BILLY IDOL

Cyberpunk

1993 - Chrysalis

A CURA DI
VALENTINA FIETTA
03/09/2012
TEMPO DI LETTURA:
5

Recensione

Per introdurre “Cyberpunk” dell’icona punk-rock Billy Idol ritengo doveroso fare alcune precisazioni utili come chiave di interpretazione stessa di questo disco e vorrei partire proprio dal titolo. Con la parola cyberpunk ci si riferisce a una corrente letteraria e artistica nata nella prima metà degli anni ottanta nell'ambito della fantascienza, divenuta in seguito un vero e proprio filone per gli appassionati di libri, arte e perfino film. Per essere più puntuali il termine è stato coniato dall’americano Bruce Bethke, che aveva intitolato così un suo racconto pubblicato nel 1983 sul numero di novembre della rivista americana Amazing. Vi chiederete forse quali tematiche di spessore possa affrontare un filone cosi visionario, da che cosa si lasci ispirare… Bèh, dopo un bel po' di anni, sarà proprio l'autore statunitense, che parlando della genesi di quel nome, rispose così:" Voglio dire, avevo un'idea di base per il mio protagonista, era alla moda e sgargiante coi capelli ossigenati. Ma l'essenza del suo carattere stava nel fatto che era un'impostura! Rayno era un parassita che viveva delle capacità delle altre persone: una creatura che era solo stile, posa e immagine, senza alcun talento. Avevo dei problemi a visualizzarlo, fino a che per caso non ho scorto delle registrazioni iniziali di MTV di Billy Idol. Saltai su indicando lo schermo: è lui!!! Il che rende abbastanza divertente il fatto che negli anni '90 il vero Billy Idol ha adottato l'identità cyberpunk fino al punto di darne il nome ad un album. Se sapesse la verità? Pensate debba dirglielo?". Billy Idol, un nome e una legenda: davvero pochi come lui, per buona parte degli anni 80, hanno saputo incarnare quella figura, ormai estinta nell'odierno panorama musicale, del divo rocker, sregolato e autodistruttivo, ma capace allo stesso tempo di far colpo su un pubblico ampio e variegato, forte di un fiuto per le melodie catchy che ti restano in testa per giorni e giorni. Ma se sarà proprio negli anni 80 che vivrà il suo periodo di maggior gloria con album del calibro di "Rebel Yella partire dagli anni 1990 ci sarà una netta inversione di rotta. Gli anni Novanta infatti furono un periodo di protesta sociale, economica, politica; un periodo di lotta contro gli stilemmi di una società falsamente perbenista condita da tanta ipocrisia. Non stupisce quindi che anche il mondo musicale fu travolto da questa onda di cambiamento. In quegli anni mutava il concetto stesso di rockstar trasgressiva e appariscente che Billy Idol incarnava alla perfezione; nella scena musicale stava esplodendo il genere Grunge, il quale se da un alto si riagganciava a una matrice punk, dall’altro lato invece si presentava come una cesura dalla scena rock-pop che aveva caratterizzato il decennio precedente. Non era dunque un momento favorevole per proporre un disco come “Cyberpunk”. Billy Idol si ritroverà nuovamente in condizione di doversi reinventare per poter restare in vetta ancora una volta. Sceglierà di ripartire musicalmente allontanandosi il più possibile dal confronto coi nuovi eroi del rock alternativo e indossando l'insolita, e non del tutto calzante, veste del pioniere. Eccoci arrivati dunque al nocciolo per decifrare questa release uscita nel 1993: disco sottovalutato e impavido o enorme flop di un visionario fuori tempo? Di sicuro un disco azzardatissimo. È il 1993 quando inizia a spargersi la voce che nella sua ultima fatica di imminente pubblicazione Billy Idol rinnegherà di fatto le sue radici rock per dedicarsi all'elettronica e alla musica dance. Appassionatosi durante gli anni della riabilitazione al mondo del computer, Idol decide infatti di realizzare un concept album, registrato in parte con un Macintosh nella sua casa, ispirato ai racconti fantascientifici degli scrittori del filone cyberpunk di cui parlavo prima. Un paio di mesi prima dell'uscita ufficiale dell'album, un incosciente Idol inizia a far circolare (solo su sui media statunitensi) una cover di "Heroin" dei Velvet Underground in versione dance: è irriconoscibile il pezzo e, soprattutto, è irriconoscibile lui; i fan gridano al tradimento e la critica musicale al sacrilegio. Quando un mese dopo verrà rilasciato il primo singolo ufficiale, la tuonante "Shock To The System" (accompagnato tra l'altro da un videoclip futurista e violentissimo, ispirato ai recenti disordini di Los Angeles) il danno è ormai fatto, e nonostante si tratti di uno dei suoi singoli meglio concepiti, più in linea con quanto realizzato in passato, e con un efficacissimo riff trattato sinteticamente, il pubblico gli negherà i soliti alti piazzamenti in classifica a cui ormai Idol era abituato a ogni suo ritorno sulle scene. Ma vediamolo più da vicino se davvero è tutto da scartare in questo disco. L’opener track serve proprio per introdurci nel concept, “Wasteland”: quello che si sente è una fanta atmosfera sognante, onirica e già impregnata di sussulti sulfurei e basi elettroniche dense. Ad aprire il pezzo una voce in secondo piano che va richiamare il significato del testo “No religion at all”. Da un punto di vista musicale pezzo mediamente scorrevole, ma privo delle punte originali che potremmo aspettarci; la voce di Billy è nel complesso monocorde, statica e senza brio. Un sei solo per il contenuto del pezzo che sottolinea come nelle nuove società consumiste e tecnologiche si siano persi tutti i riferimenti, appunto No Religion at All. Segue il tema principale del discoShock to the System” che acquista crediti dall’inizio (per poi perderli di nuovo). Un vago riff richiama l’attenzione accompagnato dagli immancabili screams alla Idol in apertura ma tutto il pezzo però si snoda intorno a un  graffio tonale troppo debole, mentre al solito si alternano misture di musica elettronica con reminescenze rock. Che il significato del pezzo fosse andare contro il sistema anche musicalmente con incontri di sound cosi mal associati? E’ l’unica speranza che darei alla canzone, perché per il resto, scivola senza lasciare traccia. La terza e la quinta canzone "Tomorrow People" e "Neuromancer", le affronterei insieme dato che nel complesso risultano comparabili nei sound e sostanzialmente anonime: aggiornano di dieci  anni la commistione tra rock ed elettronica di alcuni suoi singoli del passato, con la differenza che stavolta sono le chitarre elettriche a essere di supporto ai beat e non viceversa. Il quarto pezzo è “Adam in Chains”, nella sostanza una ballata dai toni electro-soft più vicina ai contemporanei Duran Duran di "Come Undone" che ai lenti del suo passato. Addirittura Billy in vista del live-tour di questo pezzo cambierà persino look in: abbigliamento sportivo e dreadlocks biondi. Agli occhi del pubblico, il vecchio Billy Idol non esiste praticamente più e questa sua nuova incarnazione non piace assolutamente. Né fisica né artistica. Di fatto la ballata si dissolve in una voce  (la stessa che farà l’intercalare per gli altri pezzi) che per i primi tre minuti commenta l’andamento di un ipotetico esperimento umano (da qui il titolo e pure il video relativo) ma lo spazio per un po’ di melodia cè solo a partire dal 4minuto, quando Idol fa sentire che almeno un brutto timbro vocale non ce l’ha. Musicalmente zero, una vera e propria disfatta su ogni fronte. Un 5 e non un 4 per la coerenza mera al concept. La sesta track riporta un po’ di ossigeno agli appassionati del Billy Old School: si tratta di ”Power Junkie” una canzone che riporta  l’abrasività di cui Idol fece il suo marchio di fabbrica degli anni precedenti, anche se si affida anche qui a una densa e potente base elettronica che finisce per contaminare un pezzo quasi riuscito nell’apertura. Poi però torniamo alle sonorità che tanto amavo di Billy in “Rebel Yell”: voce psichedelica ma graffiante, toni onirici ma senza sfronzoli, chitarra che torna a dare un tappeto di note a rinvigorire l’impatto rock, mentre nel sottofondo l’urlo “I'm goin' crazy”. Cambio di direzione per la canzone che segue “Love Labours On” : ritorno di atmosfere misteriose e lente condensate da quel timbro sulfureo e onirico che pero’ Idol riesce a ricreare cosi precisamente e senza sbavature solo nel ritornello. In sottofondo l’atmosfera sembra perfino tribale, con un uso delle percussioni leggere accompagnate da una chitarra poco percettibile e che pecca in originalità. L’ottavo pezzo come ricordato in apertura fu una sconfitta preannunciata dei critici e di tutti i fan, sto parlando di “Heroin” cover che Idle, in preda a qualche mania di grandezza, carica nel web con seguente disfatta e malcontento degli appassionati. E io mi aggrego alla massa in questo caso! Primo perché son contraria in linea di principio alla riproposizione di cover in un album nuovo (poi figurarsi in un disco come questo che pretenderebbe di appellarsi a una qualche futurismo musicale!); in seconda battuta perché la combinata elettronica e psichedelica rende la canzone una bruttissima interpretazione di bassa lega. A manovella ancora un brano incerto, un altro passo falso dell’album,“Shangrila”: apertura di tastiere e sintetizzatore, ritmica con qualche spunto orientale e voce statica, monocorde. Insomma una noia mortale, insignificante. In questo tentativo di coniugare basi elettroniche con atmosfere arabo- orientali si mostrano tutti i limiti di Billy e il  suo mancato approccio innovativo. Ricordo inoltre che l'ascolto è appesantito e frammentato dai numerosi intermezzi recitati che spiegano la natura concept dell'album e quando i brani tendono verso le sonorità più dance come in "Concrete Kingdom" o nella dozzinale "Mother Down", il risultato suona al limite del trash e addirittura amatoriale. Viene da chiedersi dove sia finito il Billy di Rebel Yell! L’undicesima canzone dovrebbe essere un tributo alla dea della bellezza (una ragazza di cui Billy era innamorato), appunto "Venus", e nel sound l’effetto è riuscito. Non cè più quella sorta di parallelismo delle piste vocali e musicai, ma finalmente si innestano bene e si integrano in una melodia nel complesso piacevole e sicuramente meno appesantita da contaminazioni elettroniche. Discreta. Infine “Then the Night Comes” riprende l’abrasività di Power Junkie, finalmente i riff di chitarra son protagonisti e conducono il refrain in cui la voce graffiante di Billy calza a pennello. Certo i giro di chitarra azzardano poco ma ripropongono quel rock a cui i fan erano abituati, quindi nel complesso direi che la traccia è accettabile.



Concludendo, direi che questa release è stata un flop totale  ma forse nemmeno l'impavido Idol era preparato a un fallimento di tali proporzioni: quando Cyberpunk vedrà la luce durante l'estate, le vendite saranno talmente scarse che l'album scomparirà dalle classifiche di vendita nel giro di un paio di mesi; la critica musicale, unanime, lo bollerà come uno dei peggiori album mai realizzati e persino la comunità cyber a cui l'album era stato dedicato, prenderà le distanze dal progetto, bollandolo come una vile operazione volta alla commercializzazione della cultura cyber. Si potrebbe dire una disfatta musicale e personale su ogni fronte. Personalmente mi aggrego a questa visione del disco: per potersi vantare di farsi promotore di una sorta di nuovo “futurismo musicale” dato da nuove miscele rock-elettronica, credo che Billy avrebbe dovuto lavorare in modo più accurato nel disco. Infine contrasto con quanti lo ritengono un disco “sperimentale”. la sperimentazione richiede studio, progetti, scarto, virtuosismo, pazienza… e qui cè solo un pessimo tentativo di calzare la veste del pionere, pensando di essere un artista. Un Billy che non è più una rock star, ma una business star senza identità. Comunque l’idea del concept Cyber la considero un buono spunto, quindi solo per questo il mio è un 5 e non un 4 all’album.


1) Wasteland
2) Shock To The System
3) Tomorrow People
4) Adam In Chains
5) Neuromancer 
6) Power Junkie
7) Love Labours On
8) Heroin
9) Shangrila
10) Concrete Kingdom
11) Venus
12) Then The Night Comes
13) Mother Dawn 

correlati