BLACK SABBATH

Sabotage

1975 - Warner Bros.

A CURA DI
PAOLO VALHALLA RIBALDINI
02/04/2011
TEMPO DI LETTURA:
8

Recensione

"Sabotage" è il sesto disco pubblicato dai Black Sabbath, un album che segna l’inizio della prima fase decadente della loro lunghissima e straordinaria carriera. A lungo si è discusso se "Sabotage" possa o meno essere incluso nel gruppo meraviglioso di dischi cui appartengono anche le prime cinque release del quartetto di Aston, oppure se questo sia il primo lavoro effettivamente peggiorativo nell’economia musicale della band. Ovviamente la questione trova molteplici soluzioni a seconda del punto di vista da cui la si analizza, perciò entrambe le risposte sembrano essere coerenti con loro stesse. Ciò che è univoco ed innegabile è che qualcosa nei meccanismi del gruppo cambia rispetto agli album precedenti; naturalmente, ricordiamoci, parliamo di un disco targato Sabbath, e quindi di un prodotto scandalosamente superiore alla quasi totalità della musica pubblicata negli ultimi cinquant’anni. Il discorso "declino / non declino" è limitato unicamente ad un’ottica interna alla capacità produttiva della band, capacità che come tutti sappiamo ha sfornato uno di fila all’altro cinque degli album più incredibili di sempre, tra l’altro nello spazio di quattro anni appena. La prima, importantissima variazione, consiste nel cambio di management: nel giro di un annetto, i quattro ragazzi si accorgono che la premiata ditta Meehan-Pine ha a cuore molto di più gli interessi pubblicitari ed economici correlati alla vendita dei dischi ed ai cachet percepiti grazie ai concerti, piuttosto che la proposta musicale del gruppo. Ora, sia Iommi che Ozzy dichiareranno negli anni successivi (e lo fanno tutt’ora) che il motivo principale dell’essersi imbarcati nell’incerta carriera musicale era senza dubbio la fuga dall’abbrutimento del lavoro in fabbrica, in catena di montaggio, che all’epoca dei fatti offre condizioni ben peggiori di quelle odierne, contando che la devastazione subita dall’entroterra britannico in seguito ai terribili bombardamenti della guerra permette ai ragazzi del luogo sogni e speranze assai ridotti per il loro futuro. Detto ciò, è vero che la preoccupazione primaria di Iommi e soci è quella di mangiare tramite la musica, ma nei primi anni di carriera la forza della loro musica li conquista talmente tanto da renderli consapevoli di avere un notevole potenziale sulla scena rock, perciò anche la bontà del prodotto diventa una preoccupazione fondamentale; senza contare che il magico duo Meehan-Pine, legando le mani ai Sabs’ con contratti capestro, si è assicurato una piena gestione dei loro guadagni, gestione che manco a dirlo si rivela disonesta e finanziariamente disastrosa. Nel gennaio 1974 l’unica soluzione per la band è cacciarli a calci in culo, avviando una causa molto dispendiosa da cui il gruppo esce economicamente a terra. Per fortuna, l’ex boss dei due agenti, il potentissimo Don Arden, accoglie nella propria scuderia i Black Sabbath, e da quel momento le sorti della band si risollevano (da segnalare la partecipazione, proprio nel 1974, all’evento rock più importante di quegli anni, il California Jam che diventa praticamente una Woodstock dell’heavy metal, e che vede la famosissima performance dei Deep Purple Mark III in cui Blackmore a fine show sfascia tutto ciò che incontra, causando perfino un’esplosione che lascia storditi il frontman Coverdale ed il bassista Hughes. Per dare un’idea dell’importanza dell’evento, basti pensare che nel bill del festival figurano Earth, Wind and Fire; Emerson, Lake & Palmer; Eagles; Deep Purple ed appunto Black Sabbath). L’importanza del cambio di management è data anche dal fatto che con Don comincia a lavorare l’intraprendente figlia Sharon, futura moglie di Ozzy Osbourne. Non bastassero i disagi legati alle gestione disonesta di Meehan e Pine, anche la fama “satanica” della band prende pieghe fastidiose: molti anni più tardi Ozzy racconterà diverse disavventure sull’argomento, come quando negli Stati Uniti un esaltato cristiano segue per tutta la notte il tour bus del gruppo (Ozzy è già solista) lungo la highway per raggiungerlo la mattina seguente e consegnare ad Ozzy stesso un opuscolo di dottrina religiosa tentando di "redimerlo" e salvarlo dai suoi peccati, o quando riceve ripetute minacce di morte e la polizia delle varie contee in cui si esibisce dichiara di non poter garantire per la sua sicurezza. I Sabbath prima, ed Ozzy poi, diventano per molti il simbolo stesso del Diavolo in terra, quando tutti i membri della band cercano di rendere chiaro che il richiamo all’occultismo ed al satanismo filosofico, cui Geezer è molto interessato, non hanno a che fare coi sacrifici umani e con le messe nere. Anni dopo, la generazione di Venom, Celtic Frost e Bathory darà il vero inizio al filone del black metal più sanguinario e cattivo, al confronto del quale i Sabbath sembrano delle educande fuori da messa la domenica mattina. Purtroppo, per un motivo o per l’altro, i problemi personali dei componenti della band si acuiscono: la depressione cronica di Geezer, dichiarata solo moltissimi anni dopo, si fa sentire sempre di più, il problema col bere di Bill Ward comincia a superare il confine con l’alcolismo, Ozzy neanche a parlarne dà sempre maggiore ascolto alle proprie paranoie e si rifugia nell’uso di stupefacenti in dosi massicce. Le vicissitudini legali complicano non poco il clima all’interno del gruppo, e se da una parte si assiste alla crescita dell’Ozzy "personaggio", una crescita che vedrà i propri frutti principalmente nella carriera solista del Madman negli Anni Ottanta, dall’altra parte Iommi diventa sempre più un "animale da studio", per ammissione dello stesso Ozzy, nel senso che ricerca metodi sempre più complessi ed in linea con le mirabilie tecnologiche del tempo per arricchire il sound della band, ovviamente allungando i tempi di composizione e registrazione come già anticipato a proposito di "Sabbath Bloody Sabbath". In effetti, "Sabotage" è ricordato per essere uno dei dischi più vari e versatili mai registrati dai Sabbath, e vede utilizzati su vasta scala, come il disco precedente, sintetizzatori, cori, sovra incisioni ed effetti di psichedelia, spaziando da sonorità metal ad altre progressive e persino pop. Il titolo dell’album sembra richiamare ironicamente alla rabbia che la band nutre verso gli ex manager Meehan e Pine, configurandosi come appunto "sabotaggio" nei loro confronti. La suddetta rabbia apre con un riff virulento la prima traccia, "Hole in the Sky", animata da un testo come al solito molto politicizzato ed imperniato sulla decadenza occidentale, col conseguente desiderio di rifuggire la pazzia dell’uomo civilizzato, forse con lo straniamento verso luoghi mentali meno problematici (magari con l’uso di droghe, si potrebbe leggere tra le righe), forse con il suicidio. La traccia si spezza di colpo per lasciare spazio a "Don’t Start (Too Late)", un pezzo acustico assai complesso con diverse chitarre sovraincise, che se palesano il sempre crescente spirito classicheggiante di Iommi, non paiono memorabili come una "Fluff" o una "Orchid". La brevità dell’intermezzo lascia il palcoscenico al maestoso riff heavy metal di "Symptom of the Universe", le cui immagini mitologiche ed ermetiche la rendono, insieme ai riff intricati, ai cambi di tempo ed alle sonorità assai particolari, il pezzo dichiaratamente progressive e forse il più memorabile dell’album. Di certo, la maestria di Iommi come riff-maker si riversa debordante in questa canzone, contraddistinta da una vivacità e da una potenza difficilmente eguagliate in ambito metal nei decenni successivi, per non parlare dei furiosi soli chitarristici e dall’ingombrante linea di basso di Geezer, che ad un certo punto svaniscono per esaltare un improvviso tempo a metà tra il jazz ed il funky, associato a parole di pace e serenità che inducono a pensare quasi ironicamente all’ennesimo momento di "divertimento da pastiglie" della band. L’aneddoto raccontato da Iommi e Butler molti anni dopo è legato alle alte tonalità in cui canta Ozzy: la difficoltà del pezzo lo indurrà a non proporlo mai nel live set del gruppo, proprio perché lui stesso non si sente in grado di ripetere la performance dello studio. "Megalomania", coerentemente con il proprio titolo, è un moloch musicale da dieci minuti in cui si riversa tutta la perizia tecnologica di Iommi (per la prima volta produttore dell’album, anche se non accreditato), fatta di riverberi e delay, capovolgimenti delle tracce, registrazioni multiple, e soprattutto da un riff granitico tenuto in piedi da un basso che suona quasi apocalittico, su cui si impernia un testo legato appunto alla scoperta della propria prigionia in pensieri megalomani ed autoreferenziali. Dopo l’iniziale parte lenta, Iommi e soci danno una decisa spinta al tempo, sfoderando un altro riff memorabile, guarda caso, che porta, verso metà canzone, ad un solo di chitarra breve ma assai sentito e raffinato, in cui Iommi mostra capacità da fuoriclasse sullo strumento, anticipando molte delle sonorità boostate degli Anni Ottanta. Si noti che nel giro armonico e nel tema del riff centrale, "Megalomania" anticipa in parte una traccia successiva, ovvero la strumentale "Supertzar". Il pezzo successivo, "Thrill of It All", paga ovviamente la potenza e l’importanza delle due tracce precedenti, ed anche secondo gli stessi Sabbath è una delle produzioni minori della loro discografia, pur reggendosi sapientemente su un ritmo funky che richiama in buona parte i Deep Purple (ad un ascoltatore attento non sfuggiranno i continui, molteplici e vicendevoli richiami tra la musica dei Sabbath e quella dei Purple, perlomeno nella prima metà degli Anni Settanta, segno che nonostante le direzioni diverse intraprese dai due gruppi, entrambi entrano a buon diritto nel novero dei "babbi" del metallo, spesso producendosi in richiami anche inconsci alla musica gli uni degli altri). La parte centrale della canzone è contraddistinta dall’uso largo delle tastiere, suonate in quest’album da Gerald Woodruffe e non più dal talentuoso Wakeman. Woodruffe tra l’altro sarà il primo membro non ufficiale della band ad essere portato in tour per riprodurre le parti di tastiere e sintetizzatori. Il testo del brano oscilla tra un sincero (anche se sempre impenitente, come la vita da rockstar pretende) dialogo con Gesù ed una sardonica presa di posizione contro l’indottrinamento ed il condizionamento culturale imposto dalla religione (ricordiamo che in questi anni sta appena nascendo il movimento laico di affrancamento dalle direttive ecclesiastiche del clero secolare, e la mentalità religiosa è ancora molto radicata nelle famiglie e nelle comunità). "Supertzar", già menzionata, è uno strumentale fantastico caratterizzato dalla dialettica tra chitarra (riff) da una parte e sintetizzatori vari (cori maschili e femminili, effetti orchestrali) uniti ad un uso raffinato delle percussioni dall’altra. Per molti anni sarà utilizzata come introduzione ai concerti. La struttura armonica della composizione richiama dichiaratamente, come si evince anche dal titolo, alla musica slava ed alle scale dell’Est europeo (si pensi allo sdoganamento fattone in ambito classico da Borodin e Mussorgskij nella seconda metà dell’Ottocento). "Am I Going Insane (Radio)" è, a detta di molti, progettata proprio per la trasmissione radiofonica, ed il suo refrain semplice ed orecchiabile sembra confermare questa tesi. Bill Ward, intenzionato a fugare ogni dubbio, dichiara che nello slang dei dintorni di Birmingham il termine "radio-rental" indica un modo per definire una persona pazza, fuori di testa, e che il "radio" del titolo ne sarebbe un’abbreviazione, suonando quindi scherzosamente come "Sto diventando pazzo (un po’ picchiatello)”… La depressione incipiente di Geezer, rivelata solo nel 2005 (ma in realtà a turno tutti i Sabs’ passeranno da questo calvario, anche se con esiti meno gravi rispetto al bassista, una mente condannata dall’impossibilità di stare senza pensare a qualcosa, e dalla conseguente sfiducia pessimista nel mondo circostante), e le risate isteriche che chiudono la canzone potrebbero avallare questa spiegazione di Ward, ma non c’è dubbio che il pezzo si presti decisamente alla trasmissione via radio, e che strizzi l’occhio dunque al mondo del pop e della musica easy-listening. La traccia finale è "The Writ" (letteralmente: il precetto), una vera e propria invettiva contro ignoti, probabilmente Pat Meehan, reo di aver "rubato l’anima" ai quattro componenti del gruppo con la propria gestione egoista ed avida, di averli ingannati con promesse dalla lingua biforcuta e di aver sfruttato le loro capacità ed i loro sogni. La traccia nascosta alla fine di "The Writ", in cui Ozzy canta scimmiottando Elvis Presley accompagnato da Bill Ward al pianoforte, si intitola "Blow on a Jug" ed è un’imitazione di un brano della Nitty Gritty Dirt Band. Questa breve divagazione comica si trova sul disco in quanto, registrando "The Writ", il microfono rimane inavvertitamente aperto, incidendo anche i lazzi di Ozzy e Bill...Stando ai ricordi di Iommi, "Sabotage" è un disco fondamentalmente di consolidamento del lavoro dei primi tre album, semplicemente realizzato con mezzi tecnici e finanze incomparabilmente superiori, ma lontano dalle sperimentazioni (dichiarate) di "Vol. 4" e (implicite) di "Sabbath Bloody Sabbath". Nel 1975 il disco è il massimo di ciò che il gruppo può riprodurre in sede live, ovviamente con l’ausilio di un tastierista, e per questo è, almeno fino a quel momento, il limite oltre cui le registrazioni degli album non si devono spingere: citando lo stesso Iommi, "Avremmo potuto diventare ancora più tecnici e registrare tutto ciò di cui eravamo capaci… anche cose che non riproponiamo necessariamente sul palco. Ma decidemmo che avevamo raggiunto un limite oltre cui non volevamo andare" (cit. Joel McIver, "Black Sabbath", Tsunami 2009, p. 101). In pratica, dopo "Sabbath Bloody Sabbath" l’intenzione della band è di fare un passo indietro, di semplificare, di ritornare ad un sound più primitivo e legato al rock duro e puro condito di blues e jazz di "Black Sabbath", "Paranoid" e "Master Of Reality". Dopo la fine del tour europeo e di quello americano, cominceranno le tensioni insormontabili tra il chitarrista ed Ozzy, legate in parte proprio a queste decisioni musicali. Decidere sulla presunta maggiore o minore qualità di "Sabotage" all’interno della produzione Sabbath sembra un compito decisamente superiore alle possibilità di chi scrive, ma di certo l’album riveste un ruolo fondamentale nella storia del gruppo, quello di traghettatore tra il periodo dei primi, scintillanti successi, e quello del doloroso declino prima degli Anni Ottanta. Il pendio di "Sabotage è in salita o in discesa? Probabilmente la verità sta come spesso accade nel mezzo: il disco è pregno di sonorità complesse e geniali partorite da Butler e Iommi, è un manifesto alla tecnologia musicale dell’epoca, ospita perle come "Megalomania", "Symptom of the Universe" e "Supertzar", anche se nella tracklist complessiva forse non regge appieno il confronto coi predecessori. Per altri versi, Ozzy comincia a mostrare segni di cedimento, abbassando un po’ il tiro rispetto all’ottima performance di "Sabbath Bloody Sabbath", ed anche Bill Ward non ha lo smalto dei dischi precedenti, pur offrendo una prestazione eccellente anche in "Sabotage". Rimane questo comunque un disco maiuscolo, degno di essere annoverato tra i migliori del primo metal, e sicuramente responsabile di aver alzato ancora l’asticella per quanto riguarda le possibilità espressive del quartetto britannico. Gli anni successivi mostreranno come un disco al pari di "Sabotage" non si vedrà per diverso tempo in casa Black Sabbath (per un album dei Sabbath, quindi superiore a quasi tutto quello che di rimanente abbiamo avuto occasione di ascoltare).


1) Hole in the Sky
2) Don’t Start (Too Late)
3) Symptom of the Universe
4) Megalomania
5) Thrill of It All
6) Supertzar
7) Am I Going Insane (Radio)
8) The Writ

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