BLACK SABBATH
Dehumanizer
1992 - IRS Records
PAOLO VALHALLA RIBALDINI
25/04/2013
Recensione
Dopo lo scarso successo ottenuto dal pur ispirato Tyr, Tony Iommi vorrebbe riuscire a riconquistare la fetta di fans disorientati dai molteplici cambi di formazione avvenuti nei Sabbath dopo Mob Rules, risalente a quasi dieci anni prima. Riallacciati i rapporti con Ronnie James Dio, con cui ha sempre formato un team formidabile per la scrittura di canzoni (nonostante le incomprensioni sfociate nello split al momento di mixare Live Evil), Iommi apprende che anche Geezer Butler sarebbe intenzionato a tornare. Neil Murray, bassista del gruppo, si fa signorilmente da parte considerando Geezer il "titolare" indiscusso nel ruolo, mentre Iommi provvede a dare il benservito al cantante Tony Martin, un valido elemento ma che nel cuore dei fans non regge il confronto con Dio, e per di più colpevole di aver alzato un po' troppo la cresta negli atteggiamenti da star. Il batterista è ancora saldamente Cozy Powell, cacciabombardiere del drumset con una passione per l'alta velocità. Sin dai tempi dei Rainbow, i rapporti tra Dio e Powell sono a dir poco sfrigolanti, e non ci vuole molto per capire che la tensione sarà permanentemente alle stelle. Per (s)fortuna, Cozy si infortuna gravemente al bacino cadendo da cavallo, e Iommi coglie al volo - poco elegantemente ma con grande tempismo - l'occasione di sbrogliare la matassa. Dio suggerisce Simon Wright per rimpiazzare Cozy, ma la scelta cade su Vinny Appice, già roccioso rimpiazzo di Bill Ward nel tour di Heaven And Hell e valido componente tout court in Mob Rules. Vinny ha suonato nei primi album dei Dio, salvo poi separarsene pochi anni prima della reunion nei Sabbath. Sin da subito Iommi e Butler mettono un po' nell'angolo Dio in merito ai testi: il folletto riccioluto si serve molto di draghi, labirinti e arcobaleni, argomenti che gli altri trovano un po' datati e triti. "Ma io ho sempre usato gli arcobaleni!" - "Eh lo so, ma devi cambiare stavolta..."; Geezer si trova quindi ad affiancare Ronnie come autore, tornando a fare quel che non aveva più fatto dai tempi di Ozzy. Ne escono tematiche molto più "attuali" ed in linea con una società - quella dei primi Anni Novanta - in rapido cambiamento. La mistica degli Heaven And Hell e dei Mob Rules viene accantonata per far posto al terrore cibernetico, alla modernità che avanza come un treno lanciato senza controllo, ad ansie "spaziali" ma anche vagamente Foucaultiane e Sartriane: l'individuo diventa il terreno di scontro della società. Tony Iommi ritrova il proprio riffing apocalittico in men che non si dica, rivitalizzato dall'aver di nuovo il folletto del rock in formazione. La produzione, affidata a Rheinold Mack, prevede che la batteria sia registrata in una sala con molti vetri, rendendone il suono molto brillante e potente. Il tour che accompagna la release di Dehumanizer non offre più le grandi adunate degli Anni Settanta o lo splendore delle arene coperte del primo periodo Dio: il grunge la sta facendo da padrone ed il mondo metal è confinato ancor più del solito in una nicchia di anti-socialità. I palchi su cui suonano i Sabbath ora non hanno più un camerino separato per ogni componente del gruppo, quindi alla meglio ci si ritrova con Appice e Dio da una parte e Iommi e Butler in un'altra stanza. Già famosi per le precedenti incomprensioni di una decade fa, i due "schieramenti" presentano di nuovo lo stesso problema, con Dio particolarmente propenso a non mandar mai a dire le cose, figuriamoci a lasciarle tra le righe, e Iommi e Butler sempre intenti a rifuggire confronti diretti. Tutto sommato, però, potrebbe andare peggio... Il tour reggerà molto bene fino al pomo della discordia riguardante l'addio di Ozzy...La track di apertura, "Computer God", già chiarifica che il sound dei Sabbath attuali si è allontanato nettamente dalla melodia ed è diventato ancora più doom, con la voce di Dio aspra e tagliente. Già menzionata la batteria che sembra venire direttamente da una fabbrica fantascientifica di robot... L'uso di sintetizzatori e tastiere si è ridotto enormemente, ed il duo chitarra-basso è sufficiente a plasmare riff straordinariamente potenti; un intermezzo semiacustico riporta per un momento alla mente lo stile Anni Ottanta, ma è un attimo prima della ripresa del tema martellante ed aggressivo. Il testo - paradossalmente - è molto più in linea con le paranoie distopiche dei primi album Sabbathiani, e descrive la distruzione dell'umanità da parte dell'intelligenza artificiale sviluppata dalla tecnologia. "After All (The Dead)" è scritta a quattro mani da Iommi e da Geezer (una delle poche occasioni in cui il bassista si esprima anche come compositore della musica oltre che come autore dei testi), è un doom potente che ricorda un po' il riff della vecchissima "Black Sabbath". Il testo si interroga sinistramente sull'esistenza dell'aldilà e di spiriti morti che infestino la realtà. Paradossalmente, già dai primi brani si avverte che questo è probabilmente l'album più vicino ai "vecchi Sabs" tra quelli con Dio alla voce. "TV Crimes", invece, è un pezzo più veloce ed aggressivo, con un veloce ribattuto di chitarra ed un basso imponente supportati dal drumming regolare di Appice. La voce di Dio cavalca sul testo che tratta della mistificazione moderna dei personaggi televisivi e della fama raggiunta solo col chiasso delle trasmissioni mediatiche, un chiasso che diventa pericoloso e genera idoli di cartapesta volti solo ad addormentare le menti degli spettatori. "Letters From Earth" ha una cadenza maestosa con un killer riff chitarristico che esprime l'essenza di questo disco dal passo lento e schiacciante. La struttura del pezzo è piuttosto complessa, ed incarna il grande lascito che i primi dischi Sabbathiani hanno lasciato nelle due decadi precedenti alla musica heavy, specialmente nella costruzione episodica caratteristica del thrash. Il testo (richiamando un po' "Lonely Is The Word" da Heaven And Hell) è il pretesto giusto per evidenziare l'insensatezza della vita terrestre - o terrena - dalla prospettiva di osservazione esterna. La malvagia "Master Of Insanity" si apre su un riff di basso, per poi passare ad uno quasi melodico e mid-tempo di Iommi. In contrasto con l'andamento ritmico ed incalzante del resto del brano, il pre-chorus si basa su accordi lunghi che danno un'atmosfera "ariosa" ed epica in cui la voce di Dio scala la marcia e dimostra di essere ancora incontrastata nel suo genere. Anche il solo particolarmente ispirato di Iommi si regge su un riff di simili caratteristiche. Il testo parla di un non meglio specificato "maestro della pazzia" che potrebbe essere benissimo un'eminenza grigia dietro le quinte come una vocina perversa nella testa di ciascuno di noi. Niente arcobaleni e draghi, comunque. Il riff principale di "Time Machine" si basa sull'intervallo di quinta diminuita o tritono, un elemento ricorrente e molto caratteristico dei Sabbath fin dal primissimo brano omonimo. La sensazione di disagio e dissonanza viene magnificamente trasposta anche nel testo, che evoca la confusione mentale ed esistenziale del trovarsi catapultati in una "macchina del tempo" che non permette più di distinguere le cose chiaramente, o che forse ci mostra come le cose chiare non siano proprio mai state. La canzone viene inclusa anche nella colonna sonora del film "Wayne's World", uscito in Italia con il titolo di "Fusi Di Testa". Il funambolico solo chitarristico non fa che arricchire un pezzo con tanto groove e con un Dio veramente arrabbiato! L'inizio di "Sins Of The Father" sembra un po' vecchia maniera, quasi a richiamare i tempi con Ozzy, ed anche la voce di Dio, solitamente epica e maestosa, sembra essere particolarmente irriverente. Basta un cambio di riff, però, per tornare sulla rotta più navigata dal folletto di Portsmouth. Il testo sembra concentrare una forte aspettativa di miseria sulla nuova generazione, che dovrà scontare "le colpe dei padri" ed a cui non sarà permesso di vederne l'età aurea. Insomma, viene portato avanti un discorso attuale ed "apocalittico" che si è sviluppato finora durante il corso dell'album. "Too Late" comincia con un arpeggio acustico che ricorda molto "Children Of The Sea", mentre la voce di Dio si muove epica quasi dando memoria di alcuni brani dei Rainbow. Man mano che l'arrangiamento si appesantisce, anche la voce del folletto si fa più aggressiva e maestosa, fino all'esplosione del chorus minaccioso nello stile dei primi album della band. Lo special è assolutamente spaziale, e si allinea sulle coordinate di grandi mid-tempo come "Lonely Is The Word". "I" è un brano dall'andamento semplice ma dal riff portante assolutamente maligno e minaccioso, in cui peraltro il contributo lineare di Appice conferisce un groove micidiale! "Buried Alive" chiude il disco con una sonorità moderna che trita gli speaker dello stereo. Dio praticamente ruggisce invece di cantare, ed anche la chitarra di Iommi è particolarmente mordace... In generale le sezioni del brano sono molto efficaci, ma il loro collegamento non è molto chiaro e non aiuta a creare la tensione necessaria per esplodere nel pur favoloso chorus. Uno sguardo complessivo su Dehumanizer lo rivela come uno degli album più arrabbiati e possenti dell'intera carriera Sabbath, oggi riscoperto grazie alle ristampe ma all'epoca non consideratissimo, anche a causa della vita breve ma intensa del grunge, che nei primi Novanta infligge un duro colpo alla discografia heavy metal. Il tour di supporto vede i Sabbath spesso headliner di gruppi che stanno entrando nel mainstream: Megadeth, Slayer, Danzig e tutta una serie di band che diverranno i grandi nomi della scena mondiale in pochi anni. Non a caso, tutte provenienti dal metal più estremo... Ma perché, forti di un album ottimo e di un tour che sta andando a meraviglia, i Sabbath rompono ancora il giocattolo? Il problema principale è di nuovo il cattivo rapporto tra Dio da una parte e Iommi e Butler dall'altra. Ricompaiono vecchi rancori e la goccia che fa traboccare il vaso è il presunto show di addio di Ozzy Osbourne verso la fine del '92. Il cantante originario dei Sabbath vorrebbe la sua vecchia band come co-headliner del suo ultimo show a Costa Mesa, California, per poi unirsi sul palco ai vecchi compagni al posto di Dio alla voce. Ovviamente a quest'ultimo l'idea non va giù, e mentre il resto della band vorrebbe partecipare, il frontman comunica che non si renderà disponibile ad una cosa del genere. Dopo il pensiero iniziale di chiamare Tony Martin, che però non può avere un visto USA in tempi così ristretti, si offre volontario nientemeno che Rob Halford, voce dei Judas Priest (anche loro originari del circondario di Birmingham, come i Sabbath). Lo show di 11 canzoni con Halford si rivela ottimo, ma a questo punto sia Appice che Dio lasciano di nuovo la band, e Geezer e Iommi si ritrovano ancora una volta zoppi di due componenti del gruppo.
1) Computer God
2) After All (The Dead)
3) TV Crimes
4) Letters From Earth
5) Master Of Insanity
6) Time Machine
7) Sins Of The Father
8) Too Late
9) I
10) Buried Alive