BEHEMOTH
Thelema.6
2000 - Avantgarde Music
PAOLO ERITTU
05/03/2015
Recensione
"Noi vorremmo veder uccisa la maggior parte dell'umanità, perchè è indegna... indegna del dono della vita". È con questa frase di Nikolas Schreck che si apre Thelema.6, il quinto album in studio dei polacchi Behemoth. Schreck è un musicista, scrittore, guru spirituale e regista americano, profondamente immerso nei fatti di satanismo e occultismo degli ultimi cinquant'anni (è stato satanista, Maestro del Tempio di Set e collaboratore esterno con la Chiesa di Satana fondata da Anton Lavey, del quale ha sposato la figlia Zeena, che l'ha portato a convertirsi al Buddhismo Tantrico), e famoso sopratutto per la sua scrupolosa indagine sulla vita, i crimini e i moventi di Charles Manson. Adam "Nergal" Darski afferma di aver utilizzato tali parole perchè "Le persone nascono con un determinato obiettivo nella vita, hanno il potenziale (per raggiungerlo) ma la maggior parte degli esseri umani semplicemente lo perde, ed essi divengono degli esseri inutili... l'affermazione (di Schreck) è davvero estrema, ma è semplicemente il modo con cui percepisco la maggioranza della razza umana...". Ecco perchè i Behemoth hanno deciso di creare un album che rappresentasse tale sprezzo, un'opera che potesse prendere l'Umanità alla gola e farla rinsavire, scuoterla con violenza per strapparla al suo torpore, mostrandogli altre vie e altri esempi da seguire. Esempi opposti a quelli dei rigidi dettami della società, e ferocemente contrari a quelli imposti dalla religione, frutto del disgusto nel vivere in un paese estremamente cattolico come la Polonia. E come nel precedente "Satanica", anche in questo album il gruppo si ispirerà alle parole e alle idee di Aleister Crowley, occultista inglese fondatore dell'Abbazia di Thelema, e il messaggio fondamentale è "Fare ciò che desideri sarà l'unica legge": non vivere sotto l'oscurantismo di una religione di martiri piangenti, non accettare le sofferenze di una vita passata a sperare in una seconda opportunità. La vita è qui, è ora, perciò vivila, e non permettere a nessun dogma di offuscarne la bellezza. Laddove l'intento tematico non è cambiato, vi è invece una variazione nei componenti della band: abbiamo sempre Nergal alla chitarra, alla voce e ai testi (in collaborazione con l'occultista Krzysztof Azarewicz), come anche Zbigniew Robert "Inferno" Prominski alla batteria, ma abbiamo due nuove entrate con il chitarrista Mateusz Maurycy "Havok" Smierzchalski e il bassista Marcin "Novy" Nowak. Un ulteriore cambiamento lo si percepisce nella musica, che rispetto a "Satanica" si avvicina ancora di più al Death, con riff estremamente tecnici, pur mantenendo una pesantezza e una violenza puramente Black, arricchendosi inoltre di forti e suggestive influenze mediorientali (che vedono nei Nile una delle maggiori fonti di ispirazione stilistica), che si sposano magnificamente con le tematiche occulte, frutto delle tradizioni e delle culture millenarie di popoli e civiltà le cui radici si perdono nell'alba dell'umanità, rievocando templi illuminati da bracieri sotto la luna, dove volute di incenso salivano ad abbracciare statue di primordiali divinità zoomorfe. Insomma, il "recupero" di tutte quelle civiltà vilmente schiacciate e denigrate dai cattolici, i quali pensavano già dall'alba dei tempi d'esser gli unici puri, incorrotti ed intoccabili. I Behemoth ci dimostrano che non è così, e ci dimostrano con i fatti quanto si possa attingere da mondi nascosti ed ai più celati, in grado di fornire più di uno spunto di riflessione e di farci aprire gli occhi su quel che effettivamente è la vera Realtà.
La sopracitata frase di Schreck è immediatamente seguita dall'attacco di "Antichristian Phenomenon", in una marcia maestosa data da un coro di chitarre e da una batteria dalle sfumature tribali, che si interrompe per un attimo, mentre un leggero lavoro di piatti accompagna degli armonici dati dalla chitarra, prima di riprendere il suo incedere, che accelera fino a esplodere in un complesso riffing, accompagnato da un blast beat feroce. La marcia iniziale riprende il suo lento incedere, portando a un assolo di chitarra dalla forte vena orientale, che inizia con lente note sostenute, per velocizzarsi e terminare in un caos di note distorte. Il riffing varia, adattandosi a un cambio ritmico ossessivo, stemperandolo con note fischiate, mentre la batteria sembra impazzire, prima di un ulteriore cambiamento che porta a potenti note sostenute, che fungono da altare per la voce ruggente. La musica precipita, prima di riesplodere nel precedente riffing ossessivo, scandito dal rapido cannoneggiare della batteria. Parte poi un outro che riprende la lenta marcia iniziale, arricchendola a poco a poco con il risuonare di sinistri accordi, prima che riattacchi bruscamente il riff principale che termina in fading, mentre sulla sua scia emergono suoni meccanici. Nergal afferma di aver trovato ispirazione dalle poesie di Milton e Blake, e nella loro visione del lato istintivo dell'animo umano. Nel testo abbiamo Lucifero, il Caduto, colui che si è rifiutato di chinare il capo e calpestare i propri sogni nella cieca ubbidienza e che si è opposto al suo tirannico padrone. Una figura legata in maniera profonda al Culto di Thelema, in quanto manifestazione più lampante del "Fai ciò che desideri", carico di orgoglio e dignità. Un simbolo di speranza, che non rinuncia a ribadire la potenza della sua individualità neanche quando viene precipitato sulla Terra: "Sono un Ribelle / Così dunque dovrete chiamarmi / Mentre torreggio al di sopra di voi". L'ispirazione per il testo sembra essere giunta effettivamente dalla poetica di Milton e di Blake pocanzi citata, e dalla loro personale visione del lato più "naturale" e più istintivo della natura umana. La musica riesce a tenere alta la tensione e adatta la sua malvagità con quella del testo, e il ritornello dove è sottolineato da momenti di grande tensione musicale. L'istinto domina, l'uomo è un essere dalle caratteristiche pressoché perfette, caratteristiche che lo scortano nel vero grande tempio in cui pregare, quello della Volontà, seguendo l'esempio dell'angelo caduto. E in un roboante attacco di batteria e chitarre, inizia "The Act of Rebellion", con un riffing simile a una folle danza, che rimane invariato mentre la voce si insinua tra le note. La musica accelera bruscamente, e le chitarre si lanciano in ritmiche estremamente veloci e tecniche, mentre il basso le sostiene appoggiato dalla batteria, che si scatena in un granitico blast-beat. Il ritornello è caricato all'inverosimile e scatena un brutale riff di puro Black, che muta prima nei precedenti tecnicismi, poi nell'iniziale danza, mentre il testo riprende con foga, con l'evocazione della "Bestia", grazie alla quale il mondo sarà conquistato e liberato dalle catene del dubbio e della paura, spogliato di falsi onori e falsa modestia, il suo cuore pulsante radiosità e bellezza verrà ripulito del male le dottrine religiose e politiche lo hanno immerso, e l'uomo seguirà i suoi desideri, privo di dèi, ma ricco di esempi da seguire che parlano di piacere, libertà, saggezza e amore. Ritorna il ritornello, in un escalation di ferocia sonora e ritmi da cardiopalma, prima di una brusca fermata che permette alla musica di mutare in un ossessivo mantra, mentre la voce recita un inno in greco antico, un'oscura poesia inframezzata da melodici assoli, che lascia poi spazio a un maestoso outro portato avanti da magnifici cori di chitarre, che sfumano nell'oblio. Il testo rappresenta una scena orgiastica, un'attività della quale il culto di Thelema fu sempre accusato, legata anche al satanismo, ai sabba e ai culti orientali, manifestazioni rituali della natura più istintiva dell'Essere Umano. È importante il riferimento a Ecate, una divinità pre-indoeuropea, antichissima, descritta nella tradizione greco-romana come una creatura di stirpe titanica. La peculiarità di tale figura era il suo essere androgina, quindi capace di donare e al pari generare la vita, in un'iconografia che la avvicina a Bafometto, divinità occulta di pace e saggezza presentata con seni e fallo. Un'altra somiglianza la ritroviamo con Danu, la Dea Madre delle acque indoeuropea, perchè Ecate viene rappresentata con tre volti, o in tre forme, rappresentanti le tre età della vita, come anche Danu, descritta allo stesso modo nella tradizione celtica (poteva infatti comparire a guisa di vergine, donna o megera). Danu è ugualmente presente nella tradizione indiana, con lo stesso ruolo di Dea Madre legata all'acqua (il grembo di Danu, il liquido della vita, associata al liquido amniotico); in tale tradizione il suo nome è neutro, privo di genere specifico (sebbene abbia un'accezione femminile sottintesa), cosa che la ricollega alla natura bi-sessuata. Questa figura, proveniente da un passato remoto, è sempre stata legata a riti di fertilità e tradizioni poi annegate nel sangue dal Cristianesimo. Il testo è personale, una visione misantropica del continuo innalzarsi e inabissarsi della vita. Ed ecco che in un bellissimo intro di batteria inizia "Inflamed with Rage". Il growl demoniaco di Nergal aggredisce con una malvagità accresciuta da un intro di musica rapida e brutale. Le chitarre macinano un riffing serrato e tecnico, sferzato da un tapping maligno. La musica prosegue con un impeto annichilente, resa più epica dalle sue venature mediorientali, il riff prosegue per pochi secondi, prima che la musica subisca un'impennata data da un assolo magnifico, con frenetiche scale orientali sorrette da una batteria rapidissima, che viene interrotto da un ringhio ferino che ci riporta al riff principale, con chitarre maligne che volano sul cupo rombo del basso, accompagnato dal rapido blast-beat. Si ha adesso un mutamento del riffing, che si fa più serrato e frenetico, in un break musicale che viene interrotto dalla voce, che riporta le chitarre alle potenti ritmiche precedenti. Si crea un flusso musicale travolgente ed articolato, che prosegue inarrestabile fino all'imporsi di un brusco silenzio. Il testo descrive una creatura indefinibile: "Non possiedo corna, né due ali /sono l'antenato di tutti gli dèi / L'Unico tra gli Antichi". Questo essere sembra essere un antesignano della "Sentinella" invocata nell'album "Demigod" nella traccia "The Reign of Shemsu-Hor", forse una personificazione del Caos primordiale, comune a moltissime religioni, o magari il Fato stesso. L'essere reclama l'adorazione dei popoli della terra, dicendo: "Onoratemi così come adorate il Sole". Solo con le strofe che seguono riusciamo a intuire che forse è una semplice rappresentazione archetipica del sadico e auto-celebrativo Dio delle religioni monoteiste, quando afferma: "osservate la collina di Babele ridotta in cenere / Ammirate le mie forme nelle rovine di Gerico". A discapito di ciò, comunque, Nergal ha dichiarato che, inoltre, al di là delle solite polemiche contro un certo tipo di intendere la vita e la fede, in questo brano è intento a proporre la sua visione della vita, basata appunto sul principio Crowleyiano di sacrosanta volontà e libertà. Capendo chi realmente siamo, chi veramente possiamo essere e cosa vogliamo realmente fare, allora riusciremo a slegarci dal giogo del crudele e tiranno Dio imposto. Forse, dunque, il Dio che si celebra è proprio l'uomo. "??? ???????" inizia con l'addensarsi di una atmosfera malefica, una nebbia tenebrosa che viene squarciata da una improvvisa folata di note, con un riff estremamente accattivante che prosegue per un po' di tempo, fino a un'accelerazione frenetica che si spezza in un lento tempo cadenzato, reso più cupo da sinistre campane e subito arricchito da una melodia di chitarra, magnifica e insinuante. Un rapido scatto della batteria ci trascina nel riff iniziale, che muta con il feroce attacco della voce, divenendo una potente e mutevole marcia, sfociando poi in un breve assolo, al termine del quale ci ritroviamo scagliati in riff aggressivi; il coinvolgente riffing prosegue fino all'esplosione di un nuovo assolo, rapido ed evocativo, prima del ruggente riattacco della voce. La linea ritmica prosegue invariata, fino all'aggiungersi di un coro esaltato di eserciti urlanti, che accompagna le strofe finali, dopo le quali il pezzo si chiude in un rapido fading."Io, Pan Satiro / Sono un vulcano di emozioni. Mentre un sovrapporsi di voci pulite prosegue con il testo, in una breve invocazione ai "poteri della Sfinge", che risvegliano le quattro Bestie Cherubine (creature simili a sfingi, aventi le teste rispettivamente di leone, bue, aquila e uomo, citate nell'Apocalisse di Giovanni) agli angoli del mondo, in un "Santissimo Raduno di anime / Del vuoto sguardo di un folle". Il testo presenta la figura di Pan, una divinità minore del pantheon greco, mezzo uomo e mezzo capro, protettore dei pascoli, della fertilità e della natura. Tale figura, oltre ad essere stata trasformata nella figura archetipica del Diavolo con l'avvento del cristianesimo, è fortemente legata al culto di Dioniso, che ha fortemente influenzato il pensiero di Crowley, in quanto legato al "Fai ciò che desideri". Si incoraggia una ricerca della carnalità volta ad aiutare l'Uomo ad ascoltare la sua "parte animale", pura, istintiva e non corrotta da regole morali e comandamenti religiosi, in modo da rientrare in comunione con la Natura e con il Cosmo che lo circonda, "Nella follia della notte / Nella follia del giorno". La poetica che si cela dietro al testo è complessa, frutto di una ricerca molto "spirituale" del cantante: Nergal ha dichiarato che i primi versi di questo "poema" derivano dall' "Oracolo di Albione", scritto nel quale sono presentati gli innumerevoli sentieri che portano l'uomo all'Illuminazione, constatando al contempo che quello del "Diavolo", ché la Chiesa dica, è uno di quelli necessari da percorrere, in quanto portatore anch'esso di luce e di conoscenza. Dal silenzio che segue si innalza l'intro melodico di "Natural Born Philosopher" che muta in un riffing serrato e grintoso. Un cadenzato break strumentale comincia a prendere forma, arricchendosi con rapidi tapping, finchè le chitarre non si uniscono in un'unica inquietante melodia, sorretta da un basso feroce e da una batteria fantastica. Il riffing rimane quasi invariato, fino a una brusca fermata, dopo la quale le chitarre lanciano brevi e feroci stilettate, in un aumento di melodia e tensione, reso ancor più velenoso da un malefico blast-beat. Poi, improvvisamente, regna il silenzio, sinistro, tenebroso; da tale oscurità si solleva con meravigliosa delicatezza un lavoro di piatti, preludio di un "progressiveggiante" break di batteria, che da il via ad un riff complesso, nel quale si incastona un articolato assolo, fatto di brevi iniezioni melodiche. La musica si fa più solenne, alla fine del quale tutto si spegne, mentre inizia la danza meravigliosa di due malinconiche chitarre acustiche, in una placida quiete bruscamente interrotta dall'attacco violento di tutti gli strumenti, che innalzano le ultime strofe. Accompagnato da queste articolate melodie, comincia un breve sermone, un sussurro parlato che afferma: "Ogni mondo ha il suo spazio / Ogni vita il suo tempo / Ogni massa il suo Dio / Ogni Dio la sua ghigliottina". Tale impeto, debitore della filosofia di Nietzsche, viene rinnovato col proseguire della traccia: "È questo tuo Dio, che io bramo uccidere / In modo da regnare universalmente". Il concetto stesso di "Dio" è il nemico, in quanto limitatore di libertà e pensiero, tiranno da detronizzare, e viene stordito dal basso, fatto a brandelli dalle chitarre laceranti, calpestato dalla batteria e poi schernito dalla voce. Una voce echeggiante implora l'Uomo: un invito a divenire un tutt'uno, a trovare un equilibrio, ad ascendere al cielo in quanto essere perfetto. Il testo poi sembra rifarsi a Schopenhauer e al suo "Velo di Maya", una maschera che distorce la realtà che cela. L'invito postoci in precedenza è chiaro, e si può interpretare su più livelli: Dio, la Religione, la Società, ci pongono davanti agli occhi immagini di una realtà irreale, distorte dalle loro macchinazioni; la realtà è davanti a noi, a portata di mano, pronta ad accoglierci, a venire plasmata dall'Essere Umano. Tutto ciò che dobbiamo fare è distruggere ogni ostacolo che si frappone fra noi ed essa, sia esso un capo politico, sia esso Dio, e ancor più un capo politico che si crede Dio. Dobbiamo anelare a tale libertà, e perseguirla. Nergal afferma di aver interpretato la teoria di Crowley che a sua volta afferma come "Ognuno sia una stella", elaborando il concetto in base alla sua visione del mondo. Con un riffing nervoso si apre "Christians to the Lions", le cui musiche rapidissime risultano più "grezze" dei pezzi precedenti. Il riff si fa meno frenetico, mentre un fiume di oscurità si riversa sul mondo, dopo la quale parte un assolo fulmineo, una valanga di note folli e ululati, al termine del quale il ritmo muta nuovamente, divenendo più serrato e imponente, inframezzato da rapidi virtuosismi della batteria. Si arriva così a un articolato outro, molto rapido e coinvolgente, che si interrompe bruscamente per lasciare spazio al pezzo successivo. La classica "bordata" costruita senza troppi accorgimenti, la raffica distruttiva di note degna di ogni buon disco estremo che si rispetti, il momento "topico", il culmine di potenza che le band come i Behemoth decidono di raggiungere per donarci un pezzo che rimanga saldamente impresso e funga da "sirena", per attirare gli ascoltatori alla scoperta dell'opera tutta. Missione più che riuscita, in quanto il pezzo in questione non solo è uno dei più famosi ma anche uno dei più citati del gruppo polacco, a livello di "slogan" (questo titolo è un po' l'anthem preferito da ogni fan dei Behemoth, tutto sommato). Così come la musica è meno elaborata rispetto a prima, anche il testo risulta meno criptico ed elevato, essendo una semplice auto-celebrazione di Lucifero, che ne glorifica il potere Satana schianta le sue catene e lancia la sua sfida a Dio, definendo lui e suo figlio nel peggiore dei modi, volenteroso di mostrarsi infinitamente più potente dei due: "Il tuo pallido dominio scompare / La mia volontà domina!", la musica accompagna questo momento apocalittico, accentuandone la maestosa terribilità: Satana è riuscito a compiere un vero e proprio deicidio, distruggendo il suo rivale di sempre; finalmente assurge a ruolo di dominatore incontrastato, il suo regno delle tenebre è appena giunto e così sarà per sempre, nei secoli dei secoli. Solo verso la fine la traccia si copre di un velo di poesia: "Sollevatemi, sollevatemi in alto! / Conducetemi attraverso le Porte del Sole [...] Dove gli angeli non osano volare [?] E guardatemi baciare le stelle". Nergal si ispira a una citazione di Crowley, creando un pezzo che racchiude tutto il suo odio per ciò che considera "stagnante, corroto e debole". Il brano è dunque deve essere interpretato come uno sprone a lottare per migliorare sé stessi. "Inauguration of the Scorpio Dome" inizia con una cupa base musicale, che col suo lento incedere accompagna parole sussurrate in una lingua sconosciuta, che termina con l'invocazione di Lucifero. Questa calma apparente, carica di tensione, viene squarciata dal violento cannoneggiare della batteria , che unita a basso e chitarre da il via a un intro molto tecnico, caratterizzato da melodie feroci e cambi di tempo repentini, che muta in un riff molto cadenzato, grazie ai colpi secchi della batteria. Con l'entrata della voce il ritmo cambia, con l'inserimento di un breve break strumentale, prima di ritornare in sé per sostenere nuovamente la voce. Si ha di nuovo il precedente break strumentale, nel quale la voce incastona con ferocia il titolo della canzone. Ora comincia una parte strumentale che mi ha letteralmente stregato, che inizia quasi timidamente, per poi prendere sicurezza e snodarsi in tutta la sua magnificenza, in un Prog maligno, estremamente tecnico ed elaborato, dove spicca una stupenda linea di basso. Un ululato delle chitarre pone fine alla magia, catapultandoci nuovamente in un riffing maestoso e feroce. La complessa musica diviene dapprima più rapida e spigolosa, mentre la voce si riduce a un ringhio, per poi divenire una pesante marcia martellante, che a sua volta muta in un complesso riff che chiude il brano. Il testo di questo brano è veramente criptico e difficilmente interpretabile: "Quindi, ogni Uomo e ogni Donna sono una stella / Ma chi è lo Scorpione, di fuoco inanellato / Laddove Diminuzione vuol dire Aumento?" il titolo fa riferimento a un noto film del regista Kenneth Anger, ovvero "Lucifer Rising", una pellicola esplicitamente dedicata alla formula thelemica ""Fare ciò che desideri sarà l'unica legge. L'amore è la legge, e l'amore sottostà alla volontà"", intesa come vivere una vita libera dal timore del giudizio, sia esso altrui o addirittura divino, e dedicarsi al piacere e al perseguimento della propria felicità. Lo scorpione poi, diviene un importante simbolo quando Crowley lo inserisce in uno dei suoi tarocchi, la Morte, facendolo nidificare tra fiori di palude appassiti. Questa immagine rende lo scorpione creatore di vita tramite la morte (il che spiegherebbe anche le parole "la Diminuzione significa Aumento"), e i Behemoth probabilmente lo utilizzano per indicare un "cambiamento", una rinascita che vede la scomparsa della contaminazione religiosa tramite la morte del nostro vecchio Io. Lo Scorpione, più che altro, ha un ruolo particolare all'interno dei tarocchi realizzati da Crowley, nel quale appunto esso rappresenta quanto enunciato sino ad'ora: rinascita attraverso la morte, difatti nella carta raffigurante "la Morte", uno scorpione è visibile mentre nidifica su dei fiori di palude in evidente stato di appassimento. Interessanti le strofe finali, nelle quali il testo diviene un criptico succedersi di immagini: "Una brezza, una foglia, un'ombra / La caduta di una gemma / Il vento attraverso il prato". Ancora una volta, i Behemoth ci sorprendono con dei testi rigorosamente Black Metal ma per nulla prevedibili o scontati. È ora la volta di "In the Garden of Dispersion", dove le radici Black dei Behemoth riemergono con prepotenza, con un attacco violentissimo che ci ghermisce e trascina in un fiume di note brutali. Il martellare della batteria porta a una musica di più ampio respiro, sebbene ugualmente feroce, dominata da una lenta melodia, che viene spezzata da un ringhio del cantante e si frammenta in un breve assolo, al termina del quale la musica riacquista la sua violenza. Dopo il ritornello tutto si quieta, mentre uno stupendo basso riverbera solitario per alcuni secondi, prima che un violento attacco delle chitarre spezzi questo momento di calma in un aggressivo break strumentale. La musica vede alcuni picchi con l'intercambiarsi delle strofe, ma mantiene prevalentemente un ruolo ritmico, con pochi momenti di estro strumentale. Il testo è molto poetico: "Sulla collina / Dove il sole si cela dietro l'orizzonte / Non vi è nulla / Tranne i nostri respiri..", gli ululati delle chitarre seguono la voce, caricando pochi secondi di ferocia musicale, prima che le parole riprendano con foga accresciuta. Non un "ritorno" alle origini ma comunque un bel rimarcare le proprie radici, in quanto non dimentichiamolo: il combo polacco ha iniziato essenzialmente come Black Metal band a tutti gli effetti, cercando di acquisire più o meno tutti i tratti salienti delle band famose del genere, prima fra tutte i Bathory. L'Eden è divenuto il Giardino della Dispersione, un luogo ormai devastato fin nel suo cuore, l'Albero Sacro di Adamo ed Eva, un marcescente cadavere in un luogo devastato, in cui l'unico a gioire è fautore di questa distruzione del sacro: il Nemico. Costui celebra la sua vittoria ai piedi dell'Albero del primo peccato, il cuore del luogo; tale nemico viene rappresentato come Tifone, un nome che caratterizza due personaggi particolari di due religioni, legate tra di loro a doppio filo. Da un lato abbiamo il Tifone greco: il più potente (dopo Crono) della stirpe dei titani, nato appositamente per distruggere Zeus, e padre di mostri mitologici come Cerbero e l'Idra, frutto dell'unione con la mostruosa Echidna. Questa creatura aveva una mole così terrificante da far fuggire in Egitto gli dèi, che mutarono in animali (antico aneddoto per spiegare gli dèi zoomorfi della religione egizia) quando li attaccò nel loro stesso regno, scalando l'Olimpo. Il titano ferì più volte lo stesso Zeus, prima dello scontro finale, nel quale tentò di lanciare un'isola addosso al re degli dèi, venendo però abbattuto dai suoi fulmini e rimanendo sepolto dalla mole della stessa. L'isola è la Sicilia e si dice che il mostro sia vivo, sepolto ma ancora terribile, soggetto ad attacchi d'ira che causano le eruzioni dell'Etna. Si presenta così come un Nemico principale, una nemesi assoluta degli dèi, così come il secondo essere che porta il nome di Tifone: il dio egizio Seth, divinità egizia del deserto, del caos e della distruzione. Questo personaggio e i suoi adoratori sono legati al progressivo passaggio, nella storia umana, da una divinità di tipo lunare-femminile a una di tipo solare-maschile, da una società matriarcale a una patriarcale. Tale cambiamento interessò specialmente le divinità, e fu allora che la dea Typhon e il figlio Seth (considerati come un'unica entità) ebbero la peggio, così come coloro che li adoravano. In queste tradizioni la donna diviene una figura tentatrice, per mezzo del sesso, la sensualità e le necessità fisiche che venivano considerate malefiche ed impure. I tifoniani diventarono gli Oppositori, che andavano contro il flusso della corrente culturale, contro il nuovo ordinamento e i nuovi dèi, e Seth-Typhon divenne il Tormentatore, l'assoluto nemico di Horus. L'influenza religiosa dell'Egitto sulla tradizione giudaico-ortodossa, portò a identificare Seth con Satana, tanto che il nome stesso "Satana" è formato dall'unione del nome di Seth con quello di An, dea della luna. Per questo, la distruzione dell'Eden e la gioia vittoriosa di Satana-Seth-Tifone, possono essere visti come un compimento del sogno dei tifoniani: un ritorno dell'equilibrio nel mondo con la vittoria della Dea Madre sul Dio Sole. Non una vittoria definitiva tesa a sostituirlo nuovamente, bensì una vittoria che spazza via la misoginia religiosa degli ultimi quattromila anni di storia, con un equilibrio delle due potenze, dei due sessi, che porta una nuova era di Illuminazione. Nergal fa riferimento alla "Postura della Morte" è una tecnica magica usata per sconfiggere un'entità nota come "Guardiano dell'Uscio", una tappa fondamentale in un rituale atto a entrare in profondità nel nostro subconscio. Il cantante afferma: "La postura e l'argomento di questo poema sono collegati al classico simbolismo del sabba e vengono usati dai maghi della mano sinistra, la corrente typhoniana della magia Thelemica". E ora, con un intro lento e accattivante, comincia "The Universe Illumination (Say 'Hello' To My Demons)". La melodia introduttiva delle chitarre prosegue, finchè le sue note non vengono appesantite da secchi e potenti colpi della batteria, che si lancia in un rapidissimo blast-beat, sul quale le chitarre continuano come se nulla fosse, imperterrite e assorte nel loro mantra. Ma all'improvviso, ecco che esplode una rapida melodia orientale, seguita da un ruggito. La musica iniziale prosegue per qualche attimo, prima di mutare in un riff cadenzato fatto di rapide e brutali raffiche di note in successione, alla quale la voce si unisce. Il riffing continua invariato, arricchito da inquietanti choir d'atmosfera dati dalle tastiere. Parte una rapidissima melodia orientaleggiante, che sorregge parole ruggite in una lingua misteriosa, alla fine delle quali risuona un ruggito belluino, mentre la melodia si fa più imponente. All'improvviso, rapide raffiche di batteria aprono la strada all'assolo, lento e maestoso, che prosegue meraviglioso anche dopo la ripresa della voce per le strofe finali, prima di mutare in un outro imponente, una musica potente e imperiosa che termina in un progressivo sfumare. "Un circo, il Saggi definirono il mio mondo" , il testo afferma che la Vita è "un teatro / In cui tutti noi siamo attori" . Il testo risulta piuttosto vago, ma sembra un flusso di pensieri e ricordi nella mente di Lucifero, che ricorda con tristezza l'orrore scatenato da Dio su Sodoma, rasa al suolo nel tempo di un respiro, con la popolazione massacrata da una pioggia sulfurea. Il protagonista ripensa con un tremito alla morte scatenata quel giorno, accusando Dio di aver fatto ciò a cuor leggero, senza un briciolo di pietà, e di aver quasi rimosso il ricordo come si fa per un capriccio temporaneo, quasi fosse un bambino viziato che non aveva nulla di meglio da fare. "La mia è "solo" una vuota risata / Un singhiozzo silenzioso e un gesto impotente". Nergal afferma che il mondo può essere ben definito dal detto "Niente è reale... tutto è lecito!", e si riferisce al fatto che, con le nostre percezioni, siamo gli artefici del nostro mondo, e che la vita dipende da come ognuno la interpreta. Relativismo allo stato puro, la totale antitesi del pensiero dogmatico della Chiesa Cattolica, che invece infonde nei suoi fedeli paure ed angosce, grazie alla sapiente invenzione di varie punizioni divine, le quali scattano non appena si pensa anche solo di contraddire la volontà del Padreterno. Per Nergal non è possibile accettare di essere asserviti, di vedere i propri sogni denigrati e percezioni le ali del nostro Io tarpate. "Vinum Sabbati" si apre con una lenta musica, una melodia dalle venature orientali carica di tensione e magia, che prende via via velocità, fino a venire spezzata dalla batteria, la quale dapprima si fa ascoltare timidamente ma in seguito si lascia ad andare a vari giri aggressivi e potenti, battendo precisamente il tempo ed in seguito portando a un riff feroce ed entusiasmante, che viene arricchito in sottofondo dalla melodia iniziale nel momento in cui il possente Nergal viene "aiutato" da una voce che canta in Greco Antico. Quest'alternanza continua, con il singer sempre spalleggiato dal "cantore greco" in più di un'occasione, il contesto musicale è splendidamente estremo e mantenuto tale da una batteria a dir poco possente. La chitarra svolge benissimo il suo compito e di seguito parte un assolo meraviglioso, incredibilmente evocativo e solenne. Riprende il riff, che continua senza variazioni fino alle ultime strofe, dove gli si sovrappone una melodia lenta e avvolgente. La musica prosegue, carica della sua ammorbante bellezza, finché un ruggito non ne scatena la ferocia latente, chiudendo il pezzo con un turbine di note frementi e ululanti. Il testo descrive il sabba, un "equinozio del desiderio" dominato dai poteri delle streghe e dalle loro virtù, definendo questo rito come un rito di libertà, una ancestrale celebrazione orgiastica, legata ai culti dionisiaci e ancora più anticamente ai riti della fertilità, una parte integrante del tessuto del mondo umano, un mondo dal quale i partecipanti si distaccano, con una mente offuscata dai fumi delle incensiere e dai vuoti comandamenti divini. Il vero mondo è quello del Sabba, quello dell'ebbrezza del vino che ci porta ad essere un tutt'uno con gli Dei. I bagordi orgiastici non sono da condannare, ma anzi da celebrare e da intraprendere, ad ogni costo, per capire cosa sia veramente la libertà. "Sollevate la scala / Di blasfemie / Torreggiante sopra il Cielo / Dove risuonano le nostre vuote risate / E dita toccano il volto / Di un Dio debilitato". Secondo Nergal, il testo di questobrano è inoltre una spiegazione della magica formula dello Zos Kia Cultus di Austin Osman Spare, e descrive la sua applicazione "pratica". Osman era un occultista inglese inizialmente associato a Crowley, finchè le loro idee non divennero contrastanti, portando Crowley a considerarlo un "Fratello Nero". È ora la volta di un pezzo più autobiografico: "23 (The Youth Manifesto)", che inizia con un inro in tapping, accompagnato da una batteria eclettica, in una musica ipnotica, di una bellezza ossessiva. Una melodia che ci rapisce e ci trasporta nell'occhio del ciclone, all'interno del nero mondo dei Behemoth, in questo pezzo maestri (ancor più) cerimonieri di tutte le dottrine sino ad ora professate. Presto intervengono secchi accordi che ne aumentano la potenza, mentre due voci pulite si sovrappongono, una più calma e profonda, l'altra più infervorata. Alla fine è Nergal che arriva a sovrastare la scena con i suoi ruggiti, questi ultimi sempre sorretti dall'ipnotica melodia sino ad ora udita. Sopraggiunge improvvisamente il silenzio, ma il tutto è destinato a durare poco, in quanto la batteria riprende a picchiare duro e precisamente, un silenzio che viene a poco a poco spezzato da un breakdown incredibile, una marcia imponente e solenne carica di bellezza e potenza, che si spegne all'improvviso, per lasciare spazio a una quiete sinistra, nella quale dominano rumori indefiniti, fra cui una vibrazione asfissiante, simile al canto di un grillo, che imperterrita arriva sino alla fine del brano, che si chiude sfumando. Il testo è riferito all'età di Nergal, che fa voto, sia a sé stesso che al mondo, che il suo spirito e la sua volontà sorpasseranno la morte del suo corpo. "23 anni di un lungo viaggio / In mezzo ai morti viventi [...] Io pago per il retaggio dei padri / Mezzo uomo, mezzo bestia / DEMIGOD!". Mentre la musica prosegue, la voce muta in un ruggito feroce: "E la mia fame non è mai stata nutrita / I miei desideri mai compiuti La mia Volontà trasgredisce / Lo Spirito sopravvive!". Le ultime due frasi vengono ripetute più volte fino al La sua immortalità diviene chiara con la trionfale marcia finale, in quanto l'Arte sopravvive ai suoi fautori e ne rispecchia lo spirito e gli intenti, per cui quello che Nergal si impone come obiettivo di vita è il sogno di ogni artista, che può fare affidamento solo su sé stesso per compierlo. Nergal riferisce che il tutto è stato ispirato da una massima udita in passato da un suo amico, il quale sosteneva che, per quanto gloriosi, i tempi passati non potranno mai essere superiori, in termini di soddisfazioni, a quelli futuri. Nergal fece suo questo detto, volenteroso di continuare a vivere seguendo i dettami espressi in questo disco per vedere sin dove egli sarebbe riuscito effettivamente a spingersi. Il Futuro è nostro, ci appartiene, e sta a noi renderlo più grande del passato, facendo in modo di vivere in piena libertà ed autonomia. Al pezzo segue "The End", una manciata di secondi in una atmosfera silenziosa e carica di tensione, fino all'esplosione di una assordante voce filtrata "LIBERA LA TUA MENTE, SEGUI IL CONIGLIO BIANCO!", riprendendo la nota massima creata ad hoc dopo aver attinto a piene mani dal mondo fantastico di Lewis Carroll, autore della celeberrima opera "Alice nel Paese delle Meraviglie". Proprio seguendo un coniglio bianco nella sua tana, Alice riuscì ad entrare nel "Paese delle Meraviglie", un mondo inusuale ove dominavano la pazzia e la stravaganza, e dove le normali regole della società venivano sovvertite se non del tutto eliminate. Dobbiamo dunque seguire l'esempio della ragazza e seguire il "coniglio bianco", cioè quanto enunciato sino ad ora dai Behemoth, che ci condurranno a loro volta in un paese delle meraviglie, fatto di libertà e dove la Chiesa non potrà imporci più nulla.
Il bello dei Behemoth sta nella loro imprevedibilità. La loro arte (perché di questo si tratta) è mutevole, hanno quell'apertura mentale che gli consente di non fossilizzarsi su uno stile, di spaziare, di adattare la musica al loro pensiero e alla loro filosofia, e non rimanere intrappolati dalle loro stesse gabbie. Questa loro attitudine al rinnovamento, questa continua ricerca di quel "qualcosa in più" che li distingua dal resto della massa, è una vera e propria garanzia, l'ingrediente segreto della loro alchimia. Rispetto al precedente "Satanica", infatti, vanno evidenziati diversi passi avanti, a partire dalla musica, strutturalmente più complessa, che si arricchisce di una vena prog che di tanto in tanto torna in superficie, permettendo ai loro brani delle digressioni musicali stupende; va inoltre evidenziata una massiccia presenza di melodie di stampo orientale, un'innovazione solo sfiorata nell'album precedente e qui utilizzata già con maestria, frutto dell'influsso musicale dei Nile, una importante influenza stilistica per i giovani Behemoth. Oltre alle innovazioni musicali troviamo anche testi molto articolati e curati, con messaggi complessi interpretabili su più livelli, un linguaggio spesso criptico ma con una bellissima inclinazione verso la poesia, e la decisione di articolare il proprio messaggio musicale sul pensiero di Crowley, che li porta a sognare un mondo dove vige la legge del "Fai ciò che desideri". Questo sogno di libertà, questa volontà di spezzare le catene della società, della religione e del pensiero di massa, diventa una missione, nella quale l'unica arma è la musica. Il gruppo cerca questa libertà nelle culture opposte a quella globale, in antiche tradizioni e filosofie soppresse e demonizzate, nelle quali si trovano messaggi e figure che accomunano il mondo da un polo all'altro, con divinità e miti che anziché relegare l'uomo a misera pedina asservita, lo innalzano e lo abbracciano in una visione di armonia universale, e lo rendono partecipe delle meraviglie del mondo, e lo inseriscono nel tessuto pulsante della Vita, rendendo effettivo il suo libero arbitrio. C'è solo una cosa che rimane invariata in ogni disco dei Behemoth: la passione. Perché ogni disco è curato e creato in un'ottica che va ben oltre la fredda manodopera operaia, ed è carico di pathos e di amore per la musica, per l'arte, per la libertà, per la bellezza e per sopratutto per l'Essere Umano, che sebbene venga spesso denigrato e insultato, è il fulcro intorno al quale il messaggio dei Behemoth è articolato, e ogni accusa mossa contro di esso è atta a scuoterlo, a renderlo più consapevole e indipendente, ad aprirne la mente in modo che riesca ad abbracciare il concetto di sé senza che le differenze e i contrasti insiti in tale concetto lo dividano, in modo da poter creare un mondo dove "Ogni uomo e ogni donna sono una stella".
1) Antichristian Phenomenon
2) The Act of Rebellion
3) Inflamed With Rage
4) ΠΑΝ ΣΑΤΥΡΟΣ
5) Natural Born Philosopher
6) Christians to The Lions
7) Inauguration of the Scorpio Dome
8) In The Garden of Dispersion
9) The Universe Illumination
10) Vinvm Sabbati
11) 32 (The Youth Manifesto)
12) The End