BELPHEGOR

Obscure And Deep

1994 - Perverted Taste

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
13/02/2016
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Prosegue oggi il nostro viaggio nella primissima discografia dei Belphegor, band austriaca dedita ad un'unione sacrilega tra black e death metal, fusione che oggi va molto di moda nei gusti del pubblico più estremo, ma che i nostri avevano già affrontato in tempi non sospetti; li avevamo lasciati con il primo EP auto-prodotto "Bloodbath in Paradise" il quale, sia nella grafica, sia nei suoni, era ancora ancorato più al secondo elemento, pur presentando alcuni tratti vocali e di suono vicini al black, creato dal trio Heli (ora Helmuth) alla chitarra, Maxx al basso e alla voce, Chris alla batteria. Passato un anno, si aggiunge il secondo chitarrista Sigurd, e accolti dalla label tedesca Perverted Taste i Nostri pubblicano il secondo EP "Obscure and Deep - Oscuro E Profondo" qui recensito, composto di tre tracce, di cui l'ultima una cover di "Sabbath, Bloody Sabbath" dei Black Sabbath; si tratta di un lavoro che prosegue nel solco segnato dall'episodio precedente, all'insegna di un death metal violento e dai tempi mutevoli, soprattutto per quanto riguarda la prima traccia omonima all'opera, mentre nella seconda iniziano ad intravedersi territori decisamente più black. La prima menzionata cover trasforma il classico del heavy metal in un ulteriore orgia di sangue e blasfemia sonora, come è lecito aspettarsi; insomma ancora ci troviamo nella fase embrionale della band, legata più all'elemento death, e come da tradizione teutonica meno interessata alle atmosfere rispetto agli scandinavi, e più alla violenza sporca e dai tratti punk. Concorre a tutto ciò anche la produzione, la quale è ben lontana da perfezionismi da studio, grezza e sporca al punto giusto; siamo davanti ad una delle ultime emanazioni di questi primi Belphegor, in quanto da li a poco Maxx abbandonerà il gruppo lasciando i doveri vocali al solo Helmuth (ma questo non prima di lasciare il loro primo album "The Last Supper" per la Lethal Records come ultima testimonianza) permettendo un'impronta marcatamente sempre più black. I due inediti non presentano testi nemmeno in questo caso, ma non è difficile dedurre sin dai titoli un immaginario oscuro e blasfemo fatto di terribili rituali, violenza e profanazioni; il tutto sempre condotto con quell'amore per il cattivo gusto e i messaggi diretti che faranno la fortuna del gruppo, pur attirando qualche antipatia da parte dei puristi più seri che giudicheranno il progetto più legato ad una forma commerciale, piuttosto che ad una sostanza. In ogni caso un ennesimo biglietto da visita per i Nostri, i quali si affacciano sul panorama europeo con un black/death affine per certi versi ai primissimi Marduk, ma probabilmente ancora meno mediati; probabilmente allora ancora un gruppo di nicchia, non certo conosciuto come i grandi nomi, o come lo saranno loro stessi tra qualche anno. Ma i cultori più curiosi del genere incominciano già a notare la band e la sua carica demoniaca, la quale diventerà un vero e proprio marchio di fabbrica espresso anche dal vivo; i segnali sono qui, e pur nella sua brevità queste tre tracce mostrano l'energia e l'attacco sonoro di cui i quattro sono capaci.

Obscure And Deep

Si parte quindi con la "Title Track" e con i suoi freddi riff death a motosega cadenzati dai colpi di batteria ripetuti; si genera così un loop infernale unito alla doppia cassa in rullante e alle inclinazioni sonore delle chitarre. Al trentaquattresimo minuto bordate folli di batteria e chitarra si uniscono ai versi gutturali di Maxx chiamando in causa il death più brutale e mortifero alla Autopsy, fondendolo però con una certa freddezza strutturale molto black; al quarantacinquesimo secondo trova posto un movimento contratto fatto di sincopi taglienti alternate con corse ritmiche improvvise, le quali sfogano tutta l'energia repressa per alcuni secondi, prima di tornare agli andamenti precedenti. Un gioco tecnico questo tipico del metallo della morte, il quale ribadisce come i Nostri siano ancora ancorati fedelmente ad esso su molti punti della musica e del songwriting; ecco che al minuto e sette dissonanze stridenti prendono posto come sirene squillanti, creando un'atmosfera apocalittica dove i riff circolari e la batteria tribale ne riprendono l'andamento. D'improvviso fraseggi magistrali si librano con la doppia cassa, salvo subito dopo darsi ad un riffing a motosega sormontato dal growl cavernoso di Maxx; si torna quindi ai tempi folli tra corse e stop ripetuti, in una contrazione maligna basata su rilasci e trattenute. Inevitabile al secondo minuto e otto l'esplosione cacofonica tra assoli dalle scale vorticanti e rullanti di pedale in doppia cassa, in un clima battagliero tagliato da sferzate frostbitten accennate; se vogliamo trovare punti i n comune con la scena black dell'epoca, bisogna scomodare gli Immortal piuttosto che le band più atmosferiche come Burzum. Riprende quindi la struttura ormai a noi familiare, la quale ci trascina verso il secondo minuto e quarantasei; qui un bel fraseggio fa da cesura insolitamente più ragionata, anche se frammentata da alcuni colpi di batteria e da vocals sparse cupe. Esso prosegue in una sequenza dalla marcia esaltante, con alcune dissonanze accennate, con una struttura molto heavy metal che non rinuncia ad alcuni giochi tecnici di batteria; una parte quasi doom, ammaliante ed atmosferica, al quale striscia severa fino all'accelerazione improvvisa di batteria e loop ossessivi, sui quali Maxx torna con la sua voce da orco. Si va così a creare la parte finale del pezzo, la quale vede un'improvvisa conclusione con effetti di tastiera cristallini e versi del cantante protratti, uniti a quasi comici versi di animali; un pezzo quindi che ben esemplifica il primo stile dei nostri, il quale segue molti dettami del death europeo, con qualche, per ora sparuto, intervento più oscuro. Viene anche questa volta a mancare un supporto testuale, ma non è difficile immaginare a partire dal titolo rituali oscuri e abissi infernali, evocati dal suono dei nostri; un immaginario tra occulto ed horror di serie z che tanto ha fatto la fortuna del genere nei suoi inizi, e anche oltre, esacerbando alcune tendenze del thrash meno incline alla politica e più a tali visioni .

Bloodstained Ritual

 Continuiamo con "Bloodstained Ritual - Rituale Macchiato Di Sangue" e con i suoi piatto ritmati coadiuvati da falcate rocciose; la marcia instaurata permane fino al sesto secondo, dove si scatena una corsa tagliente con le vocals crudeli di Maxx, questa volta più in stile black, sottolineate da alcuni versi gutturali. Ecco che ci si contrappone con la ripresa del corso iniziale in un contrasto sincopato dai cambi continui, il quale riporta l'elemento tecnico sul fronte; al ventitreesimo secondo un fraseggio thrash evolve tra piatti, e poi colpi cadenzati, sfogandosi in alcune cavalcate di qualche secondo. Ecco che di seguito l'elemento black prende il sopravvento con un turbine in stile frostbitten, sul quale le vocals death e black combattono in un botta e risposta; troviamo quindi un pezzo che elabora meglio lo stile ibrido degli austriaci, proiettandoci verso il futuro prossimo. Al minuto e undici tastiere ad organo introducono rullanti di pedale e chitarre stridenti, mentre in sottofondo abbiamo una supplica inquietante; una cacofonia narrativa dai toni sinistri prende dunque piede, in un tripudio di effetti che termina in una cesura ritmata. Ritroviamo di seguito la corsa forsennata iniziale, tra versi gutturali e stop improvvisi, in un corso fatto di riprese e rilasci il quale ci conduce al secondo minuto; ritorna qui il fraseggio thrash, il quale si unisce al drumming cadenzato, sfogandosi per l'ennesima volta in alcuni vortici veloci. Il finale vede il ritorno della cavalcata frostbitten e del duetto tra scream e growl, in un'atmosfera fredda e severa sulla quale si organizza la ritmica forsennata; un colpo improvviso zittisce il tutto, concludendo un episodio dove l'animo black della band ha maggior possibilità di emergere, anticipando la fusione di stili che troverà più spazio nei loro album interi. Ancora una volta non abbiamo testi, ma anche qui è facile capire di cosa stiamo parlando: rituali sanguinolenti, a divinità oscure, in uno scenario tetro ripreso tanto dalla violenza sonora delle chitarre e delle vocals, quanto dagli interventi di tastiera dosati e dalle parti più gelide.

Sabbath, Bloody Sabbath

Si chiude con la cover di "Sabbath, Bloody Sabbath - Sabba, Maledetti Sabba" dei Black Sabbath tratta dall'omonimo album del 1973, il quale vedeva la formazione composta da Ozzy OsbourneTony IommiGeezer Butler e Bill Ward; successore dell'ottimo "Black Sabbath Vol.4" il disco in oggetto era stato una grande sfida per la band inglese, provata dall'abuso di droghe ed alcool, e dai costanti concerti e problemi legati al business. Dopo un iniziale blocco creativo, che aveva interessato soprattutto Iommi, la scelta del Castello  di Clearwell come luogo per la registrazione si rivelò una scelta azzeccata, nonostante le sinistre storie di fantasmi confermate dai membri stessi (i quali però, va detto, erano perennemente sotto l'effetto di sostanze varie). Questo clima molto disilluso e allo stesso tempo sinistro è ben ripreso nel lavoro, il quale è permeato da una sensazione di fine imminente (e non a caso la band era sul punto di sciogliersi); una scelta quindi ben fatta dai Belphegor, lontana dai gruppi più tipicamente omaggiati da altri gruppi black, Celtic FrostBathory, Slayer in primis, e che assume qui un connotato più occulto, almeno a livello musicale. Il riffing dell'originale viene qui ripreso in chiave decisamente più rocciosa e tagliente, mantenendone però la linea sonora e la ritmica cadenzata di batteria; la dove Osbourne interveniva con la sua tipica voce nasale, Maxx sostituisce il tutto con un growl maligno, il quale si lega al loop di chitarre in un ritornello reiterato. La differenza più grande si ha dal trentatreesimo secondo, dove parte una malinconica sezione dai severi giri circolari, la quale sostituisce gli arpeggi delicati dell'originale; si riparte poi con la struttura precedente, aggiungendo alcuni assoli squillanti in sottofondo. Notiamo quindi che la versione degli austriaci taglia alcune parti e snellisce la struttura semplificandola ed adattandola al proprio suono più diretto e feroce; i puristi del combo inglese forse inorridiranno, ma i Nostri riescono tutto sommato a far proprio il pezzo, pur con tutti i distinguo con dei veri e propri mostri sacri. Si ripete quindi l'alternanza con le chitarre distorte, seguita da alcuni montanti che riprendono le più elaborate evoluzioni progressive dell'originale; si arriva così al minuto e cinquantadue, dove un rallentamento prelude ad una marcia circolare con vocals brutali di Maxx e dissonanze distribuite nell'incipit, generando una sezione finale che collima in una cacofonia ritmica di piatti e chitarre, le quali firmano la chiusura in dissolvenza. Una sorta di riassunto quindi della ben più lunga versione originale (i maligni diranno anche per la minor tecnica dei Belphegor), il quale saggiamente evita le parti estranee al suono degli austriaci concentrandosi su attacchi taglienti e ritmica indemoniata; tutto sommato un omaggio ben eseguito, il quale trova dignitosamente posto come conclusione per questo breve episodio della discografia dei Nostri. Questa volta possiamo basarci su un testo, il quale al contrario di quanto potrebbe sembrare dal titolo non è legato a rituali oscuri e mistici, bensì alla realtà ben più concreta dello show-business nel mondo della musica, realtà che all'epoca del testo (1973) incominciava a stare stretta ai Black Sabbath, i quali soffrivano delle pressioni dei manager e di tutto quel corollario che si era creato intorno a loro; un ricordo dei momenti buoni, ma soprattutto di quelli meno buoni insomma della loro carriera fino ad allora. La vita è stata da noi vista con sguardo distorto, e sappiamo che dovevamo imparare l'esecuzione della nostra mente; dovevamo davvero girarci, la gara è finita, il libro è letto, e la fine incomincia a mostrarsi, mentre la verità è fuori e le bugie sono vecchie, anche se non vogliamo saperlo. Nessuno ci farà sapere se chiederemo le ragioni del perché, al massimo ci diranno che siamo da soli e ci riempiranno la testa di menzogne. "The people who have crippled you, you wanna see them burn, the gates of life have closed on you, and there's just no return. You're wishing that the hands of doom, could take your mind away, and you don't care if you don't see again the light of day - Coloro che ti hanno storpiato, li vuoi vedere bruciare, le porte della vita si sono chiuse su di te, e non c'è ritorno. Vorresti che le mani del fato prendessero la tua mente, e non t'interessa se non vedrai più la luce del giorno" prosegue poi il testo, ripetendo di seguito i versi precedenti; dove possiamo rifugiarci, che possiamo fare di più, non c'è più il domani e la vita ci sta uccidendo, i sogni diventano incubi e il Paradiso diventa Inferno, il tutto con stanca confusione dove non c'è più nulla da dire. Ogni cosa intorno a noi, dove si sta arrivando, lo sa Dio così come il nostro cane,che tutti siano maledetti, i maledetti Sabbath, non c'è più nulla da fare e viviamo solo per morire, morire solo per loro; una sorta di cantilena lisergica che esprime un'amarezza con ben poca speranza, in un destino che si sente come ineludibile.

Conclusioni

Un secondo episodio quindi molto breve nei suoi neanche dieci minuti di durata, il quale fissa il punto della situazione per i demoni austriaci; il modello è ancorato sempre ai dettami del death europeo, ma nel secondo brano fanno mostra inflessioni più tetre e black, le quali si avviano verso al direzione che i Nostri prenderanno man mano nel tempo, pur senza tradire il primo elemento. I tempi sono quindi maturi, e dopo quest'ultimo episodio di rodaggio, l'anno successivo uscirà per la Lethal Records il loro album completo di debutto "The Last Supper", il quale affaccerà definitivamente la band sul panorama europeo, tra i primi a portare avanti quell'unione tra i due estremi del metal che ancora all'epoca si guardavano spesso con diffidenza, se non aperto astio; l'inizio di una carriera basata sempre su un suono mai raffinato, violento, e anche semplice, se non grossolano a volte, a livelli di testi ed immaginario, basati su blasfemia da film di serie z, riferimenti pornografici e brevi ritornelli sia in inglese, sia in tedesco. Qualcuno apprezzerà, altri considereranno il tutto l'ennesima evoluzione commerciale di un genere che non dovrebbe mai essere tale, fatto sta che incomincia a formarsi un seguito dietro al loro nome, permettendo ai Nostri di salire sempre più negli anni negli indici di gradimento, passando più avanti dall'underground alla tutela del "mainstream" del metal estremo; un percorso che vedrà dopo il primo lavoro l'abbandono di Maxx, con la presa totale delle vocals da parte di Helmuth, legato più allo stile black. Per ora comunque siamo all'inizio, e lo stile del gruppo vede ancora al dominanza di growl, cambi di tempo repentini, alcuni rallentamenti doom e l'uso sparuto di tastiere; alcuni gelidi riff s'incastrano nella struttura, e anche lo screaming incomincia a comparire in alcune occasioni. La ritmica è basata su attacchi di doppia cassa con rullanti e alcune parti cadenzate, mantenendo sempre il tutto diretto e privo di tecnicismi non consoni ai nostri; proprio questo mantenere sempre le cose dirette sarà uno dei capisaldi del gruppo, pur nell'innegabile evoluzione musicale che avverrà negli anni. Il black quindi non come rigido parametro musicale, ma un'attitudine ed un'immagine che si unisce anche ad altri suoni; un fenomeno non così alieno in realtà all'epoca, nonostante i declami dei puristi, soprattutto nel Nord Europa. Basti pensare al black industrial degli svedesi Mz. 412, dove il suono è ben lontano dal mondo metal salvo un singolare episodio che compirà nel 1995 in "Burning The Temple Of God", ma l'immagine e i temi satanici sono quelli del black, o in senso più classico all'uso di stilemi thrash da parte degli Immortal e dell'ambient da parte di Burzum. Un fermento culturale che esce dal confine scandinavo e trova qui uno sfogo forse ancora più violento e legato ad un'attitudine "punk" e tipicamente teutonica (si pensi ai controversi Absurd); insomma, l'ennesima sfaccettatura del metal oscuro, il quale ormai senza briglie si espanderà in molti ambiti del metal e non solo, prendendo il suo posto nella storia del genere e creando una tradizione che permane ancora oggi, pur con mille diramazioni. Il nostro viaggio quindi continua, e siamo invitati all'ultima cena da parte di commensali poco rassicuranti; il menu è comunque ricco per gli amanti del suono violento e feroce, e i Belphegor sapranno consigliarci al meglio riguardo ai piatti!     

1) Obscure And Deep
2) Bloodstained Ritual
3) Sabbath, Bloody Sabbath
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