Blackdahlia
Fragments
2014 - Areasonica Records
ROBERTA D'ORSI
18/11/2014
Recensione
Ogni stile musicale spesso viene identificato di primo acchito dalla sua artwork di copertina. Se solitamente nei gruppi death metal troviamo simbolismi anti – religiosi, stelle a cinque punte rovesciate e demoni luciferini, nel genere glam spesso sono i membri stessi della band ad essere ritratti nel loro look luccicante, oppure succinte donzelle riempiono lo spazio con gambe e seni in bella mostra. Poi ci sono le band power, in cui epiche gesta di battaglie e di guerrieri imperversano, accompagnati da draghi che aleggiano sopra imponenti castelli. Non è di certo una regola fissa, ma più uno stilema diventato nel corso degli anni, un simbolo distintivo dei vari generi musicali. Chiaramente ogni band decide se “attenersi” a quello stereotipo o divagare concettualmente e visivamente. Nel genere gothic invece sono spesso donne dall’aria malinconica le protagoniste, che abbiano come ambientazione una casa dall’aria diroccata, un cimitero, dei corvi od una foresta spettrale, sono loro, le donne inquiete, quelle dall’anima tormentata a rappresentare il mondo goth. Praticamente ogni stile musicale riversa le sue tematiche base rappresentandole visivamente, dando vita, sempre più nel corso degli anni, a vere e proprie opere d’arte disegnate da talentuosi artisti, alcuni diventati molto famosi. Per citarne alcuni, Derek Riggs il papà di Eddie la mascotte degli Iron Maiden, Luis Royo, ideatore di magnifiche opere power e di donne guerriere e sensuali, per arrivare a Seth Siro Anton, leader della greca band SepticFlesh, genio creatore di immagini disturbanti, ideate non solo per la sua band ma per molte altre. Quando ho visto l’immagine di copertina del disco che sto per presentarvi, l’ho immediatamente associata al genere gothic. Tronchi di alberi in una foresta animata da farfalle, ospitano la figura di una donna dai lunghi capelli, vestita da un lungo mantello nero che mantiene tra le mani uno specchio rotto, i quali frammenti rotti si liberano in aria trasformandosi in una scia di petali vermigli. Il rosso è l’unico colore “vivo” che spicca tra i bianchi, i neri ed i grigi di un’ambientazione in bilico tra una malinconica drammaticità ed una speranza recondita. Appartiene ai Blackdahlia questa effigie, band foggiana nata nel 2008 per mano di Samuela Fuiani alla voce e piano, e di Ruggiero Doronzo alla chitarra ed effetti sonori. Dopo un primo periodo di esibizioni acustiche, si aggiungono ai due ragazzi altri musicisti. Gianluca Raio chitarrista, Antonio Petito bassista e Ludovico Massariello, completano la formazione dei Blackdahlia che nel 2009, rilascia la sua prima demo omonima. Uno dei brani “When a Tear Falls” viene inserito in una compilation “Kill City volume 21” distribuita dalla 272 Records. Nel 2014 i Blackdahlia rilasciano l’album di debutto “Fragments”, che vi ho anticipato con la descrizione dell’artwork. Uscito per l’etichetta Areasonica Records, l’album contiene otto tracce per una durata di 38 min e 53 sec. Il moniker della band non penso sia casuale, ma immagino riprenda l’appellativo dato ad Elisabeth Short, soprannominata dalia nera per la sua predilezione al film “La Dalia Azzurra” ed il suo vestirsi sempre di nero. Quello di Elisabeth è uno dei casi d’omicidio irrisolti più cruenti. Venne trovata nuda col corpo diviso in due parti all’altezza della vita ed uno squarcio ai lati della bocca che ne imitano un sorriso, quello che poi diventerà il Glasgow smile, chiamato così poiché pare abbia avuto origine nella città scozzese di Glasgow. Piccoli tagli vengono apportati agli angoli della bocca ed in seguito il corpo mutilato viene percosso e ferito ripetutamente in modo tale che i muscoli contraendosi, aprano le ferite e formino sul volto un ghigno simile ad un sorriso. Triste storia quella di Elisabeth, la cui violenza perpetrata sul suo corpo lascia in chi viene a conoscenza di quanto accaduto, un senso di profonda angoscia. Uno dei sentimenti chiave delle tematiche gothic è proprio l’angoscia, ed i Blackdahlia appartenendo a questo genere goth/alternative non credo abbiano esulato dall’esprimere tale stato emotivo. Vediamo se ho ragione.
Comincia col suono di un carrillon ed un vocalizzo lamentoso della cantante “Falling Down”. Balza subito all’orecchio il solito riff ripetuto quasi in loop per un tempo che sembra essere infinito. Voce clean ed effettata, batteria monotona e senza personalità, costituiscono una traccia sentita talmente tante volte da stuccare già ai primi trenta secondi d’ascolto. Unica nota positiva per quanto mi riguarda è la presenza del basso, che attribuisce spessore sonoro. Quasi cinque minuti per un pezzo così poco vario, sono davvero troppi. Altra peculiarità, la somiglianza eccessiva con gli Evanescence. Non solo per la voce della cantante, che oltre a ricordare molto quella di Amy Lee, rappresenta il classico stilema delle voci goth e sinfoniche, ma proprio per la costruzione musicale e tecnica del pezzo, che ricalca quasi con perizia, le composizioni degli Evanescence. Poca creatività e tanta minestra riscaldata per questo primo brano. Non devo aspettare troppo per scorgere quel senso di angoscia che avevo preventivato di trovare, e che è un punto fondamentale nei testi di stampo gothic. La protagonista (parlo al femminile poiché i testi sono scritti dalla vocalist) sembra essere vittima di un brutto sogno dal quale non riesce a svegliarsi, e chiede soccorso affinché qualcuno la aiuti ad aprire gli occhi, riportandola ad una realtà che non comprenda mostri sbucati dal terreno. Ma quell’incubo sembra talmente vero e non le resta che aspettare, per vedere quale sia la verità. Anche nelle liriche ho trovato svariate “ispirazioni” ai testi degli Evanescence. Un caso? Mah. “Ho dormito per così tanto tempo” – Blackdahlia, “Mi sembra di aver dormito un migliaio di anni” – Evanescence (Bring me to Life), “I miei occhi sono ciechi, non riesco a vedere” – Blackdahlia, “Devo aprire i miei occhi di fronte a tutto” – Evanescence (Bring me to Life), giusto un pelino di similitudine. Per questo secondo brano “No Regrets” si incomincia con un respiro (prima era un lamento) ed un solo al piano di pochi secondi, procedendo incontriamo sul cammino effetti synth, voce effettata e l’immancabile riff di chitarra che fa da tema portante. Il pezzo è permeato da suoni elettronici, la sezione ritmica funge esclusivamente da accompagnamento a voce, chitarra ed effettini noise vari ed eventuali. Il ritornello è quanto di più commerciale (e già sentito, ma che dico già, stragià sentito) abbia udito negli ultimi anni, però funziona. Si stampa in testa, e come detto più volte, quando questo accade il brano funziona, non c’è nulla da fare. Stilisticamente non siamo di fronte ad un capolavoro, ma ad una canzone orecchiabile che potrebbe ascoltare chiunque. Dire addio ad un sogno che si infrange non è mai semplice. Tutt’altro. Rendersi conto che, a causa degli eventi o per sbagli commessi, quello che rendeva bella la nostra vita ci sta abbandonando, induce ad uno stato di cedevole tristezza. Ci si arrende alla scelta, alle circostanze, a quel sogno che ci abbandona. Come la fine di un rapporto, e sembra proprio questo il caso delle liriche di No Regrets. Anche se il distacco è doloroso, è la scelta più giusta. Tutto ciò è riportato in lettere in modo piuttosto modesto, insomma non ci troviamo a leggere le liriche di un Petrarca o di un Pablo Neruda della situazione. “Eclipse” è una ballad permeata di malinconia. Il songwriting è costruito con passione, si sente a pelle. Le note di chitarra costeggiano un ammutinamento dei sentimenti, si percepisce che la musica si ribella ad un dolore, provato da chi ha scritto le parole che accompagnano il brano. Così come l’interpretazione vocale, sofferente, ma che non si arrende e rincorre una speranza recondita. L’inizio al pianoforte intercede al canto, Samuela si accompagna nella prima parte della strofa iniziale, solo dal suo strumento e da effetti. L’esplosione avviene con il ritornello, in cui tutti gli strumenti abbracciano la vocalist nella sua danza disperata. La ritmica non gode di molta varietà, è più l’arrangiamento a rendere diversificato il suo ascolto. Leggendo il testo scorgo il dolore per il distacco da una persona cara. Guardando la stessa stella ci si può sentire più vicini. Guardando il cielo si può scorgere il volto di chi ci manca. Pratiche illusorie alle quali ci si aggrappa con fermezza, ma che nel cuore infondono sicurezza. “Wounds” a parte il suo refrain catchy, è una canzone come tante, che passa piuttosto inosservata per i detrattori, e per chi apprezza è un componimento gradevole. L’unico momento degno di essere menzionato, è l’assolo di chitarra preceduto da parole sospirate della vocalist. Uno o una serie di accordi ben piazzati e una pronuncia inglese impeccabile, proprio non possono bastare ad additare positivamente il brano in questione, in particolare per la frase finale “i will be all right” ripetuta undici volte (undici!!!!), il cui ascolto diventa davvero tedioso, per non dire fastidioso. Peccato, perché con qualche accorgimento, qualche variazione in più ed un arrangiamento diverso, Wounds sarebbe stato un brano vincente. Ferite ancora aperte e calde, che impiegheranno tanto per cicatrizzare. Un dolore che porta la protagonista delle liriche a non odiare la persona che l’ha fatta soffrire, ma ad odiare tutto quello che rappresenta, il mondo a cui appartiene. Incoerente? Contorto? Come si può odiare il sorriso sul volto di qualcuno, ogni respiro che fa, odiarne l’essenza, ma asserire di non odiare LUI?! Capisco le licenze poetiche, l’ermetismo, il voler “filosofeggiare” artisticamente, ma se arrivo a scrivere e pensare “Spero che ti sentirai solo per il resto della tua vita. Spero che brucerai nell'inferno delle tue menzogne” beh, un tantino di odio per la persona a cui indirizzo le mie maledizioni, lo provo eccome! La spiegazione solo Samuela potrebbe darcela, dato che la scrittura appartiene a lei. Inizio e strofa colmi di malinconia appartengono ad “Alice”. Il riff che accompagna inizialmente la strofa assume i connotati di una nenia, mentre nella seconda parte perde un po’ quel sapore grazie all’innesto di evanescenti cori, che gli donano un aspetto più mistico. L’assetto musicale è quello classico ascoltato fin’ora. La nota peculiare in questo pezzo lo si può trovare nell’aspetto acustico della chitarra, che rende un po’ di varietà. Il refrain acquista un certo vigore rispetto alle strofe, spezzando il tono melanconico con ritrovata energia. L’assolo di chitarra convince, risultando l’unico strumento degno di essere menzionato per la sua esecuzione. Anche in questo caso, il brano è piacevole, ma non esaltante. Come Alice nel Paese delle Meraviglie. Così si rivede la protagonista. Una bambina che aveva paura dell’oscurità e che si chiedeva se sarebbe stata abbastanza coraggiosa per affrontare la realtà. Nel suo mondo era felice, si sentiva protetta, di tempo per crescere ne aveva davanti. Non si dovrebbero mai forzare i fanciulli a crescere prima del dovuto. Bisognerebbe preservare in loro la purezza e la spensieratezza. Ognuno di noi ha avuto un “paese delle meraviglie” in cui si rifugiava da piccolo; che fossero i libri, la musica o la sola immaginazione, e a dirla tutta molti in quel luogo fantastico, ci si rifugiano ancora, ed io sono una di quelli. Intro di voce e pianoforte sono il preludio di “Lost in the Day Light”. Benché la voce di Samuela sia, come ho già detto, la “classica” voce goth femminile, è davvero un piacere sentirla cantare, ed è un piacere ancor più grande grazie alla sua pronuncia impeccabile. Strutturato in maniera classica il brano, si presenta come una ballad ed aggiungo struggente. Questa volta i Blackdahlia hanno fatto centro. Quando al minuto 3 e 35 circa, la canzone sembra stia terminando, mi viene da pensare “che peccato!”. Invece dopo un paio di secondi mi sorprende una ripresa, in cui il combo chitarra e pianoforte partoriscono un effetto di immane bellezza. Il centro in questo pezzo è stato colpito due volte. Seconda parte ricca di pathos, che ci porta alla conclusione così come il brano è partito, con voce e pianoforte. Sentirsi perso, chiedere a qualcuno aiuto per ritrovare se stesso. Si può avere paura della luce? Questo dichiara la protagonista delle liriche. La luce è talmente accecante da paralizzare, non ci si può nascondere, non si può volare. La paura di affrontare alcuni aspetti della vita, come traumi e profonde cicatrici, induce a rinchiudersi in un mondo fatto di ombre. La luce rivela tutto, mette in evidenza quello che non vorremmo affrontare, quello che ancora non siamo pronti ad affrontare. Quindi si, è possibile avere paura della luce. Il buio cela, nel buio ci si può nascondere, mettendoci in condizione di affrontare quello che impaurisce, con calma e con i nostri tempi. Dobbiamo solo avere la forza di reagire, evitando il rischio di rimanere nascosti nel buio per sempre. Finalmente con “Fly” ho un impatto sonoro diverso. L’attacco di basso stempera la ripetitività alquanto esasperata delle ritmiche dei Blackdahlia. L’intenzione stilistica si permea di aggressività esecutiva, la chitarra viene supportata con decisione dalla sezione ritmica che, nelle tracce precedenti, è sempre restata troppo dietro le quinte. Anche l’interpretazione vocale assume connotati diversi, dimostrando così Samuela di saper variare registro canoro. La sezione che sussegue al secondo refrain apporta ulteriore mutamento al songwriting, conducendoci al finale che termina con lo stesso riff di basso iniziale, in fade out. Questa volta il testo rivela una buona dose di ottimismo. Commettere errori è normale, ma non bisogna piangersi addosso, perché la vita va avanti e soprattutto va vissuta. Per cui non bisogna nascondersi per paura di fallire di nuovo, o di commettere altri peccati. Bisogna credere in se stessi, nelle proprie capacità, spiegare le ali e volare verso il proprio destino. Tocca a “Goodnight” ballad strappalacrime chiudere il disco. Si sa che il binomio piano – voce ha sempre suscitato un notevole fascino su chi ascolta. Io per quanto possa essere critica ed obiettiva, non riesco a non farmi coinvolgere. La melodia è indubbiamente ricca, nonostante i fautori siano solo due elementi, il brano strugge, coinvolge, nella sua estrema semplicità. Semplicità perché il songwriting segue un registro piuttosto lineare, così come la delicata interpretazione vocale, che mette però in risalto la bellezza della voce di Samuela. Un dolore soffocante che ha rotto qualcosa nell’anima della protagonista. Dichiara che le promesse non dovrebbero essere fatte, poiché possono essere infrante con un sussurro. La forza di volontà per affrontare la vita sta svanendo, e da quel dolore lei sta diventando dipendente. Nonostante questo lei da la buonanotte a qualcuno, dicendogli che per lui ci sarà sempre e che andrà comunque tutto bene, anche se il suo cuore è ormai vuoto. Spesso si è più propensi ad aiutare qualcuno che a pensare di risolvere i propri problemi.
Gioie e dolori, aspetti positivi e negativi per i Blackdahlia. Fare gothic metal è quasi imprescindibile per una band con voce femminile, ma questo non significa riuscire al 100%. I foggiani hanno molto da mettere a posto. Innanzitutto devono trovare la loro strada, piuttosto che cloneggiare (passatemi il termine) altre band. Impostare il loro operato su una propria personalità, identificarsi cercando novità sul lato compositivo e dell' arrangiamento. Un’altra cosa mi ha colpita e non positivamente. Per tutta la recensione non ho fatto che elogiare la voce della cantante, ed ho aspettato di esprimere la mia perplessità proprio in chiusura. In sede live purtroppo, quello che si ascolta in studio non corrisponde a realtà. Ho trovato la performance vocale fuori tono, quasi stessi ascoltando due voci diverse, due persone diverse. Questa è la dimostrazione che in fase di mixaggio sono stati usati effetti vari per mascherare e migliorare la prestazione vocale. Potrei anche sbagliarmi,(ma non credo, avendo visto/ascoltato live diversi) trovando la spiegazione in un' acustica della location pessima, che non permetteva alla vocalist una buona performance. Di positivo c’è che il debut album dei Blackdahlia non è del tutto da bocciare. La seconda parte è decisamente migliore della prima. Tutto sommato le canzoni sono gradevoli, nonostante vari momenti sottotono, armonie ripetitive, pochissima creatività, ritornelli commerciali e già sentiti, ma come ho sempre sostenuto anche se manca estro, ma la musica funziona, allora è tutto lecito (?)! Come usare spasmodicamente effetti che mimetizzano errori, imperfezioni, imprecisioni, potenza esecutiva, intonazione ecc? Ognuno fa la sua scelta, ma in sede live il pubblico attento una domanda se la pone e due conti se li fa.
1) Falling Down
2) No Regrets
3) Eclipse
4) Wounds
5) Alice
6) Lost in the day light
7) Fly
8) Goodnight