BEHEMOTH

Zos Kia Cultus (Here and Beyond)

2002 - Avantgarde Music

A CURA DI
PAOLO ERITTU
29/03/2015
TEMPO DI LETTURA:
9

Recensione

Nel 2002 i Behemoth ritornano in campo con un nuovo lavoro: "Zos Kia Cultus (Here and Beyond)" è un album compatto ed incredibilmente potente, in particolare sul versante musicale, con pezzi più pesanti e complessi rispetto al precedente "Thelema.6". Tale accresciuta ferocia sonora si incastona artisticamente con il complesso lavoro testuale operato da Adam "Nergal" Darski, mente e maestà occulta del gruppo di Danzica, supportato dall'occultista Krysztof Azarewicz; i due elaborano i testi dell'album ispirandosi a Crowley, all'occultismo e ai riti cabalistici, ma in particolare alla figura di Austin Osman Spare, artista e occultista inglese. Spare sviluppò fin dalla tenera età due propensioni parallele: una era per l'arte, l'altra per l'occultismo; la sua arte, incredibilmente raffinata ed elaborata, estrapolava le sue tematiche dalla personale filosofia dell'Occulto che l'artista sviluppò nella sua adolescenza, con opere dalle forti tinte grottesche e sessuali, che affascinavano gli intellettuali d'avanguardia nella Londra dei primi del '900, ma che col cambio delle mode lo portarono ad essere oggetto di feroci critiche. Passò la vita come un reietto e un recluso, immerso tra il lerciume dei peggiori slum londinesi, alla ricerca della bellezza nel brutto, affascinato dalle figure deformi, dai freak, e del tutto avverso a qualsiasi persona o concetto che ingabbiasse la libertà di un essere umano (pare che, in risposta alla richiesta di un ritratto da parte di Adolf Hitler, abbia risposto: "Signor Hitler, se lei è un superuomo, che io resti per sempre un animale"). Era convinto che un'entità occulta creasse l'arte attraverso di lui, senza che lui riuscisse mai a identificarla, mentre era invece frequente il contatto con il suo spirito guida, "L'Aquila Nera", da lui ritratto come un vecchio nativo americano (l'Aquila Nera è una figura presente anche come "santo" nel Voodoo e nelle chiese battiste degli Stati Uniti meridionali). Grazie ai suoi lavori la sua notorietà crebbe, e divenne un adepto di Aleister Crowley, dal quale in seguito si separò per divergenze ideologiche, talmente radicate da farlo definire "fratello nero", in segno di disapprovazione. Spare era un anarchico, un iconoclasta, odiava il moralismo e si scagliava contro il simbolismo della magia cerimoniale, per questo ideò uno stile magico personale, che l'amico Kenneth Grant  definì "Zos Kia Cultus". Il cuore della filosofia religiosa di Spare era il concetto dualistico di "Zos" e "Kia", dove Kia era il principio fondamentale della vita, e si manifestava attraverso Zos, il fluire di sensazioni che costituisce l'essere umano (e spesso rappresentato in forma di demone). La loro combinazione è il principio scatenante della magia, ma nell'uomo, Zos e Kia sono divisi dalla barriera della Ragione, la parte cosciente e attiva della mente umana. Entrava dunque in scena la sua magia, che agiva attraverso un preciso linguaggio grafico, un metodo di comunicazione con il mondo del subliminale, la parte latente e istintiva della mente umana, e viene esercitata grazie alle carte. Spare aveva infatti disegnato un suo mazzo di carte (l'"Arena di Anon"), dove ogni carta recava un Sigillo magico che era una variazione delle lettere dell'"Alfabeto Atavico" o "del Desiderio", dove ogni lettera rappresenta un principio sessuale che risveglia strati atavici della psiche, seppelliti in profondità nella parte dormiente della mente umana. Una volta identificato il Sigillo, la mente si apre a rivelare le immagini ad esso legate. Tali immagini erano parte di una "Memoria Atavica", un mare di ricordi che risalgono indietro nel tempo fino agli albori della vita, trasmessi attraverso innumerevoli generazioni di animali, che in seguito (in accordo con le teorie di Darwin) si sarebbero evoluti nell'uomo. Pertanto, se il Sigillo risveglia queste memorie, si avranno incredibili visioni, in una sorta di illuminazione sciamanica.  Insomma, ancora una volta i Behemoth riescono ad amalgamare una musica estremamente complessa con dei testi molto elaborati e simbolici, andando a formare, album dopo album, un vero e proprio sentiero spirituale, che si snoda attraverso il tempo, la filosofia, le religioni e i meandri della mente umana. Alla testa della band rimane sempre Nergal, che si occupa di chitarra, voci e testi, mentre dietro le pelli ritroviamo Robert "Inferno" Prominski, alla seconda chitarra Mateusz "Havoc" Smierchalski e al basso Marcin "Novy" Nowak. Rispetto all'album precedente, si evidenzia un sensibile spostamento del sound verso il Death Metal, che emerge in maniera preponderante rispetto al Black, laddove questo agisce piuttosto in maniera latente sul nucleo stesso della musica, rendendo tale Death più cupo, granitico e feroce. Vediamo un po' quali chicche ci aspettano:

La prima traccia è "Horns ov Baphomet", che comincia con una frammentata sequenza di registrazioni radio che trattano del giorno sacro a Dio, la domenica, in inglese "sunday", nome che riecheggia in un inquietante eco, mentre la tensione si solleva sempre più ed emerge la musica. Le chitarre suonano una potente marcia introduttiva, lenta ed epica, sorretta da una rapida batteria. La marcia prosegue fino all'entrata della voce, dopo la quale si trasforma in una specie di valzer brutale, che vede la batteria come protagonista, con il suo continuo ed eclettico mutare. Al termine dell'oscura danza, la traccia sfocia di colpo in un rapidissimo break strumentale, dove la batteria diventa una vera e propria macchina da guerra, le chitarre passano dalla cupa e maestosa  musica precedente a un rabbioso riffing, senza però rinunciare a una trascinante melodicità. La traccia prosegue tra tempi serrati e ritmiche estremamente articolate, dalle quali emerge un basso stupendo, fino a un ulteriore incattivimento, con un ritmo più frenetico, che introduce un breve assolo. Torna per breve tempo il riff principale, che sostiene alcune strofe prima che la musica torni alla lenta marcia di apertura che induce a un angosciante senso di attesa,  spezzato dall'attacco di un riff serrato e potente, sorretto da una batteria roboante. La musica prosegue frenetica fino all'attacco di un maestoso coro di chitarre, che solleva una melodia dal sapore antico ed esotico, lenta ed evocativa, mentre emergono tra le note le parole di Aleister Crowley, in uno spezzone di discorso tratto dalla traccia "At Sea", del disco "The Great Beast Speaks" contenente le sole registrazioni pervenuteci della voce dell'occultista. La traccia si spegne, mentre una stupenda chitarra acustica suona con calma le note della potente melodia precedente. Il testo è come al solito molto criptico, e viene ruggito dalla voce demoniaca: "Solleva le tue corna / Poichè sono un tutt'uno con l'Oscurità". Come spesso accade nei testi dei Behemoth, le parole sono pronunciate in prima persona dal protagonista, un uomo che si è fatto Dio con il potere della sua individualità: "Ascoltate! Non ero, sono divenuto / In estasi, in vendetta, nel sangue [?] Da uomo a Dio". Questa figura si strugge per avere sempre di più dalla vita, e si pone come un conquistatore vittorioso, glorioso, costantemente assetato e mosso da rabbia: egli si definisce "Figlio di Marte" e pronuncia un canto propiziatorio che comincia con la formula "Ain Soph Aur", in ebraico "La Luce Infinita", che se da un lato rappresenta uno dei nomi di Dio, dall'altro viene utilizzata per indicare uno stato di accresciuta consapevolezza e saggezza. Le ultime strofe parlano poi del "Cuore di Tiphareth" un termine legato alla Qabalah, dove Tiphareth è la manifestazione della scintilla del divino (esattamente come Kia), l'essenza della bellezza nell'universo. Nell'essere umano, Tiphareth rappresenta il centro del cuore, sede dell'anima, e "arrivare a Tiphereth" significa irradiare bellezza e pace intorno a noi, poiché l'amare altruisticamente è quanto di più bello sia capace l'essere umano. Il riferimento a Bafometto poi non è certo casuale, e per vari motivi: il primo è puramente iconografico, in quanto Bafometto è rappresentato come un essere umano con testa caprina, una manifestazione dell'istinto umano, della natura stessa, che allo stesso modo veniva rappresentata da Spare, che nei suoi disegni inseriva grottesche figure zoomorfe, in linea con la sua filosofia riguardante la parte dormiente della mente umana, dominata dalle sensazioni, da Zos, che infatti veniva dipinto dall'artista con tratti animaleschi e demoniaci. Inoltre, legandosi alla formula "Ain Soph Aur" e al suo significato, si rivela la valenza insita nella figura di Bafometto; infatti questi è un idolo che si diceva venerato dai templari, un dio pagano simbolo di pace e saggezza. Il significato generale è quindi quello di un uomo che si fa divinità, raggiungendo uno stato di illuminazione, e guida una rivolta contro il tirannico Dio precedente, alla testa delle armate di Seth-Tifon, due nomi (egizio e greco) che indicano due figure importantissime, in quanto nemici principali e irriducibili della divinità. Inizia ora "Modern Iconoclast" con un repentino attacco di chitarre e batteria, che si lanciano in un intro roccioso e aggressivo, che rallenta poi nel rullare della batteria, mentre le chitarre scandiscono note prolungate e solenni, prima di inserire nuova linfa nel pezzo, proseguendo l'articolato intro che con l'entrata della voce muta in un feroce riffing cadenzato e molto tecnico. La canzone si mantiene su serrati ritmi da cardiopalma, con una batteria incredibile in continua mutazione, che sembra sfidare le chitarre e il basso a seguirla attraverso tempi e contro-tempi folli. E loro seguono, fino a un break dove tutto rallenta e si ricarica, prima di riesplodere in una solenne melodia inserita tra ferocissime ritmiche, in un picco musicale che culmina con il fischiare delle chitarre, poi zittito da un ringhio della voce. Segue un attimo di silenzio, prima che il tema del riff principale si sollevi nel coro delle chitarre, inizialmente sole, poi accompagnate dalla batteria, dando il via a una nuova marcia, trascinante, un fiume di note epiche che cessa all'improvviso, chiudendo il pezzo. Il testo tratta appunto dell'iconoclastia, cioè la denigrazione feroce dei culti e delle credenze religiose (in questo caso quelle cristiane ed ebraiche. Nei secoli le iconoclastie si sono sprecate, con l'ascesa e la caduta di innumerevoli divinità, i cui fedeli distruggevano le icone di quelle precedenti, e qui il principio è identico, ma a sollevarsi sono divinità arcaiche e dimenticate, soppiantate, che ora bramano vendetta: "Morti e ora risorti, incatenati e ora liberati [?] non vi sarà avvertimento / Prima del nostro grido di battaglia!". Vengono invocati Dioniso, Orfeo, Attis e Osiride, tutte figure legate a culti arcaici e caratterizzate da un legame unico con la morte, che ha consentito loro di superarla, eluderla o addirittura dominarla; sono i custodi del cambiamento, manifestazioni del continuo rinnovarsi della vita, e le cui anime "Bruciano nella Libertà". Ora si sono risvegliati, e accendono la "Torcia della Guerra", pronti a tornare nel mondo, a riconquistare l'universo nell'"Alba di un Nuovo Eone", un nuovo inizio nella storia del mondo. Parte ora "Here and Beyond" aperta da un riffing serrato e rapido, che prosegue cadenzato, sferzato prima da alcuni licks, poi dall'attacco di un breve assolo, sommerso brevemente dal feroce riffing prima di riemergere con maestosità, in un tripudio tecnico dalle sonorità esotiche. Il riff riprende per qualche strofa, prima di un improvviso break strumentale, con una lenta melodia che si solleva sinistramente, fino a un frenetico attacco di batteria che inserisce una spirale di rapidi tapping delle chitarre, a cui segue l'imponente innalzarsi di un riff feroce, che sostiene la voce bestiale, aggiungendo poi la melodia del precedente break. Alla fine della strofa riprende il riff principale, che carica così le ultime parole del testo, chiudendo il pezzo bruscamente. Il testo sembra trattare del principio della Memoria Atavica, in quanto il narratore, parlando al plurale, all'umanità, dice: "Siamo giunti al giorno del nostro Inizio [?] nelle taverne del tempo usavamo sederci / E ubriacarci di ricordi / Momenti morti, glorificati". Vengono così rievocati ricordi di vite ed ere differenti, come i "fantasmi del Golgota" (presumibilmente Gesù e i due ladri, visto che viene nominata anche la "Pazza e deviata folla di Gerusalemme"), tornando indietro nei millenni alla nascita del Mondo e ancora prima al "Saluto degli Arcangeli". La Memoria Atavica, ricordiamo, è il fluire dei ricordi e delle vite di innumerevoli esseri nel corso degli eoni: immergersi in questo mondo di sensazioni allo stato puro è il modo per giungere all'Illuminazione, e un esperto chiromante riesce con la propria Volontà a interagire con tali ricordi, rendendoli più che mere sensazioni, e immergendosi sempre più nel flusso del tempo può prevedere  ciò che ancora deve essere e proiettare ciò che vede nelle menti altrui. Insomma, tale viaggio si compie "Non per essere, ma per divenire", per comprendere ed illuminare il proprio e l'altrui percorso, poiché per Spare la conoscenza è verità, e la verità è bellezza. Viviamo, dunque, sul limitare del Mondo, nel titanico girare del tempo, Qui e oltre, parafrasando proprio le parole di Nergal"As Above so Below" inizia con brevi scariche di chitarra e batteria, che aggrediscono con ferocia il silenzio precedente, alle quali si unisce dopo un poco un sinistro lavoro di piatti, che introduce un cambiamento nelle ritmiche, dove l'iniziale coro di chitarre si divide, e mentre una prosegue con gli attacchi alternati, l'altra comincia a tessere una cupa melodia. Il poderoso intro prosegue fino all'introduzione di una solenne melodia, che con la sua pacata ed esotica bellezza fa da contraltare al brutale e meccanico basamento musicale. Tale melodia viene interrotta dalla voce ruggente, che riporta il riffing sui binari iniziali, fino all'esplosione del caos, scatenato da un assolo nervoso, che carica una successione di cambi di tempo, ai quali segue un break strumentale molto epico, che precede un repentino innalzarsi della musica, con una batteria che macina note a una velocità incredibile. Questo picco musicale viene spezzato poi dal ritorno del riff principale, che sostiene il ritornello, fino al ritorno della lenta e solenne melodia precedente, fino a spegnersi in un silenzio irreale, che viene però infranto dal ritorno del brutale riffing, che viene arricchito dal ruggito ferino della voce, e spegnendosi con un lento fade-out. La tematica del testo è estremamente criptica, ma sembra essere un preludio a un'evocazione, con il negromante che entra nello stato di illuminazione necessario per il raggiungimento del potere magico, abbattendo la barriera della ragione e facendo entrare in contatto Zos e Kia. Infatti l'evocatore cita indirettamente Crowley e il suo Bornless Ritual, quando dice "Mi hai insegnato le Sacre Parole: IAO SABAO"; questo rituale, noto anche come Invocazione di Goetia, rappresenta la preliminare invocazione della Ars Goetia, la prima sezione del grimorio (cioè libro di magia) intitolato "Piccola Chiave di Salomone" o "Lemegeton". In quest'opera vengono descritti i settantadue demoni che re Salomone avrebbe evocato e poi rinchiuso in un vaso di bronzo chiuso con sigilli magici, allo scopo di renderli suoi servi; inoltre, viene descritto il procedimento per ricreare il vaso di bronzo e per evocare senza rischi i demoni. Crowley creò questo Rituale aggiuntivo in modo che l'evocatore stringesse un solido legame con le forze celesti, prima di entrare in contatto con i demoni e i rituali a loro legati. La parte finale della formula (riportata ampiamente da Nergal nell'orazione finale di "O Father O Satan O Sun" dell'album "The Satanist"), enuncia al termine: "[...] e ogni incantesimo e flagello di Dio, possa essere al mio servizio! IAO, SABAO: tali sono le Parole!", e il testo del pezzo si chiude con una formula incitante il potere delle Rune, ribaltando poi un celeberrimo verso del "Padre Nostro": non sarà santificato il nome di Dio, però, bensì quello della Bestia. E con estrema eleganza si apre "Blackest of the Black", dove a un secco accordo distorto di una chitarra risponde un delicato e sinistro arpeggio dell'altra; a breve si unisce a loro la batteria, con un turbinante rimbombare di rullanti, prima che si scateni un feroce blast-beat, sul quale si librano le note delle due chitarre, che proseguono con il loro duetto, mentre il basso scandisce con rabbia ogni passaggio. Con l'entrata della voce il pezzo assume ritmi marziali, con brevi raffiche di note della batteria, mentre le chitarre la seguono ormai dimentiche dell'iniziale melodia, che cede il passo a un riffing maligno. La traccia prosegue, travolgente, fino ad aumentare di intensità, in un picco di violenza sonora cui segue un omogeneo rallentamento, con una batteria che scandisce il tempo con fermezza, mentre una delle chitarre si lancia in una nuova serie di arpeggi distorti, che aumentano la sensazione di malvagità che permea la traccia. La musica vede una breve impennata, prima di ritornare alla cupa melodia iniziale, che muta nuovamente nel riff principale, proseguendo e sollevandosi sempre più, prima di precipitare in cupi arpeggi che sfumano nel silenzio. Il testo è un monologo auto-celebrativo attuato da Lucifero, che narra della sua Caduta: "Infame tra gli dèi e in basso caddi / E la terra pianse a gran voce". Però non prova rimorso, poiché è disposto a soffrire pur di rimanere libero, e ruggisce infatti il suo Essere, fieramente, un ribelle. Egli non deve sottostare a nessuna legge divina, nessun Dio può comandare la sua vita ed è fiero di essere definito un "peccatore", di aver imboccato quella strada che per il Cattolicesimo altro non è che la rovina eterna. Una rovina solo superficialmente, un'oscurità solo a parole, dato che la vita di Lucifero è un'esistenza vera e priva di freni o comunque non sottomessa a nessun dogma o preconcetto. Egli non soffrirà nella vita terrena per poi ottenere qualcosa in cambio in un'altra più "spirituale". Egli vuole vivere al massimo, subito, senza timore e senza essere schiavizzato da questa o quella paura. Il suo è un invito, una chiamata: dovete difendere la vostra individualità, non dovete diventare una massa omogenea di servi privi di volontà, dovete ribellarvi! E si pone come exemplum, dicendo proprio che egli è il figlio del Caos e dell'Imprevedibilità, il disobbediente per antonomasia. Caduto dal regno dei Cieli, ha rinunciato alla stagnante "beatitudine" eterna pur di vivere in autonomia, provando sulla sua stessa vita il peccato tanto condannato. Egli è il portatore di Luce vera, poiché capisce seriamente quanto la nostra Volontà sia la vera portatrice di saggezza. E dal silenzio emerge "Hekau 718", un pezzo elettronico di appena quaranta secondi, dove si ha una base di soffocati suoni meccanici, sui quali si installa una lenta melodia esotica ed evocativa, ma in qualche modo sinistra, carica di mistero. La sensazione è quella di essere trasportati in qualche tempio nascosto dimenticato dal tempo, con colonne erose dalla sabbia e dagli eoni, e la sensazione è accresciuta dalla voce filtrata, che ruggisce poche righe di un inno in egiziano antico, tratto dalla "Stele di Ankh-ef-en-Khonsu", nota anche come Stele della Rivelazione, nella quale sono trascritti alcuni passi del Libro dei Morti. La scelta della stele non è casuale, poiché questo reperto è stato lungamente studiato da Aleister Crowley, che ne ha ideato il nome. Crowley si recò al Museo Egizio del Cairo alla ricerca di un'immagine di Horus, che riteneva avesse già inviato una rivelazione a sua moglie Rose, per mezzo del suo messaggero Aiwass; la moglie riconobbe il dio su questa stele, catalogata sotto il numero 666, numero che possedeva un significato magico nella dottrina di Thelema. Inoltre, sempre secondo Crowley, la stele rappresentava le tre divinità principali del suo culto, vale a dire Nuit (l'egiziana Nut), Ra-Hoor-Khuit (l'egiziano Ra-Harakhty, "Ra-Horus dei Due Orizzonti"), e Hadit (l'egiziano Behedety). La sezione scelta da Nergal è un'ode a Werethekau, personificazione delle forze sovrannaturali, il cui nome significa "Grande Magia" o "Grande Incantatrice"; è una manifestazione di poteri primordiali, arcaici, e il testo cita: "Grande e terribile divinità, che fai tremare gli dèi e la morte al tuo cospetto - Io, io adoro te!". E con una violenza inaudita parte "The Harlot ov the Saints", con un attacco congiunto di tutti gli strumenti, che creano un fragore degno di uno schiacciasassi. Questo attacco muta poi in un riff feroce ed epico, estremamente rapido ed articolato, con le chitarre  che attaccano senza tregua sui ritmi di una batteria impazzita; il riff si interrompe giusto per permettere a un break strumentale di caricarlo con maggior foga, ed è sempre un break a fermarlo nuovamente, spezzandone l'impeto con note esplosive, ripetute, che donano al brano una sonorità tribale, caricandolo di una potenza ostile e maestosa. La traccia non concede un attimo di respiro e fino alla fine stringe in una morsa ferrea le viscere dell'ascoltatore, terminando con la stessa violenza con la quale è iniziata. Interessante notare gli stili di canto, in questo senso, alternati. Dapprima il passato Black Metal dei nostri viene prepotentemente fuori, grazie ad una sporca litania luciferina che ricorda molto da vicino lo stile canoro di Abbath, in seguito un growl sempre "diabolico" ma molto più vicino, come stile, al Death Metal di stampo classico. Interessanti anche alcuni suoni ben studiati di chitarre, che oltre ad introdurre un elemento "tribale", come abbiamo visto, riescono ad "orientaleggiare" il tutto, rendendo la proposta musicale dei nostri ancor più mistica ed arcana. Il testo comincia con un inno in greco antico, rivolto al "Serpente Antico" e al "Grande Drago", figure fondamentali nelle varie religioni, viste sotto diverse luci e con molteplici significati; il Serpente ad esempio, dalla Bibbia emerge come una bestia ingannevole, una manifestazione del Diavolo, il che probabilmente deriva da una demonizzazione di figure presenti in culti differenti o preesistenti, come dimostrano i vari amuleti votivi trovati nel Vicino Oriente o come possiamo vedere nella tradizione egizia, dove il serpente era uno dei simboli più importanti del potere dei faraoni, considerato (in particolare la femmina di cobra) un simbolo di Wadjet, l'Occhio di Ra, e considerato sia una forza distruttiva che una forza protettiva, ma in entrambi i casi con una accezione positiva. Il Grande Drago è un chiaro riferimento al Drago biblico, la manifestazione ultima del Male, che viene precipitato in mare durante l'Apocalisse. In seguito viene presentata la figura di una donna, una sorta di personificazione della Lussuria, una creatura antica identificabile come Babalon, la variante thelemica di Babilonia, "La Grande Prostituta". Possiamo trovare una risposta alla cripticità del testo nei tarocchi di Crowley, perchè nel tarocco di Thoth viene rappresentata Babalon a cavallo della Bestia dell'Apocalisse, progenie del Grande Drago, le cui corna sono serpenti che si diramano per distruggere e ricostruire il mondo. Il legame tra donna e serpente può riferirsi anche a una figura fondamentale nella vita di Spare, la cosiddetta "Pitonessa delfica" (Delfi in antichità era sede della Pizia, l'oracolo più famoso di tutta la Grecia), fonte primaria delle sue formule magico-sessuali e spirito di Mrs. Paterson, una vecchia che Spare afferma essere stata sua maestra di magia quando lui era ancora giovane, e che pare avesse la facoltà di trasformarsi in una fanciulla meravigliosa, tale passaggio, chiamato transmogrificazione, era un tema caro a Spare, che ricercava costantemente la bellezza e la fonte del suo potere in mezzo alla più abbietta umanità. Nel testo si parla della "Meretrice dei Santi / Fonte della Lussuria del Serpente", con il protagonista che le si rivolge con reverenza, proclamandosi  "Schiavo del tuo Potere", in un amplesso che termina con la morte di Dio ("Gioiamo, il Signore è ucciso!"). Parte ora "No Sympathy for Fools", con un repentino scatto musicale che si interrompe subitaneamente, come una martellata alla testa. Dopo un istante di silenzio esplode un travolgente riff, semplice e grezzo, caricato da una batteria magnifica e da un basso esplosivo, finchè non sfocia in una brutale melodia, che per un poco rallenta il ritmo frenetico, e trasmettendo un senso di attesa per qualcosa di terribile e ineluttabile. E la sensazione è fondata, poiché la musica prosegue invariata fino all'entrata della voce, dopo la quale si ritorna al riff iniziale, che prosegue per qualche strofa, prima di un break bruciante, molto tecnico, che rende l'atmosfera ribollente, prima di sfociare nel main riff. La traccia continua la sua corsa, fino a un mutamento nella musica, con la batteria che si fa meno potente e più frenetica in un rapido tintinnare di piatti, e con una chitarra che inserisce cupe note sostenute, creando una musica tenebrosa che si insinua tra le solide note della linea ritmica, rendendo il tutto più cupo e maligno. Tutto ciò fa da preludio a un nuovo break , che precede un ulteriore riff, che vede una versione modificata di quello principale, inframezzato di brevi note evocative, prima di quietarsi per pochi, illusori secondi e riesplodere nelle ritmiche d'apertura, che proseguono fino a spegnersi all'improvviso. Il testo è un manifesto di disprezzo nei confronti dei credenti, delle pecore che si rassegnano a soffrire nella speranza di essere felici dopo la morte. "Eppure, cosa succederebbe se lassù nulla esistesse?", dice il protagonista (identificabile con Lucifero), che si definisce "Una macchina d'odio rivelatrice di verità" e si scaglia poi con rinnovata violenza contro la loro ottusa cecità, dicendo: "Voi non vi ponete domande, credete ciecamente". La sola idea di poter affidare la propria anima e la propria felicità a un essere che  ci ha fatto ascoltare solo menzogne e cii acceca con la paura è considerata ributtante, e scatena una rabbia violenta: Lucifero ce lo comunica schiettamente, Dio non ci salverà e l'invito è sempre lo stesso, dall'alba dei tempi: "Non Serviam!", "Non Serviamo!", non dobbiamo affidarci ciecamente alle promesse ingannevoli di un tiranno, dobbiamo invece combattere la sua influenza, crearci il nostro destino, e vivere con la consapevolezza di dover fare del bene perchè è la cosa giusta da fare, e non perché lo impone la divina "legge del taglione". Ora è la volta di "Zos Kia Cultus", che parte con una raffica marziale di batteria, dando il via a una marcia scandita dalle note spavalde delle chitarre. Improvvisamente si ha l'attacco del blast-beat, che trascina con se le chitarre, che lanciano pesanti e prolungati accordi, in un incipit brutale sovrastato da un ruggito gorgogliante della voce. Si scatena un tripudio strumentale incredibilmente epico, con una batteria corposa e potente che sostiene le ritmiche imperiose di una delle chitarre, mentre l'altra intesse una melodia lenta e maestosa, e il basso scandisce il ritmo con fragore. Parte un riffing violento, entusiasmante, una musica cupa e avvolgente che riempie il cervello con la sua imponenza, finché tra le potenti ritmiche non si inserisce un frenetico lick di chitarra, che crea una folle melodia esotica, una scarica elettrica che manda i brividi lungo la schiena, mentre il pezzo assume i toni di una folle danza sabbatica. Il lick si spegne con una melodia mediorientale, lasciando spazio a un break, dove le chitarre si uniscono in un'escalation di ferocia che si innesta su una brutale base di batteria; riprende il riff iniziale, che ancora una volta muta nel riff portante. La voce si inserisce per ruggire le ultime strofe prima dell'inizio di un cupo outro, con le chitarre sorrette da raffiche marziali di batteria, spegnendo il pezzo così come è iniziato. "Io prego te - Capro del sabba / Che ti sollevi dal fumo / Dio enteogenico" il testo inserisce una tematica di tipo sabbatico, retaggio di arcaici riti della fertilità. Si crea un turbine di "Istinto - Desiderio - e Volontà" dove il confine concettuale tra questi viene cancellato, trasformandoli in un unico flusso esistenziale, un'Illuminazione mistica dove la Ragione non esiste: il Tutto nel Nulla, il Nulla nel Tutto, un'unione che viene raggiunta nella maniera più naturale attraverso l'atto sessuale. Per questa ragione viene presentata la figura del Capro, creatura che presenta tratti umani e animali, legata a una sessualità di tipo rituale; tale figura infatti si collega a Spare e al suo culto su più livelli: tra le opere dell'artista si ritrovano spesso figure zoomorfe, rappresentazione del risveglio della parte sopita della natura umana, degli istinti più naturali, incarnazione dell'avvenuto risveglio della Memoria Atavica e simbolo dell'unione tra Kia (viene citato infatti l'Io Atmosferico), principio fondamentale della vita, e Zos, il mondo delle sensazioni che definisce l'Uomo; tale unione è il principio scatenante della magia. Dovendo però abbattere il muro della ragione per poter riunire i due elementi, l'uomo si trova incapacitato a dominare consapevolmente la magia, ecco perciò che entra in scena la "Quadriga Sexualis" (una rivisitazione dei Quattro Cavalieri dell'Apocalisse), legata a un rito che permette di sfruttare la parte cosciente della mente umana, in modo da focalizzare e rendere consapevole l'atto magico. "Fornicatus Benefictus", come "Hekau 718", è una brevissima traccia dove si sommano un'ossessiva base di suoni meccanici e ticchettii di orologi, e delle percussioni sintetiche che riproducono il battito del cuore, sovrastate da vibranti suoni elettronici. Una voce filtrata pronuncia una preghiera ad "Asmodeus", demone presente in diverse culture, ma principalmente legato a due temi, rappresentati uno dalla musica e l'altro dal testo. Il primo è lo scorrere del tempo, e questo spiega i ticchettii della musica e il ritmato battito cardiaco; il secondo tema è la tendenza del demone a trovare un modo per distruggere le unioni coniugali, causare tradimenti, irretire e deflorare fanciulle (secondo la versione di un grimorio chiamato "Il Testamento di Salomone"), e la voce pronuncia infatti un testo che esalta tale aspetto, invocando la guida del demone "in tutte le tentazioni della mia carne", chiamandolo "Potenti genitali della Creazione" e chiedendogli di garantire il suo desiderio. Inizia ora il pezzo che più mi ha entusiasmato in tutto l'album: "Tiphonian Soul Zodiak". Una scarica di rullanti scatena una batteria impazzita, sulla quale si installa una magnifica melodia d'apertura data dalle chitarre, un flusso di note bruciante e aggressivo rafforzato da un basso potente, e impreziosito da una esotica melodia di chitarra spagnola che intesse note ipnotiche. Questa delicatezza è incrementata dal flusso ghiacciato della chitarra solista, che con un lick feroce aggredisce le orecchie, lasciandoci in estasi tra il fuoco e il gelo, finchè la canzone non entra nel vivo e la batteria si lancia in un rapidissimo blast-beat, al quale le chitarre adattano un riff lacerante, che prosegue la sua corsa bruciante fino a spegnersi in un attimo di illusoria quiete, al quale segue una tempesta immane, con la batteria che si lancia in un angosciante lavoro di piatti travolto a intervalli dal rombo delle pelli, a supporto di due chitarre che incalzano spietate tra cariche note di basso, finchè la batteria non si adatta, con il ritorno del furioso blast-beat. Con l'entrata in scena della voce, la batteria prosegue la sua corsa con l'aggiunta di cadenzati colpi ai piatti, mentre le chitarre mutano in una melodia più lenta e maestosa; con lo spegnersi della voce parte un assolo, con note maligne e glaciali, che un ruggito muterà poi nuovamente in un lick frenetico, con una accelerata di batteria. Segue un break strumentale dominato dalle chitarre, che danno vita a una serie di lick malefici dalle influenze mediorientali, che muta poi nel riff principale, con il rientro in campo della voce; ma il pezzo muta ancora una volta, con un feroce assolo di chitarra sul quale si installano due monologhi, condotti uno da una voce urlata ma pulita e l'altro da una malvagia voce filtrata. La musica si fa incredibilmente drammatica, fino all'ultimo attacco della voce, sostenuto da un riff devastante, che prosegue poi trasformandosi in un outro brutale, un flusso di note aggressive che termina spezzandosi in un mantra strumentale, con ossessive raffiche strumentali alternate a pause,  con la batteria che accelera in un blast-beat sostenuto mentre il pezzo finisce in fade-out. Il concetto si rifà al Typhonian Ordo Templi Orientis, una branca separata delle dottrine thelemiche; l'Ordine fu fondato da Kenneth Grant, che afferma di essere l'unico vero successore di Aleister Crowley e dei suoi insegnamenti, e che era, inoltre, grande amico di Austin Osman Spare e della sua arte, di cui fu promotore. A differenza della dottrina thelemica originale, la versione di Grant si concentra sopratutto sulla demonologia e sugli aspetti più oscuri dell'occultismo.  Il testo affronta la tematica "dall'interno",  dal punto di vista di demoni (o dèi oscuri) "nati nell'oscurità di un giorno", che si slanciano innumerevoli "Divorando la Luce dell'Eden". Queste entità vedono mescolarsi la ferocia del loro istinto distruttivo e il terribile "veleno dell'Esistenza", con il suo carico di incertezze ("Chi sono? Dove vado? Dove?"); tuttavia questo è il loro destino, superare i propri limiti e le proprie insicurezze, aspirare alla grandezza e percorrere un cammino solitario: "Al di là del Bene e del Male / Sei divenuto un DIO più forte". Giunge ora l'ultimo tassello del mosaico: "Heru Ra Ha: Let There Be Might", che si scatena con sette cannoneggiate della batteria, che si unisce alla chitarra in un attacco esplosivo, che si carica un po' prima di  scatenarsi in un potente blast-beat, sul quale imperversa un riff feroce ed epico, dalle influenze mediorientali. Il riff prosegue fino a mutare, con le chitarre che inseriscono cupi accordi sorretti da una batteria chirurgica, in un continuo mutare presto stroncato dalla voce, che porta con sè una sezione ritmica tagliente, sempre dalle sfumature orientaleggianti. Questa magnifica danza infernale viaggia da distorti suoni fischianti a melodiose raffiche di basse note rimbombanti, ispirando un senso di timore reverenziale con la sua potenza folle, incredibilmente epica e brutale. Durante il ritornello (un mantra in egiziano antico) le chitarre sostengono le linee vocali e la loro melodia cadenzata, al termine delle quali ritornano a pestare sul trascinante riff principale. Dopo il secondo ritornello la musica varia sul tema dell'esplosiva melodia iniziale, prima che le chitarre si scatenino nell'assolo, prima unendosi in un rovente fiume di note malefiche, poi alternandosi nell'intessere complesse melodie, che portano alle strofe finali sulle note del riff principale, seguite da un ultimo ritornello che spegne bruscamente la canzone. "Diffratto raggio di Ra / Inviami sulle tue ali / Divora tutte le paure che io genero / E giungi quando ti evoco": il testo è un inno a "Heru-Ra-Ha" (Horus Carne del Sole), una divinità composita frutto della fusione tra le figure di Ra-Hoor-Khuit ("Ra-Horus degli Orizzonti") e Hoor-paar-kraat (Horus l'Infante), al quale la voce si rivolge in adorazione, chiedendo di portare la luce sull'Umanità, di aprire "i Cancelli / Della Libero Desiderio" e permetterci di sfruttare la saggezza insita nell'Oscurità. Il primo aspetto, definito "Attivo", è il narratore nel III Capitolo del "Libro delle Leggi", ed è lui a pronunciare la frase "Non vi è legge all'infuori del fare ciò che desideri", una delle colonne portanti della dottrina thelemica. Questo volto del dio è definito "Signore dell'Eone", poiché secondo i thelemiti la storia umana è divisa in Eoni, ognuno associato a una divinità, accompagnata da una distinta forma di espressione magica e religiosa: abbiamo così l'Eone di Isis, collocato nella preistoria, che vedeva l'Umanità venerare la Grande Dea Madre, a cui segue l'Eone di Osiris, nell'età classica e nel medioevo, dove viene adorato un singolo Dio maschile, in una società dall'animo patriarcale. Si ha infine l'Eone di Horus (definito "Fanciullo Coronato e Conquistatore"), cominciato nel 1904, nel quale Crowley afferma che l'Umanità entrerà in un periodo di auto-realizzazione e auto-attualizzazione. Questo aspetto identifica Ra e Horus come una singola forza solare. Il secondo aspetto, definito "Passivo", si lega al primo, in quanto si parla sempre di un bambino, una promessa per il futuro, un messaggio di speranza che assume tratti ancora più potenti proprio perché legato al primo aspetto, del quale risulta una versione infantile (o, secondo alcune interpretazioni, un fratello minore).

Quest'album è uno dei lavori più completi e meglio strutturati della band polacca, che decide ancora una volta di creare un disco con cui è difficile approcciarsi dal punto di vista concettuale; tuttavia, al di là della profondità culturale e della complessità testuale, l'aspetto musicale riesce a soddisfare chiunque. Infatti i Behemoth hanno l'immenso pregio di non accontentarsi mai: se una cosa può essere fatta bene, loro vogliono farla meglio (loro possono farla meglio) e questo fa sì che il gruppo fissi da solo i propri limiti, che saranno puntualmente abbattuti con il disco successivo. La loro è una scalata solitaria, nella quale salgono continuamente sulle spalle di sé stessi, pur espandendo sempre i propri orizzonti sonori, introducendo innovazioni nel sound, rendendo le musiche più elaborate e attingendo dal mondo della musica senza scimmiottare nessuno; ogni elemento influenzante è infatti assimilato e rielaborato in maniera dedicata e attenta, in modo da incastonarsi in maniera ottimale con lo stile del gruppo. Il risultato di un tale minuzioso lavoro non è quindi certo un disco da mettere come sottofondo in macchina, bensì un disco del quale godersi ogni singola nota, del quale bisogna provare a percepire ogni melodia e parola per apprezzarlo appieno. Insomma, ancora una volta i Behemoth fanno scuola, con un lavoro impeccabile che rappresenta il risultato di un complesso processo di creazione, e mostrano quali risultati si possono ottenere unendo l'ispirazione e la fantasia all'organizzazione meticolosa; sono un esempio perfetto di quello che ogni bando dovrebbe aspirare ad essere: non in quanto Metal, ma in quanto professionali e appassionati, perché ogni nota e ogni parola sono sentite, sofferte, e ogni secondo di musica è carico di una passione travolgente fatta di musica, filosofia, letteratura e, in generale, arte. Il concept ruota nuovamente intorno a Thelema, ma non si limita a reintrodurre discorsi già affrontati, anzi, espande l'argomento introducendo figure e pensieri legati a tale dottrina, e in particolare quelle legate alle sue ramificazioni apocrife, più oscure e inquiete. Ecco quindi che ci viene presentata la figura di Spare, genio, artista e folle, che in un certo senso rappresenta una mente parallela a quella di Nergal: infatti, laddove l'artista inglese creava opere d'arte magnifiche rappresentando il grottesco e il (almeno secondo la mentalità del tempo) raccapricciante, il musicista polacco crea una musica bellissima dal Male stesso, da un qualcosa di anticonvenzionale e generalmente visto con disapprovazione, che tuttavia riesce a ispirare momenti carichi di pathos, melodie trascinanti e mutevoli cariche di un'aura nera e magnifica. "Lasciami vedere nell'Oscurità / Della quale non temo l'insita saggezza".

1) The Horns Ov Baphomet
2) Modern Iconoclasts
3) Here and Beyond
4) As Above So Below
5) Blackest ov the Black
6) Hekau 718
7) The Harlot of the Saints
8) No Symphaty for Fools
9) Zos Kia Cultus
10) Fornicatus Benefictus
11) Typhonian Soul Zodiak 
12) Heru Ra Ha: Let There Be Might

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