BLACK SABBATH
Vol. 4
1972 - Warner Bros.
PAOLO VALHALLA RIBALDINI
16/02/2011
Recensione
“Black Sabbath Vol. 4” è il quarto album, come si evince facilmente dal titolo, degli inglesi BLACK SABBATH. Uscito nel 1972, è il primo disco che presenta evidenti contaminazioni nel sound del gruppo da parte di elementi progressive, sia nell’uso dei tempi che nella ricerca di suoni particolari ed inediti rispetto ai tre album precedenti, una ricerca non nuova per Iommi, che nel 1968 ha brevemente militato nella prog rock band Jethro Tull, sostituendo Mick Abrahams. In generale comunque il “Sabs-sound” è ancora ben riconoscibile, soprattutto negli strumenti di Iommi e Butler, ma è innegabile che l’ambito progressive occhieggi in parecchie occasioni durante tutto l’album. Il titolo iniziale dell’album è “Snowblind”, ma il richiamo di questo termine all’uso della cocaina convince la casa discografica, la Warner, a cambiarlo semplicemente in “Vol. 4”. Alla fine, nei ringraziamenti, la band cita anche la compagnia della COKE-Cola di Los Angeles, un’allusione che lascia ben poco spazio a fraintendimenti: in effetti, già in questo periodo cominciano gli abusi di sostanze stupefacenti soprattutto da Osbourne, il meno dotato di talento del quartetto britannico, ed il primo a lasciarsi andare agli eccessi della vita da rockstar. L’opener del disco è un brano dalle molteplici sezioni e sfaccettature: “Wheels of Confusion / The Straightener” presenta un inizio che racchiude tutto l’hard’n’heavy di quegli anni, dai Led Zeppelin ai Deep Purple, condito dall’immancabile suono à la Iommi. Il testo vaga in una speculazione filosofica sulla vita e il sogno, sulla capacità di analisi del reale attraverso le coordinate dell’immaginazione; di frequente il gruppo si lancia in intermezzi strumentali che rendono la canzone lunga ben otto minuti, sempre scanditi dal riffing granitico del chitarrista. Analoga tematica è trattata nella successiva “Tomorrow’s Dream”, un pezzo dal riff energico ed ossessivo, preludio allo stile Anni Ottanta di molte band heavy metal. “Changes” è un brano di tipologia completamente nuova per i Sabs’, infatti la voce di Ozzy è accompagnata da un pianoforte e da un mellotron che riproduce suono di archi (un’atmosfera mista di colonna sonora e musica blues). Il testo racconta la fine di una relazione che coinvolgeva il narratore, e del dolore per il cambiamento provocato da questa separazione. Il tono musicale si mantiene sempre sullo stile blues ma è anche molto onirico, anticipa un po’ le power ballads dell’hard rock di dieci anni più tardi ma è anche saldamente radicato nell’ossessione per il “tema” cara a Iommi e Butler. Un tema che però in questo caso non passa attraverso nessuno sviluppo, si mantiene pressoché invariato fino alla coda finale: dove infatti la musica “classica”, perlomeno quella strumentale, difficilmente riusciva a mantenersi interessante senza essere protagonista di variazioni, la musica dei Sabbath si propone proprio di catturare l’attenzione grazie alla ripetitività di fondo. “FX” è uno strumentale che introduce “Supernaut”. Mentre il primo dei due pezzi si gioca sulla ricerca di suoni ottenuti tramite la chitarra (anche producendo rumori sulla cassa e attivando il delay, tanto da sembrare un brano di musica colta contemporanea di quegli anni), il secondo si presenta sin da subito con un riff aggressivo e acido, mirando ad una sonorità che a tratti potrebbe benissimo accostarsi ai grandi dischi del progressive rock dello stesso periodo, a dimostrazione dell’apertura musicale di Iommi, Ward e Butler. Il soggetto del testo è una figura non ben definita, partecipante dello spirito libertario tipico dei Settanta, della morale nuova di Nietzsche (in questo senso la vicinanza del “supernauta” all’Oltreuomo nietzscheano è abbastanza lampante; per chi volesse approfondire, consiglio umilmente il magnifico “Nietzsche e la filosofia” di G. Deleuze), ma anche della sconfinata voglia di esplorazione tipica dell’animale-uomo. “Snowblind” è il pezzo incriminato di incoraggiamento all’uso di droga. Si configura come un mid-tempo stranamente abbastanza vario melodicamente, al contrario di molte altre songs del disco, e prelude in effetti a certe canzoni che si vedranno solo nei primi Anni Ottanta nella discografia dei Sabbath, anche se con un suono molto più heavy e con il supporto dell’elfo Ronnie James Dio dietro i microfoni. La “neve” menzionata nel pezzo è stata da alcuni (fonte: Wiki) considerata un possibile richiamo ad una grande opera del fumetto internazionale, “L’Eternauta” scritto da Hector Oesterheld e disegnato da Francisco Solano Lopez, che racconta tramite una profonda metafora tipica degli anni del disco, quella dell’arrivo degli alieni sulla Terra, la tragedia dei desaparecidos argentini di là da venire entro qualche anno, nella cornice della dittatura militare in quel Paese. La neve in questione sarebbe la micidiale sostanza che cade dal cielo, sparsa dagli alieni sul nostro pianeta, in quanto arma letale che uccide gli esseri umani appena ne entra in contatto. Nonostante questo raffinato richiamo sia possibile, l’ipotesi “cocaina” rimane la più verosimile di gran lunga… I Sabs’ sono ormai entrati in un mondo in cui il consumo di questa droga è la norma. “Cornucopia” è il pezzo più famoso dell’album e parla della perdita della sanità mentale parallelamente all’aumento delle possibilità tecnologiche che l’uomo si trova a disposizione. Il mood musicale è quello tipico dei Sabbath di quegli anni, anche se con frequenti cambi nei pattern principali del ritmo (Ward è ancora un batterista pieno di fantasia ispirato dall’ambiente jazz). Un altro strumentale è “Laguna Sunrise”, un pezzo difficilmente identificabile come parto della mente di Iommi, eppure è proprio lui che si destreggia, accompagnato dal mellotron, tra linee di chitarra acustica, sempre con una cellula tematica che ricorre in tutto il breve brano. “St. Vitus Dance” è un'altra canzone che difficilmente, sentendone l’inizio verrebbe da ascrivere ai Sabbath: il riff si addice molto di più agli Zeppelin, forse ai Purple, ma non ai tenebrosi e sulfurei quattro di Birmingham. Per fortuna, tra un riff e l’altro se ne incastra un altro che riporta invece alle coordinate che i tre precedenti album ci hanno insegnato a riconoscere come proprie dei Sabbath. Ultimo brano è “Under the Sun / Every Day Comes and Goes”, in cui c’è una magnifica citazione di “Flight of the Rat” dei Deep Purple dall’album “In Rock”, uscito due anni prima. Il testo parla della liberazione da falsi miti e dei, in un crescendo nichilistico che invoca la cacciata di ogni ideale convenzionale e l’abbandono della mente alla vita nuda, nonché la fiducia solo in se stessi. “Vol. 4” è un album a suo modo distante dai tre predecessori, influenzato come abbiamo visto da atmosfere progressive e strane, perfino citazionista nei confronti di altri gruppi. Un insieme di canzoni meno famose degli evergreen contenuti nei dischi passati, canzoni che ancora oggi vengono conosciute praticamente a memoria da buona parte del popolo rock e metal, ma anche un insieme in cui spuntano perle dimenticate come la opener, “FX”, “Changes” e “Snowblind”.
1) Wheels of Confusion /
The Straightener
2) Tomorrow’s Dream
3) Changes
4) FX
5) Supernaut
6) Snowblind
7) Cornucopia
8) Laguna Sunrise
9) St. Vitus Dance
10) Under the Sun /
Every Day Comes and Goes