BLEEDING GODS

Shepherd of Souls

2015 - Punishment 18 Records

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
11/05/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione recensione

I Bleeding Gods sono un gruppo olandese dedito ad un Death/Thrash Metal ricco di Groove, la band è stata formata nel 2012 da membri che avevano già precedenti esperienze in band quali i celeberrimi Sinister (Death Metal), i Supreme Pain (Death Metal) e Mirdyn (Melodic Death/Thrash Metal). La formazione è composta da Mark Huisman alla voce, entrato in formazione nel 2014, curioso sapere che è stato batterista per almeno altri sei gruppi e questa è la sua prima esperienza col canto perché nell'EP di un anno prima c'era un altro vocalist; Ramon Ploeg alla chitarra sin dalla fondazione, il quale ha suonato fino al 2012 il basso negli Houwitser, band Brutal Death Metal olandese; Erwin Harreman, anch'esso componente del gruppo sin dal principio e chitarrista dei Supreme Pain sin dalla loro nascita; al basso e cori Gea Mulder, entrata in formazione nel 2014, forte di esperienze come bassista dei Mirdyn dal 2005 ad oggi, bassista nei Grind Minded (Death Metal) nel loro ultimo album del 2007 prima che si sciogliessero nel 2009, ed anche nei Pharmacon (Metalcore) fino al 2006; infine abbiamo Edwin van den Eeden alla batteria, già batterista dei Sinister dal 2008 al 2011, dei Nymeria (Gothic Metal) nel primo album del 2007. La band nasce da un'idea di Ramon Ploeg che inizia un lavoro di composizione casalinga, dopo aver lasciato gli Houwitser nel 2012, rendendosi conto di avere per le mani del buon materiale recluta dei musicisti da realtà limitrofe, specie nel mondo del Death Metal dato che cercava una certa pesantezza sonora, ed ecco che i Bleeding Gods sono pronti per la loro esperienza discografica che inizia col patrocinio dell'italiana Punishment 18 Records che, nel 2015, pubblica in CD l'album "Shepherd of Souls" del quale adesso ci occupiamo. Le tematiche trattate sono un misto di mitologie tratte da culture e pantheon molto lontani tra loro: attingendo a piene mani dal mondo maya, egizio e greco-romano. La copertina ci mostra il dio maya rettiloide Hunraqan, in volo i suoi uccelli che seminano la distruzione, in basso i quattro uomini dal cuore di giaguaro creati dal dio, dall'altro le quattro donne create dallo stesso per renderle compagne di quegli uomini. La copertina mostra dei colori molto caldi e saturi, fatta eccezione per le forme delle quattro donne che contrastano avendo dei colori altrettanto freddi, al centro della scena titaneggia il dio che osserva, malvagiamente compiaciuto, la propria creazione. Grafica di ottima fattura, tipica del Death Metal più tecnico e curato, ci fa subito intuire che il lavoro è davvero curato in ogni dettaglio e presenta tematiche dal forte carattere mitologico.

Abyss of the World

Iniziamo dunque l'ascolto con "Abyss of the World" (Abisso Del Mondo), un riff di chitarra ovattato e distante, poi l'esplosione di sound che ci mostra subito una produzione all'altezza delle aspettative. I tempi sono tirati, il blast è d'obbligo, il rullante poi prende una cadenza più lenta e martellante: il riffing, con questo tempo, ricorda i lavori degli storici Malevolent Creation, ma il pezzo cambia immediatamente registro e l'assalto sonoro prende una piega tecnica e melodica, un pezzo dinamico e cangiante. La voce è un mezzo growl, parzialmente effettato che ricorda un po' i lavori dei Vader, tecnicamente non è eccelso (e non l'avremmo preteso trattandosi della prima esperienza al canto) ma recupera con l'interpretazione, cercando di non strafare e di eseguire parti semplici con attitudine che per certi versi sa di Deathcore. Brano esplosivo, rutilante batteria, la struttura è solida e coinvolgente con un bridge che si prepara, ci carica, per poi spararci addosso un ritornello martellante da headbanging feroce. Il basso soffre un po' la presenza di due chitarre e la batteria spaventosa, a metà pezzo però c'è un passaggio con più atmosfera ed un giro di basso fa capolino, si fanno notare le atmosfere Thrash, il pezzo prende cadenze lente e stoppate e quindi il basso riesce ad emergere come merita: nella sua semplicità si fa sentire massiccio ed inesorabile come un carro armato. Il pezzo rallenta e guadagna in cattiveria coi toni lenti, accordi di chitarra poi preparano una parte acustica in cui la batteria sfoggia dei passaggi tecnici, subito dopo un assolo in tempi moderati, in pieno stile old school che poi diventa veloce e vibrato. Atmosfera di basso e tremolo di chitarre, poi altre aggressione sonora con blast martellante. Il brano è schiettoaggressivo, non è innovativo ma nemmeno platealmente derivativo: ci mostra una band che sa quale genere vuole proporre, ma non ha intenzione di copiarlo a nessuno. Il testo è strutturato in versi in pieno stile old school, ci propone un panorama poco rassicurante raccontando di un abisso infernale, un regno di tirannia, un impero dimenticato in cui si sentono solo gli stupidi lamenti di anime dannate e la solitudine regna. Le anime vengono svegliate, disonorate ed ingannate, dissanguate come in una carneficina, mentre percorrono il cammino dell'ignoto. Dolore nel realizzare che questo destino attende anche l'ascoltatore, che vivrà la dannazione eterna come schiavo, in un abisso lontano e gelido, maledetto dagli dèi. Un posto che rappresenta la pazzia dell'universo. I toni apocalittici, fatti di frasi terrificanti che prospettano dannazione e sofferenza eterna, ben si associano alla proposta musicale e fanno capire immediatamente all'ascoltatore che sta iniziando qualcosa di aggressivo, violento, che non lascerà scampo.

Into the Depth of Misery

Il secondo pezzo è "Into the Depth of Misery" (Nell'Abisso della Miseria) che parte subito aggressivo con una potente chitarra con accordi stoppati mentre l'altra sfoggia un tremolo brutale, appena dopo un lungo growl gutturale ci accoglie, la batteria è un pestaggio continuo. Tempi molto cadenzati, chitarre pesanti, massicce, i riff sono stoppati a tratti, belli pesanti, ciò che si percepisce e si apprezza è una notevole vena groove garantita dalle dinamiche altalenanti. La voce torna alla dimensione già sentita nel secondo pezzo, fa sentire parti leggermente più acute ed ogni tanto le alterna col gutturale di cui prima; anche in questo caso tecnica non eccelsa ma apprezzabile come interpretazione, scevra di ammennicoli vari va dritta al punto e funziona perché dà anche un feeling old school. Parte un assolo assassino in uno stile che fa pensare alle sfuriate di Kerry King, quanto ad impatto sonoro e violenza gratuita. Il basso è ancora costante, fondamentale nella riuscita finale ma, purtroppo, sovrastato dalle due chitarrone, che nel missaggio hanno preso molta parte delle frequenze, e dalla batteria che non si ferma un attimo. Un nuovo assolo più melodico ci fa sentire un gruppo pronto a variare approccio anche nel corso dello stesso pezzo, il finale è tosto ed improvviso durante un urlo. In questo testo è l'entità infernale a parlare, descrivendo di vedere attorno a sé le anime delle proprie divinità, prive di vita, nell'oscurità sarà incoronato come il loro Signore. Una creatura che ascende all'immortalità, mondandosi delle impurità umane, un portatore di castighi e tormenti per gli uomini. Si descrive quindi questa entità, pronta a diventare divina, come predetto da anime dannate e sofferenti, una previsione apocalittica; diversi riferimenti a scenari di distruzione, morte e sofferenza. Anche questo testo ha un'impostazione in strofe, non propone un concept molto chiaro ma, dopo che il primo pezzo ha presentato l'ambientazione, ci presenta un'entità dal carattere demoniaco pronta ad ascendere a Signore del luogo di sofferenza prima descritto.

Shepherd of Souls

Il terzo brano, "Shepherd of Souls" (Pastore di Anime), ha un inizio particolarmente Thrash che però diventa Thrash/Death per merito della pesantezza delle chitarre e della voce, dopo un primo riff con coro sopra un tupa tupa di batteria, il secondo riff è entusiasmante: ha un incedere Brutal, cadenzato all'inverosimile invoglia un headbanging lento fino alle ginocchia, un riff del genere non è una novità assoluta, però piazzato in questo modo è davvero trascinante. La voce si fa cavernosa ma mai interamente growl, la seconda voce è uno scream femminile che tecnicamente è più dotato ma è stato appiattito dal missaggio, per non coprire troppo la voce principale. Si torna ai lidi Thrash/Death, e la struttura si ripete con la stessa successione di strofe: piacevole sentirla riproposta con parole diverse. Il pezzo a metà si fa Brutal e c'è un breve scambio di botta e risposta tra lo scream femminile e il parziale growl maschile; melodie brutali, in tremolo, pause atmosfere e la batteria che indugia sui piatti. Importanti parti chitarristiche con plettrate veloci e stoppate che fanno da preludio ad un assolo Thrash breve, melodico ed incisivo che è solo un attimo di respiro prima che venga proposta nuovamente la stessa struttura. Questo pezzo ci mostra un gruppo che ci fa tornare alla mentre i primi Arch Enemy dei primi album, e la voce le scelte ed il timbro di Johan Liiva: con quella semplicità tecnica che nasconde una certa fantasia nell'interpretazione. Il testo ci offre ulteriori spunti di approfondimento allorquando, nel ritornello, ci descrive questa figura di Pastore e Redentore di anime, chiamandolo Huracán (termine spagnolo per indicare la divinità maya Hunraqan, termine che significherebbe "che sta su una gamba sola"), divinità che ha ispirato il termine uragano, essendo la divinità del fuoco, vento e tempesta, è anche definito "il cuore del cielo". Il significato della definizione di "colui che sta su una gamba sola" va rintracciata nel fatto che gli antichi popoli maya pensavano che l'uragano fosse appunto l'unica gamba sulla quale si reggeva Hunraqan. Questa è una delle divinità maggiori del pantheon maya, una di quelle divinità che partecipò alla creazione dell'uomo, pare lo creò da una miscela di fango e terra, ma partecipò anche alla distruzione dei primi uomini (gli uomini di legno), coi quali si adirò, scatenando il corrispettivo maya del Diluvio Universale (mito diffuso tra le cultura di tutto il mondo in maniera trasversale, ma trattarne in questa sede sarebbe una divagazione eccessiva). Come tutte le divinità antiche aveva caratteri zoomorfi, Hunraqan era rappresentato come un umanoide dall'aspetto rettiloide, con la testa di serpente, in copertina vi è una rappresentazione della divinità abbigliata con indumenti tipici dei maya. La connotazione "demoniaca" di questa divinità si deve al fatto che sia stata mutuata dal culto azteco del cattivo ed oscuro Tezcatlipoca (anch'esso creatore dell'uomo, anch'esso gambizzato), o anche "Tezcatlip?ca il nero", contrapposto al gemello buono Quetzalcoatl, detto "Tezcatlipoca il nero", un culto duale che vedeva come antagonisti due gemelli come appunto notte e giorno. Il testo descrive i tentativi che hanno poi portato alla creazione dell'uomo, al terzo tentativo con l'argilla (elemento comune in molte mitologie, forse per via della malleabilità), crea l'uomo che però si dimostra irrispettoso della natura e degli animali, dunque lo punisce col diluvio: creatore e distruttore. Poi vengono menzionati gli uccelli mostruosi che la divinità scaglia per vendicarsi degli uomini di legno: Xecotcovach per accecarli, Camulatz per decapitarli e Tecum-Balam per polverizzargli le ossa, sono gli uccelli mitologici che si vedono in copertina. Dopo aver distrutto gli uomini di legno creò quattro uomini dal cuore di tigre, il mito vuole che Hunraqan, soddisfatto della morte degli uomini di legno, passeggiava in un campo di mais e decise di macinarlo e ne fece una pastella, assieme al serpente piumato, mischiandolo all'acqua, ne plasmò quattro uomini infondendo in loro dei cuori di giaguaro, questi uomini erano delle semidivinità capaci di volare e con forza sovrumana, da questi uomini ricavò anche quattro donne che ne furono le compagne; sono rappresentati in copertina. Questo testo rappresenta in esso il concetto principale dell'album.

Rise from Ashes

Proseguiamo con "Rise from Ashes" (Nascita dalle Ceneri) ci propone un ostinato riff, plettrate stoppate di chitarra ed una batteria che è una macina, lo stile è Death/Thrash, poi prende una piega più cadenzata sfociando nel Brutal, per poi tornare al riff precedente che, con la voce, ha un tono old school. Pezzo d'impatto, la voce si fa più sfiatata e roca, parti massicce e gravi, un timpano insistente, la batteria si conferma vincente, il doppio pedale è una certezza che non delude mai. Le chitarre non sono tecnicissime, ma sono sempre in movimento, cambiano spesso, duettano, si intrecciano; il basso continua a pulsare, nell'ombra, ed emerge specie negli stacchi di batteria o nelle parti più atmosferiche con chitarre acute o lente. A metà pezzo una coppia di assoli in rapida successione, poi di nuovo una macina sonora che ripropone le parti precedenti, alcune parti ricordano vagamente gruppi quali Unleashed. Il testo si lancia in una mitologia completamente diversa, quella norrena, dipingendo la scena dei cancelli del Valhalla che si aprono per accogliere un guerriero appena morto, scortato dalle valchirie, le valchirie di Freya; questa parte iniziale porta con sé innumerevoli imprecisioni sulla mitologia, perdonabili visto che molte delle informazioni arrivano da rivisitazioni nella cultura moderna, a mezzo di manga, videogiochi e quant'altro, in cui Freyja (il nome effettivo) viene chiamata Freya. Altra inesattezza riguarda il fatto che Freyja abbia qualcosa a che fare con le valchirie, sebbene sia una divinità della guerra Freyja è la dea del Fólkvangr (campo della gente): dopo la battaglia le valchirie prendono metà dei caduti e la portano da Odino, l'altra metà invece muore definitivamente ed arriva da Freyja (che in un momento era una Vanir dalla parte di Odino, poi diventa una Æsir quando Odino la manda a loro come ostaggio), in una specie di Ade; ecco perché dire "le valchirie di Freya" ha poco senso. Il testo racconta delle polene delle navi da guerra, con la forma di drago, spade che si alzano, infine i guerrieri affondano assieme alla nave, circondati da preziose reliquie, prima di venire accolti nel Valhalla. La mitologia norrena non è stata resa così precisa e ricca di particolari come quella maya.

Ixmucané (I)

 Il quinto pezzo è "Ixmucané (I)che sorprende con delle melodie di chitarra classica, due chitarre sovrapposte, dal sapore latinoamericano, una voce scura recita delle frasi mentre l'atmosfera diventa epica. La chitarra fa un ottimo lavoro ed è molto profonda ed espressiva, i suoni curatissimi. Melodie che si rincorrono, con un approccio a metà tra un flamenco classico ed un folk celtico. Atmosfere sognanti e cariche di drammaticità, intensa. Il finale conserva lo stesso arpeggio sul quale intervengono dei suoni ambientali da giungla. Ixpiyacóc e Ixmucané sono due gemelli definiti "le nonne dell'alba" (stranamente al femminile: in alcuni miti nonni in altri nonne), furono loro a proporre la creazione degli uomini di legno, ottenendo scarsi risultati: esiliati e sbeffeggiati per aver creato delle mere effigi inutili. Giunti a Xibalbá, l'oltretomba maya governato da malattia e morte, i due fratelli si salutano ed affondano nel dolore.

The Lords of Xibalbá (II)

Il successivo è "The Lords of Xibalbá (II)" (I Signori di Xibalbá) con un inizio da Thrash melodico e groovy, per poi ingrossare il suono con le componenti Death. Un riff semplice, cadenzato e vincente, in cui le chitarre sfoggiano groove a palate con stoppate, bending e plettrate veloci; la strofa seguente fa prendere al pezzo una piega Brutal con plettrate alternate, veloci ma pur sempre melodiche. La voce è statica, ma incisiva, anche in questo caso senza troppe pretese tecniche ma con risultati discreti. Stacco di batteria sui tom e poi di nuovo con la strofa iniziale, con nuove parole; questo pezzo è molto cantato. Un'altra pausa, poi una parte con chitarra stoppate ed armonici acuti, una batteria con doppio pedale e giri di tom, intanto una chitarra disegna melodie malefiche; successivamente lo stesso riff rallenta, tutti insieme, per poi sfumare nel finale. La fantasia del gruppo non si è affatto esaurita, questo pezzo mantiene lo stile dei precedenti ma propone soluzioni diverse e fresche, la ricetta è ancora questa: si prende un Thrash molto groovy, gli si aggiunge una botta Death con suoni pesanti e voce quasi growl, poi si alterna ad altre parti con sfumature Brutal in cui la voce si fa anche più gutturale, si propongono eventuali assoli mutuati dal Thrash, a volte melodici altri più in your face. Il testo riprende la storia iniziata del precedente, ma è molto più lungo: l'ingresso a Xibalbá, regno di terrore presieduto dai potentissimi Dodici Signori di Xibalbá, attraverso un fiume oscuro. Nella mitologia il fiume è un fiume di sangue, dei Dodici Signori si conosce il nome di Hun Camé ("Una Morte"), ognuno di questi avrebbe il dominio su una delle varie sofferenze umane quali: malattia, paura, fame, debolezza.. Il testo continua a descrivere il fiume di sangue, pieno di scorpioni e di altri tipi di insidie preposte al fine di umiliare e straziare gli umani; intanto nel mondo dei vivi si stanno preparando sacrifici umani in onore degli dèi dei morti. Viene descritto un regno nero come la pece, con pipistrelli assetati di sangue e lame pronte a lacerare le carni, questi Signori testimoniano in un omissivo sadismo le scene di dolore e sofferenza umana, raccolgono i resti umani ancora pulsanti e li sotterrano. Un bel testo che descrive, negli inquietanti dettagli una mitologia cruda e sanguinaria quale quella maya in cui il supplizio, il dolore e la tortura sortiscono il compiacimento di potenti divinità sadiche assetate di sangue umano.

Glorious Relentless Destiny

L'album procede con "Glorious Relentless Destiny" (Glorioso Destino Implacabile) che inizia con un tritatutto Death/Thrash, velocissimo; la voce canta strofe articolate e lunghe. Una parte successiva è più cadenzata, alterna cori, ed è più pestata, stacchi di batteria e giochi sui piatti, chitarre fischianti per poi tornare alla strofa iniziale. Una parte stoppata in cui si sentono solo le chitarre, poi si aggiunge la batteria e quindi riprende un'altra strofa, stoppata in pieno stile Brutal: si alternano parti con tremolo picking a parti stoppate. Il pezzo non concede un solo attimo di respiro, regala sempre nuovi riff che fanno evolvere la struttura; cadenze malefiche in tutta la parte centrale, poi una serie di assoli Thrash molto casinari e violenti. Il tutto si svolge senza sosta, un assalto bestiale e feroce, le parti con il coro che doppia la voce principale funzionano a meraviglia; il brano scorre veloce. Il testo questa volta ci porta nel mito greco-romano parlando del fiume Acheronte e del traghettatore di anime Caronte; da un fiume all'altro! Viene descritta la scena di un fiume sotterraneo ricoperto di nebbia e si descrive la voce profonda di Caronte che rimbomba nell'aria mentre ammonisce "Woe to you, o, wicked spirits" (Guai a voi, o, spiriti sciagurati). Viene poi descritto un luogo di oscurità in cui gli spiriti attendono prima di rinascere in un altro corpo, nel ciclo della vita. Questo luogo, nella mitologia, sono "Praterie degli Asfodeli" dove le ombre (i greci non avevano il concetto di anima come intesa nel culto ebraico-cristiano) attendevano la reincarnazione, le ombre potevano anche scegliere in cosa reincarnarsi e - una volta bevute le acque del fiume Lete - avrebbero perso la memoria per iniziare una nuova esistenza non gravati dalle sofferenze passate. Nel testo si descrivono le ombre che tremano di paura nell'attesa del traghettatore, anche questo testo ci mostra una certa dimestichezza ed accuratezza mitologica.

Empire of the Immortals

L'ottavo pezzo è "Empire of the Immortals" (Impero degli Immortali), un inizio con delle stoppate che poi fanno entrare in gioco una parte Brutal, che poi viene intervallata da accordi con armonici; il pezzo è lento e dall'ampio respiro, i ritmi non sono serrati ed offre un attimo di riposo. Cadenzato e violento ci mostra una sezione ritmica vigorosa, parti vocali gutturali, ci sono diverse pause e cali di sound tra una strofa e l'altra. Brano non esattamente ispirato come gli altri offre però diversi spunti se si gusta il lavoro di batteria fatto di blast, rullate martellanti ed un ottimo lavoro atmosferico coi piatti che ci fa sentire la classe nonostante la brutalità. La seconda parte del pezzo gli fa prendere decisamente vita, una lenta melodia brutale su cui pestano le due voci: lo scream femminile è maligno ed incisivo ed aggiunge molto al risultato finale. Nella seconda fase ci troviamo delle melodie Thrash in chiave Brutal, una bella botta ma con melodia ed atmosfera; un fade-in vocale e riprende la strofa tirata, altra parte melodica e lenta, un assolo finale furioso in stile Thrash assassino. In conclusione, è un pezzo che avrebbe potuto dare molto di più e soffre di una prima parte poco trascinante, ma recupera appieno nella seconda parte. Il testo inizia così: "I, I am the chosen one, lord of the black, I am the god of gods, I" (Io, io sono il prescelto, il signore del nero, io son oil dio degli dèi, io) e continua definendosi protettore dell'immortalità, sorto dall'oscurità ed asceso tramite atti violenti al fine di rimuovere tutti gli dèi crudeli, un viaggiatore; un vittorioso portatore di disastri, di cieli neri di fumo di città in fiamme dove gli immortali sorgeranno di nuovo: truppe di oscurità che si lasciano alle spalle strade con file di crocifissi. Non se ne fa menzione ma la descrizione sembra indicare chiaramente Ciro II di Persia (Ciro il Grande), asceso come re dei Medi (popolo situato nella fascia di terra tra il Golfo Persiano ed il Mar Caspio) diventò un Re Conquistatore di Persia sconfiggendo babilonesi, sumeri, popolo di Elam (antico popolo del quale si parla nella Bibbia, ne fece parte anche S. Elia) e l'impero accadico, un impero immenso che occupava la maggior parte del Medioriente. Gli Immortali erano la guardia reale, composta da 10.000 soldati scelti duramente addestrati, vengono menzionati nelle storie di Erodoto e secondo alcuni il nome deriva da un errore di traduzione ed in realtà dovrebbero essere i diecimila, secondo altri la traduzione è corretta e si riferisce al fatto che il numero venisse mantenuto rigorosamente intatto rimpiazzando continuamente i caduti, i feriti o malati, di modo che si disponesse sempre di 10.000 uomini perfettamente abili ed addestrati. Con questa spiegazione il testo prende significato, ma si deve anche precisare che la missione di questo Ciro il Grande era quella di conquistare il mondo intero perché era stanco delle ingiustizie e disordini che avvenivano negli altri regni (il cilindro di Ciro il Grande è ritenuta la prima dichiarazione dei diritti umani della storia), quindi voleva portare l'ordine con la forza. L'appellativo "signore del nero", nel testo, è probabilmente dovuto al fatto che - nonostante nei vari documentari o ricostruzioni storiche di vario tipo - Ciro il Grande venga rappresentato coi tratti occidentali, in realtà era nero, come testimoniano diversi affreschi e sculture dell'epoca: il suo esercito di diecimila lancieri, arcieri e cavalieri neri, dalla muscolatura nettamente superiore, era una forza in grado di schiacciare qualsiasi esercito.

Human Weakness

Il penultimo brano è "Human Weakness" (Debolezza Umana), inizia con un tribale di batteria sul quale si inseriscono due chitarre lente e cadenzate, tracciano melodie oscure e brutali, la batteria fa partire un blast e quindi le chitarre iniziano a macinare riff in tremolo. La strofa è un alternarsi di stoppate cariche di groove brutale in cui il growl interviene seguendo la dinamica; il pezzo è tirato e feroce. Un basso riempie il suono di cattiveria, il pezzo assume qualche leggerissima connotazione Death/Black Metal, anche grazie allo scream di coro, un pezzo che scorre piacevolmente brutale, lo stile old school della voce si inserisce bene nella pesantezza delle chitarre che alternano le strofe che abbiamo sentito con passaggi fluidi. A metà il pezzo è stoppato e pesante come una roccia, poi prende toni Thrash con una chitarra da sola, poi un rullante feroce aumenta il ritmo e ci porta ad un assolo ubriaco ricco di sfumature, breve, poi di nuovo la strofa come una macina con la voce che si ripete come un'eco. Le sfumature Thrash, Death e Brutal si alternano stuzzicando l'orecchio fino al finale. Il testo parla della divinità babilonese Marduk, su una carrozza metallica che sfreccia nel cielo trainata dalle stelle (in antiche fonti sumeriche è definito come Giovane toro del dio Sole, è una divinità associata al culto del sole ma veniva associato anche a Giove ed era ritenuto una sorta di padre degli dèi), in cerca di Tiamat, divinità femminile dalle sembianze di drago. Nella mitologia babilonese Ti?mat è il simbolo del caos primordiale creatore del cosmo, è la madre di Marduk, quando lo trovò a giocare con le tempeste rovinando il creato gli scagliò contro undici serpenti mostruosi, come viene raccontato anche nel testo, Marduk li uccide e poi uccide anche la madre in una battaglia epica dalla quale ebbero origine la terra ed i fiumi, che erano i resti del corpo di Ti?mat. Il testo racconta di come Marduk macellò Ti?mat, di come una sua metà generò le terre ed i mari, il mondo che conosciamo e la vita.

Symbolic Sculptures

Passiamo all'ascolto dell'ultimo pezzo, "Symbolic Sculptures(Sculture Simboliche), con un avvio Thrash e stoppato su timpani e piatti, il ritmo è marziale, prende presto una piega Brutal/Thrash. Basso e timpano fanno un ottimo lavoro di pestaggio, il ritmo si mantiene cadenzato e la voce si mantiene sui medio-alti emergendo dal sound. Curioso notare come, ancora una volta, Brutal e Thrash si alternano in un ritornello in stile Thrash però con voci e suoni tipici del Death, su questo ritornello si sovrappone un assolo melodico di chitarra che continua a svilupparsi minaccioso. Una parte più atmosferica e poi un gutturale che inaugura la seconda parte del pezzo, si ripropone una struttura di pestaggio incessante e marziale. I tempi sono lenti e macinano riff articolati, massicci, il sound è pesante ed il rullante si abbatte sull'ascoltatore. Un altro assolo, questa volta un veloce assolo in stile Thrash, vorticoso e furioso, con spazio per alcuni virtuosismi. Si riprende la strofa mentre l'assolo continua a suonare, poi il finale in grande stile con rallentato. Il testo ci catapulta immediatamente nella Valle dei Re, punteggiata di piramidi, di guardia la sfinge con corpo da leone, volto umano ed occhi di Acquario (nell'astrologia gli occhi dei segno acquario sono affascinanti e racchiudono un'impenetrabile conoscenza mistica, contengono una sorta di magia). Sculture dal valore simbolico sono venerate da sacerdoti che parlano la lingua dei serpenti (forse un riferimento ad Apep, o Apophis, dio-cobra egizio del caos, contrapposto a Ra) ed abbracciano il male supremo (ancora una volta un altro indizio che si tratti di Apep). Poi si conclude descrivendo la malvagità di questi culti, condannati nelle Sacre Scritture (la Bibbia) come blasfemi e malvagi.

Conclusioni

Un album che ha il pregio di catapultarci a capofitto nel mondo della mitologia, andando ad attingere a piene mani da miti del mondo americano, nordeuropeo e mediorientale: è davvero molto interessante, a parte la gaffe col mito norreno, notare come i miti sono stati approfonditi e proposti con dovizia di particolari. Un mondo fantastico dipinto coi colori del Metal più pesante e massiccio che trae elementi dal Thrash/Death groovy e melodico, con interessanti passaggi Brutal, senza farsi mancare alcuni leggeri riferimenti ad un Death/Black di matrice più o meno svedese, merito dei cori growl/scream. Il gruppo ci mostra un batterista virtuoso, una furia, sempre al primo posto nel sound e motore di tutto l'album, chitarristi che riescono ad accompagnare tutto l'album alternando riff cadenzati e massicci a parti più melodiche ma pur sempre tirate in stile Thrashversatilità e molti cambi di tempo e tecnica rendono il loro contributo interessante fino alla fine, gli assoli sono brevissimi ma sempre azzeccati. La bassista fa un buon lavoro, molto penalizzato dal missaggio perché coperto dalla preponderante batteria, e dà un contributo molto gradito con gli scream ai cori: tecnicamente è più capace dello stesso cantante. Il cantante, povero in tecnica, riesce però a fare una buona impressione perché si cimenta in parti poco pretenziose, dirette ed efficaci, lineari in alcuni casi, interpretandole con trasporto ed intensità. Una band sicuramente dalle idee chiare, il sound è costruito davvero bene ed ogni cosa è al proprio posto: riesce a rimanere coerente e compatto nonostante la grande quantità di influenze che vengono adoperate, con un risultato omogeneo ma ricco di spunti sempre differenti da un brano all'altro. Il centrale "Ixmucané (I)" fa da spartiacque dell'album proponendo arpeggi di chitarra classica molto ben fatti, questo pezzo, benché breve, ci fa capire l'enorme potenzialità tecnico-stilistica della band e ci fa sperare che, nel prossimo album, vogliano incorporare parti del genere anche nei pezzi tirati, perché il risultato sarebbe strabiliante. In definitiva è un lavoro si attesta nell'old school, con una produzione moderna ed influenze disparate, non inventa niente di nuovo ma intrattiene senza plagiare nessuno: ascolto fresco e piacevole fino alla fine. Un album che offre quaranta minuti di mitologica ferocia, per essere un esordio è notevole.

1) Abyss of the World
2) Into the Depth of Misery
3) Shepherd of Souls
4) Rise from Ashes
5) Ixmucané (I)
6) The Lords of Xibalbá (II)
7) Glorious Relentless Destiny
8) Empire of the Immortals
9) Human Weakness
10) Symbolic Sculptures