BLACK SABBATH
Live Evil
1982 - Vertigo
PAOLO VALHALLA RIBALDINI
11/12/2011
Recensione
La storia di “Live Evil”, al di là del palindromo nel titolo, è una delle più interessanti tra i live album degli Anni Ottanta. I Black Sabbath, nella loro incredibile formazione con Dio, Iommi, Butler, Appice (il prode Geoff Nicholls alle tastiere ancora non appare accreditato nella line-up ufficiale), sono sulla cresta dell’onda sin dal 1980, grazie a due dischi in studio al fulmicotone, due pietre miliari del rock: “Heaven and Hell” e “Mob Rules”. I fans, sia vecchi che nuovi, ormai hanno fatto il callo all’assenza di Ozzy, ed hanno accolto Ronnie James Dio come membro stabile del gruppo; la presenza di Appice al posto di Ward, invece, non è mai stata un problema nonostante la differenza stilistica tra i due batteristi: Ward ha lasciato di sua volontà, quindi non si pone il problema di un’usurpazione presunta o vera del ruolo di membro fondatore della band. Nonostante questo, i rapporti interpersonali all’interno dei musicisti non sono dei più idilliaci. Iommi e Butler cominciano a sospettare di Dio, ai loro occhi troppo intenzionato a prendere in mano le redini del gruppo più di quel “quarto” che gli spetterebbe. Le ingerenze nella scaletta (Dio ha sempre storto il naso di fronte alla scelta praticamente obbligata di proporre negli show dal vivo anche repertorio dei vecchi Sabbath con Ozzy alla voce, che i fans non accetterebbero mai di abbandonare) e il fare composto ma carismatico del folletto spaventano un po’ i due fondatori rimasti della band. Verso la fine del tour americano, quando vengono collezionate le registrazioni da proporre sul live album, i rapporti tra Butler e Iommi da una parte e Dio dall’altra accumulano tensione. Vinnie Appice, in quel momento collante del gruppo e bilancia tra i due fronti contrapposti, ricorderà poi anni dopo come un paio di volte nel backstage si verifichino veri e propri litigi furiosi tra il cantante ed il chitarrista, mentre sempre più spesso invece di un’unica limousine la band viaggia su due auto separate. Appice tenta di andar d’accordo un po’ con tutti, ma il nervosismo e gli scontri si susseguono. Per giunta, al momento di impegnarsi nel mixaggio dell’album, comincia a girare voce che Dio entri in studio di soppiatto per lavorare da solo col fonico e mixare le registrazioni a proprio piacimento all’insaputa altrui. Questa teoria del complotto, che oggi sappiamo derivare dalle bevute abbondanti del fonico, a quel tempo alcolizzato marcio, verrà sempre mitigata da Appice stesso, che racconterà come lo studio di registrazione sia prenotato dalle due del pomeriggio. Abitualmente Iommi e Butler se ne stanno al pub fino alle quattro o alle cinque, perciò all’orario stabilito solo Appice e Dio sono in sala mixing col fonico. Dato che lo studio è molto costoso, pensano bene di risparmiare tempo lavorando sulla batteria, ma evidentemente gli altri due membri della line-up non sono intenzionati a proseguire su quella strada. Si aggiungano le incomprensioni tipiche delle rockstar (ovvero: c’è un problema? Guai a parlarne faccia a faccia, bisogna per forza fare tutto tramite voci, racconti, leggende, interposte persone) e la frittata è bell’e fatta.
Alla fine, giunti al confronto diretto, i quattro arrivano facilmente ai ferri corti. Persuaso a cercar fortuna altrove, Dio lascia i Sabbath per fondare il gruppo che porta il suo nome, tirandosi dietro per giunta Vinnie Appice, che in quel momento si sente più vicino al cantante che non ai due inglesi. “Live Evil” vede accreditati Iommi, Butler e Ronnie Dio (non Ronnie James) come membri effettivi, mentre Appice e ovviamente Nicholls sono proposti nel booklet come guest stars. Nel giro di un paio d’anni dall’ultimo cambio di formazione, i Sabbath si ritrovano di nuovo a dover cercare un cantante ed un batterista. Edito da Vertigo, “Live Evil” raggiunge una ragguardevole tredicesima posizione in classifica Billboard, e rimane per i successivi dieci anni l’ultima testimonianza di un gruppo, di uno stile, di una piccola epoca che segna profondamente la storia del rock e del metal, grazie anche al produttore Martin Birch. Negli Anni Duemila le incomprensioni che causano lo split verranno risolte ed i tasselli torneranno nel loro giusto spazio (non ci sono mai stati complotti o volontà prevaricatorie tra i quattro, quanto piuttosto mancanza di comunicazione), come testimoniato anche dalle lunghe interviste contenute del meraviglioso dvd “Live at Wacken 2009” degli Heaven And Hell. Per quanto riguarda la cover del disco “Live Evil”, essa raffigura una serie di personaggi di fantasia, tutti corrispondenti ai titoli di brani del Sabba Nero, ovviamente a quelli eseguiti durante il tour... L’intro strumentale ed elettronica “E5150” apre le danze passando poi all’arrembante “Neon Knights”, in cui il tanto discusso mixaggio esalta magnificamente l’apporto di tutti i componenti. Ronnie James Dio si dimostra in formissima e naviga a rotta sicura sul riff semplice ma efficace della canzone. “N.I.B.”, eseguita magistralmente da tutto il gruppo, è il primo dei pezzi dell’era-Ozzy raccolti in questo album: in questi anni si apre una controversia tra gli appassionati a proposito di “Dio che fa le canzoni di Ozzy”. Per cercare di entrare un po’ nel merito della questione, bisogna affrontare un semplice discorso preliminare. Lo stile vocale dei due frontman è completamente diverso, le frequenze di lavoro delle due voci pure, il background musicale manco a parlarne. Lo stile di Ozzy è semplice, diretto, grezzo, e proprio in questo sta il suo punto di forza: nel 1970, associato alle melodie dissonanti dei riff di Iommi, il timbro di Ozzy fa esattamente quello che la musica dei Sabbath si propone di fare, ovvero rifilare un cazzotto in faccia all’ascoltatore. Per converso, il suo approccio al palcoscenico è piuttosto limitato, e la sua esperienza live è confinata al solo lavoro con la band di Aston per sua stessa considerazione. Dio, al contrario, usa arricchire le proprie linee vocali con improvvisazioni, madrigalismi, vocalizzi veri e propri (la tecnica vocale di Dio è invidiabile, e rimarrà una delle migliori del panorama rock fino alla sua morte), mentre sul palco, grazie alla sua esperienza pluridecennale attraverso diversi generi musicali, il suo range di azione è particolarmente esteso (durante lo stesso “Live Evil” si prende più volte la briga di interagire col pubblico in maniera talvolta anche più che carismatica, quasi arrogante, quando invece fuori dallo stage è la persona più conciliante ed umile del mondo). Ozzy e Dio sono quindi artisti completamente diversi, più schiettamente vitale il primo, più preparato tecnicamente e musicalmente il secondo. Se in Ozzy si può ritrovare una sorta di primitiva ingenuità, Dio è la sintesi della raffinatezza barocca e della potenza rock. In sostanza, si metta l’animo in pace chi accusa Dio di non saper cantare i pezzi di Ozzy: nella sua versione, i brani cambiano completamente per adattarsi al suo stile, e in questo senso i Black Sabbath diventano una “cover band” di se stessi, in un’accezione positiva, perché la miglior cover è un omaggio dato attraverso il proprio stile, non attraverso quello di chi vorremmo imitare. A seguire, una “Children of the Sea” semplicemente magica, forse la miglior versione live di questo pezzo incredibile. La chitarra di Iommi e la voce di Dio sembrano unirsi in uno strumento solo per dar vita ad un complesso sonoro a dir poco affascinante... “Voodoo” è arrangiata in maniera particolarmente aggressiva, ma contiene una sezione breakdown in cui il cantante aggiunge una parte di liriche non previste dalla versione studio, ed in cui il riffing della band ricorda molto i trascorsi rock’n’roll, quasi rockabilly, dell’Elfo di Portsmouth. “Black Sabbath”, senza la pioggia e le campane iniziali dell’originale, si apre con un breve ma intenso solo di chitarra, che sfocia poi nel temuto ed inquietante riff che ha fatto la storia della band, con i tritoni a riportare il pubblico nella dimensione del 1970, anno di rilascio della canzone. Vinnie Appice, come un martello pneumatico, sottolinea il tema portante del pezzo, preparando l’ingresso della voce di Dio, non spaurita ed efficace come quella di Ozzy bensì inquietante e minacciosa. Questa volta la figura in nero sta “dietro” il microfono, anziché davanti, e l’effetto è semplicemente devastante... Continua il revival Anni Settanta, con una lunga “War Pigs” e poi con “Iron Man”, entrambe proposte dalla band con grande agio e familiarità (soprattutto la prima sembra veramente suonata in tutta scioltezza, con un roboante solo di Appice, mentre la seconda è teatro di un solo finale furioso da parte di Iommi), mentre ancora una volta Dio cambia totalmente l’approccio vocale della canzone adattandolo al proprio stile. Arriva il momento di riprendere la produzione attuale della line-up, con la bombastica “The Mob Rules”, veloce e potente come non mai, in cui finalmente Dio si lascia andare a coordinate più consone al suo modo di esibirsi, ma in cui anche gli altri Sabs’ sembrano trovare nuova serenità dopo la lunga parentesi di sguardo al passato doom e sulfureo della band. Un’interminabile “Heaven and Hell” è il nocciolo di questo live: sezioni di break strumentali dal suono raffinato, solita aggiunta di due strofe vocalmente molto libere e creative da parte di Dio (con parole ispirate al brano “Black Sabbath”), interazione con il pubblico, lunghissimo solo centrale e, soprattutto, un groove ed una poesia unici. “The Sign of the Southern Cross” è l’adattissimo intermezzo che prepara il ritorno di “Heaven and Hell” con lo stacco finale, dando così vita ad un medley lungo una ventina di minuti. Si ritorna indietro nel tempo con “Paranoid”, riff sporco e basso a secchiate. Magari a Dio non piace cantare questo pezzo, ma da fuori sembra difficile accorgersene... “Children of the Grave” chiude alla grande il disco insieme ad una “Fluff” appena percettibile in mezzo al boato della folla acclamante. Al di là di tutte le possibili considerazioni di natura umana, da “Live Evil” si apprende come cinque titani del rock insieme sul palco, se l’alchimia musicale tra loro funziona, possono veramente fare a pezzi il mondo. Nell’ottobre 1982 Dio e Appice lasciano il Sabba Nero e con loro se ne andrà per un bel po’ anche il successo della band, che negli Anni Ottanta cambierà formazione molte volte senza mai ritrovare uno smalto paragonabile agli anni migliori con Ozzy o al biennio magico con Dio. A prescindere da questo, “Live Evil” non può mancare nella collezione di ogni buon Sabbathiano, fan di Iommi o di Dio, appassionato di buona musica. Quindi è un must.
1) E5150
2) Neon Knights
3) N.I.B.
4) Children of the Sea
5) Voodoo
6) Black Sabbath
7) War Pigs
8) Iron Man
9) Heaven and Hell
10) The Sign of the Southern Cross /
Heaven and Hell
11) Paranoid
12) Children of the Grave
13) Fluff