quest'avventura solo per cause di forza maggiore, i suoi pensieri non sono per niente positivi e ottimistici, ogni pensiero va infatti a sua madre malata: "Wandering in my darkest dreams/  Iron shadows are lurking at me/ In this desert the tyrant's calling/ On the run to save my love/ She's full of pain/ The queen is lying far behind/ In an endless dream!". Dopo questa strofa esplicativa e rivelatrice, come di consueto troviamo un altro assolo di Olbrich, che però in quest'occasione non si limita a delimitare la strofa ma si lascia andare ad una prestazione solistica più lunga ma sempre pregna di quella cupezza che caratterizza il brano, scegliendo quindi di restare su velocità non troppo alte. Un'altra breve strofa cantata sempre in modo piuttosto aggressivo ci porta alla seconda ultima esecuzione dell'ossessivo ritornello che questa volta si chiude con un "No!" disperato che sembra allontanarsi sempre di più, quasi intrappolato nel mondo parallelo di cui il romanzo parla, e che conduce al finale atmosferico e calmo in cui ritroviamo la chitarra acustica che avevamo lasciato nell'introduzione accompagnata però da una melodia leggera di Olbrich e che chiude definitivamente la canzone. "Follow The Blind" è chiaramente una delle tracce più interessanti e rivoluzionarie dell'album, una di quelle in cui si sente moltissimo, e obiettivamente, la maturazione della band rispetto al debutto di nemmeno un anno prima, una traccia che inoltre dà varietà all'album.

Hall Of The King

Ma proseguiamo con la nostra analisi, proseguiamo con "Hall Of The King (Il salone del Re)". Dopo una canzone evocativa e diciamo anche atmosferica c'è bisogno di ritornare su alte velocità, ed i Guardiani lo fanno esattamente con questo bel pezzo che parte proprio con dei riff violenti e taglienti, ma non ancora al massimo della velocità. La velocità pura viene raggiunta solo dopo qualche secondo: i riff sono serratissimi e non c'è spazio neanche per i ricami chitarristici del duo Olbrich/Siepen, che qui si limitano appunto a sorreggere le ritmiche con plettrate precise e potenti. Da notare però che quest'ultime non sono monotone e ferme su loro stesse, anzi, dopo i primi due versi cantati da un arrabbiatissimo Hansi cambiano, virando su dei riff dotati di un groove maggiore, salvo tornare dopo solo un attimo sulle soluzioni precedenti. Hansi qui sfodera un timbro abbastanza sporco e vendicativo, che si discosta chiaramente dalla performance apprezzata nella title-track, più pulita e narrativa. Dopo la prima strofa, il brano sembra fermarsi improvvisamente, ma solo per ripartire ancora più veloce di prima, usando così una soluzione molto vicina al Thrash Metal: "A hundred thousand centuries/ The sun had never seen/ So near but much too far/ Eternal place you know what's life/ But cannot tell/ I can never see you changing/ But you look to me/ Time will never heal your wounds/ But you're immortal!". Liriche più criptiche del solito queste, sembrerebbe che questo pezzo porti con sé alcune tematiche come la fede e magari anche i comprensibilissimi dubbi esistenziali di chi ha scelto di compiere questo "salto nel vuoto", per usare le illuminanti ed esplicative parole del filosofo danese Søren Kierkegaard. L'immortale di questi versi potrebbe essere infatti Dio/Gesù, ferito dalle frustate, dalla corona di spine, dalla crocifissione, ferito intimamente da un tradimento ma ormai divenuto immortale. Questa sensazione è confermata già dalla prima strofa: il protagonista espone un pensiero che è piuttosto altalenante, all'inizio sente quasi di essere chiamato, forse è proprio un richiamo divino,anche se non vi è nessuna certezza di ciò. Però, al grido di "God, why I didn't care!" c'è quasi una presa di coscienza. Il nostro protagonista sembra pentirsi di non aver compiuto quel salto nel buio citato prima. Lasciarsi andare alla fede però non è cosa facile e Hansi ce lo dice esprimendo prima il desiderio di essere portato nel luogo dove il tempo è immobile,  molto probabilmente il Paradiso, poi invece ricambia idea esponendo un'idea, se non opposta almeno negativa, la vita dopo la morte, l'eternità viene vista come un qualcosa di freddo ed oscuro: "Alone I walk, hearing a voice/ That's calling my name/ no one schould be here/ take no one with you/ God, why I didn't care/ On through death take me away/ To the place time will not fade/ Colder than dead, Darkness - eternity?". Ma torniamo al lato squisitamente musicale: il ritornello è potente e corale (ritornelli del genere hanno molto spazio in quest'album), tale potenza però non disdegna un certo flavour epico, che qui trova vita sotto forma di un breve coro tetro e sacrale ma dannatamente efficace posto nell'ultima parte del ritornello stesso: "Hall of the King a vision of the end/ Hall of the King don't cry for us/ Don't hear us calling/ Oh watch out for me Hall of the light/ My last sin!". Dopodiché, prima di un fulmineo assolo di Olbrich, troviamo dei versi sempre abbastanza aggressivi in cui c'è una frase molto esplicativa, riguardante il concetto di fede: "To see you must open your eyes?", e ancora, questa volta dopo l'assolo, c'è un altro rimando alla Passione di Gesù: "You're the birth and you're the end/ You've been hurt but you're not dead..", versi che portano però ad una visione negativa della fede, avvelenata da una credenza e da un'ideologia in partenza positiva e speranzosa ormai diventata dottrina e religione istituzionalizzata che ha dato vita, nel corso dei secoli, a innumerevoli persecuzioni e a guerre sante varie: "Discovering you is what should never be/ Poisoned are our souls, And dark our hearts/ Ruins we have left to rule the world/ Destructive are our minds, It's much too late!". Alla fine di questi versi pessimistici e negativi arriva il turno dell'ospite dell'album, Kai Hansen, il quale si presenta dunque all'ascoltatore con la sua 6 corde. Il sound da lui proposto è molto diverso da quello di André Olbrich, e lo si percepisce da subito: l'ex zucca di Amburgo infatti propone un suono meno acuto e più denso, ma comunque veloce, pulito e accattivante, come è evidente proprio dalla sua performance in questo preciso momento. L'assolo è inoltre impreziosito da delle tastiere che fanno nuovamente capolino e ne segnano anche la fine, portandoci all'ultima esecuzione dell'epico ritornello, che sarebbe stato belle riascoltare almeno un'altra volta. Proprio perché il refrain porta anche alla fine della canzone; poco male però, l'ascolto dell'album deve proseguire! ?

Run Fast To Madness

La traccia numero 6 risponde al nome di "Run Fast To Madness (Corro Veloce Verso La Pazzia)", ed è sicuramente la canzone più Thrash-oriented dell'album. L'inizio potrebbe trarre in inganno, giacché il pezzo non parte in quarta, ma si mantiene su velocità medie con una melodia di chitarra a sorreggere il tutto (se si aguzzasse l'orecchio potremmo quasi sentirci i Testament). Questo momento più melodico, però, termina subito, ed i riff si fanno più nervosi e caotici, così come la batteria. Questo "nervosismo" è indice di preparazione,  qualcosa sta per accadere.. la preparazione all'esplosione di velocità ed aggressività che verrà di lì a poco, con un Hansi infuriato e stabilitosi su tonalità gravi ,di nuovo intento a cantarci di Elric di Melniboné: "White hair and red eyes/ he is holding the crown/ The king of the island/ Elric of Melnibone/ He's born for destruction/ He's ruled by the Gods/ eternal hero/ The scale of the universe!". In questa prima strofa troviamo una perfetta descrizione dell'antieroe di Moorcock: capelli bianchi e occhi rossi, caratteristiche tipiche dell'albinismo. Inoltre, c'è anche un riferimento al fatto che il suo destino sia legato a quello di personalità ultraterrene, e come accennavo più su, molto più su, una di queste è Arioch, Duca dell'Inferno. Già da questi versi poi si respira aria di tragedia: Elric è nato per la distruzione, non c'è altro per lui se non la sofferenza. Nella strofa seguente, il cielo cupo e tempestoso creato dai versi appena letti sembra aprirsi, i Blind Guardian infatti cambiano leggermente ritmo andando verso una soluzione più melodica e aperta, un po' più vicina al Power insomma. Sembra addirittura esserci anche più narrativismo, Hansi infatti prende saldamente in mano le redini della narrazione, sia musicalmente sia vocalmente; ma anche per quanto riguarda le liriche, anche qui molto importanti. Come in "Damned For All Time", troviamo un rimando al Campione Eterno, l'entità difenditrice del precario ordine tra Ordine e Caos, presente in ogni epoca e in ogni dove. A questo proposito sono molto esplicativi questi versi: "Blood on his hands/ he's born a thousand times?". Facendo parte di ogni era è chiaro che il Campione Eterno si ritrova a rinascere innumerevoli volte, incarnandosi nei soggetti prescelti, eroi che spesso neanche sanno di avere questo fardello sulle spalle, parte di loro fin dalla nascita. Elric è proprio uno di questi prescelti inconsapevoli. Questo piccolissimo spiraglio musicale di luce tuttavia dura giusto il tempo della strofa che gli dà vita, già nella successiva le nuvole si richiudono riportando la band su lidi più cupi, con un Thomen Stauch terremotante alla batteria a prendere il ruolo del tuono. Il ritornello sembra tardare ad arrivare, i Blind Guardian preferiscono aspettare e continuare con la narrazione. Poco più avanti infatti c'è un momento particolarmente aggressivo con altri versi molto importanti, propedeutici alla comprensione della storia del nostro eroe, atti a farci capire meglio anche i poteri della sua spada demoniaca e senziente Stormbringer, un'arma che non è stata forgiata per lui dai migliori fabbri del suo regno o ereditata. Essa è un'arma trovata, ma molto probabilmente non per caso: "In a dark land far behind/ no one knows its name/ There's a dark sword cold as ice/ A blade created for him/ Stormbringer cries/ for the soul of everyone/ Stormbringer cries/ "The ending has begun!". Da notare inoltre che Stormbringer ha anche una lama gemella, Mournblade (tradotta in italiano con il non bellissimo nome Luttuosa) che verrà impugnata da Yyrkoon, l'avido cugino di Elric pretendente al trono di Melniboné. Finalmente, comunque, arriva il ritornello, il quale risulta dannatamente Thrash. Le velleità epicheggianti della traccia precedente vengono abbandonate per dar vita ad un ritornello più semplice, diretto e anche leggermene sgraziato se vogliamo, in piena tradizione Thrash appunto, ma forse non altrettanto accattivante. Al suo termine però parte un gran bell'assolo di Andrè, che cerca di non andare troppo veloce nonostante le ritmiche lo permettano, riprendendo anzi la melodia che abbiamo visto presente ad inizio canzone. Dopo di esso torna il ritornello che lascia comunque immediatamente spazio al proseguo della traccia, che non accenna a nessun cambiamento di sorta, restando su ritmiche serranti e violente, impreziosite raramente da qualche tocco melodico di André Olbrich, come prima dei versi vagamente corali che incitano il debole ma fondamentale eroe albino: "Hail to the king of Melnibone/ He's the Saviour of our time!", versi in cui Elric sembra essere finalmente riconosciuto per quello che è, in questo modo forse anche lui potrà accettare il suo destino. C'è un problema ,però:  Stormbringer dona sì forza ad Elric, ma nello stesso tempo gli corrode l'anima e lo rende in un certo senso schiavo. Lei è sempre lì a ricordarci della sua opprimente presenza, come fosse un personaggio in carne ed ossa: "Stormbringer cries/ 'I'm forged in darkest time'/ Stormbringer cries/ 'The ending has begun'". Elric, in un modo o nell'altro, sarà sempre un condannato, dunque, ed è proprio per questo insieme di ragioni che il ritornello ribadisce di nuovo con decisione "Run fast to madness!". Ritornello che questa volta, nel finale, viene ripetuto una volta di più, con Hansi che lamenta significativamente "Leave him alone?", mentre sotto di esso prende forma un altro assolo di Olbrich, in cui si può apprezzare l'utilizzo del wah wah (uno dei suoi futuri marchi di fabbrica), che ci guiderà verso la conclusione del pezzo. 

Beyond The Ice

Si passa così alla strumentale "Beyond The Ice (Oltre il Ghiaccio)", leggermente inferiore alle strumentali presenti in "Battalions?", a dire il vero. Un pezzo sì piacevole e ben suonato ma che non lascia proprio il segno e non risulta particolarmente memorabile. In ogni caso è un'esecuzione piacevole, anche qui votata a ritmiche prettamente Thrash sulle quali si stagliano i fluenti e melodici assoli di André Olbrich che d'altronde non stancano mai. Possiamo comunque vedere questo pezzo come una pausa necessaria per preparaci al vero apice del disco. La traccia n° 8 è infatti il classico dei classici, una delle canzoni più belle e famose dei Guardiani, una delle canzoni più celebri all'interno del panorama Power Metal e non solo.. una vera e propria perla, insomma! 

Valhalla

Ma andiamo con ordine, la canzone in questione è la mitica "Valhalla". Il pezzo parte con un memorabile riff che si staglia monolitico e minaccioso, mentre Hansi esordisce con voce potente e tonante cantando gli altrettanto memorabili versi d'apertura: "High in the sky where eagles fly/ Morgray the dark enters the throne". Da questo preciso momento la canzone decolla a grande velocità su lidi tipicamente Speed/Power, senza però dimenticare un certo alone epico che un titolo del genere evoca per forza di cose, e che si mantiene saldo per tutta la durata del pezzo. Il testo potrebbe sembrare un semplice tributo alla mitologia nordica e al Valhalla appunto, il palazzo dove vengono accolti tutti i guerrieri morti gloriosamente in battaglia, ma a ben leggere si nasconde qualcosa di più profondo e complesso, come vedremo a breve. La prima strofa dunque, come scritto poche righe più su, si lascia andare ad eccitanti ritmi Speed/Power, abbandonando quindi la pesantezza claustrofobica delle soluzioni più Thrash. Hansi, poi, nonostante sia sempre oscuro e grave, riesce a donare una certa sensazione di apertura melodica che rende la canzone molto ma molto accattivante, donando anche quella sensazione di cantato "scaldico" che diventerà sempre di più una caratteristica importantissima e presente nei futuri lavori dei nostri Bardi. A chiudere questa strofa e a ribadire la presenza della melodia interviene anche Olbrich con una brevissima fuga solistica che lascia subito il prezzo al roccioso riff di apertura, il quale, a sua volta, svanisce per dar spazio al bridge e all'ospite Kai Hansen con la sua inconfondibile voce. Un cantato che qui impreziosisce ancora di più la traccia e si cimenta in versi molto evocativi e pregni di pathos, i quali si chiudono con uno dei suoi tipici acuti mentre André sorregge il tutto con le sue scorribande melodiche sulla 6-corde. I due bridge sono senza dubbio tra i momenti migliori del pezzo, ma essendo dei pre-chorus servono come antipasto per quello che verrà dopo, ossia l'enorme e famosissimo ritornello, un ritornello epico e semi-corale che sprigiona potenza pura, un ritornello che non lascia prigionieri, da cantare letteralmente con i pugni al cielo mentre la sua forza dirompente si espande per tutti i 9 Mondi sorretti dall'albero Yggdrasill, fino a giungere al Valhalla stesso. Dal vivo, questo ritornello trova la sua dimensione più consona, continuando ad essere cantato anche diversi minuti dopo la fine della canzone, come testimonia per esempio la performance contenuta nel DVD "Imaginations Through The Looking Glass" (2003). Vi posso garantire che è un momento davvero bello ed esaltante, avendolo vissuto in prima persona in due occasioni. Ma leggiamone il testo: "Valhalla - Deliverance/ Why've you ever forgotten me?/ Valhalla - Deliverance/ Why've you ever forgotten me?/ Oh Valhalla!". Come possiamo leggere, paradossalmente, dietro a tanta potenza si nascondono parole quasi disperate, c'è della tragedia anche qui. Il Valhalla non esiste più, questo potrebbe quindi essere il grido disperato di un guerriero che nel momento della sua morte si trova spaesato non sapendo più dove andare, ora che la casa dei prodi è svanita. O meglio ancora, e forse più correttamente, sono le parole di uno stregone citato nel bridge di Kai Hansen che si trova innanzi ad un cambiamento epocale che non riesce a spiegarsi del tutto, nonostante la sua voglia di combatterlo. Ma perché il Valhalla è sparito? Il testo della canzone fa riferimento alla cristianizzazione che, nel Medioevo, colpì le terre del Nord Europa portando quindi all'abbandono della Mitologia Norrena come religione. Lo stregone vorrebbe fermare proprio questo cambiamento. Nella prima strofa si legge esplicitamente di un nuovo dio, il Dio cristiano: "Blow the horn and praise the highest lord/ Who'll bring the dawn he's a new god?". Ma torniamo alla musica: dopo il ritornello, André sforna uno dei suoi assoli, alternando note veloci ed acute ad altre decisamente più melodiche e sentite; è comunque un assolo che dura poco e che serve come trampolino per una ripetizione dello stesso refrain. Dopodiché la canzone cambia leggermente ritmo e atmosfera, la batteria si fa più opprimente e pesante, così come la voce di Hansi, che esprime qui il fallimento del piano dello stregone, gli dei non ci sono più e cono loro se ne va anche la magia, è tempo dunque di lasciare questo mondo: "?Broken my heart/ I leave this world/ All gods are gone?". A questo punto torna Kai Hansen con il secondo ed ultimo bridge e con dei versi davvero significativi, in cui si spiega che creare religioni e credenze varie è quasi un bisogno primario dell'essere umano, quasi da non poterne fare a meno: "So many centuries,/ so many gods/ We were the prisoners/ of our own fantasy/ But then we had nothing/ to lead our life/ No, no, we can't live without Gods!". Il pre-chorus, come da copione, porta di nuovo al mitico ritornello, qui nel finale ripetuto più volte, per far sì che resti saldo nella mente dell'ascoltatore. Da notare inoltre che l'assolo che accompagna il ritornello, in quest'occasione, è nuovamente di zio Kai. La conclusione vera e propria del pezzo è abbastanza inaspettata e sorprendente, anche se brevissima: un tappeto di tastiere evanescenti e lontane come i tempi pagani che si incontrano con un delicato arpeggio di chitarra che soffusamente richiama l'ormai nota melodia del ritornello. Un piccolo accorgimento che però, come per "Follow The Blind", mostra una band più attenta alla composizione e ai piccoli dettagli che possono comunque donare varietà ad un lavoro. Purtroppo, "Valhalla" è anche l'ultimo inedito dell'album. Già, perché a chiudere questo disco troviamo ben due cover (due e mezzo, anzi). Una scelta un po' ingenua, come fu per il disco d'esordio (chiuso da due strumentali), anche di più forse, dato che dopo un pezzo come il sopracitato, che avrebbe potuto benissimo chiudere l'album, due cover spezzano di molto la tensione, uccidendo un po' la curiosità e facendo arrivare, nella mente dell'ascoltatore, la conclusione dell'album prima che il CD smetta effettivamente di girare.

Don't Break The Circle

La prima è "Don't Break The Circle (Non Rompere Il Cerchio)", cover dell'omonima canzone presa dall'album "The Unexpected Guest" (1982) dei Demon, band inglese di N.W.O.B.H.M. In verità cambia poco rispetto all'originale, già bella eccitante e veloce: qui i tedeschi aggiungono quella potenza in più tipica del loro stile, lasciando comunque immutati i connotati del pezzo dell'82 insieme al suo irresistibile ritornello che recita incessantemente e come un monito: "Don't break the circle/ Don't break the circle?". Da segnalare che questa canzone non era presente sull'LP al momento dell'uscita dell'album, fu infatti suonata ed inserita soltanto nel 1991 per la ristampa uscita sotto l'egida della "Virgin Records", facendone di fatto una bonus track oggigiorno totalmente integrata nell'album. 

Barbara Ann

La seguente traccia è una cover della celeberrima "Barbara Ann", canzone prima registrata dai The Regents nel 1961 e poi dai Beach Boys nel 1965, che la trasformarono nel pezzo che conosciamo tutti oggi. Possiamo quindi apprezzare dei Blind Guardian in una veste totalmente diversa dal solito, una veste goliardica e spensierata che sdrammatizza un po' il tutto, anche se forse non ce n'era molto bisogno. Nel pezzo infatti non c'è quasi la minima presenza dei 4 tedeschi, i quali si limitano a cantare il famoso ritornello della canzone degli americani senza snaturarla ma nello stesso tempo senza darle un tocco di personalità, sfornando anche un assolo in stile retrò. Questa traccia, però, contiene una sorpresa. Dopo un minuto circa, infatti parte un'altra cover ancora: all'improvviso ecco spuntare fuori "Long Tall Sally" di Little Richard, pezzo risalente addirittura al 1956! Neanche qui i Blind si sforzano di personalizzare la musica. Tuttavia, questi secondi rimanenti, sono lasciati proprio ad un'altra voce ospite, quella del cantante tedesco Rolf Köhler, che ricalca in pieno gli stilemi canori del Rock'n'Roll. Questo medley conclusivo comunque, oltre ad essere non proprio brillante, è quasi un riempitivo se vogliamo dirla tutta. Per lo meno, non va ad inficiare troppo la qualità generale dell'album e le sue ottime caratteristiche analizzate finora nel track-by-track, il quale si conclude proprio qui.

Conclusioni

Con "Follow The Blind", dunque, i Blind Guardian personalizzano ancora di più il loro sound, portando la loro ricerca sonora e di originalità ad un livello leggermente superiore. Non siamo ancora davanti ad un vero e proprio cambiamento, ma, come abbiamo visto, gli elementi per il salto in avanti ci sono già quasi tutti. Alla fine dell'album, però, restiamo come pervasi da una certo alone di dubbio, come se una forte sensazione di "frettolosità" generale ricoprisse l'album.  Ricordiamo che questo disco uscì neanche un anno dopo "Battalions..", e forse questo ha influito un po' sulla composizione e sul generale modus operandi: magari, se la band si fosse soffermata un po' di più sulle fasi di scrittura e registrazione avremmo un album ancora più completo. Inoltre, con una intro, una strumentale e due cover restiamo con soltanto 6 tracce in cui si può ascoltare la band al meglio; forse, è il caso di dirlo, un'altra canzone avrebbe arricchito il platter. Qui però siamo in pieno campo ipotetico, e la Storia, come si suol dire, non si fa con i "se". D'altronde l'album ha comunque avuto la sua grande importanza nella carriera dei tedeschi e possiede tuttora una sua propria innegabile bellezza, grazie soprattutto (senza comunque togliere niente alle altre canzoni) ai classicissimi "Banish From Sanctuary" e "Valhalla", ossia i punti in assoluto più alti del lavoro. Senza contare poi che in questo platter è presente un pezzo come la title-track, la quale ci mostra una band decisamente con voglia di cercare soluzioni nuove e di non ripetersi, strizzando l'occhio a certe soluzioni che verranno usate anche nei seguenti album. Forse, rispetto al debutto, si perde un po' di "frizzantezza" e di energia, per esempio molte delle melodie di Olbrich/Siepen che erano presenti in ogni traccia e in quasi ogni strofa vengono sacrificate in favore di una certa compattezza strutturale; in compenso  abbiamo però un album appunto più compatto, più roccioso e decisamente più pesante. Anche il vocalismo di Hansi risulta meno versatile rispetto a "Battalions?", ma questo non deve assolutamente essere visto come un limite del cantante. Si tratta infatti di una scelta stilistica intrapresa per adattarsi alle sonorità più Thrash dell'album e alle sue atmosfere più cupe, donandoci quindi un Hansi quasi sempre su toni più gravi, sporchi e aggressivi, lasciando un po' da parte il suo lato più melodico e pulito. Particolare curiosità, dopo l'uscita di "Follow The Blind", i Guardiani Ciechi non intrapresero nessun tour a suo supporto, limitandosi a suonare in piccoli concerti durante i fine settimana. Forse, però, questa scelta risultò incredibilmente positiva: la band ebbe così più tempo per preparare l'album successivo, ossia quel "Tales From The Twilight World" del 1990 che gli avrebbe permesso di fare il salto evolutivo definitivo, lanciandoli all'interno di lidi propriamente Power ed immettendoli in una corsa inarrestabile fatta di grandiosi album che diventeranno delle vere e proprie pietre miliari. C'è inoltre da ricordare che gli anni '90 saranno un decennio fertilissimo per un po' tutto il Power, da quello più legato agli eighties a quello più "sperimentale" e ricco di influenze esterne che nascerà dopo la seconda metà del decennio, con band come Gamma Ray e soprattutto i nostri Blind Guardian a farla da padrone.

1) Inquisition
2) Banish From Sanctuary
3) Damned For All Time
4) Follow The Blind
5) Hall Of The King
6) Run Fast To Madness
7) Beyond The Ice
8) Valhalla
9) Don't Break The Circle
10) Barbara Ann
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