BLIND GUARDIAN

Fly

2006 - Nuclear Blast

A CURA DI
CRISTIANO MORGIA
19/07/2021
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione recensione

Ormai il nuovo millennio è iniziato, e i fasti del power metal di fine anni '90 sono andati, anche se ovviamente essi sono stati anche portatori di giovani leve che avrebbero dato il loro fondamentale contributo alla causa. È ormai il 2006 però, e i grandi lavori delle band storiche erano già usciti tutti. Anzi, diciamo pure che in questi anni cominciano a uscire anche degli album non sempre ispiratissimi e talvolta anche dimenticabili se accostati ai capolavori del passato. Il caso Blind Guardian, in ogni caso, è un po' particolare, visto che i tedeschi erano usciti dagli anni '90 come i re indiscussi del genere grazie a una sequela di album dal valore incredibile e difficile da battere, tanto che i Bardi sono probabilmente l'unica band power metal che viene apprezzata anche da chi non è un fan del genere in questione. Questo ha dato tantissima visibilità al gruppo, ovviamente, ma ha pure alzato di molto le aspettative. In effetti, dopo l'uscita di un'opera come "Nightfall in Middle-Earth" (1998) chissà cosa ci si aspettava. Invece arriva, dopo ben quattro anni, "A Night at the Opra" (2002), ovvero l'album che ha creato la spaccatura definitiva nei fan della band. Questo ormai è risaputo, è storia, ma in verità non parliamo certamente di un brutto album, ma di un CD che è diverso da quanto la band aveva fatto fino a quel momento, un CD più esagerato e barocco, più complesso e articolato, più progressivo. Poi, se vogliamo, è anche vero che c'è qualche brano più sottotono e la qualità generale dell'album ne risente. Ma cerchiamo di non divagare. Dicevamo che quell'album aveva creato una frattura e anche un allontanamento, ma i Blind Guardian nel 2006 restano ancora una band di punta del power e una band da tenere d'occhio. Le cose si fanno interessanti - e anche preoccupanti - quando Thomas Stauch, lo storico e terremotante batterista della band, lascia la band proprio dopo il suddetto album della discordia, deluso anch'egli dalla direzione intrapresa da Hansi e soci. Al suo posto viene reclutato Frederik Ehmke, che con questo singolo che precede l'album ha la possibilità di mettersi subito in mostra. Il singolo si chiama "Fly" e la copertina rimanda quasi ai lavori del glorioso decennio precedente. La canzone che gli dà il titolo è tutt'altro che in linea con quegli anni, però, anzi, forse è anche più "sperimentale" e bizzarra di quanto si possa udire nell'album del 2002. Addio a cavalcate impetuose e a cori imponenti, qui abbiamo un ritmo tambureggiante, linee vocali non sempre di facile presa e un'atmosfera quasi positiva, con il titolo che però rimanda ai classici titoli del power e all'azione di volare. Ma poi entreremo meglio nel dettaglio. In ogni caso, una scelta coraggiosa perché dimostra che la band non si è curata molto delle critiche post "A Night?" e che anzi ha deciso di andare dritta per la sua strada. D'altro canto, potrebbe anche sembrare una scelta discutibile perché si anticipa l'album che verrà con un brano molto particolare che può essere stato usato come pietra tombale da chi già aveva dei dubbi. A seguire, comunque, il singolo offre la versione acustica di "Skalds and Shadow" (anch'essa presente nel futuro album) e la cover di "In a Gadda da Vida" degli Iron Butterfly.

Fly

Il singolo comincia direttamente con la canzone che ne porta il titolo, ovvero "Fly" (Vola). Già l'inizio, con quelle percussioni quasi tribali, i suoni elettronici e le tastiere che accompagnano dei riff particolarmente duri ma apparentemente statici, fa presagire degli sviluppi che potrebbero rilevarsi inaspettati. Dopo la prima strofa che si adagia su questo tessuto appena descritto, il brano parte verso velocità più tipiche della band in cui anche i riff sono meno monolitici, ma è questione di poco, in quanto la musica ritorna su tempi lenti e abbastanza tranquilli in cui possiamo ancora sentire dei suoni elettronici. La voce di Hansi è sempre molto chiara e narrativa, e stavolta ci presenta Peter Pan e Wendy, i famosi personaggi nati dalla penna di James Matthew Barrie"Lì alla porta, l'ispirazione che cercavo, lo spirito della giovinezza appare". Dopo questo momento i riff tornano ad essere più presenti e attivi, come a simboleggiare la voglia della giovane ragazza di seguire l'eterno giovane volando via; va però detto che questo brano riprende molto la linea di "A Night?", proponendo accelerazioni e rallentamenti improvvisi che rendono il brano molto variegato, simil-Prog e difficile da inquadrare in una struttura precisa. Infatti, ancora una volta, tutto rallenta e si quieta nuovamente e appaiono degli strani suoni di tastiera che accompagnano il pre-chorus, il quale come ci si aspetta dà vita ad un ritornello più in linea con lo stile della band, quindi con suoni enfatici e linee vocali positive che hanno anche modo di intrecciarsi tra loro, anche se forse non è un refrain che resta impresso al primissimo ascolto. Dopo un assolo distorto di Olbrich possiamo quasi vedere Wendy prendere la mano di Peter Pan e lanciarsi dalla finestra della sua cameretta verso il vuoto, vibrandosi però nel cielo di Londra guidata dal giovane verso una meta ben precisa e famosissima, così come sono famose le indicazioni cantate dal tedesco: "La seconda a destra e poi dritto, fino alla luce del mattino". Da questo momento in poi entriamo nei momenti più interessanti della canzone, in quanto, oltre ad esserci molti cambi di tempo, sono presenti anche molte linee vocali e melodie che lasciano il segno e che riescono benissimo a dare l'idea del volo e dell'eccitazione che esso comporta. Sono momenti molto positivi in cui i cori vanno a mettere l'accento e quell'enfasi in più che fa venire voglia anche a noi di tornare bambini e volare verso l'Isola Che Non C'è. Il ritornello spezza un po' questo crescendo riportando la canzone ad una certa gaia pacatezza che comunque serve a non rendere il brano troppo dispersivo. L'assolo di Olbrich, in ogni caso, ci riporta verso altri momenti più veloci e magici, oserei dire, in cui i Bardi riescono a far cadere un po' di polvere di fata anche sulle nostre spalle. Dopo un'ultima strofa (anch'essa ricca di bei momenti) il ritornello ci porta verso la fine della canzone affidata alle rare note acute di Hansi. Diciamo che se "A Night at the Opera" aveva fatto storcere il naso a molti - e aveva decretato addirittura l'allontanamento di altri - con questo singolo i Bardi decidono di osare ancor di più con un brano atipico e diversissimo da quanto mai suonato prima. Una scelta senza dubbio coraggiosa, ma forse un po' azzardata.

Skalds And Shadows

Giungiamo ora a quello che forse è il mio pezzo preferito dell'album, ovvero alla bellissima "Skalds And Shadows" (Scaldi Ed Ombre). Dai primissimi accordi capiamo immediatamente di trovarci davanti ad un pezzo acustico e medievaleggiante, un tipo di canzone che mancava da "Imaginations?" e che ora pare tornare ad essere presente su un album dei Bardi, per la gioia di tutti. Ad appoggiare la bella voce di Hansi, qui più che mai in veste di bardo o di scaldo. In effetti le liriche hanno una gran forza narrativa che sta proprio nel fatto di raccontare l'azione e la bellezza del narrare stesso! La delicatezza dei primi versi si mantiene anche nel semplice e breve ritornello, il quale però è impreziosito da cori e leggere percussioni che lo rendono più enfatico. La strofa che segue sembra parlare non di uno scaldo nordico qualunque, ma di Hansi stesso, che, come ben sappiamo, è anch'egli un narratore sopraffino che ci accompagna verso innumerevoli posti attraverso le sue canzoni: "Canzoni canterò, di rune e anelli, datemi solo la mia arpa e questa notte si trasforma in mito" . La traccia ha un incedere tipico delle antiche ballate, con le strofe che si alternano continuamente e prevedibilmente al refrain, permettendo quindi di rendere il tutto più memorabile. Utile se si è degli scaldi alla corte di un re o in una piazza e si è intenti a cantare proprio di re, di miti e di Valhalla: "Canzoni canterò, ti tribù e re, l'uccello saprofago o e la Sala degli Uccisi". Come già detto, il ritornello è sempre là dove ce lo aspettiamo, con i suoi cori leggeri che ci cullano e trasportano verso quei luoghi di cui si canta e di cui vogliamo sentir parlare ogni qualvolta sentiamo il bisogno di evadere. L'ultima strofa differisce leggermente dalle precedenti, per quanto riguarda linee vocali e melodie, ma mantiene ovviamente intatta l'atmosfera medievale data dai suoni che l'avvolgono e, inoltre, mantiene ben attiva la magia che permea il tutto sin dai primi secondi grazie ad una prova vocale di Hansi molto sentita e delicata, ma nello stesso tempo sprizzante di luce e fioche scintille, che conferma ancora una volta quanto detto finora e quanto questo pezzo sia magico. Forse "magico" è un aggettivo vago e soggettivo, ma chiunque conosce il brano sa di cosa sta parlando, e lo stesso penserà chi si appresterà a sentirlo per la prima volta. A questo punto possiamo rispondere ad un quesito. Quanto è diversa questa versione da quella che poi sarebbe finita sull'album? Al dire il vero molto poco! La canzone dell'album è già di per sé un pezzo che non è poi così lontano dall'essere acustico, e questa versione acustica che lo anticipa è soltanto più? acustica per l'appunto, con meno cori, niente violino e niente clavicembalo. Insomma, una versione più asciutta e semplice che però mantiene ugualmente un fascino incredibile.

In a Gadda da Vida

Il singolo è chiuso dalla cover di "In-a-Gadda-da-Vida" degli americani Iron Butterfly. Il brano risale al lontano 1968 ed è uno degli esempi più famosi del rock psichedelico e delle primissime pulsioni progressive ed è un po' entrato nella storia del rock in generale, anche per quel titolo bizzarro. In effetti, visto così il titolo non significa niente, ma la verità è che una storpiatura della frase "in the Garden of Eden" (nel Giardino dell'Eden) pronunciata dal cantante mentre era ubriaco o sotto effetto di droghe. La canzone originale dura la bellezza di 17 minuti, ma all'epoca uscì come singolo di neanche 3 minuti e i Bardi riprendono ovviamente quest'ultima versione. L'inizio è soffuso e particolarmente rilassato, pure se pian piano si comincia a sentire il riff principale solamente abbozzato. Riff che però esplode dopo solo qualche istante in tutta la sua potenza. Ovviamente nella versione originale il riff era meno duro e, per forza di cose, meno metallico, ma i Blind Guardian danno il loro contributo rendendo il tutto più consono al loro stile. Ecco quindi che quell'aria un po' stralunata del pezzo del '68 qui si trasforma in qualcosa di più deciso e vagamente arrabbiato. Quando Hansi comincia a cantare le cose si fanno lievemente meno nervose, con la prima delle due uniche strofe che verranno contate ossessivamente dall'inizio alla fine del pezzo: "In a gadda da vida, tesoro, non sai che ti amo? In a gadda da vida, baby, non sai che sarò sempre autentico". La seconda strofa presenta addirittura una piccola accelerazione di batteria e note alte da parte di Hansi, e per un attimo ci scordiamo che stiamo ascoltando una cover, soprattutto quando, poi, André Olbrich se ne esce con un assolo molto veloce e tagliente supportato da una buonissima prova del nuovo batterista, che qui non fa rimpiangere troppo il vecchio Thomen. La canzone prosegue dunque ripetendo sempre le stesse due strofe, con le stesse accelerazioni e gli stessi climax, ma dopotutto il brano originale era proprio così (salvo la versione di 17 minuti che era farcita di assoli e improvvisazioni varie). Buona cover comunque, molto distante dallo stile dai Bardi, ma per questo più interessante.

Conclusioni

Ebbene, il singolo è piuttosto breve e conta solo tre tracce. La cosa buona è che sono tutte e tre canzoni mai sentite prima, a parte il pezzo degli Iron Butterfly ovviamente, ma intendo dire che la cover dei Blind Guardian appare qui per la prima volta. Di solito nei singoli si aggiunge la versione orchestrale/acustica/live di qualche brano del passato, recente o meno che sia, qui invece solo cose nuove. La cosa particolare è che "Skalds and Shadows" è una versione acustica effettivamente, ma di un brano del futuro. In ogni caso, se "A Night at the Opera" aveva fatto storcere il naso a molti, "Fly" forse ha fatto peggio. Sì, perché qui siamo lontanissimi dai riff potenti e le cavalcate distruttive degli anni '90. In un certo senso anche in "A Night at the Opera" ne eravamo lontani, però c'era ancora una traccia di potenza ben visibile, qui invece ci spostiamo di molto verso lidi Progressive, con quelle tastiere in sottofondo e quei ritmi tambureggianti e imprevedibili; i riff stessi risultano più morbidi e il ritornello è piuttosto delicato se paragonato a quanto mai fatto da Bardi. Le linee vocali, tuttavia, sono molto interessanti e sono costruite molto bene (ma non è una sorpresa questa), tant'è che spesso si ha la sensazione di volare verso un'eterna giovinezza, proprio come indica in parte il titolo della canzone stessa. Certo è che non parliamo comunque di melodie dirette e che viene voglia sin da subito di cantare a squarciagola col pugno al cielo, c'è bisogno di molti ascolti, e solo allora - forse - qualcosa farà effetto. Al sottoscritto, per esempio, ci sono voluti anni per rivalutare questo brano. In effetti, preferivo addirittura la sua versione cupa, inclusa come bonus track di "Another Twist in the Myth", intitolata "Dead Sound of Misery". Ora le cose sono cambiate e preferisco il "pezzo madre", però ancora non capisco perché Hansi e soci continuino a proporla ostinatamente nei concerti, quando è chiaro che l'interesse cali non poco quando viene proposta. Almeno questa è stata la mia sensazione, ma questo è, evidentemente la band ci crede molto e non vuole cedere. Per quanto riguarda gli altri due pezzi, "Skalds and Shadow (versione acustica)" è un vero gioiellino, ma non c'è da stupirsi, visto che è un brano composto in uno stile che già conosciamo ed è già stato proposto dalla band in passato. Vi anticipo subito che su "A Twist in the Myth" sarà uno dei brani migliori. La cover degli Iron Butterfly pure è molto piacevole e trovo sempre più interessante quando una band si cimenta con qualcosa che è molto diverso da lei rispetto a quando sceglie un pezzo che le è molto vicino. Per farla breve, forse non avrebbe senso per i Blind Guardian fare la cover di un altro pezzo Power, meglio scegliere qualcosa di completamente diverso e adattarlo, anche là sta il divertimento. In questo i Bardi non sono dei novellini, visto che sin dagli albori hanno scelto di fare cover di canzoni dei Beach Boys o di Mike Oldfield, tanto per citarne due. Per concludere, il singolo è equilibrato, in quanto presenta un inedito molto diverso da quanto mai fatto prima e uno che invece propone uno stile già apprezzato in passato, così da far vedere che il prossimo album avrebbe sì portato la solita firma, ma non avrebbe disdegnato di certo nuove aperture.

1) Fly
2) Skalds And Shadows
3) In a Gadda da Vida
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