BLIND GUARDIAN

Banish From Sanctuary

1989 - No Remorse Records

A CURA DI
CRISTIANO MORGIA
09/02/2019
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione recensione

Era il 1989 ed una giovane band chiamata Blind Guardian poteva dire di essere riuscita finalmente ad incidere il suo debutto, ovvero quel "Battalions of Fear" (1988) che aveva dato il via a tutto. Erano anni di fermento, significativi e pieni di uscite importantissime, il periodo giusto per inserirsi nel panorama metal. La Germania, diventava sempre più importante e ricca di band che avrebbero scritto la storia del genere e addirittura cambiatone le sorti. Senza analizzare tutto il contesto, basti pensare a band come gli Helloween, che avrebbero dato i natali al power metal. È proprio qui che si inseriscono i Blind Guardian, ma il debutto era ancora lontano dall'essere identificato in quel modo: c'erano sì elementi che facevano pensare a sviluppi futuri e ad una maturazione quasi scontata, ma lo scheletro era ancora quasi tutto di derivazione thrash e speed, un po' come il debutto degli Helloween stessi. Il secondo album dei Guardiani sarebbe uscito solo un anno dopo il debutto, ma prima di poterlo assaporare in pieno vennero rilasciate 500 copie del singolo di lancio. Nella seguente recensione si parlerà proprio di questo, di "Banish From Sanctuary", che oggigiorno è una delle canzoni più acclamate della band. Chissà se all'epoca i quattro tedeschi riponevano tanta speranza in essa? forse sì, se ci pensiamo è stata scelta come singolo promozionale! Non un caso dunque, e non lo è se consideriamo che è un brano che comincia a spostarsi decisamente dal recente passato thrash/speed, marcando invece alcune caratteristiche che diventeranno realmente tipiche dello stile più maturo della band. L'album intero in realtà ancora suona molto thrash, tant'è che i membri della band citano come influenze maggiori Forbidden e Testament, quindi è probabile che con un singolo del genere si sia voluto far capire che però c'è anche dell'altro, qualcos'altro che non deve essere sottovalutato. Ad accompagnare la title-track c'è "Hall of the King", che è un altro brano che anticipa alcuni stilemi che sarebbero stati evidenziati ed arricchiti di lì a poco. Parlo ovviamente delle melodie, delle parti vocali corali e delle atmosfere epicheggianti e battagliere, ma vediamo tutto più nel dettaglio.

Banish From Sanctuary

La title-track inizia in modo potentissimo e davvero arrembante, tra riff serrati ed una batteria devastante che ci travolge come una carica di cavalleria. Lo stile non sembra essere molto differente da quello del debutto, ma basta fare un po' più d'attenzione per capire che in realtà è tutto molto più corposo ed imponente; un muro sonoro che appare in mezzo al deserto e rimbomba ovunque. Le linee vocali di Hansi, però, pur essendo ancora piuttosto arcigne, hanno un piglio melodico ed enfatico che è ottimo per narrare storie, che è uno dei fiori all'occhiello della band, già a questo punto. Il piglio melodico è inoltre impreziosito dalla chitarra solista di Olbrich, il quale si fa sentire spesso uscendo dalla sezione ritmica, con armonie e brevi assoli che ci fanno pensare che forse questo non è il solito Speed/Thrash. Pensiero che viene confermato quando i versi cantati da Hansi si fanno sempre più drammatici e vengono affiancati dai cori in sottofondo e si crea così un contrasto con le ritmiche taglienti e più rozze. L'apice però viene raggiunto senza dubbio nel ritornello, che è un piccolo manifesto di quello che è la band in questo periodo: la musica è ancora molto dura, ma i versi sono dannatamente orecchiabili e cantabili, pur mantenendo una certa forza e potenza che li rende comunque arrembanti. Qualsiasi fan ora conosce e sa intonare: "No no turning back/ I'm banished from sanctuary/The darkness in me is filling me with pain/ There's no way to turn back for eternity". La cosa interessante è anche il tema del pezzo, prettamente biblico, ma non viene cantato per dare un insegnamento o qualcosa di simile, viene cantato per il puro gusto di raccontare una storia. Qui è quella di S. Giovanni Battista, vista però sotto una luce diversa dal solito. Il protagonista infatti è preso dai dubbi sulla sua fede e non sa se il messia alla fine arriverà davvero. Hansi ci mostra così il lato tragico della vicenda, il lato più umano del protagonista, quello pieno di paure e domande, un lato che il cantante non mancherà di riprendere anche in futuro. In ogni caso, la canzone continua a pestare e il ritornello continua ad echeggiare tra le dune di terre desertiche come un temporale, ed è la sola cosa che sentiamo poiché Dio non risponde ai quesiti del profeta. Una cosa però arriva a confortarci, ed è l'assolo di André, veloce e melodico allo stesso tempo, con dei momenti davvero ben riusciti che possono quasi essere fischiettati. La sua chitarra, comunque, continuerà fino alla fine ad accompagnare Hansi ed i cori, ora con semplici riff serratissimi, ora con veloci scorribande melodiche come quelle negli ultimissimi secondi del pezzo. Fino alla fine saremo anche accompagnati dal solito ritornellone, ormai una garanzia, e dalla devastante batteria di Stauch: elementi che se da un lato confermano la proposta del debutto, dall'altro la spingono leggermente in avanti, mostrando ai fan una band che forse proporrà qualcosa di diverso nell'album intero.

Hall of the King

Anche l'inizio Hall of the King (Il Salone del Re) è particolarmente potente, e lo diventa di più non appena Stauch comincia a pestare sulla batteria e l'accoppiata Olbrich-Siepen sforna riff che sanno moltissimo di Thrash. Lo stesso incedere veloce ma allo stesso tempo ritmato ricorda moltissimo il Thrash Metal, e la voce di Hansi si adagia questo tessuto, sfoggiando vocalità più roche e cupe rispetto alla canzone precedente. L'atmosfera che si respira anche è leggermente diversa, se nell'opener si respirava un certo gusto per il drammatico, qui sembra prevalere il lato più diretto e schietto della band, come si evince anche dall'alternanza tra brevi rallentamenti e veloci ripartenze che rendono il tutto ancora più arrembante. Anche le parti corali sono meno melodiche e meno epiche, ma più forzute e decise. Tuttavia, il ritornello porta il seme di ciò che sarà negli anni a venire. In effetti, qui le parti corali sono in linea con la prima traccia e con lo stile enfatico tipico della band, tant'è che a tratti ci donano la sensazione di trovarci dentro ad una cattedrale, sempre però mentre Hansi risponde su toni più aggressivi. L'immagine della cattedrale non è del tutto casuale, giacché anche questo brano ha a che fare con la religione, stavolta però non con una figura biblica, bensì con i dubbi generali che la fede può comportare. Sembra quasi che per esprimerli meglio la canzone debba rallentare leggermente, per permettere a chi parla di pensare meglio, ma, come dicevo anche poco più su, c'è sempre una ripartenza veloce in agguato, che qui arriva trasportata dalle veloci note della 6-corde di Olbrich. Questo però non nega ad Hansi il piacere di inserire comunque liriche riflessive e anche abbastanza mature: "You're the birth and you're the end/ You've been hurt but you're not dead". Versi che chiaramente si riferiscono a Dio e a Gesù, visto che il primo viene definito come l'alfa e l'omega ed il secondo è morto e resuscitato. Il seguito della strofa però fa un'aspra critica alla religione (che in realtà non viene mai menzionata esplicitamente), dicendo che è stata dannosa per il mondo e anche per le menti e che quindi sarebbe meglio non lasciarsi andare alla fede, sarebbe meglio non scoprirla. La canzone a questo punto sembra essere ancora più arrembante e tagliente, e ad impreziosirla ci pensa la chitarra dell'ospite Kai Hansen, il quale può  sfoggiare un assolo che sa molto di Power, soprattutto se confrontato allo stile generale del brano e se pensiamo che verso la fine si possono sentire addirittura delle tastiere. Siamo in un momento in cui l'enfasi sembra crescere sempre di più, ed infatti il ritornello fa nuovamente la sua comparsa con le sue linee vocali imponenti e i cori sacrali, ma purtroppo possiamo apprezzarlo solo per un'ultimissima volta, dato che oltre ad essere l'apice del climax è anche la fine, ed in questo caso è anche la fine di tutto il singolo.

Conclusioni

Soltanto due canzoni, due sole tracce che fanno da antipasto per l'album che sarebbe uscito di lì a breve. Due canzoni però di un certo livello! Come ben sappiamo, infatti, "Banish from Sanctuary" è tuttora un cavallo di battaglia della band, uno dei più vecchi a dirla tutta, mentre "Hall of the King", pur non essendo riuscita a diventare un classico è comunque un brano che fa la sua figura, soprattutto se consideriamo che si mostra come uno dei pezzi che più portano i segni del cambiamento e della transizione verso il Power Metal propriamente detto. Nella breve durata del singolo la band riesce a travolgerci con sfuriate dal gusto Thrash, più compatte e pesanti rispetto a quelle del debutto, ma nello stesso tempo riescono a maturare alcuni elementi che si erano già visti l'anno prima. Questi elementi sono ovviamente i cori ed i ritornelli dalla facile presa che restano impressi al primo ascolto, pur non risultando affatto faciloni, ma anzi, suonano battaglieri ed enfatici, anche perché inseriti su una sezione ritmica tellurica dominata dalle asce di Olbrich e Siepen e dall'inarrestabile Stauch alla batteria. Anche le chitarre continuano la loro maturazione, che sarà sempre più evidente nei dischi che seguiranno, tra riff pesanti e armonie delicate e fraseggi volteggianti. Potrebbe far strano non vedere qui il classico dei classici, ovvero la sempiterna "Valhalla". Di solito nei singoli vengono inserite quelle canzoni che più potrebbero incuriosire e far presa, e il pezzo appena citato non avrebbe di certo fallito! Però va detto che già c'è "Banish from Sanctuary", un altro pezzo da 90 avrebbe forse mostrato troppo e alzato di tantissimo le aspettative verso un album che col senno di poi non si sarebbe rilevato del tutto indimenticabile, anche se sicuramente importantissimo e seminale; a questo proposito vi rinvio alla recensione di "Follow the Blind", dove spiego questo punto più nel dettaglio. Andrebbe anche considerata un'altra opzione però, magari i Blind Guardian non erano del tutto convinti di Valhalla e decisero quindi di tenerla fuori dal singolo? Solo supposizioni, non sapremo mai la verità probabilmente, e neanche è così importante conoscerla, dato che sappiamo tutti com'è andata a finire. Inoltre, come già detto nell'introduzione, questo singolo fu distribuito soltanto in 500 copie, quindi non sarebbero state quelle a cambiare le sorti di una band che si stava preparando a prendere il volo. Tuttavia, la scelta di inserire due tra le tracce con più cori e con un approccio più melodico e meno rozzo quasi sicuramente non è stata casuale, e se lo è stata è comunque significativa , in quanto ci fa capire come la band avesse già deciso che percorso intraprendere, anche senza esserne coscienti al 100%.

1) Banish From Sanctuary
2) Hall of the King
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