BELPHEGOR
The Devils
2022 - Nuclear Blast
DAVIDE PAPPALARDO
30/07/2022
Introduzione Recensione
"The Devils" è l'ultima uscita del duo austriaco Belphegor, una macchina da guerra black/death che ormai da diversi anni ha lasciato i lidi dell'underground per proiettarsi in una realtà "mainstream" fatta di concerti affollati e uscite sotto l'ala della Nuclear Blast. La formazione odierna vede in sede di studio Helmuth Lehner (chitarre, voce, testi) e Serpenth aka Vojt?ch R. (basso) accompagnati dal batterista "ausiliare" David Diepold, mentre il norvegese Nethor (Espen Dyngen) ha dato una mano con i testi del disco; dal vivo il secondo chitarrista Molokh (Martin Arzberger) si aggiunge ai Nostri. La storia dei Belphegor parte in realtà anni fa, e con un altro nome: nati infatti nel 1991 come Betrayer e con il quartetto composto da Maxx (basso, voce), Helmuth (chitarra, voce), Chris (batteria) e Sigurd (seconda chitarra), dopo aver cambiato nomi daranno alle stampe gli EP "Bloodbath in Paradise" e "Obscure And Deep", arrivando al primo full length "The Last Supper". Inizia così un'ascesa caratterizzata da una commistione di death e black metal che da una parte non si prende sul serio nei suoi testi blasfemi e osceni, dall'altra si dimostra tecnicamente ben fatto e suonato, elemento questo confermato soprattutto in sede live. I vari consensi portano negli anni a una trasformazione che spinge sempre più il suono e l'immagine della band verso una direzione votata al successo; nel 2005 l'uscita di "Goatreich - Fleshcult" segna il passaggio sotto la Napalm Records, mentre il successivo "Pestapokalypse VI" li piazza con la già citata e loro attuale etichetta. "Walpurgis Rites - Hexenwahn" stravolge la line up e rende a tutti gli effetti il progetto una creatura principalmente controllata da Helmuth, cosa che non gioverà ai dischi in studio segnati da una produzione spesso fin troppo pulita e "di plastica" e da una banalizzazione del songwriting e dei non già ottimali testi. Se però la loro "credibilità underground" diventa nulla, nei fatti i concerti rimangono eventi impeccabili e il fidato pubblico non abbandona la band, dando ragione sul piano commerciale alla scelta intrapresa. Con il tempo comunque anche questo nuovo approccio si stabilizzerà, e anche se non ritroveremo l'essenza e il livello della prima fase della loro carriera, si raggiungerà un suono competente che riesce a variare un minimo le strutture e offrire spunti d'interesse. Il processo iniziato con il precedente "Totenritual" prosegue quindi con il nuovo disco, foriero di otto composizioni (nove nella versione digipak con il bonus "Blackest Sabbath 1997", ovvero una medley dei due brani "Blackest Ecstasy" e "Blutsabbath" provenienti dal disco omonimo al secondo brano) dove doppie casse e fredde arie black si uniscono a riff taglienti e cambi di tempo di matrice death, il tutto tenuto insieme da una tecnica tutto sommato competente e professionale, supportata da una produzione che riesce a evitare suoni "di plastica", seppur decisamente lontana da qualsiasi connotati lo-fi o underground. Sul piano tematico non troviamo, naturalmente, ne le alte dissertazioni della scuola religious, ne i tratti comunque più ragionati e/o legati a concetti occulti ed esoterici di molto del black metal moderno; come da sempre i Belphegor sono agenti di blasfemie provocatorie e dirette con connotati violenti e anche a sfondo sessuale, da vivere come un film horror di serie z piuttosto che come profondi ragionamenti, corollari per un suono che vuole essere il principale argomento degli austriaci.
The Devils
"The Devils" è la prima traccia del disco, un episodio che ci accoglie nel mondo blasfemo degli austriaci tramite un sample dai toni horror con varie grida concitate a tema satanico; ecco un riffing dall'andamento quasi meccanico, sottolineato da inflessioni squillanti e improvvise impennate di batteria. Il trotto black/death ci porta verso un cantato demoniaco che ricorda il ruggito di un diavolo intento a celebrare la figura del suo padrone oscuro: esso rivela il suo male, e la sua perfidia, e ci fa tremare armato della capacità d'incutere terrore, rappresentante della supremazia. I movimenti contratti dai tempi mutevoli, pienamente death, si aprono a venti di chitarra black strappacarne che completano i toni trionfali e severi della musica. Siamo innanzi al Diavolo, e non possiamo fare altro che mettere da parte i nostri preti, litanie e l'acqua santa e partecipare alla processione di ogni male, senza cedere nella caduta della chiesa, mentre dallo zolfo diamo saluto a Satana, che è il fuoco che non può bruciare, ma brucia tutto il resto. Bordate ritmate si muovono tra fraseggi vibranti, che creano poi corridoi tetri e cupi, aperti da riff rocciosi e marcianti, tempestati di seguito da doppie casse martellanti. Avviene la riunione dei diavoli, che dissacrano la chiesa e distruggono lo spirito santo. Il demone ingoia la luce sacra e ci scaccia dal paradiso, il redentore è a pezzi, legato con stretti fili di ferro nel peccato definitivo, e la luce della conoscenza viene accesa. Le sfuriate gelide si alternano a movimenti marziali, raggiungendo oasi evocative quasi malinconiche, dove le vocals si legano a screaming rauchi e stridenti. Largo poi a ruggiti e parti pestate di batteria, mentre la cappella della chiesa viene profanata e assistiamo alla fornicazione con i diavoli, impalati dalla lingua del Diavolo stesso. I cristiani vengono impalati e il regno di Satana prevale, nella sua gloria rinunciamo al nostro corpo. Assoli dal gusto heavy metal, vorticanti e alti nelle loro scale ci introducono a un trotto solenne che si muove tra i rullanti, aprendosi poi ad accelerazioni vorticanti ormai familiari, in un andamento mutevole che viene coronato da cori blasfemi con anche voci femminili, climax che conclude la traccia.
Totentanz - Dance Macabre
"Totentanz - Dance Macabre" è uno dei due singoli rilasciati in anticipo per presentare l'album; esso viene introdotto da un sample vocale disperato dove una voce femminile grida con fare isterico la frase "liberaci dal male", seguito da una fredda corsa frostbitten in doppia cassa e loop di chitarre distorte e gelide. I venti neri si fermano con una cesura balzante, tramutata poi in un motivo ronzante tempestato dai colpi di batteria e accostato alle urla sgolate del cantato, per ora impostato su soluzioni black. I temi anticristiani tipici dei Nostri vengono qui fusi in modo curioso con la recente ondata di covid che conosciamo fin troppo bene. Se si tratta di un interessante accostamento o di una trovata dal non proprio buongusto starà al singolo lettore/ascoltatore deciderlo. La fede creata dall'uomo verso il covid è una nuova dottrina per un gregge condizionato, una decadenza che si propaga, il peccato mortale della cupidigia si manifesta nei leader corrotti e lascivi. Dall'interno le fiamme predicano il nostro inganno fatale, e ci pieghiamo davanti alla nuova piaga, l'esaltata corona di sars. Non c'è alcuna speranza per l'uomo, tutta la vita umana deve morire, la morte danza con il dio della peste in onde di fuoco. Intanto movimenti black e break death si fondono, e le vocals toccano anche growl più cupi; ecco che la musica si da a trionfalismi oscuri sorretti da antimelodie distorte. Assistiamo alla danza della morte fatta da una massa senza volto, il massacro infuria intorno a noi, una danza macabra dove Dio e la peste sono con noi. Raggiungiamo una cesura dalle bordate marziali, convertita presto in un nuovo assalto veloce in doppia cassa, corsa black/death contornata da un cantato maligno assolutamente adatto per l'occasione. La malattia che s'infiltra si diffonderà, lasciando svariati morti, un genocidio senza fuga ne per i malvagi, ne per i buoni, e se non sarà la malattia a ucciderci, lo farà la cura del diavolo di sicuro. Che i polmoni brucianti vengano squartati, con il sangue che è veleno per loro stessi, le ossa marciranno negli arti e lentamente la morte si avvicinerà a ogni singolo respiro, mentre la morte danza con il dio della piaga in onde di rovina. La malvagità lirica trova corrispondenza nell'impatto devastante della musica, che nella parte finale del pezzo torna a nere ariosità quasi epiche, ma sempre feroci e mortifere; prosegue la danza della morte del popolo senza volto (chiaro riferimento alle mascherine indossate per protezione), il mondo è ridotto in macerie e cenere durante la danza macabra dove Dio e la peste sono con noi. E come marchio di fabbrica dello stile senza fronzoli e provocatorio della band, il tutto viene cesellato da un "fuck" seguito da assoli squillanti, completati da delle ultime bordate marziali di chitarra.
Glorifizierung des Teufels
"Glorifizierung des Teufels" si apre con un fraseggio dalle accordature basse, presto però alternato da montanti circolari in un movimento che assume presto connotati death dalle punte squillanti e dal passo severo. Raggiungiamo una cesura melodica sulla quale si stagliano parole sospirate e sinire, che iniziano a descriverci un rituale dove siamo circondati da fiamme magiche; ecco che all'improvviso esplodono grida sgolate che s'inseriscono in uno strato che si mantiene strisciante, quasi malinconico, mantenendo un'atmosfera solenne e dalla nera melodia. Le parole del testo ben si adattano a tali elementi, portandoci in un'ambientazione dove la luna piena brilla fredda mentre veniamo tentati dal demonio, si sentono versi di lussuria e gemiti e lo zolfo eccita una donna, che bacia il sedere del caprone nel rituale del osculum infame (il bacio della vergogna, tipico delle descrizioni medioevali dei sabba e saluto/atto di reverenza delle streghe verso il demonio). I toni si fanno ora altisonanti e gloriosi in un'esaltazione quasi sinfonica nelle sue chitarre fredde ed evocative. Avviene la glorificazione del Diavolo mentre viene morso il crocifisso, glorificazione del desiderio e santificazione della carne, mentre i diavoli volano sulle nostre teste. Torniamo alle strutture iniziali, riportando i fraseggi delicati e le evoluzioni già incontrate verso i toni gloriosi di poco prima. Ora gli angeli della luce vengono sconfitti, il diavolo li punisce minacciosamente e le ombre si piegano attraverso la sua sublime presenza e nell'osculum infame ci si sottomette in ginocchia. Si ripetono di seguito i versi precedenti, intervallati da bellissimi assoli che regalano al tutto tratti trascinanti che richiamano i primi dischi della band austriaca; i giri freddi si ripetono fino al raggiungimento di un motivo dove una voce campionata racconta disperata quanto vissuto, concludendo così la canzone.
Damnation - Höllensturz
"Damnation - Höllensturz" avanza con un panzer death sottolineato da doppie casse e delineato da suoni stridenti, carico di atmosfera solenne. Esso raggiunge un duetto tra growl cavernosi e versi striduli in screaming, dove naturalmente viene evocata e glorificata per l'ennesima volta la figura del maligno. Lo evochiamo, chiamandolo distruttore, creatura di fuoco, tramite, devastatore e posseduto, e ne mentre la musica si da a corse improvvise vorticanti che fanno a scontrarsi con con le marce monolitiche che creano una dinamicità propriamente death metal. Riecco quindi i trotti martorianti in doppia voce: viene chiamato il serpente, antico, che cambia pelle, con squame come rasoi, il ghigno del diavolo, un nemico apocalittico che rinasce nel fuoco, insieme agli angeli caduti orgogliosi e ribelli. Un improvviso fraseggio delicato fa da cesura, ripresentando modi che abbiamo incontrato già nel corso del disco e mostrando un certo songwriting mantenuto nell'opera; il motivo si propaga fino all'esplosione improvvisa di nuove marce dal cantato gutturale e dai toni quasi doom, lenti e dalle punte dissonanti. Arrivano poi galoppate più sostenute, graziate dallo screaming black che si contrappone all'elemento vocale precedente in un botta e risposta che si ripropone in modo costante, e che appunto vede il ritorno dei growl cupi. Largo quindi a toni orchestrali che completano un climax dedito a un ritornello solenne. Siamo davanti alla caduta infernale, portale delle tenebre e clessidra del tempo, capra del peccato con una corona fatta di teschi, la dannazione che divora occhi e che porta la perfidia. Gli immancabili assoli ci portano in sessioni che possiamo addirittura definire emotive, incastrate tra nuovi panzer di chitarra; l'amuleto della vittoria è come un tamburo da guerra molto alto, strisciamo e preghiamo, ma la resurrezione viene negata, i relitti diventano bagnati di sangue in una guerra satanica, e il demone è il nostro inferno in una visione di furia. Riecco i galoppi in screaming, che ci conducono a nuovi ritornelli trionfali dove la capra, cancello della tenebra, divora i nostri cuori, la dannazione che divora le nostre anime. La musica altisonante si investe di cori sacrali dopo alcune impennate di batteria, andando poi a scontrarsi con suoni onirici dal gusto psichedelico, evoluti di seguito in colossali marce belliche sormontate da malvagità vocali e assoli notturni. Ci troviamo così nel finale segnato da una corsa vorticante black che mette fine a un episodio in cui domina l'elemento death metal dei Nostri, senza però dimenticare il genere fratello.
Virtus Asinaria - Prayer
"Virtus Asinaria - Prayer" è il secondo singolo uscito in anteprima dell'album, un affare dalle arie malinconiche ed evocative, che si propagano con belle melodie di chitarra e con un passo lento, quasi doom, segnato da una batteria cadenzata e dal galoppo controllato. Il passo si scontra contro cesure altrettanto sospese e spalmate nell'etere, fraseggi che presto si uniscono a un motivo dal ritornello intrecciato dove cori solenni e vocals gracchianti si uniscono in un nero cantico. Il testo è un canto, appunto, in latino, dove si fa riferimento ai doni dei Re Magi e a insulti non molto velati verso la figura di Cristo, uno dei bersagli da sempre preferiti dei nostri. Nulla di nuovo sotto il sole dal punto di vista tematico, anzi i Belphegor usano metodi che risalgono agli albori della loro carriera, con testi in latino dall'aria solenne, ma che nascondono rozze blasfemie. Con l'oro d'Arabia, l'incenso, e la mirra, è stata accolta in chiesa la virtù dell'asino, lasciti dell'oriente provenienti da un asino, e che rappresenta asini di virtù belli e potenti. Parole insomma che lasciano facilmente intendere il loro significato, paragonando la figura sacra a quella di un asino (ed è interessante notare come alcune rappresentazioni anticristiane dell'epoca dei romani riportassero proprio immagini di sfregio dove il Cristo crocefisso veniva disegnato con la testa di un asino, elemento probabilmente non sconosciuto ai nostri). L'impianto musicale si mantiene evocativo e controllato, amplificando l'aria ironicamente sacra della musica; ecco che un verso gutturale segna una nuova cesura dai tratti sospesi, ancora una volta intro per una riproposizione dei cori sentiti e canti taglienti, delineati da riff freddi e malinconici. Un episodio che mette da parte i modi più violenti dei Nostri in favore di una costruzione che, seppur non particolarmente elaborata a livello di songwriting in quanto consiste in una riproposizione speculare in due atti degli stessi modi musicali, ci consegna un'atmosfera solenne. Il brano si chiude con una marcia di batteria sottolineata da chitarre distorte e dilatate, suono che si dirige verso l'improvvisa chiusura.
Kingdom Of Cold Flesh
"Kingdom Of Cold Flesh" ci sorprende con un bel motivo quasi orientaleggiante e dal custo molto heavy metal classico, accompagnato da batterie cadenzate e giochi tecnici ammalianti, sottintesi da alcuni cori; esplode un turbine black dai tratti malinconici, che mette in campo un ottimo esempio della capacità degli austriaci di districarsi anche in territori evocativi. Parliamo del regno della fredda carne, la morte, e degli spiriti che ci parlano come bambole pallide in nostro possesso, fatti di piccole membra gelate. La narrazione assume tratti inquietanti dove il narratore dichiara di non provare desiderio verso i vivi, implicando risvolti necrofili non certo alieni al mondo tematico dei Belphegor. Batterie pestate e chitarre fredde ci portano verso cavalcate che ricreano tempeste e bufere di neve, collimanti in versi in growl. Prosegue quindi la corsa da tregenda, graziata dalle grida grevi e rauche del cantato: ventinove madri in lutto hanno abbandonato le loro figlie nelle bare, e il narratore le ha predate e portate a casa per scaldarle, parole che ormai confermano quanto avevamo sospettato e chiariscono definitamente la perversione qui rappresentata. La musica si da a nuovi attacchi tempestanti, arricchiti da assoli squillanti e altisonanti, che si fanno ancora più intensi dopo una cesura greve di basso, che si ripete in una costruzione contratta portandoci alla conclusione della traccia. Per sempre insieme, uniti nel peccato eterno, dove la morte lo conduce, il Nostro diventa tutt'uno con le sue vittime. Ritroviamo quindi qui l'aspetto della band più perverso e mutuato da un certo gusto legato a certo death, ma con uno stile più accennato e meno esplicito negli aspetti rivoltanti rispetto anche al passato della band stessa.
Ritus Incendium Diabolus
"Ritus Incendium Diabolus" ci porta in nuove evocazioni legate a deliri di onnipotenza e superomismi manifestati tramite suoni martellanti e vocals graffianti; ed è proprio un drumming assassino ad assaltarci subito con doppie casse e riff rocciosi coronati da linee vocali isteriche e freddi giri black. Benediciamo il diavolo, aprendo l'abisso e diventando la tenebra, assumendo una follia debilitante e trovando piacere nella brutalità, in una volontà che può alterare la realtà e ci fa rinascere in un nostro regno libero, inebriati dal suo potere sentiamo il demone. I toni da delirio vengono ripresi nella musica contratta e sussultante, fatta di continui cambi di tempo in stile death; ecco all'improvviso growl profondi e chitarre malinconiche in un ritornello funereo che poi si unisce in duetti blasfemi arricchiti da cori sacrali. Siamo tutto ciò che è, e tutto ciò che è stato, in un rito dell'incendio diabolico, concetto ripetuto a oltranza prima della ripresa dei modi schizzati già incontrati. Riecco quindi pelli massacranti e grida taglienti in un'entropia sonora controllata. Vediamo dimensioni fatte di energia pura, incantesimi del tipo più forte, e incanaliamo l'oscurità svelando la gloria del diavolo, evocandolo con i suoi occhi rossi incandescenti. Si ripresentano i ritornelli in growl, insieme agli assoli notturni e ai passi cadenzati, aperti nuovamente a cori sacrali dall'andamento strisciante scosso da alcune accelerazioni ritmiche. Si elevano assoli più tecnici dalle scale elaborate, presto però tramutati in fraseggi malinconici; si ripropongono i cori cerimoniali, insieme agli scream che evocano la cerimonia fatta di magia e fuoco, una runione delle arti più oscure, il rito dell'incendio e del diavolo. Giungiamo così alla fine con nuove marce di batteria tempestanti, perfetta conclusione.
Creature Of Fire
"Creature Of Fire" è la conclusione della versione standard del disco, una traccia di meno di tre minuti che fa da outro con i suoi pochi versi ripetuti a oltranza che riprendono le parole della traccia precedente, evocando con il rituale dell'incendio il diavolo, creatura di fuoco. Effetti militanti da marcia di guerra ci portano all'esplosione di cori orchestrali, ma striduli, dove lo screaming viene sottolineato da elementi più solenni in un cantico potenziato da chitarre malinconiche; ecco che versi femminili accompagnano delicatezze progressive che mettono in luce l'abilità dei Nostri, promulgate in corsi che poi lasciano spazio alla ripresa del motivo ossessivo. Esso torna quindi a sprofondare in tali toni, che ci accarezzano in modo diafano implementando a questo giro anche versi in growl. Ed è così che all'improvviso si chiude il tutto, rendendo il silenzio protagonista e mettendo fine al rituale blasfemo.
Blackest Sabbath 1997
"Blackest Sabbath 1997" è la traccia bonus della versione in digipak dell'album, canzone uscita anche come singolo stand-alone nel dicembre 2021. Si tratta di un curioso medley che fonde i due brani provenienti dall'album "Blutsabbath" (per molti dei fan della prima ora il lavoro migliore della band austriaca), ovvero "Blackest Ecstasy" e la title track "Blutsabbath". Si tratta di reinterpretazione che fonde le arie frostbitten e necro della prima traccia, che nella sua manifestazione originale era molto legata ai modi del black metal, con le corazzate più death e brutali della seconda, che era una spirale spaccaossa coronata da suoni di campana e chitarre taglienti. Qui il tutto si somma in un black/death più moderno che segue i corsi e stili dei Belphegor più recenti, ma mantenendo molti degli elementi principali dei brani originali e combinandoli in modo interessante. Ecco che un fraseggio accennato fa da apripista per una fredda cavalcata in doppia cassa, scolpita dalle doppie casse e sorretta da giri taglienti di chitarra; essa viene raggiunta dalle grida black del cantato, coadiuvate da riff trionfali. Il testo riprende nella sua interezza quello originale di "Blackest Ecstasy", aggiungendo però nella conclusione anche l'ultimo verso di "Blutsabbath". Il corpo di una donna (probabilmente una suora) viene da noi colpito con un crocifisso in maniera violenta, deformando il suo corpo, e il nostro desiderio verso quella carne si fa sempre più vivo, mentre inizia un rituale blasfemo. La musica si propaga con i suoi giri di chitarra sostenuti dalla batteria frastornante, creando la giusta atmosfera caotica e violenta per i versi gridati del cantante. Ecco però che una cesura improvvisa introduce un motivo delicato, subito violato a sua volta da accelerazioni isteriche di chitarra dai tratti norsecore, destinate poi a sprofondare in panzer contratti e tratti squillanti. Un songwriting mutevole dal gusto death. Invertiamo la croce dentro il sesso sanguinante della vittima, urinando poi nella sua bocca. La facciamo a pezzi per renderla una zuppa, succhiando e divorandone la carne cruda. Si tratta dell'estasi più nera oltre i confini del piacere; ritroviamo qui un elemento tipico della prima fase della band, ovvero lo sfociare dalla blasfemia a connotati porno-gore che sembrano uscire più da un disco brutal, slam o grind che da un album black/death. Bruciamo nella blasfemia insieme alla nostra vittima, e per il sesso useremo la sua testa amorevole provando orgasmi piacevoli. Il movimento pachidermico avanza con i suoi toni marziali, sormontato dalle grida deliranti del cantato. Alternanze con assoli dalle scale altisonanti ci trascinano verso momenti dalle punte più gutturali e brutali. Sputiamo sangue nero mentre mandiamo la vittima verso l'Inferno; inutile dire che amiamo tutto questo, come l'altra ama noi, mentre tutto diviene freddo e nero in un romanticismo fatto di morte totale. Abbiamo solo pensieri malvagi pieni di perversione, e una bellissima vista mentre raschiamo le ossa. Una escalation tematica che però non esplode nella musica, che invece si assesta su rallentamenti che vanno a collimare in un bel fraseggio melodico, sfondo per un cantico nero. Creiamo un'offerta di sangue con istinti bestiali, dove il cielo è il nostro inferno, un martirio in un matrimonio di morte. Davanti alla morte beviamo il sangue sacrificale e lecchiamo la vergogna, mentre il nero più nero è in noi. La legione delle tenebre rinasce, libera in eterno. Su queste note va a terminare la traccia, persona in una dissolvenza.
Conclusioni
"The Devils" è un album che conferma in positivo il processo mostrato già con il precedente "Totenritual" dove i Belphegor sembrano aver trovato un buon compromesso tra la loro carriera più recente, segnata da suoni e produzioni più commerciali, e quell'eclettismo e piccole variazioni e soluzioni interessanti che avevano fatto la fortuna dei loro primi lavori, rivelando una band che se non proprio da prendere (e che si prende) sul serio tematicamente, metteva un sincero impegno nel comparto musicale proposto, sia in sede live, sia in studio. Certo, i modi usati nel corso del disco non sono propriamente infiniti e l'ascoltatore più smaliziato riconoscerà dopo un po' alcune strutture; essenzialmente i Nostri calibrano la componente death (che nel complesso è qui dominante) e quella black in modi diversi a seconda del brano, innestando alcuni classicismi heavy metal tramite assoli e melodie, e adoperando anche toni cerimoniali e orchestrali che danno una certa solennità al tutto. Gli austriaci rimangono loro stessi, e i fan ritroveranno blasfemie varie dove inglese, latino e tedesco si fondono in evocazioni, rituali, e alcuni connotati più perversi che non raggiungono però gli estremi del passato. Il segreto con la band è spesso quello di saperli prendere sul serio la dove si deve, e accettare "lo scherzo" la dove sono loro i primi a sapere di avere una certa immagine che portano avanti per estetica e coerenza con la musica; detto questo è innegabile che nel passato recente c'erano state alcune esagerazioni dove anche la musica era stata fin troppo plastificata e resa troppo diretta e priva di quelle commistioni che tanto avevano fatto fortuna della loro formula black/death. Sembrerebbe che i Belphegor abbiano ritrovato un loro equilibrio compositivo, senza far gridare al miracolo e senza raggiungere i punti più alti della loro carriera, ma allo stesso tempo evitando gli errori poco prima citati. C'è interesse nel songwriting per variare le cose e creare atmosfere che coniugano violenza e catarsi, ci sono momenti tecnici che usano l'elemento death per giocare con tempi e cambi improvvisi, e c'è una produzione che riesce a essere presente e moderna senza comprimere e creare il famigerato effetto "brickwall" che aveva tediato alcune delle loro produzioni. "The Devils" ha una certa coerenza di fondo stilistica ed estetica, ma non annoia l'ascoltatore, a patto naturalmente che quest'ultimo sia consapevole che non siamo davanti a un disco black/death underground dai connotati lo-fi e caotici, o comunque fin troppo violenti e votati all'estremo, e che i Nostri giocano lo stesso gioco di band come Marduk e Dark Funeral, sospese tra il successo incontrato e l'appoggio di grosse label, e la necessità di mantenere una certa credibilità legata al loro genere di riferimento. Anche l'artwork di Spiros Antoniou dei greci Septicflesh (band vicina anche nella musica ai Nostri) ci da l'idea di qualcosa di inevitabilmente moderno, ma più curato rispetto ai grossolani eccessi di, per esempio, "Blood Magick Necromance". Possiamo rischiarci di dire che superata del tutto la giovinezza del progetto i Belphegor abbiano ora trovato una matura sintesi tra i loro esordi e quanto raccolto successivamente, e quanto imparato anche tramite tentativi ed errori. Se cercate un album che coniuga modi death e black non eccessivamente puliti, ma nemmeno troppo lo-fi o underground, questo è l'album che fa per voi, risultato di un gruppo che sa che suono vuole ottenere, cosa i suoi fan vogliono, ma anche come mantenere tutto questo aggiungendo almeno un po' di accortezza e impegno nel songwriting.
2) Totentanz - Dance Macabre
3) Glorifizierung des Teufels
4) Damnation - Höllensturz
5) Virtus Asinaria - Prayer
6) Kingdom Of Cold Flesh
7) Ritus Incendium Diabolus
8) Creature Of Fire
9) Blackest Sabbath 1997