BLACK PHANTOM

Zero Hour is Now

2020 - Punishment 18 Records

A CURA DI
NIMA TAYEBIAN
21/09/2020
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione

Risulta alquanto soddisfacente appagare la propria fame "metallica" pescando nuovi interessantissimi gruppi dal web, o, in maniera tradizionale, spulciando riviste o facendo brainstorming con le proprie amicizie metallare sempre prodighe di interessantissime info in questione. Una soddisfazione unica per chiunque si ritenga implacabilmente voglioso di avere nozioni su nuovi artisti o gruppi capaci di rinnovare un panorama che pur saturo non ha mai smesso di avere qualcosa da dire in merito. Una soddisfazione incredibile, dunque, per personaggi come il sottoscritto che da anni e anni fanno affidamento ad ogni canale possibile per scovare quanto di meglio e di più interessante possa offrire tale settore. La mia recente scoperta non è dovuta, stavolta, a riviste o alle mie minuziose ricerche sul web, ma ad un amicizia (tra l'altro un collega della nostra webzine) che mi ha fatto conoscere un gruppo italiano di cui - e faccio mea culpa - non avevo sino ad ora sentito nominare. I Black Phantom. È bastato poco per colpirmi. Appena sono andato ad ascoltare i primi brani tratti dal loro secondo e sino ad ora ultimo disco "Zero Hour Is Now" (tra l'altro il disco che vado a recensire quest'oggi) è scattato l'amore. E non poteva essere altrimenti: la band lombarda, attualmente sotto contratto con la Punishment 18 Records, si nutre profondamente di influssi maideniani, riecheggiando in maniera estremamente accentuata il mood della band di Steve Harris and co. Il che non implica affatto una mancanza di personalità dei nostri, i quali, anzi, riescono a mantenere inalterata la propria originalità nonostante tale richiamo si palesi a più riprese (merito anche e non solo delle vocals spettacolari di Manuel Malini, dall'ugola decisamente dickinsoniana). Originali dunque, ma con un forte occhio rivolto al sound della Vergine di Ferro. Un binomio tentato da molti dei cosiddetti epigoni e non sempre raggiunto. Alcune volte, certe bands finiscono per palesare eccessivamente certi richiami maideniani, compromettendo l'importante fattore originalità (per la serie: che scopo ha ascoltare un gruppo che scimmiotta i Maiden quando posso sentire tranquillamente gli originali?). Ma qui questo non avviene, dato che sono si presenti tali richiami, ma il gruppo non ha difficoltà a mantenere una propria identità ben precisa. Non degli epigoni, dunque, ma un ottimo gruppo di sanissimo heavy metal, con "inflessioni maideniane". Citare un brano piuttosto che un altro è cosa ardua, dato che sono stato colpito positivamente da tutti e otto i brani del lotto, e scusate il vago gioco di parole (in realtà comunque i brani sarebbero nove, ma l'ultimo proposto è la versione tedesca di Schattenjäger, terzo brano in scaletta). Dunque, rispetto a quanto fatto altrove, mi posso limitare a consigliare l'album nella sua interezza. Un disco che non solo non fa rimpiangere la bellezza del precedente (anch'esso, inutile a dirsi, molto maideniano), ma riesce ad evolvere e ad arricchire un sound che già in partenza risultava vincente. Detto questo, prima di partire con la consueta track by track (e sono particolarmente ansioso di snocciolare a fondo questo disco), vi lascio con una breve bio, tratta dalla loro pagina Facebook: "I Black Phantom sono nati nel 2014 inizialmente come progetto solista di Andrea Tito (bassista e principale autore/compositore della band Mesmerize), per portare alla luce una serie di brani di buon vecchio Heavy Metal classico, giacenti nel cassetto in attesa di completamento e pubblicazione. Con l'aiuto degli amici di lunga data e compagni di gruppo Andrea Garavaglia (batteria) and Luca Belbruno (chitarra), nonchè del chitarrista Roberto Manfrinato e del cantante Manuel Malini (entrambi della cover-band Eruption), un totale di 10 pezzi + una cover poco comune degli IRON MAIDEN sono state incluse nell'album di esordio "BETTER BEWARE!", pubblicato nel Maggio 2017 dall'etichetta Punishment 18 Records. Dopo due anni di concerti e festival a supporto del disco, e dopo un cambio di formazione (con l'ingresso di Ivan Carsenzuola alla batteria), i Black Phantom ritornano col 2° album "ZERO HOUR IS NOW", 9 canzoni di Heavy Metal tradizionale, uscito a Marzo 2020 ancora per Punishment 18 records.

Redemption

Si inizia alla grande con Redemption (Redenzione), prima traccia del lotto, che parte con un primo riff reiterato alcune volte, a cui fa seguito un plot melodico molto, molto accattivante (e molto maideniano) sostenuto da un chitarrismo in gran spolvero. Intorno al quarantacinquesimo secondo si inserisce la voce di Malini che con la sua ugola (come già specificato) decisamente dickinsoniana, da forma ad un testo decisamente introspettivo: il protagonista del brano è consapevole di avere mille colpe, le quali pesano profondamente nella sua coscienza, e non vuole che qualcuno gli rimembri di tali mancanze. Ricordargli determinate cose sarebbe solo un peso gravoso per la sua coscienza, e avrebbe come unico risultato quello di buttarlo giù. Piuttosto che piangere sul latte versato o ascoltare prediche deleterie, l'uomo preferisce concentrarsi sul proprio ritorno in pompa magna. Vuole ricominciare tutto, prendere spunto dai propri errori per costruirsi una nuova vita. Redimersi dunque da ogni sbaglio fatto, ripartire rinnovato e cominciare un nuovo capitolo della propria esistenza. Il brano, dopo una introduzione bella carica, trainata da un lavoro strumentale di ottima fattura, prosegue su ritmi pregni di potenza, scortati da un riffing serrato e dalla voce belluina di Malini. I richiami più palesi sono ai Maiden post "Brave New World", quindi quelli da "Dance Of Death", ma come ripeto, i nostri sanno bene il fatto loro e conservano totalmente una propria identità. Nulla di quello che si scorge alla lonatana inficia minimamente su un sound personale architettato magistralmente da questi vassalli del più genuino heavy italico. Il tutto prosegue con grinta ed energia sino a circa il primo minuto, quando un frangente più "lirico" e colmo di epos rompe la tensione sino ad ora sviluppata per regalarci un momento di estatica goduria. Il passaggio è colmo di afflati epici, cromato a tal punto che si può percepire lo scintillio. Bellissimo. In breve si ritorna ad una struttura più incalzante, fondamentalmente simile a quanto percepito nel primo minuto, rotta verso i tre minuti e dieci da un passaggio strumentale quadrato, marziale. Al primo brano abbiamo già un piccolo capolavoro di metallo nostrano, bello, ben fatto, maideniano ma al contempo totalmente "Black Phantom".

Hordes Of Destruction

Si continua altrettanto bene con Hordes Of Destruction (Orde Di Distruzione), ottimo pezzo che prende il via con un interessante intarsio chitarristico, invero molto evocativo. In breve il pezzo decolla con un rifferama estremamente carico. Dopo un grido furente scende in campo la voce di Malini, che stavolta si diletta a narrarci di un orda spietata e furente scesa in campo per perpetrare un massacro senza precedenti. Una testo apocalittico estremamente avvincente ed immaginifico. L'orda cala sull'umanità, e senza scrupolo alcuno inizia a sterminare gli umani. A questa fa seguito una seconda orda, che porta avanti la devastazione iniziata dalla prima. Ci si trova in balìa dell'inizio della fine. Ormai il caos ha preso piede, e una terza orda giunge da dietro le linee a completare la distruzione portata avanti dalle precedenti. Questa nuova orda non è composta da semplici "macellai", ma da personaggi senzienti, politici esperti, che dopo aver completato il sistematico annientamento della razza umana "rivendica i diritti su questa terra desolata". Il brano, dopo averci deliziato con una bella introduzione carica, prosegue su ritmi scattanti, pregni di grande energia. Come sempre Malini si destreggia magistralmente con la sua ugola stentorea alla "Air Raid Siren" (sapete di cosa parlo...) arricchendo in maniera decisa alle bellissime trame tratteggiate dagli strumentisti. Sembra rafforzarsi un certo sentore maideniano periodo "Dance Of Death", ma è un vezzo che non incrina la personalità indiscutibile dei nostri. A trionfare per la quasi totalità del brano è una certa linearità, comunque spezzata da intermezzi come quello a un minuto e tre quarti (ripetuto più avanti), molto epico, cromato, caratterizzato da tempi più distesi e una maggiore ricerca dell'atmosfera. Degno di nota anche l'ottimo frangente strumentale dai due minuti e cinquanta in poi. Fondamentalmente ci troviamo di fronte ad un nuovo brano vincente, che conferma le capacità dei nostri dopo una opener incendiaria. Un pezzo - e mi sbilancio sin da ora - che precede un lotto di brani altrettanto belli, ben fatti, ispirati.

Schattenjager

Schattenjager (Cacciatore Di Ombre) è un ottimo brano che ci pone, ancora una volta, di fronte ad un testo dai bagliori apocalittici. Questa volta rafforzati da nozioni pseudo-storiche: infatti si parla di "sentinelle" poste a proteggere l'umanità contro le forze del male, attive già dal 1210 e benedette da San Giorgio in persona. Quando tali forze demoniache si manifestano le sentinelle iniziano la loro caccia. Queste sono guidate dai poteri di un non meglio spcificato talismano, che indica loro la via e contribuisce alla loro guarigione. Una lotta, questa, tra forze del male e vassalli della luce, che dura secoli, e da secoli vede i Nostri impegnati ad estirpare tali forze maligne foriere di oscurità, dolore e miseria. Il pezzo prende il via con un arpeggio morbido, vellutato, accompagnato dalla voce recitata del singer. Dopo questo breve preambolo si parte in quarta con un riffing serrato ripetuto più volte, accompagnato da sparuti singulti di chitarra. Al quarantesimo secondo entra in scena la voce del singer, ad accompagnare una texture sonora possente e parecchio efficace. In breve, entrando nel vivo del brano, notiamo come stavolta le influenze del gruppo londinese siano meno accentuate: un brano vincente (e lo si capisce già dopo il primo ascolto compiuto) che comunque evita di strizzare l'occhio ai più celebri "fratelloni", dimostrando che i nostri non hanno minimamente bisogno di omaggiare (seppur alla lontana) un qualsivoglia gruppo per tirare fuori un brano con i contro attributi. E infatti, il suddetto, caratterizzato da una vivace irruenza e da intermezzi assai particolari (quello di basso al minuto e cinque), è un brano dotato di una innegabile personalità. Bello, ben fatto, un nuovo gioiello in questo splendido diadema.

The Road

The Road (La Strada), forse ispirata all'omonimo film/romanzo, elabora un testo dal carattere oscuro e pessimista: il mondo è ormai in rovina, arido, "perduto sotto un cielo silenzioso e senza Dio". Un cataclisma sembra aver devastato tutto e ha annientato gran parte della popolazione mondiale. I pochi superstiti si aggirano tra le macerie, camminando per strade piene di cumuli polverosi. Sembra esserci comunque un fanciullo, quasi una sorta di predestinato, che potrebbe essere una speranza per il mondo intero. Il protagonista del brano lo chiama amorevolmente "figlio mio" e sa che dalla sua sopravvivenza dipende la conservazione del genere umano. Di quei pochi superstiti che l'apocalisse ha fortunatamente risparmiato. Si cerca una luce che non sembra esserci, un fioco bagliore di speranza che non sembra voler baluginare. Ma non ci si arrende e si percorrono sentieri dissestati in cerca della salvezza. Il brano è introdotto da un giro di chitarra ansiogeno, quasi "misterioso": nessuna volontà da parte dei nostri di creare un clima potente, irruento, ma solo di esprimere un vago senso di tensione tramite un apertura, paragonata a certe esplosioni di vigore, decisamente più "soft". La voce subentra in breve, delicata, soffusa, in linea con l'ombroso arazzo strumentale intessuto dagli strumentisti. Intorno al cinquantesimo secondo il pezzo scivola verso un frangente quadrato, possente, giostrato su un mid tempo gestito su un granitico guitar work e da un cronometrico scandire della batteria. La voce si carica di energia, adagiandosi perfettamente sul marziale tessuto musicale. Al minuto e trenta la voce si carica di epos, e ancora una volta il nostro Malini mostra la grandiosità della sua potente ugola. Un intermezzo strumentale - null'altro che la ripetizione della parte introduttiva - ci riporta in breve in seno alla main structure del brano, quadrata, marziale, in avanzamento continuo come un grosso schiacciasassi. Il brano continua imperterrito su tali binari sino ai quattro minuti e trenta circa, quando un'inattesa accelerazione lo porta ad incrementare il proprio fattore dinamico trascinandolo inaspettatamente verso lidi veloci e irrequieti gestiti in un frangente strumentale di rara intensità. Finale basato inizialmente su una ripetizione del plot di partenza, con tanto di voce più "soft" di Malini, quindi su un impennata vocale dello stesso in modalità "epica" e dunque con un finale chitarristico estremamente soffuso. Il brano, evitando una puntigliosa analisi punto per punto, è decisamente un altro piccolo gioiello, che rifugge anche stavolta qualsiasi paragone con il più rinomato gruppo londinese per offrire uno spaccato personalissimo delle loro capacità e della loro indubbia personalità. 


Aboard The Rattling Ark

Aboard The Rattling Ark (A Bordo Dell'Arca Rumorosa), tratto sicuramente dal film Snowpiercer di Boog joon Ho, si pone tematicamente sulla scia di vari brani che lo hanno preceduto, portandoci nuovamente di fronte ad un testo dal chiaro carattere "apocalittico" (nel senso più usuale del termine, dato che storicamente la suddetta parola trova un binomio con "rivelazione" e non con "disastro") in cui troviamo ancora una volta un'umanità in ginocchio costretta a fare i conti con le conseguenze di un post-disastro. Stavolta il mondo, da quanto si evince, è stato piegato da una catastrofe conseguente al riscaldamento globale. Tutto è iniziato con una nuova era glaciale, che ha portato l'uomo sulla via di una nuova estinzione collettiva. La nostra civiltà, disastrata, si lecca le ferite impotente e rimugina su quanto poteva essere scongiurato e invece è stato preso terribilmente alla leggera. Musicalmente abbiamo un inizio "rumorista" che sfocia in breve in una serie di rintocchi ossessivi e cronometrici di batteria. Nel giro di pochissimo si sfocia in una parte strumentale possente, fragorosa, gestita su un riffing ossessivo e scandita da rintocchi veloci di batteria. Oltrepassato il minuto e dieci subentra la voce, adagiandosi su un tappeto sonoro carico di energia, ma non "protagonista": stavolta sembra che il cesello sullo sfondo sia intavolato per fare da contraltare alla notevole voce del cantante, che, in questo caso, si erge ad elemento di primo piano lasciando che il resto funga da "contorno". Conseguentemente al minuto e cinquanta le vocals subiscono una bella impennata, incrementando il "fattore epos". Malini vola alto con la sua ugola da Banshee, ma i baldi musicisti sanno stargli dietro senza problemi, cesellando ottime architetture musicali capaci di sorreggerlo con classe. Rapidamente si ritorna su linee marziali e compatti, in linea con quanto ascoltato inizialmente, e ci si reinserisce per gradi della main structure del brano, che riprende a viaggiare su binari non troppo veloci ma decisamente granitici. Anche stavolta siamo di fronte ad un pezzo architettato in maniera magistrale, che mostra un'ispirazione a dir poco invidiabile: il suddetto brano si fa amare sin dal primo ascolto, e riesce a fornire un ulteriore spaccato della classe sopraffina dei Nostri.

Either You Or Me

Either You Or Me (O Tu O Io) si distacca abbastanza dalle tematiche catastrofiche della maggior parte dei brani, per presentarci un testo improntato su un plot diverso, che ha come protagonisti due uomini, uno che rappresenta la voce narrante, e un secondo che sembra quasi rappresentare la sua "nemesi". Il protagonista/voce narrante intima al secondo uomo di seguire una strada differente dalla sua, quindi di separarsi da lui e affrontare un percorso diverso. Nonostante i toni non siano estremamente amichevoli, lui ricorda che tale ammonimento non è in realtà una minaccia. I due hanno sicuramente avuto un trascorso non idilliaco, e l'unico modo che ha il protagonista principale per non impazzire è non avere più questa seconda persona di fronte agli occhi, anzi, proprio vicino a lui. Il brano ha un brevissimo inizio ai tamburi, quindi parte alla grande con un guitar work fortemente malinconico e umbratile. Verso i trentacinque secondi un ricamo mesto di chitarra introduce la voce di Malini, molto soffusa, impostata su toni mesti. Il pattern strumentale si mantiene delicato, prima di un'impennata vigorosa alla quale si adegua istantaneamente anche il singer, portando la sua ugola a volare verso vette più alte. Non vi sono in questo frangente esagerazioni "muscolari" né inflessioni particolarmente cinetiche, solo un boato di energia che nasce e muore nel giro di poco, riportando quindi il brano su tessiture meste in linea con quanto ascoltato dall'inizio. Ai tre minuto circa il brano è sconquassato da una sezione nettamente più poderosa, energica, che lo incanala in uno stupendo frangente strumentale particolarmente emotivo, capace di destarci sensazioni forse sopite. Terminato tale frangente si ritorna in seno alla struttura principale, ora energica ma sempre colma di quello spleen che caratterizza il pezzo.

Begone!

Si continua alla grande con Begone! (Vattene!), song che presenta testualmente caratteri biblici e soprattutto "miltoniani": si parla infatti di Lucifero, descritto testualmente sin dai primissimi momenti come "il portatore di luce" e "l'angelo più bello del cielo". Tutte descrizioni calzanti, considerando che Lucifero vuol dire proprio "portatore di luce" e rappresenta l'angelo dotato di maggiore magnificenza, unico "rivale" al trono del Signore. Il testo rappresenta una parabola dell'ascesa (anzi, della ribellione a Dio) di Lucifero e della sua caduta: infatti, dopo che questi ha dichiarato guerra all'Onnipotente è stato in breve sconfitto e scagliato verso regioni infere, imprigionato per il suo tradimento e trasformato in un orrido demone. Una bellissima riproposizione di un celeberrimo mito riguardante il più splendente degli angeli. L'introduzione è affidata ad un giro di basso fortemente distorto, che crea un senso di alienazione e spaesamento. Dopo poco, sugli stessi ritmi sincopati abbozzati in partenza, prende il via un riffing energico scandito da rintocchi cronometrici di batteria, e si entra velocemente nel tessuto del pezzo vero e proprio, ancora caratterizzato dai medesimi ritmi sincopati ma al contempo screziato dalla voce stentorea di Malini. Il brano prosegue così su binari abbastanza lineari, sino ad un impennata vocale del singer, ancora una volta molto epica e dickinsoniana, a cui fa da contraltare un breve passaggio pregno di una certa evocatività. Si ritorna dunque a ritmi quadrati, che in questo brano la fanno da padrone, e quindi ad un nuovo frangente in qualche maniera "epico" (chiaramente si parla nel senso meno incasellante del termine, quindi non immaginate roba stile Warlord o Manowar) che ci porta verso un passaggio strumentale di notevole bellezza, ancora caratterizzato da un andamento cadenzato. Dopo un ulteriore passaggio magnificamente evocativo screziato dall'ugola di Malini il brano scivola nuovamente verso territori cadenzati. Un brano, questo, splendido per la sua "particolarità", dato l'utilizzo reiterato di un riffing fortemente marziale e sincopato, che calza come un guanto con l'ottima parte testuale.

Hands Of Time

Il concetto di tempo si presenta come protagonista assoluto del brano Hands Of Time (Le Mani Del Tempo). Si parla infatti di come molte delle cose nella nostra vita siano date per scontate, e quello che facciamo abitualmente è perdere tempo. Il destino attende tutti noi: possiamo forse ritardarlo, ma questo è comunque al capolinea ad aspettare. Bisogna dunque comprendere la brevità della nostra vita, e fare in modo che il tempo speso futilmente sia utilizzato con maggiore criterio. Bisogna prendere consapevolezza che ogni cosa è destinata a finire, e spendere ogni singolo attimo per dare valore ai vari momenti che caratterizzano la nostra permanenza in questo mondo. Carpe diem. Il brano, conseguentemente ad un'introduzione ovattata, si pone subito come un nuovo mirabile spaccato di classe e muscolarità: lasciati da parte ritmi quadrati e sincopati avvertiti in brani come l'immediato prededente, stavolta si torna a correre. La velocità infatti non è lesinata per un istante, e il pezzo decolla immediatamente sorvolando vette altissime, complici delle linee di chitarra di gran presa e una voce, quella di Malini, che ancora una volta dimostra un appeal assolutamente non comune. Ci troviamo a conti fatto con un brano che non lascia un momento di respiro, che viaggia a velocità elevate e stupisce per la sua enorme presa. L'apice poi si raggiunge nel refrain, ancora una volta, come già visto a più riprese, forte di un sentore "epico" che non può non fare breccia all'istante nel cuore di qualsiasi defender che si rispetti. In poche parole... l'ennesimo capolavoro. E, anzi, per chi scrive forse l'apice di un disco privo di punti deboli, che non ha lasciato trasparire alcuna pecca, regalandoci momenti bellissimi e facendoci sbattere la testa in maniera incessante.

Schattenjager (Deutsch version)

La conclusione è affidata alla versione in lingua tedesca della perla Schattenjager, terza traccia del disco. Track che non aggiunge né toglie nulla ad un disco già di suo perfetto, e che può essere considerata come un interessante divertissement. La traccia originale è già di per sé una bomba alla quale francamente non serviva qualche estrapolazione, ma è comunque interessante ritrovare questa differente versione piazzata in appendice, magari come simpatico omaggio ai fans teutonici. 

Conclusioni

Cosa dire ancora di questo straordinario disco e di questo incredibile gruppo italiano, che solo dopo due album di innegabile caratura sta dando prova di poter tranquillamente aspirare al gotha del metallo tricolore? Ben poco, a dire il vero, considerando che in tutta la parte introduttiva e nell'analisi delle varie tracce ho già avuto modo di spendermi in dettagli e prodigarmi in meritatissime lodi. Questo era il disco che volevo sentire. Tutto quello di cui avevo bisogno in questo periodo è raccolto in questi otto pezzi (più uno) di straordinaria fattura, diamanti di incredibile caratura che adornano uno dei platter più efficaci nel panorama nostrano sentiti da parecchio tempo a questa parte. Tutto funziona: dall'apporto efficace dei vari strumentisti (buona parte proveniente dagli ex - a loro volta - maideniani Mesmerize, ora avvezzi a un mood di inclinazione più "modernista"), all'ugola d'oro del fenomeno Manuel Malini, sino ad un fattore "ispirazione" che vado sempre ricercando tra i vari gruppi più o meno conosciuti, e che qua non manca di certo. Avendo recuperato nel frattempo anche il loro primo disco "Better Beware!" posso dire che da quello al nuovo il salto è strepitoso, e questo a distanza di soli tre anni: eliminate asperità ed incertezze, questo è davvero testimone di una maturazione incredibile. I brani sembrano composti da una band navigata, con un numero indecifrato di dischi alle spalle. Quanto viene dato in pasto alle nostre orecchie (insaziabili) è un prodotto molto maturo, e l'influenza Maiden (riscontrabile anche nel primo disco) è relegata a pochi pezzi e alla voce dickinsoniana del singer. Un'influenza che sicuramente non può non far battere il cuore di ogni convinto defender che si rispetti, ma che, giudicando la loro spiccata personalità, non è un elemento indispensabile. Chiaramente spero che certi accenni, certi sparuti richiami non si perdano nel corso del tempo (ritrovare qualche sfumatura maideniana nei loro successivi dischi sarà sempre un elemento di godimento per chi scrive) ma è chiaro che un'ulteriore maturazione e raffinamento del loro sound - già abbastanza maturo e raffinato per i miei gusti - ridimensionerà fisiologicamente tali richiami agli storici "padri putativi". Perché è logico che con il trascorrere del tempo, e una personalità destinata a rafforzarsi album dopo album, si assista per gradi ad una biologica metabolizzazione di certi elementi ora più evidenti nel loro mood. Con questo non mi rimane molto da dire. Sono veramente colpito da questo gioiellino, e sono convinto che il prossimo disco darà modo ai nostri di effettuare un ulteriore salto in avanti, e saranno davvero in molti a gridare al capolavoro. Io per questo l'ho già fatto, e nonostante eviti un voto stellare (di solito cerco di non sbilanciarmi mai troppo con gruppi ancora "giovani" o con pochi dischi alle spalle) applaudo alla bravura dei nostri sino a spellarmi le mani. Attendendo trepidante il prossimo disco, che spero davvero di sentire al più presto.

1) Introduzione
2) Redemption
3) Hordes Of Destruction
4) Schattenjager
5) The Road
6) Aboard The Rattling Ark
7) Either You Or Me
8) Begone!
9) Hands Of Time
10) Schattenjager (Deutsch version)