BIOTOXIC WARFARE

Lobotomized

2015 - Slaney Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
05/03/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

È ormai assodato che gli orizzonti della musica estrema, che va dal thrash metal in giù fino alle soglie infernali e sulfuree del black e del death per intenderci, si siano notevolmente espansi: agli albori di queste sonorità infatti si potevano contare sostanzialmente due monoblocchi fondamentali, quello statunitense, fieramente rappresentato dalla scena della Bay Area e dalle frange più estreme della Florida, e quello nord europeo, che vedeva nella Germania e nella Scandinavia le loro fucine più industriose e che, in netta opposizione al clima della guerra fredda, ha creato un patto di alleanza per la musica metal in tutte le sue sfaccettature più dirette e brutali. Di lì a poco infatti si sono iniziati ad affermare anche nomi proveniente dai poli “dispersi” del mondo, basti pensare che dal Sud America sono giunti fino alle nostre orecchie i capolavori dei Sepultura e dei Sarcofago, giusto per citare due nomi di rilievo, e che ben presto ci saremmo sollazzati qualche anno dopo con il potente e fierissimo quadrilatero polacco che vede schierati sul campo Behemoth, i Vader, gli Hate ed i Decapitated, pronti a sconquassare il mondo anche dalla parte destra delle nostre carte geografiche. Scendendo ancora un po' più in basso con lo sguardo sul nostro metaforico atlante del metal, troviamo anche la Grecia, terra la cui grandiosa storia e cultura non hanno mai mancato di affascinarci, divenendo simbolo del patrimonio dell'intera umanità; poteva dunque la terra ellenica sottrarsi di stupirci anche in fatto di musica? Assolutamente no, infatti la conta dei grandi nomi provenienti dal Peloponneso in fatto di musica hard’n heavy sono numerosissimi, tra i più famosi vi basterà ricordare i Firewind, power metal band madre del notissimo guitar hero Gus G, approdato sotto l'ala di sua maestà Ozzy Osbourne, la nota one girl band folk pagan Hyldr Valkyrie e le sue colleghe blackster Astarte, ahimè rimaste orfane della loro sorella Tristessa e, ultimo ma non meno importante, quella mitragliatrice umana che è George Kollias, iper chirurgico drummer dei Nile. In ambito thrash ci troviamo per le mani il nuovo lavoro dei Biotoxic Warfare, giovane band greca il cui nome incarna da sé tutta l'attitudine di questo genere: il richiamo all'immaginario guerresco, in particolare alla guerra chimica, è sempre stato un topos fondamentale di questo genere (vi basti pensare a nomi come Nuclear Assault oppure Toxic Holocaust). Guardando però la copertina di questo Lobotomized si nota subito che il gruppo mira ad essere chiaro ed esplicito anche nell'aspetto iconografico: protagonisti dell'artwork sono infatti due figure particolarmente grottesche; sulla destra troviamo un mostruoso ministro di Dio intento ad eseguire la propria lobotomia concettuale, sulla sinistra troviamo invece la sua vittima, un fedele incatenato, anch'egli dall'aspetto raccapricciante ed ormai privato dell'integrità del suo cervello. Strumento di questo macabro intervento chirurgico non è il proverbiale bisturi, ma ben due crocifissi che vengono uno conficcato violentemente del cranio, l'altro nell'orecchio dell'inerme credente, ribadendo come oggi giorno la religione sia la principale arma di strumentalizzazione delle folle, applicata attraverso le parole che sentiamo ed i concetti che ci vengono letteralmente infilati in testa. Un manifesto più che eloquente per la dichiarazione di intenti di questi thrashers mediterranei.



L'album si apre con la strumentale “Mors Indecepta”, l'atmosfera si fa immediatamente funerea ed inesorabile: la batteria procede costante con un tempo ostinato eseguito sul ride e le chitarre ci avvolgono immediatamente in una nebbia oscura e gelida, la resa della parte è pressoché perfetta, ma purtroppo è da constatare qui un caso di spunto preso da “Freezing Moon” dei Mayhem che rasenta il plagio: gli armonici del fraseggio infatti sono gli stessi del brano scritto da Euronymous e data la grandiosità del modello di riferimento, il richiamo è tutt'altro che bypassabile. Tolto questa nota dolente il pezzo si riassesta sull'invettiva personale, partendo con un break che lascia spazio all'inciso di chitarra, ormai divenuto parte fondamentale dell'abc thrash metal. Gli stacchi di batteria sono netti e martellanti, ideali per creare la giusta attesa per l'esplosione del pezzo. Le sonorità cattureranno immediatamente i fans della tradizione old school, in quanto la traccia procede sui binari della velocità incalzante ed infarcita da una serie di riff al vetriolo che non si sottraggono di martoriarci i timpani. È comunque la chitarra solista di George a prendere subito la testa della canzone, mettendosi in risalto con una arte in tapping dal retrogusto speed metal che ci riporta subito indietro nel tempo agli tanto amati eighties. Le pelli continuano a spingere incessantemente, creando una base solida ed energica per questa parentesi solista, che tiene sempre desta la nostra attenzione. Un'introduzione strumentale di poco più di tre minuti che si chiude con la ripresa del riff iniziale, una soluzione molto evocativa che però ci costringe nuovamente a pensare al capolavoro contenuto in “De Mysteriis Dom Sathanas” in maniera troppo marcata. Si prosegue con “Proclaim The Gospel Of Lies”, canzone di cui i Biotoxic Warfare hanno realizzato anche un videoclip; l'apertura è lasciata ad una voce gutturale e maligna, che introduce un vero e proprio rito canonico votato alla menzogna, dopo la quale parte subito una struttura serrata ed incisiva. La fattura del riff ci fa subito capire che questi ragazzi sono fans accaniti di Exodus e Testament, gruppi la cui influenza è sicuramente molto marcata nel loro dna. Il tiro del pezzo è decisamente dinamico, dal mid tempo si passa infatti a sviluppi più serrati e tempi dimezzati, che si rivelano efficacissimi e quasi spiazzanti nell'accompagnarci nell'ascolto. A risultare azzeccata e piazzata nel punto giusto è l'apertura del ritornello, i power chords tenuti infatti sono perfetti sia per lanciare una parte più serrata come la seguente strofa, sia per introdurre il medley in pulito piazzato a metà canzone, al quale segue un crescendo ritmico imponente e carico di suspence che sosterrà il successivo assolo, di fattura prettamente vecchio stile, che porterà alla chiusura del brano. A livello lirico, nel testo sono elencati i proverbiali principi con cui i profeti della falsa fede dominano il mondo, un dominio inculcato nelle menti attraverso il timore di un caos supremo e minaccioso, a cui si contrappone una misericordia di nettare ed ambrosia come premio dei servi più ligi ai loro comandamenti. Ci viene prospettato il quadro di un vascello di anime cullato su un fiume nelle cui acque si mescolano il sangue dei dannati e l'acqua benedetta, in una dicotomia di bene e male che tenga sempre costante il timori dei poveri fedeli stolti ed ignoranti. Lo sviluppo serrato e veloce della canzone fanno sì che le frasi del testo siano brevi e concise, ma non per questo meno efficaci a livello di impatto, pur trattandosi spesso di una sola parola, il significato di questo testo si rivela estremamente eloquente e perfettamente calibrato per essere travolgente tanto quanto la parte strumentale. La seguente “Baptized In Blood And Greed”, che funge anche da titletrack del demo precedente a questo disco, si apre nuovamente con un mid tempo, sul quale si stende una parte di tapping di chitarra che precede la partenza della strofa. L'incedere questa volta è più lineare, ed il disegno ritmico si rivela notevolmente più catchy, specialmente nel bridge che separa la strofa dal pre ritornello, dove un inciso di chitarra accompagna il rallentamento ritmico che gradualmente si crea nel passare dalla strofa al ritornello. È proprio sulla strofa di questa canzone che si sceglie di collocare la parte più spaccaossa, la batteria infatti procede con un tempo lineare supportato da un ottimo uso di doppia cassa, mentre al ritornello ed al bridge viene lasciato il compito di “smorzare” i toni, creando così un buon procedere ciclico. Nella seconda parte del pezzo viene mantenuto il mid tempo, a cambiare infatti è il riff di chitarra, costituito da una parte in palm muting arricchita da accordi incisivi e precisi; l'assolo è qui eseguito con una buona perizia esecutiva, che condensa in pochi secondi uno sviluppo che unisce velocità e melodia in un giusto compromesso. Il testo rappresenta un vero e proprio inno di ribellione, un incoraggiamento ad alzare la testa per liberarci dal giogo di un sistema che troppe volte ha dimostrato di essere il nostro oppressore: manipolazione, corruzione, sevizie e soprusi da parte dei potenti sono gli ingredienti con i quali veniamo sommessamente controllanti e con i quali la nostra personalità viene lentamente annientata al fine di fare di noi degli automi facili da assoggettare. Alla descrizione di questa pratica perversa della prima metà di liriche succede la seconda, che ci incoraggia e ci spiega come fare per liberarci da questo controllo manipolatore, quasi fosse un manuale rivoluzionario; per troppo tempo abbiamo incassato i colpi dei nostri dominatori, è giunta l'ora di deviare l'ennesimo calcio nei denti per rispondere a nostra volta: se tutti trovassimo il coraggio per portare questo contraccolpo, sicuramente saremo noi a vedere i nostri nemici giacerci d'innanzi in ginocchio. Di matrice decisamente più slayerana è la seguente “Dysphoric Reality”; l'armonizzazione delle chitarre nella parentesi iniziale non può distoglierci dal pensare ai capolavori eseguiti da King ed Hanneman nelle loro chicche leggendarie del thrash metal. Su questo brano ad avere il ruolo da protagonista è il basso di Panagiwtis PS, che oltre ad una parte abbastanza standard sul mid tempo della strofa, si concede un interessantissimo passaggio sulle toniche alte nel medley, uno spunto che ricorda gruppi technical death metal come Death, Necrophagist e Sadus. La traccia in sé, nel complesso, possiede elementi che oltre al thrash fanno pensare ad ascolti ben più estremi da parte di questi musicisti, la parte centrale della canzone infatti lascia intendere che nei loro stereo è echeggiato più volte “Cause of Death” degli Obituary. Pur mantenendo salda la propria fede alla tradizione thrash metal degli anni ottanta, i Biotoxic Warfare hanno comunque il pregio di presentarsi con un songwriting decisamente moderno, che “eclissa” gli abusi dei soliti quattro stilemi del genere per arricchirli con idee fresche ed originali, che ci fanno arrivare a metà della tracklist senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Il piano tematico continua sull'onda dell'anticonformismo e del politicamente scorretto; se nella canzone precedente vi era un incoraggiamento ad alzare la testa, qui troviamo invece un analisi più approfondita del sistema dispotico che regna sovrano nella nostra attualità: la fine delle ostilità fra cittadini inebriati da falsi ideali resta purtroppo un utopia destinata ad essere confinata ai nostri più ameni sogni, i governi infatti ci aizzano l'uno contro l'altro, per distoglierci da quelli che sono i veri motivi di insurrezione, il popolo unito è per antonomasia il nemico giurato di ogni regime totalitario, ed ecco che per tutelarsene, chi è al governo ci distrae facendoci catalizzare il nostro odio verso dei fuochi di paglia, mentre i leader continuano a gozzovigliare indisturbati alle (e sulle) nostre spalle. Purtroppo, il quadro attuale della Grecia ha sicuramente fornito ai Biotoxic Warfare una materia di spunti fin troppo variegata, ma sta di fatto che l'attualità ed il thrash metal sono gli ingredienti fondamentali di questo mix che si rivela sempre più travolgente canzone dopo canzone. La successiva “Lobotomized”, titletrack del disco, si apre con un interessante sviluppo acustico, una parte di chitarra pulita, effettata giusto con un leggero delay, ricca di gusto e stile, che ci ricorda i capolavori di shuldineriana fattura contenuti in “Symbolic”. È solo la proverbiale quiete prima della tempesta, perché non passa molto tempo che la batteria entra subito martellante e diretta come una mazzata sugli incisivi. Le chitarre sono fin da subito e taglienti, possiamo tranquillamente pensare agli Anthrax, agli Stormtroopers of Death ed ai Nuclear Assault come ispiratori principali; la struttura della traccia qui ricalca molto di più la proverbiale old school attitude e fa il suo trionfale ingresso anche un tupa tupa di batteria come tempo principale, stilema ritmico questo che nelle tracce precedenti era rimasto eclissato dai mid tempo. L'idea di scandire la sillabazione della parola “Lobotomized” con degli stop and go si rivela vincente, l'idea che i nostri cervelli vengano quotidianamente mutilati dalle imposizioni della chiesa e dei governi assume un maggiore significato, quasi ad urlarcelo in faccia fosse non una ma un migliaio di voce adirate. Pur trattandosi di una struttura abbastanza standard, il brano nel complesso resta tuttavia molto compatto e personale, le chitarre si muovono su un riff dinamico e variegato in perfetta sinergia con una ritmica di basso precisa e lineare, conferendo così alla parte compositiva una completezza assolutamente inopinabile. Il processo della lobotomia viene applicato neutralizzando i nostri sensi, in particolare la vista ed il tatto in quanto mezzi con cui possiamo conoscere maggiormente la realtà che ci circonda e porci delle domande al riguardo, ma per quanto possa essere ferreo il controllo, la forza di volontà può vincere anche su un unico individuo, che iniziando a pensare con la propria testa potrà anche essere un esempio per gli altri. Come nel mito della caverna di Platone, vi sarà un coraggioso che si alzerà, distoglierà lo sguardo dalle ombre illusorie che siamo costretti a guardare ed uscirà dall'antro in cui eravamo rinchiusi, venendo abbagliato dalla luce della vera essenza delle cose e guadagnandosi finalmente la propria libertà. Un inizio decisamente più funereo è quello di “Lust For Hate”, dove troviamo di nuovo le sei corde armonizzate a proporci un passaggio malvagio e sinistro, siamo di fronte ad un fraseggio sempre di shuldineriana memoria, in particolare del periodo di “Leprosy”, dove quella BC Rich si trasformava in un piede di porco utilizzato per scoperchiare una bara da poco sepolta. Conclusa questa introduzione a dir poco funerea, il brano va nuovamente a collocarsi sui binari del thrash metal più canonico, il quattro quarti serrato di batteria trascina tutti gli altri strumenti, scandendo con il rullante ogni singola battuta, ciò conferisce allo sviluppo un procedere un po' zoppicante, ma che non mancherà di fare presa nelle teste degli ascoltatori data la sua semplicità essenziale. Sono i break ad essere particolarmente incisivi, sempre ben piazzati ed efficaci nel creare quel minimo disorientamento su un pezzo che si sussegue assolutamente lineare dall'inizio alla fine; a colpire di più è senz'altro il passaggio di doppia cassa a 2:52, immaginate il leggendario passaggio eseguito da Dave Lombardo su “Angel of Death”, aumentategli la velocità e fatelo suonare su una cassa la cui pelle è tiratissima ed il trigger non si sottrae dall'eseguire il suo lavoro, avrete così un'idea della perizia di Orestis Drapaniotis dietro i fusti. Pur trattandosi di un pezzo estremamente lineare, la “monotonia” è perfettamente contro bilanciata da un tiro sempre alto ed incisivo, fondamentale per il crescendo di follia di cui parlano il testo: la pressione su di noi è sempre maggiore e lentamente ci avviciniamo a quella sottile linea che separa la nostra sanità mentale dalla follia; non abbiamo modo di sottrarci a quella pazzia così attraente, che ci pare così dolce ed irresistibile se paragonata alla difficoltà del mantenerci sempre razionali. Ecco che finalmente ci apprestiamo a fare quel proverbiale passo: la normalità, concetto quanto mai relativo ai giorni nostri, è ormai lasciata indietro e siamo finalmente liberi di abbandonarci alla sinfonia dei nostri disturbi mentali, improvvisamente quelle immagini oniriche un tempo incomprensibili si rivelano subito chiarissime e gli atti di malsana violenza vanno a collocarsi all'ordine del giorno in quella che è diventata a tutti gli effetti la nostra logica. La lussuria e bramosia per l'odio che per troppo tempo abbiamo covato dentro di noi è finalmente soddisfatta. La seguente “Parasitic Life” farà immediatamente venire l'acquolina in bocca a tutti i thrasher vecchia scuola, quelli che non hanno mai smesso di portare le adidas da basket ai piedi, i jeans strappati aderenti, le canotte sotto il chiodo ed il berretto sotto la cui visiera spiccava la scritta “mosh”. Siamo infatti di fronte ad un pezzo da manuale del genere: batteria serratissima, chitarre taglienti al pari di un esercito di motoseghe e la voce quanto mai acida sono gli ingredienti principali di un brano la cui struttura ed attitudine farebbero gola allo Scott Ian dei tempi di “Among The Living”. Come la traccia precedente non vi è un attimo di respiro, anche nel bridge infatti, pur dimezzandosi il tempo, la grinta e la pacca restano invariate, facendo di “Parasitic Life” uno degli episodi migliori del lavoro; con questo pezzo infatti i Biotoxic Warfare ci dimostrano ampiamente che si possono realizzare pezzi eccezionali senza necessariamente andare a cercare strutture o dinamiche particolarmente complesse. La parte finale vanta poi un assolo di chitarra eclettico e tecnicamente ben eseguito, le mani di George infatti si muovono esperte sia sul tapping che sullo sweep picking, rendendo questa esecuzione un perfetto esempio di ponte tra il “vecchio” e il “nuovo” in fatto di thrash. Il testo racconta di come esistano al mondo parassiti che non alzino mai un dito per contribuire all'esistenza, anzi, come dei viscidi germi si crogiolano delle fatiche altrui succhiando quanto i più possibile possa giovargli per i propri fini; di soggetti simili ne vediamo ogni singolo giorno, ma trattandosi di simbionti ci basterà smettere di impegnarci anche per loro, abbandonandoli al loro carico di responsabilità, così facendo leviamo loro il “nutrimento” ed arriveremo così ad un punto cruciale. Sarà solo a quell'occasione infatti che vedremo se avranno le gonadi abbastanza sviluppate da imparare a muoversi da soli, oppure andranno alla ricerca di un altro essere umano a cui avvinghiarsi, evitando l'estinzione e continuando così la loro vita parassita. L'album si chiude con “As We Rot...(Promise Of Heaven)”; come era tradizione nei combattimenti dei gladiatori al Colosseo, questi guerrieri ellenici riservano il colpo di grazia alla fine del disco, quando ormai le nostre cervicali giacciono a terra frullate a forza di headbanging, dove la colata di sangue delle nostre orecchie non si è ancora arrestata. Quasi a voler letteralmente infierire su di noi infatti, il pezzo si abbandona definitivamente al death metal: partendo dal classico tupatupa thrash metal, in men che non si dica ecco comparire anche dei blast beat serratissimi, delle voci in screaming e dei growl a creare degli incisi e stremi e dilanianti sull'esempio di band estreme come Deicide o Morbid Angel, ottimamente inseriti nei numerosi cambi di tempo e riprese. Sicuramente abbiamo per le mani la canzone più sperimentale ed elaborata realizzata dal gruppo, vi sono infatti passaggi ed idee atte a soddisfare qualsiasi tipo di palato, non manca nemmeno il fraseggio di chitarra epico dalle sonorità “orientali”, che in qualche modo ribadisce fieramente le origini di questi musicisti e che degnamente ci conclude alla conclusione del disco, un taglio troppo netto però, poiché sarebbe stato meglio optare per un finale in fade out atto a chiudere più trionfalmente questo lavoro. Il testo ribadisce l'invito ad alzare la testa e combattere per difendere la propria libertà in un mondo in cui ormai sono gli oppressori a regnare, ma in queste liriche il messaggio è più diretto e conciso: la nostra rivolta non farà prigionieri e potremmo finalmente marciare sui cadaveri martoriati dei nostri nemici, come il discorso di un condottiero che incoraggia i suoi compagni di lotta prima di una battaglia, non appena insorgeremo subito si leverà su di noi la promessa del paradiso: per i vincitori sarà un mondo finalmente libero da ogni sorta di tirannia, per i caduti combattendo saranno i Campi Elisi nei quali potranno banchettare per l'eternità; una promessa che non perderà mai il proprio valore.



In conclusione, “Lobotomized” si è rivelato un disco estremamente personale ed efficace, ineccepibile sia sotto l'aspetto prettamente tecnico dei musicisti, i quali dimostrano delle invidiabili doti tecniche, sia dal punto di vista della post produzione in studio, perfettamente calibrata per dare il giusto risalto e la resa idonea ad ogni parte, si tratti di un frangente dalla velocità alcalina, o da un momento più riflessivo con le chitarre pulite. Merito dei Biotoxic Warfare è quello di aver realizzato un album perfettamente al passo coi tempi, che suona moderno senza però mai perdere d'occhio quelle che sono le radici del thrash metal, rivelandosi un lavoro che scorre via dall'inizio alla fine in maniera piacevolissima e fluida; in un genere dove purtroppo la fedeltà all'old school spesso porta a delle vili ed inutili scopiazzature, questi cinque thrasher ellenici si sono notevolmente distinti per il loro sound fresco ed estremamente personale, che gli ha consentito di crearsi un marchio di fabbrica immediatamente riconoscibile. Se siete amanti dell'attitudine degli anni ottanta questo album non mancherà di farvi fare headbanging fino all'ultima lattina di birra, ma vi colpirà notevolmente anche se siete ascoltatori di musica più ricercata e moderna.


1) Mors Indecepta
2) Proclaim the Gospel Lies
3) Baptized in Blood and Greed
4) Dysphoric Reality 
5) Lobotomized
6) Lust for Hate 
7) Parasitic Life
8) As We Rot...
(Promises of Heaven)