BEHEMOTH
The Satanist
2014 - Nuclear Blast
PAOLO ERITTU
01/05/2016
Introduzione Recensione
"'The Satanist' è un manifesto, nel quale noi costruiamo metaforicamente il nostro risentimento verso l'ordine imposto dal condizionamento sociale e culturale. I nostri suoni e le nostre parole, nell'album, sono come un fallo gigante che stupra brutalmente ogni concetto di taboo e santità. The Satanist è il manifesto di un uomo saggio, un uomo libero, che osa dire 'No'." Adam "Nergal" Darski
I Behemoth hanno sempre incentrato la loro arte sul concetto di ribellione, musicalmente e concettualmente, e lo hanno fatto in una corrente musicale, il metal, che fa (o dovrebbe fare) della ribellione la sua bandiera. Non parlo di ribellione con un'accezione infantile, piuttosto intendo la ribellione come il diritto e il dovere di combattere per la libertà e l'individualità, siano esse proprie o altrui, fisiche o concettuali, qualora dovesse esserci un'oppressione da parte di un potere superiore o presunto tale. La ribellione è l'unico canale tramite il quale la violenza può avere un'utilità, e non prevede che chi si ribella divenga a sua volta un oppressore, perchè la ribellione è una ricerca di equilibrio, è un concetto che vede nella propria distruzione il fine ultimo, utopico ma degno. Sono molti i volti che la ribellione ha assunto nel corso della storia umana, in risposta a innumerevoli torti, oppressioni e violenze, sempre imposte dalla codardia di chi si ritiene superiore, e crede che l'unico modo per realizzarsi sia impedire agli altri di farlo. Con l'evolversi della società, l'oppressione ha infatti assunto infinite forme, tutte figlie dell'ignoranza, ma invasive in modo diverso. Si parte da quelle più "fisiche" e basilari (massacri, segregazioni, persecuzioni) fino ad arrivare a quelle più "concettuali", più subdole e per certi versi più pericolose. Di queste ultime, la più diffusa è la religione. Di per sé, sembra innocua, ed analizzandola in relazione all'epoca in cui viviamo essa si palesa per quello che è: una favoletta sviluppata per ignoranza o per convenienza, un cancro creato dall'uomo e per l'uomo, bene che vada una sciocca ricerca di risposte per sciocche domande assolute. Ma questo in termini teorici, perchè con quello che la religione è divenuta e ha causato, essa si può classificare come una vera epidemia, che affligge coloro che non riescono ad accettare le dinamiche della vita. Tali dinamiche infatti non hanno un perchè, e non hanno un fine, se non la vita stessa. Inizialmente la religione era una glorificazione del mondo e dell'Uomo come parte di esso, e la spiritualità che la permeava era positiva nel suo inneggiare alla vita e alle sue varie fasi. Vi erano vaghe divinità che riflettevano il mondo che l'Uomo vedeva intorno a sé, e che non erano altro che una personalizzazione del mondo stesso, un'interpretazione in chiave umana del disumano, più consapevole e pura di quello che sarebbe divenuta; l'essere umano non èuna creatura superiore, ma parte integrante di un Cosmo, inscritto nella sua circonferenza. Col passare dei secoli, dai culti preistorici si è arrivati alle religioni politeiste, che con complesse allegorie e infinite sfaccettature riuscivano comunque ad accomunarsi tra loro, essendo in generale caratterizzate dalla tolleranza reciproca, che più volte è sfociata nella sincretizzazione, cioè nella fusione dei culti e delle figure che in essi comparivano; si evidenzia però un emergere dell'uomo come creatura superiore alle altre, un essere favorito dal divino (da lui creato). Questo fino alla diffusione incredibile delle religioni monoteiste: il concetto di base di tali religioni è che siamo esseri imperfetti e inferiori (anche se sempre superiori al mondo che ci circonda, creato per noi), creazioni e giocattoli preferiti di un unico Dio che si presenta come un vecchio ben portante affetto da lunatismo, piuttosto burbero (ha il massacro facile), auto referenziale, geloso, sadico e incredibilmente misogino, insomma, un soggetto profondamente disturbato. Considerando la sua natura, non c'è da stupirsi che il suo fan-club sia un'orda di individui che riesce ad accettare che parole incitanti all'amore siano seguite da parole incitanti al massacro, e che commetta le più oscene atrocità mentre solleva cori per la pace di tutte le cose. Se non fosse che non esiste e che è il risultato sfuggito di mano delle menti di uomini morti millenni fa. La religione è, quindi, un'arma tra le più pericolose in assoluto, una favola degenerata in una follia stratificata, che ha corroso l'anima stessa dell'umanità. Per tornare ai nostri amici di Danzica, è quindi facile capire perchè abbiano improntato i loro testi a tematiche (anti)religiose: nati e cresciuti in una nazione dalla fervente fede cattolica, sono sempre stati immersi nella religione e nei suoi rigidi dettami, una gabbia troppo stretta che è presto stata distrutta, con la decisione di aderire a un movimento culturale e musicale antitetico al conservatorismo che il cattolicesimo radicale comporta. In verità i loro testi iniziali seguivano le classiche tematiche del Black Metal: lupi, ghiaccio, tematiche oniriche, Tolkien e freddi paesaggi crepuscolari, ma in seguito, con la maturazione culturale di Adam Darski (fondatore, frontman e mente dei Behemoth), il gruppo decise di deviare bruscamente rotta, e aggredire il più grande nemico della Polonia dopo Hitler: la sua identità religiosa. La stessa identità che portava la massa a insultare ciò che non comprendeva e a emarginare coloro che non vi si amalgamavano. In sintesi, i Behemoth hanno deciso di combattere la religione con la religione, rivoltando contro di essa ogni parola, mettendo in evidenza tutte le sue falle, facendo crollare il suo apparente muro di inviolabilità (e sopratutto originalità). Certo, molti l'hanno fatto prima di loro, l'idea non è nuova, ma è nuova la messa in atto: i loro testi non si adagiano su un basilare letto di insulti e satanismo becero (che rappresenterebbero un ineffettivo e banale attacco, un qualcosa che difatti sarebbe infantile e omologato), ma piuttosto spaziano nella storia e nella cultura di tutto il mondo, smontando la religione monoteista nella sua essenza. Miscelano con sapienza il mondo dell'occultismo, figure letterarie ribelli e innovative, artisti maledetti e culture antiche, creando un unico ma diversificato flusso di temi, figure e simbologie, che si ricollegano tra loro, scendendo sempre più in profondità nell'animo umano e recidendo tutti i legami che lo collegano al cancro della religione. Gran parte dei loro testi è talmente articolata da risultare praticamente incomprensibile se non è analizzata e contestualizzata, e il fatto che in ogni album tale complessità si sia solo accresciuta e diversificata, mette in chiara luce la passione dei polacchi e la volontà nel perseguire la loro guerra. La loro poetica è antropocentrica, con l'Essere Umano come vero protagonista, poiché tutti i culti impiegati (che spaziano dalle religioni primitive al satanismo spirituale, passando per l'induismo, la religione egizia, quella greco-romana e quelle mediorientali, insieme ovviamente alle religioni monoteiste abramitiche) sono solo una fonte di simbologie da interpretare che servono come esempio per indicare il cammino della libertà umana: la stessa figura di Lucifero, l'antagonista, al-Shaitan ("il Nemico" per le religioni monoteiste), assume una connotazione di exemplum, è la luce che indica la via con le sue azioni. L'angelo ribelle che si è opposto a Dio, l'oppresso che si è ribellato, la personificazione non solo della ribellione, ma anche del lato altruistico di essa, in quanto viene proposto non come un nuovo Dio, bensì come un personaggio titanico e prometeico, una figura maledetta ma amica dell'Uomo. Il messaggio ruggito nel microfono è solo uno: "ribellati!". Ribellati ai dogmi, ribellati al potere, alle regole che opprimono te ma anche a quelle che opprimono gli altri; devi schiacciare tale oppressione senza pietà e con un cuore di pietra, e mai cedere alle sue lusinghe: vuoi una vita dopo la morte in un paradiso terrestre? Questa è la tua vita, e questo mondo potrebbe essere il tuo paradiso, se tu solo lo volessi. Vuoi un motivo per giustificare la tua esistenza? Dattelo da solo. Diventa il tuo stesso dio, e non accontentarti di sopravvivere: vivi! Considerando quindi la discografia precedente di una band come i Behemoth, non sapevo cosa aspettarmi da questo ultimo disco. Mi chiedevo se sarebbero riusciti a portarsi ancora una volta in avanti, come si sarebbero staccati dai precedenti lavori, cosa avrebbero potuto dire che non avessero già detto, date le loro manie di perfezionismo. Ero scettico, e temevo un album non all'altezza dei predecessori, che non potesse aggiungere nulla alla loro carriera. Ma sono stato smentito, con mia assoluta felicità. Quest'opera prende tutto ciò a cui i polacchi ci hanno abituati e lo eleva con maestria: gli exploit di pura violenza sonora vengono rielaborati e arricchiti con una vena di raffinata potenza, la musica cresce in magniloquenza, forte di una produzione insuperabile che trasforma ogni nota in un capolavoro, rendendo il Male che ne traspare un entità viva, sinistra e insinuante. Quest'album segna il passaggio verso un baratro di oscurità più profondo, dal quale risale una musica che cede lievemente sul versante della potenza puramente fisica (almeno rispetto ai lavori precedenti), trasformandola in una potenza concettuale, più tematica e alta, ma non per questo meno violenta. Ritroviamo i suoni abrasivi di Zos Kia Cultus (Here and Beyond), la ferocia primordiale di Demigod, la sinistra eleganza di Evangelion, ma in generale tutti i lavori precedenti diventano delle ramificazioni, che vivono e crescono nascoste sotto la folta chioma che quest'opera rappresenta. Ma non finisce qui, perchè il gruppo, come già aveva iniziato a fare negli album precedenti, riesce a staccarsi ancora di più dalle etichette musicali: la base è naturalmente il metal, con influenze che variano da pezzo a pezzo, ma ad esso si aggiungono altri fattori, come un uso di orchestrazioni superiore a quello di qualsiasi album precedente, e che assume qui un ruolo di rilievo, divenendo più di un semplice supporto, in quanto prende le redini dei vari pezzi quando viene richiesto. Si spazia tra sonorità metal pregne della più nera brutalità, fino a intermezzi di stampo quasi jazzistico, mentre i gli ottoni dell'Hevelius Brass Quintet e gli archi della Polish Chamber Orchestra Sopot si ritagliano una parte fondamentale nel sound, così come i cori. Questa musica, come Nergal ha più volte ribadito, rifugge qualsiasi classificazione, poiché il gruppo utilizza ogni mezzo per rendere al meglio ogni singolo pezzo e donargli un'atmosfera unica. Troviamo ancora la consolidata formazione che vede Darski alla voce e alla chitarra (oltre che ai testi, aiutato in alcuni casi dal fido Krzisztof Azarewicz), Patryk "Seth" Sztyber alla seconda chitarra, Tomasz "Orion" Wròblewski al basso e Zbigniew "Inferno" Prominski alla batteria; il quintetto è insieme ormai dal 2004 e ha dimostrato di saper lavorare in maniera affiatata non solo in studio, ma anche in sede live. È dunque il momento di immergerci in questo flusso nereggiante, e vedere cosa ci riserva questo lavoro.
Blow your Trumpets Gabriel
Il disco parte con "Blow your Trumpets Gabriel (Soffia nelle tue trombe, Gabriele!)", aperta dalle lente e pesanti chitarre unite in una marcia funerea, minimale ma trascinante. Dopo qualche attimo rimbomba una singola nota del basso, che dopo un attimo di pausa si unisce alle chitarre, presto seguito da una secca batteria. La cadenzata melodia viene presto sovrastata dalla voce, un malefico gorgoglio di puro male, che apre il disco con un blasfemo incipit, prolungando il ruggito finale mentre con uno scatto della batteria la musica si impenna, portando a un magniloquente break che vede come protagonisti degli ottoni solenni e malinconici. Ma ecco che il riffing riprende ossessivo, supportato da cori incitanti, lanciandoci nel maestoso ritornello. Qui la musica varia per un istante, arricchita da cori esaltanti, caricando i seguenti attimi, dove il basso e la doppia cassa della batteria riprendono con pacatezza il riff principale, mentre intorno a loro echeggiano inquietanti rumori e sospiri. Questa fredda calma apparente viene lacerata dall'esplodere di un improvviso raptus di violenza, nel quale si innalzano cori a supporto della voce ruggente, mentre le chitarre formano un coro supportato da una batteria e un basso devastanti, in un'accelerazione sonora che ci scaglia addosso le ultime strofe, precedute da un semplice assolo di pura distorsione. Col termine dell'ultima sillaba la voce viene soffocata da tristi note, che danno vita a un meraviglioso outro strumentale dove le chitarre arpeggiano sulle note di un basso sublime, mentre la batteria, dapprima tentennante, si lascia poi andare in un blast-beat disperato, mentre dei fiati si sollevano con maestosità, sempre più alti e imperiosi, in un picco musicale di rara bellezza. Il testo comincia con i ricordi di Lucifero, che rimarca la sua antichità ricordando ciò che avvenne all'alba dei tempi: "Vidi la fica della vergine far fuoriuscire il Serpente / Sono stato testimone della rovina delle tribù di Giuda / Ho visto i dodici Discepoli dissolti dalle fiamme / Ho osservato dall'alto il Figlio di Dio / Spentosi invano". Egli ha osservato l'operato del padre e il destino di coloro che l'hanno seguito: Eva cedette alla Tentazione, le adoranti tribù di Giuda vennero distrutte dagli eoni, i discepoli martirizzati, e perfino il figlio di Dio morì in maniera orribile. Dio emerge come un burattinaio sadico: se egli è veramente un essere onnipotente, onnipresente ed onnisciente, che tutto ha creato e tutto controlla, è chiaro che ha voluto che tutto ciò accadesse, come se la sofferenza della razza umana, e la caduta dei suoi fedeli fossero un intrattenimento. Egli avrebbe potuto impedire tutto fin dal principio, ma non l'ha fatto, e a questo punto i dubbi sono leciti. Ci prova gusto? È tutto un suo sadico passatempo? O forse non è l'essere perfetto che i suoi seguaci professano? La risposta potrebbe essere ancora più semplice: chiunque si sia inventato la sua esistenza, così come tutti coloro che nei secoli hanno sviluppato la mitologia a lui legata, hanno agito in maniera confusionaria e discordante, ammonticchiando idiozie su idiozie senza un disegno chiaro in mente; per tale motivo poi giustificano le varie falle e oscenità propagandate come qualcosa che l'uomo non può comprendere, come un disegno che sfugge alla nostra mente inferiore, quando in realtà non c'è nulla da capire, se non il fatto che tra le innumerevoli religioni del mondo questa sia una delle più dannose (e senza dubbio la più denigrante sul piano della dignità umana). "Soffia nelle tue trombe, Gabriele! / Come quando io vidi lo smarrimento dell'Eden / Spezza il pane / E briciola dopo briciola nel recinto del Leviatan / Le nazioni cadono preda / Salutate il mio ritorno!". Lucifero schernisce il fratello (che qui potremmo identificare come la propaganda religiosa), e ridicolizza la sacralità della Comunione tra uomo e Dio, sottolineando il fatto che i credenti del mondo vedano oramai sgretolarsi le loro certezze, e cadano preda della loro stessa follia. Il Leviatan era infatti una creatura immane che rappresentava (insieme al Behemoth) la potenza della Natura; le strofe a esso legato quindi rappresentano la fede umana (vale a dire il pane dell'Eucaristia) che si sgretola, e i fedeli che, come briciole che cadono dal piatto, ritornano ad identificarsi come parte integrante della Terra, riprendendo il loro posto all'interno del Cosmo (quindi il microcosmo dell'Uomo e il macrocosmo dell'Universo tornano ad allinearsi). Lucifero appare speranzoso, e in un certo senso nutre fiducia nella razza umana, augurandosi che essa realizzi l'irrazionalità della religione, e che segua la luce della Conoscenza e della Ragione, l'unica forza che possa contrastare gli abissi dell'ignoranza cieca derivante dalla fede. "Osanna, osanna! / Lasciate che il vino di Sodoma vi riempia la bocca! / Osanna, osanna! / Possano i peccati di Gomorra glorificare i nostri cuori!": l'invocazione finale è un incitamento a distruggere la mentalità di penitenza che la religione impone, per godere di qualsiasi cosa appaghi il corpo e la mente (il vino di Sodoma e le passioni carnali di Gomorra, che erano due potenti città distrutte da Dio perchè considerate culle del peccato).
Furor Divinus
"Furor Divinus (Furore Divino)" esplode con tutta l'inaudita potenza che la batteria è in grado di scatenare, mentre basso e chitarre seguono a ruota, in una incipit maestoso di Black tecnico e pregno della più bruciante ferocia, che prosegue finchè un ruggito non rende il ritmo più cadenzato. Con l'attacco della voce, la batteria si cimenta in complessi pattern, mentre le chitarre viaggiano su note alte e laceranti. Il primo ritornello vede una musica angosciante ed energica, che assume l'andamento di una folle danza, creando una sensazione di soffocamento e inondandoci di raffiche di note nervose. All'improvviso la batteria crea l'ossatura del main-riff con ritmi più lineari, mentre alte chitarre cantilenanti vengono innalzate da un basso chirurgico, sostenendo la parte centrale del testo. Torniamo poi su note più basse, giungendo a un breve break dove la batteria cannoneggia con estro e le chitarre sollevano cori sinistri, prima che la musica prosegua brutale e imponente e torni al main-riff, scandito da secchi colpi di rullante. Si ha poi l'ultimo ritornello, che come il primo è portato avanti da un ritmo danzante, in una rimbombante valanga che si ferma bruscamente con le ultime sillabe ringhianti. "'Veto!' (in latino 'Mi oppongo!') ho vomitato / Da una gola strozzata da una corda / Mentre una torma folle / Scuoteva laceri piedi incatenati / Entrambe le ali strappate via". Si ha un incitamento alla ribellione rappresentato da Lucifero, che sebbene sia torturato, sanguinante e incatenato, non rinuncia a ruggire il suo sdegno e a ribadire la sua individualità in faccia a un Dio tirannico, che sopprime qualsiasi speranza di libertà e auto-realizzazione. Il messaggio è chiaro: chiunque tu abbia davanti, per quanto tu possa essere oppresso, abbi il coraggio di dire 'No', di ribadire che tu sei libero dalle sole catene che contano, quelle che limitano la tua coscienza e la tua volontà. Le sevizie che la creatura subisce sono orribili, e la vittima le elenca con tono di sfida nel ritornello, come per ribadire che non lo piegheranno: "Strappami gli occhi / Staccami la lingua / Fammi schiavo della gravità! (le sue ali infatti vengono strappate ed egli fatto precipitare sulla terra)". La risposta di Dio è spietata: "Fatelo piangere fino a finire le lacrime / Che pianga sangue / E abbandonatelo all'atrofizzazione". Il testo descrive poi il tentativo di rappresaglia del Caduto, che cerca in tutti i modi di sconvolgere il Creato ("Ho cercato la rappresaglia in alto e in basso"), mostrando senza vergogna la propria natura devastata: "Osservate l'anatema della benedizione!". Annuncia poi che "Il sacrilegio si manifesta nel Getsemani!", riferendosi all'accettazione della Passione da parte di Gesù: Dio permette che suo figlio (che appare umanamente impaurito quando dice: "se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà") venga torturato e ucciso al fine di perseguire il suo disegno malato. Lui -essere onnipotente- non riusciva davvero a ideare un modo migliore per purificare l'uomo, se non sacrificando il proprio figlio in maniera così orribile? "Furore Divino / Il peccato consacrato si è fatto carne": quale peccato è infatti più aberrante di un padre che sacrifica il proprio figlio (oltretutto per via di una colpa che egli stesso (nella sua "misericordia") ha stabilito? Lucifero tenta quindi di distruggere il sistema predefinito cercando di liberare il Mondo delle Casualità, in un tentativo di boicottaggio che si perde negli abissi del Mito: "Solleva il coltello Abraham / E taglia la gola del tuo unico figlio / Rivolta la storia dell'Uomo / Fotti e cancella il Mondo!". Nel mito di Abramo si manifesta la follia della fede selvaggia, una fede che porta un padre a sacrificare il proprio figlio solo perchè gli viene suggerito da una voce "risonante e ben modulata" (tanto per citare Woody Allen). Abramo avrebbe senza dubbio compiuto il gesto, e se anche Dio l'ha fermato, di fatti egli aveva solo provato di essere un folle e cieco credente, un uomo irrazionale che non si rendeva conto che nessun Dio che fosse davvero buono e misericordioso avrebbe voluto una cosa simile, né sarebbe stato felice per la cieca accettazione di una tale follia.
Messe Noir
È ora la volta di "Messe Noir (Messa Nera)" dove oscuri arpeggi vibranti sottolineano ogni parola, mentre la batteria danza leggiadra sulle granitiche note del basso, in una melodia che muta nel ritornello, divenendo un muro di feroci riff puntellato da un blast-beat magnifico. Dopo il secondo ritornello la musica di viene più martellante, e la batteria riprende la sua danza, con una maestria strumentale commovente, portando con sé un'ondata di puro Black, con una doppia cassa che viaggia su ritmi folli, a braccetto col basso roboante, mentre le chitarre danno vita a un roveto di feroci riff. Dopo questa nera culminazione il pezzo si riporta per un attimo sugli arpeggi iniziali, prima di virare verso riff altisonanti e suggestivi, mentre i chitarristi snocciolano un assolo meraviglioso dopo l'altro, conducendoci per mano verso il finale. Il testo è un nero sermone che inizia ovviamente con la pronuncia del Credo: "Io credo in Satana / Che squarcia sia i Cieli che la Terra / E nell'Anticristo / il suo caro illegittimo / L'angoscia del nostro futuro / Bastardo generato da una menzogna / Nato da una monaca prostituta / Regna alto nella lussuria / Sopra i Re degli Uomini". Lucifero analizza qui il suo rapporto con Dio, utilizzando "parole taglienti come una spada". Egli lo schernisce scimmiottandolo e sottolineandone l'ipocrisia: "Risorto in tre giorni - il Grande Ingannatore (titolo usualmente riservato allo stesso Lucifero) / Benedico il mondo con ira e calamità". Il Caduto afferma: "IHWH, mi apostrofasti dicendo: / 'Tu, distruttore, sbilanciamento delle mie creazioni!'"; al che, a tale insulto egli risponde con una rappresaglia di scherno accondiscendente: "Perciò io trafiggo nella beatitudine della flagellazione / Sono bruciato in estasi, mentre le ceneri si innalzavano... [?] Divenni la Legge sopra tutte le Leggi [?] Mi separai dalla Fonte Celeste". Egli nasconde sotto l'ironia il dolore e la delusione, che emergono però nella frase: "Pregai di morire in te, o Signore / Ora prego che tu muoia in me!". Emerge poi la figura del Satanista, che chiarisce la sua volontà di punire il mondo, corrompere e portare alla distruzione la sua natura già marcia: "Chi sarà a crocifiggere gli ultimi profeti / E a farli essiccare su pali scheggiati?", colui che potrà "Salire e sedersi / Alla sinistra di Satana". Il mondo è talmente corrotto che per poter rinascere deve essere distrutto; la Morte e la Rinascita fanno parte dello scorrere naturale delle cose, in quello che viene definito "Mondo senza Fine", per rimarcarne la natura ciclica. "Amen".
Ora Pro Nobis Lucifer
Adesso è la volta di "Ora Pro Nobis Lucifer (Prega per noi, Lucifero)", dove ai sostenuti accordi di una chitarra risponde a tono l'altra, con un elegante arpeggio che viene interrotto da uno scatto nervoso della batteria, che con un ritmo cadenzato e grintoso scandisce l'intro del brano. Ma ecco che la doppia cassa inizia a cannoneggiare, mentre con un lavoro chirurgico di rullante e di piatti parte un pezzo al fulmicotone, rovente e aggressivo, sorretto da un potente coro di chitarre, che con raffiche di poche note, riescono a costruire un riff incredibilmente efficace. La batteria galoppa su ritmi serrati e rapidi, con un magnifico lavoro di doppia cassa, mentre il basso viaggia su note insolitamente alte, supportando la tempesta di note delle chitarre. Il riffing muta solo prima del ritornello, con un frenetico sollevarsi delle chitarre, che riscendono poi su note più basse, senza rallentare neanche per un istante. Verso la metà del pezzo un breve ma incisivo assolo arricchisce le ritmiche nervose, inserendo il secondo ritornello. Questo è seguito da un break che vede una brusca frenata di tutti gli strumenti, che si uniscono in un lavoro più pesante e cadenzato, sovrastato da fiati maestosi; arriva poi un attimo di calma, dove le chitarre intessono una linea ritmica carica di attesa, che vibra delle potenti note del basso, mentre la batteria scandisce il tempo con i piatti. Comincia quindi un intermezzo più melodico e nervoso, che inserisce il bellissimo assolo, con un incedere lento e solenne. Ma dalle ceneri dell'ultima nota ecco che un rombare di rullanti ci riporta al main-riff, che procede fino a fermarsi quasi bruscamente, per far chiudere il pezzo dagli arpeggi d'apertura, mentre risuonano le note placide e potenti di un basso sublime. "Voce di un'Era / Angelo Satana / Ora Pro Nobis Lucifer / Tu hai sofferto in solitudine": il testo è una apologia di Satana, che ne rammenta le azioni e le cause- "La Caduta e il tormento della Vergogna / Colpirò l'aureo orgoglio del Cielo / E mai avrò pietà di te / Divino Immacolato!". Il Caduto è stato umiliato, ma non si è piegato, e solleva gli occhi sprezzanti con uno sguardo carico di sfida: "Tu non ti inchini a nessuno / Della sozzura del Paradiso". Il ritornello rivendica poi la sua maestà, ruggendo: "Perchè tuo è il Regno / E il Potere! / Perchè tuo è il Regno / E la Gloria! / Per sempre!". Il brano prosegue elencando i vari attributi che lo rendono l'antitesi di Dio, volutamente legati a tutto ciò che è terreno, viscerale, animalesco: "Scolaro dell'anti-luce / Grande vulcano di escrementi / Che ribolle ansioso di eruttare", per poi chiamarlo "Grande Accusatore", in quanto è l'unico a ergersi e a denunciare la tirannia di Dio. È inoltre un motore di rivoluzione e cambiamento, "Distruttore del Cosmo", poichè vuole annientare la presa del padre sulla Creazione, per permettere a essa di seguire il proprio corso e rinascere a nuova vita, libera e pura. Vengono poi invocati i demoni Azazel ("lo Sfrontato") e Apollyon ("il Distruttore"): il primo è un demone del deserto, l'angelo caduto che insegnò agli uomini la lavorazione del metallo per fare armi e ornamenti; a lui le tribù di Israele tributavano un capro nel Yom Kippur, il "Giorno dell'Espiazione" insieme a un altro immolato a Dio. Il secondo è un potente demone e Angelo della Distruzione, spesso identificato con lo stesso Shaitan e nominato nell'Apocalisse come "l'Angelo dell'Abisso": egli condurrà un'invasione di locuste infernali che martorieranno i popoli della Terra. Viene poi esaltato il potere latente di Lucifero, un "Sole nero che mai tramonta / Poichè mai si è levato" e ancora una volta viene sottolineato come egli sia un cultore del piacere che si oppone alla soppressione degli istinti e dei piaceri attuata dalla propaganda religiosa: "Viva blasfemia / In coitus infinitus!" (in latino "Sia gloria alla blasfemia / In un orgasmo infinito!").
Amen
E passa solo un attimo prima che "Amen (..e così sia)" si scateni, picconandoci i timpani con rabbia selvaggia; questo pezzo riecheggia dell'eredità di Demigod, con una violenza fulgida ed accattivante. Un vero e proprio manifesto del Blackened-Death, che esplode in un intro dove risalta un basso spettacolare. Il riffing si innesta su binari di violenza annichilente, dove la batteria diviene una macchina da guerra che si esalta nella sua stessa brutalità, mentre le chitarre sono degli schiacciasassi che macinano ritmiche mediorientali e maestose. Il brano risulta essere un puro delirio di onnipotenza e follia strumentale, dove ci viene scaricata addosso tutta la ferocia e l'oscurità che i polacchi riescono a scatenare, in un incessante bombardamento fatto di violentissime ondate sonore. A metà pezzo un assolo bruciante apre le porte a una lunga parte strumentale, che si articola tra cambi di riff e di ritmo, complessa e trascinante. La batteria e le chitarre si cimentano in un riff ossessivo e malefico, che vede il suo punto di forza nel pesantissimo rimbombare del basso, fautore di uno scheletro ritmico imponente. Il ritmo rallenta, guadagnando in maestosità, fino all'arrivo di un brusco silenzio di tutti gli strumenti, fatta eccezione per una sinistra chitarra che prosegue i suoi glaciali arpeggi. Presto emerge pian piano un lavoro di batteria dai tratti tribali, che si solleva insieme alle chitarre e al basso, portando a un'ultima esplosione dell'iniziale potenza, per innalzare le strofe finali, che terminano con un gorgogliante "Amen" carico di malignità. "Ave Maria, piena di Disgrazia! / Il Signore ha fornicato con te / Tu sei maledetta tra gli Uomini / E posseduta!", la ferocia del pezzo si scaglia contro la presunta vergine (e per questo definita "Cagna dalla vulva sibillina"), rea di essere una ingannatrice ("Strega dei voti spezzati", in riferimento ai voti matrimoniali) che maschera il suo adulterio con la scusa dello Spirito Santo, e colpevole delle illusioni e bugie che ne sono conseguite ("Secoli hanno pianto a causa tua"). "Sciagurato è il frutto del tuo ventre, Babilonia! / Santa Madre, Madre di Dio / Non pregare per noi, peccatori / Adesso e nell'ora della nostra morte / Amen!". All'epoca degli avvenimenti descritti l'adulterio era punito con la lapidazione, ed è quindi comprensibile il perchè di una simile menzogna, in una società costruita sulle superstizioni e da esse definita.
The Satanist
Ed ecco iniziare la title-track, nonché uno dei pezzi che ho preferito: "The Satanist (Il Satanista)", una vera gioia musicale. Su tenebrose orchestrazioni, scandite da un mefitico lavoro di piatti, si innalzano un solido basso e le note mutate delle chitarre, in una melodia carica di inquietudine, del nervosismo di una potenza repressa che sente che è giunta la sua ora di gloria. Ed ecco, una nota prolungata risuona energica, e altre tre seguono con rapidità, mentre le bacchette del batterista volano leggiadre sui tom, portando alla calma di quieti e sinistri arpeggi. Davvero fantastico il cambio di ritmo del ritornello, nella sua semplice e accattivante pesantezza. Dopo il secondo ritornello la voce muta in sordi sospiri e mugolii accompagnati da lievi orchestrazioni, e gli arpeggi continuano per qualche secondo, mentre un basso molto espressivo si solleva sempre più. Ed ecco che un rollare di pelli conduce a un ulteriore cambio, scandito da accordi potenti e feroci, che aggrediscono i nostri timpani fino a inserire un assolo articolato, che scivola con disinvoltura, veloce e incisivo, fino a portare alla chiusura del pezzo, con un'escalation sonora divisa tra i ritmi serratissimi delle chitarre e le cupe e solenni note dei fiati. La voce aggredisce con foga, supportata da cori, narrando la storia di una sorta di antiprofeta, il Satanista archetipico: "Discesi dal Monte Sinai / Scatenando lo splendore su una turba farabutta / Per nascondersi dove nessuna luce messianica / Potesse dirigere un solo raggio nella polpa della vita". Questo messia oscuro manifesta chiaramente il suo odio per i profeti di Dio, molli marionette prive di volontà: "Oh dolce Salome, ti invito / Portami pure la tua atroce offerta!". Il ritornello è molto coinvolgente, e assume sfumature Rock, in un anthem da ruggire a pieni polmoni: "Mi decompongo, nell'estasi infernale / Dissolvi, dividi, disintegra! / Sono tuo / Nell'euforia sottostante". Egli si schiera senza esitazione nel conflitoo tra Dio e Lucifero, preferendo la visione più umana e razionale di quest'ultimo; per questo motivo insulta i folli schiavi adoranti del Signore, affermando: "Al minimo capriccio essi impalerebbero il sole!". Apparentemente questa figura si è convertita quando ha realizzato la follia della fede e della follia collettiva, che trasforma in mostri decerebrati delle persone che risultano pacifiche, se prese singolarmente ("La pecora in me divenne il lupo nell'Uomo"). Fortunatamente, egli si rende conto in tempo di essere avviato verso la schiavitù e l'asservimento, e si allontana dalle greggi di Dio: "Sono la mosca che volò via dall'Arca". Inoltre, non si limita ad isolarsi come un eremita, ma cerca di diffondere la sua visione, facendo leva sulle falle della religione e cercando così di far ragionare le persone, distruggendo una alla volta tutte le bugie che la fede cieca diffonde: "I miei pensieri sono come insetti / Che violentano le ferite divine". Il suo pensiero ripudia la gabbia di restrizioni e dogmi che ha intrappolato i fedeli, e aspira a un'esistenza votata alla Conoscenza: "Il Cosmo mi è venuto a noia, mio vecchio nemico / Questo Universo non è mai stato abbastanza!"; egli combatte per condividere questa luce, questa consapevolezza ("Mi adopero per liberare il fiorire della Vita"), che come un bagno battesimale, libera i fedeli dalla loro follia e gli dona una razionalità che sciacqua via le idiozie religiose ("Quando le dighe cedono, sgorga un torrente di ghiaccio"). Quest'uomo è perseguitato: "Condannato a nascondermi / A vivere nella negazione", ma non si dispera, poiché sebbene sia disprezzato, egli trova conforto nel fuoco della Conoscenza ("Eppure sono avvolto da una fiamma"). Ma ora non abbassa più la testa, ed ruggisce: "Io sono la Grande Ribellione / Dimoro presso la tomba di Milton (John Milton, autore del Paradiso Perduto, poema che vede come protagonista un Lucifero dai tratti molto umani, risentito contro il suo tirannico e iroso padre, ma fiero della sua libertà, tanto da affermare 'Meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso') / Un esistenza che neanche il peccato perdonerebbe / Nessuna colpevolezza, o ragione, o salvatore, o vergogna"; la conoscenza e il piacere non sono peccati, e non vi è una ragione per la nostra esistenza, se non quella che noi stessi gli diamo con le nostre azioni, senza confidare in salvatori e senza provare vergogna per la nostra dignità e libertà.
Ben Sahar
Ed ecco risuonare le prime note della traccia che più ho apprezzato: la devastante "Ben Sahar (Figlio del Deserto)", un brano nella quale risalta più che mai l'influenza della musica orientale. Il pezzo inizia con una cupa orchestrazione, tra corni e cori, prima dell'attacco degli strumenti, che fanno esplodere una sola nota prolungata, mentre neri arpeggi serpeggiano verso di noi. Alla tenebrosa danza delle chitarre si unisce poi la voce, in un urlo demoniaco al quale la musica risponde con foga, abbandonando l'iniziale melodia in favore di un approccio più diretto e violento. Poche strofe bastano alla musica per caricarsi in un turbine di ferocia scatenata, che ci afferra e ci trascina nella potenza meravigliosa del ritornello, che avanza su un cammino fatto di riff arabeggianti, ruggendo ancora una volta contro il Paradiso, non ponendo freni alla propria ambizione, in totale libertà di pensiero. La musica è brutale, imponente, energia allo stadio più primordiale, e dopo la seconda ripresa del ritornello la si placa, il basso emerge con più forza, la batteria rallenta e le chitarre riprendono l'arpeggio iniziale, finchè non attacca un coro meraviglioso, sovrastato dal ringhio del cantante , qualcosa di così sublime da far venire la pelle d'oca. Al suo termine parte istantaneamente l'assolo, che per un poco danza sul riffing con la calma minacciosa di un predatore, finchè un cambio di tema non lo muta in una raffica sfrigolante di note orientali, che sembra quasi slegarsi dalle ritmiche e dai tempi del pezzo, libera e inarrestabile, con l'ultima nota che si prolunga per fondersi poi con la quiete che assale gli altri strumenti, ora placatisi in una solenne marcia guidata dal basso, che rallenta fino a fermarsi. Il "Figlio del Deserto" è il protagonista; il deserto è da sempre un luogo di ricerca spirituale, dove avvolti dal silenzio e dalla solitudine gli uomini giungono a conoscersi, ad accettarsi, lontani dalla civiltà e dai suoi giudizi, lontani dall'influenza degli altri. Il testo è un manifesto della vittoria del Satanista su Dio: "Ti ho messo da parte / Feto divino / Agnello di Dio / Libero delle tue menzogne". Ora che il giogo è stato spezzato è il momento di rivoltarsi, e far tremare Dio: "Udite schiere celesti / Portatemi il vostro Dio! / Come la mia ambizione pretende / Sfido il Sole! / Io ascenderò nei Cieli / Ed esalterò il mio trono sulla sua celestiale ostentazione". Egli è certo della sua vittoria, e si rivolge agli angeli, invitandoli a unirsi a lui e al loro fratello caduto. Egli afferma: "Io siederò sul Monte della Congregazione / Lontano, nel Nord"; il Monte della Congregazione è, secondo l'Ebraismo, il Monte Sion (in realtà una collina nel territorio di Gerusalemme), dove Dio ha promesso di incontrare il suo popolo. Questa leggenda vede le sue radici nel mito babilonese del monte Him-Kharasan, "la Grande Montagna di Bel, la cui cima rivaleggia con i Cieli, la cui base è il Sacro Abisso" (probabilmente il monte El-wend, presso Ectabana). Il monte, posto a nord rispetto a Babilonia, sarebbe stata la sede degli dèi, al pari dell'Olimpo nella cultura greca; prendere posto su di esso significa aver superato la condizione umana imposta da Dio, aver raggiunto l'Illuminazione, la luce della Conoscenza. Il protagonista si rivolge poi agli uomini fedeli a Dio: "Udite cani del Nazareno / Voi che attendete alla Porta di San Pietro / Allontanatevi dalla Fonte del Nulla / Mordete la mano rinsecchita di Dio!"; i credenti iniziano ad aprire gli occhi, a rendersi conto che la loro fede e il loro asservimento sono frutto di menzogna e tirannia. Dio vede la sua presa sugli uomini indebolirsi, il suo falso potere scemare, ed egli, prima definito la Fonte del Creato, viene schernito come "Fonte del Nulla". L'Uomo, posto a metà strada tra Inferno e Paradiso, può ora intraprendere il suo ambizioso cammino, con la fierezza derivante dalla consapevolezza di essere finalmente libero, di aver cambiato le cose, distrutto la situazione di instabilità del Cosmo e aver riportato l'equilibrio: "Un Inferno boreale sotto i miei piedi / Un paradiso ribollente al di sopra di me / Con la preghiera sulle labbra / E la Libertà come eredità / Camminiamo attraverso il fuoco / Col fuoco nei cuori".
In Absence of Light
"In Absence of Light (In Assenza di Luce)" vede il retaggio di dischi come The Apostasy ed Evangelion, ma nonostante ciò riesce a distaccarvisi, a elevarsi, e lo fa con spettacolarità. Un sospiro strozzato fa da preludio a un violentissimo attacco sonoro, che colpisce su tutto il fronte strumentale con potenza annichilente, le chitarre riecheggiano sinistre, il basso romba follemente, e la batteria viene letteralmente demolita. Le radici Black del gruppo tornano alla luce con prepotenza, e presto sopraggiunge un cambio ritmico che porta il folle blast-beat a rallentare e alternarsi a ritmi dalla cadenza più lenta e complessa, mentre la glaciale melodia ossessiva del main-riff si trasforma in raffiche di note basse e potenti. Il basso crea un cupo brontolio, il respiro di un mostro immane, e muta le sue linee melodiche insieme agli altri strumenti, quando violente battute di rullante spezzettano il ritmo, portando le chitarre a unire accordi serratissimi a una melodia malinconica. E ora sono fuochi d'artificio, perchè il pezzo prende una piega che mi lascia sbigottito. La musica si quieta, mentre riecheggia un'amara risata, e due chitarre acustiche si uniscono in un arpeggio semplicissimo ma meraviglioso, arricchito da un bellissimo sottofondo di sax, che crea l'atmosfera per una parte di testo che viene parlata, con una pacatezza che contrasta in maniera stupenda con la violenza dei precedenti ruggiti; gli stessi ruggiti che riprendono improvvisamente, in un'accelerazione che ci riporta al main-riff. Questo tripudio di brutalità si ferma dopo un poco in favore di una calma claustrofobica, con un coro soffuso di chitarre accompagnato da orchestrazioni opprimenti, e spezzato ritmicamente da una lenta sequenza di boati delle pelli che si velocizza progressivamente, per poi spegnersi, seguita dopo un po' dalla stessa melodia, che si spegne in un silenzio assordante. "Da quando il Diavolo ha emesso il suo primo respiro / I miei passi non hanno mai superato la gravità dell'Inferno / Così continuo a pregare per una pioggia di rocce infuocate / Che favorisca la simmetria dei Mondi"; nel testo troviamo una ricerca di equilibrio derivante da un eterno tormento: essere obbligati a vivere la propria vita nelle tenebre, pur sapendo dell'esistenza della luce, anelando alla possibilità di vedere un singolo raggio, anche se accecante. Percepiamo queste tenebre come il vero volto di Dio, ben celato dietro la sua maschera di splendore e nascosto pure nei suoi momenti di ira, poichè non si tratta semplicemente della sua indole violenta, ma anche della sua natura abbietta, avida e ubriaca del suo stesso potere; è un volto che solo il Caduto è riuscito a intravedere, e a trasmettere all'Uomo ("Ho avuto una visione di impenetrabile Oscurità / Mai trovata in entrambi i volti della luna"). Nel ritornello viene messo in chiaro che questo tormento non è comunque abbastanza per spezzare la libertà e la compostezza dell'individuo: "Canta il Salmo / 'Non Serviam!' (in latino 'Non Serviamo!', 'Non siamo asserviti!') / Recupera il tuo orgoglio / Dentro e Fuori". Passata l'ondata brutale del ritornello, una voce pulita recita un passo dell'opera teatrale Slub ("Il Matrimonio"), di Witold Gombrowicz, considerato il più grande scrittore polacco del '900; questo dialogo è quasi un concentrato dei testi di tutto l'album, nella sua esaltazione della Libertà dell'individuo: "Rifiuto tutte le idee, non cedo ad alcuna astrazione o dottrina, non credo in Dio, né nella mente. Dimentica tutti gli dèi! Dammi l'Essere Umano! Possa esso essere come me, travagliato e immaturo, confuso e incompleto, cupo e oscuro così che io ci possa danzare! Pretendere da esso! Ingraziarmi con esso! Violarlo, amarlo e forgiare me stesso a nuovo attraverso lui, in modo da crescere attraverso esso, e in questo modo celebrare il mio Matrimonio nella Sacra Chiesa Umana!" perchè la perfezione è una dannazione: non ci sarà mai nulla da guadagnare, per cui faticare, per cui stupirsi, deliziarsi, gioire, nulla che comporti una crescita dell'individuo, nulla per cui valga davvero la pena vivere. Ma la devastante atmosfera d'apertura ritorna subitaneamente alla carica, imponente, sorvolata da nuove strofe oscure: "Ho immaginato il più ardente dei raggi del sole / In bilico sopra il mio collo come un avvoltoio / Brucia con una febbre nel profondo della mia anima". L'Uomo, strattonato tra Paradiso e Inferno, è colmo di dubbi, ma si schiera infine con la sua parte più terrena, libera dall'influenza di Dio e in grado di riconoscersi come parte del Cosmo, unica ma non sola, e che parla ora con la voce del Caduto: "Tu sai che io sono tutti e tutto / Che io sia libero delle mie catene! / E che il Caos regni / Infettando le arterie della moralità!", la presunta moralità che porta gli esseri umani a reprimersi e a limitare i propri sogni.
O Father O Satan O Sun!
Ed eccoci al gran finale: "O Father O Satan O Sun! (O Padre, O Satana, O Sole!)", che personalmente ritengo uno dei picchi assoluti non solo del disco, ma dell'intera carriera musicale dei Behemoth. La traccia inizia con cori infernali, inquieti e bellissimi, scanditi da una batteria e un basso minimali e avvolti da prolungati cori delle chitarre. Questo incipit meraviglioso si spegne, e al contempo nasce un'avvolgente linea di basso, che procede in solitaria finchè un attacco di batteria apre il campo alla voce. Il brano ha un incedere ritmato e potente, con batteria e chitarre che si uniscono in un riffing lento e sostenuto, condotto da un basso maestoso. Poichè gli strumenti seguono un ritmo piuttosto lineare, sono i cori a dettare l'atmosfera del pezzo, sollevandosi e abbassandosi con una bellezza commovente e intrecciandosi con la rauca malignità della voce principale, andando a creare un contrasto stupendo. Nelle strofe che precedono il ritornello il ritmo accelera sotto la guida della batteria, portando a un breve ma godibile assolo che si acuisce nel finale, supportando le seguenti strofe in un picco musicale davvero solenne. La musica riprende la sua marcia lenta e carica di composta dignità, fino a giungere al magico ritornello, dove si solleva un tripudio di cori e ruggiti. La musica prosegue, fino a spezzarsi in un break dove la batteria danza sui tom per poi velocizzarsi in complessi e rapidi pattern, mentre le chitarre scatenano note feroci dai sapori mediorientali, che sembrano portare il pezzo al suo termine. La musica svanisce per lasciare spazio a rochi respiri strozzati, con un sottofondo orchestrale d'atmosfera che carica l'aria di un angosciante senso di attesa. E tale attesa viene premiata, perchè risuonano sette note imponenti. Il Sette è il numero magico per eccellenza, il numero dei peccati e delle virtù, degli arcangeli e delle divinità della Cabala, delle chiese orientali nell'Apocalisse, delle Grandi Meraviglie del mondo e dei divini Apkallu mesopotamici (i Sette Saggi, esseri semidivini mezzi uomini e mezzi aquile sorti dall'Abisso primordiale per ordine del dio creatore Enki, in modo che insegnassero agli uomini le arti e i principi della civiltà). Le note risuonano ipnotiche, ancora, e ancora, circondate da un ascendente turbinare di cori. La batteria si unisce, scandendo il tempo di un sermone pronunciato dal cantante, che si solleva fino a diventare un estatico urlo, quasi disperato, terminando sfinito per lasciare spazio alla dolcezza degli archi, che cullano le nostre anime esauste. Il processo di purificazione è completo. "Akephalos / Brilla attraverso di me / Avanza in pace / Avanza in guerra" . Il "senza testa" (o àcefale) è una figura demoniaca legata alla distruzione, comparsa nell'occultismo tardo-sincretico egiziano, e che qui diviene uno dei volti di Lucifero: il volto legato alla distruzione che avvia il processo di rinascita, cosa che lo ricollega a divinità arcaiche come Seth o Shiva. L'invocazione recita: "Trascina giù il Sole / Estingui tutte le stelle / Lascia che io rimanga / Nello splendore della tua luce"; la distruzione del Cosmo e l'annientamento del Sole (da sempre simbolo del potere divino) fa sì che Lucifero, la Stella del Mattino, sorga come il nuovo sole dell'umanità: non un dio oppressore, né geloso, né avido, ma un faro, un esempio e un'ispirazione. Il fatto che la Stella del Mattino sia il pianeta Venere (l'astro più luminoso) ricollega il nuovo mondo alle arcaiche società matriarcali, le stesse che veneravano il concetto di fertilità, la scintilla della Vita in tutto il Cosmo. Egli è "Colui che non ha avuto nascita / Fulgido come l'Oscurità / Non trovato nelle lingue / Non trovato nella Luce": infatti questo nuovo Sole non ha genesi, è un essere nuovo, sconosciuto, che esula dalla precedente Creazione. "Porta la pioggia / Prosciuga le acque dello Styx": la pioggia irrora un mondo distrutto, dalle cui ceneri rinascerà la Vita, mentre le acque del fiume infernale Styx, l'"Odio", vengono prosciugate, per un mondo nuovo e privo della malvagità che dall'odio deriva. L'Uomo è ora libero di perseguire le proprie ambizioni e i propri sogni, nonché di coltivare la propria Conoscienza attingendo alla fonte infinita del mondo che lo circonda, libero così di apprezzare e valorizzare la propria imperfezione, potendosi così migliorare: "Come un giorno senza alba / Come un raggio senza sole / Come una tempesta a cui non segue la calma / Sono più completo, eppure così incompleto!". Questo "Demone Magnifico" è "In nessun luogo" in particolare, ed è "Mai" poichè non ha un inizio o una fine, essendo la manifestazione della vita stessa. L'Uomo implora: "Liberami! / Infiamma il seme! / Non legato dalla colpa / Fuoco Infero!"; Lucifero, il nuovo Sole, infonde nel nuovo mondo la sua scintilla, la fiamma della Vita che non giunge dai cieli, bensì dalle ribollenti profondità della Terra. Il testo vede il suo culmine nell'epico ritornello, rivolto alla prima alba di un mondo nuovo: "O Padre! / O Satana! / O Sole! / Lascia che i bambini vengano a te / Ammirate la Stella del Mattino!". Si ripetono in seguito le precedenti strofe, prima del lungo outro nel quale una voce pulita recita le sezioni B (Aria) e C (Fuoco) del Liber Samekh (Theurgia Goetia Summa - Congressus cum Daemone - Sub Figura DCCC), un rituale scritto dall'occultista thelemico Aleister Crowley, mirato a ottenere "Conoscenza e Conversazione" con il suo "Sacro Angelo Guardiano". Ci si rivolge a Lucifero, "Sole del Leone e del Serpente" (animali che rappresentano Baphometh, simbolo di Conoscenza e Saggezza), rappresentato come "un tuono, generatore di vita!". Egli è infatti l'energia che scorre nel Cosmo e che ne permea l'essenza, un flusso senza fine o direzione ("Tu che fluisci! Tu che ti muovi!", "Tu Aria! Respiro! Spirito! Tu che non hai limite o vincolo"), il cui potere viene qui invocato, per diventare un tramite della volontà dell'evocatore: "Ascoltami, e rendi tutti gli spiriti soggetti a me / Così che ogni spirito del Firmamento e dell'Etere / Sopra la terra e sotto la terra / Per landa desertica e per acqua / Dell'aria turbinante e del rapido fuoco / E ogni Incantesimo e Flagello di Dio / Possano obbedire al mio volere". La voce si solleva sempre più, raggiungendo un'estasi disperata in un'ultima strofa carica di pathos: "Tu Sole spirituale! Satana! Tu Occhio! Tu Lussuria! / Gridate a gran voce! Gridate a gran voce! Gira la Ruota (dell'Esistenza), oh Padre mio, oh Satana, oh Sole!".
Conclusioni
L'ascolto di The Satanist ha spazzato via ogni dubbio che potessi avere riguardo la riuscita di questo album: i Behemoth proseguono a testa alta nella scena Metal mondiale, e quest'opera è più che l'ennesimo passo avanti: il quartetto polacco ha creato il Diavolo. Ha dato vita a un qualcosa di vivo e ostile, ma meraviglioso, che ottenebra la mente e non ci fa vedere l'Abisso verso il quale camminiamo, una voragine che arriva fino al cuore natura umana. Abbandoniamoci dunque alla caduta, dove ogni traccia rappresenta un girone dannato, un passo in più in un processo di catarsi che giungerà al suo culmine sul fondo, dove l'oscurità più pura e fulgida ci attende, per purificare il nostro animo di illusioni e false promesse, e portarci in un mondo dove il Bene e il Male coesistono e si supportano a vicenda, un mondo fatto sia di casualità che di causalità, un mondo a misura d'Uomo, dove il libero arbitrio non è un opzione ma la norma. Le musiche sono incredibilmente atmosferiche, variegate e curate con passione, mentre i testi risultano più introspettivi rispetto a quelli dei precedenti lavori. In generale si può dire che tutti gli album precedenti non siano stati altro che i gradini di una scalinata che conduce a quest'album; un percorso iniziatico che ci ha fornito i mezzi per interpretare quest'ultima opera. Questo perchè in ogni album, sotto lenti sempre diverse, abbiamo analizzato i concetti chiave della libertà umana: individualità, ambizione, passione, volontà, coraggio, ribellione, giustizia ed empatia; abbiamo capito che possiamo essere parte di un tutto pur rimanendo unici, possiamo essere uniti senza amalgamarci e conformarci. Abbiamo capito quali potenzialità abbiamo, come specie, di creare un mondo migliore per tutti, nonché il processo da seguire per crearlo. Per arrivare a questo siamo passati attraverso le menti di artisti e di occultisti, ci siamo immersi in abissi ribollenti di simbolismi, dove le storie e i personaggi di tutte le religioni si intrecciavano, si fondevano e si rispecchiavano gli uni negli altri; abbiamo seguito il filo che ci ha condotti fuori dal labirinto, e abbiamo osservato la crescita esponenziale di una delle più grandi band contemporanee, sia sul versante musicale che su quello tematico. I Behemoth non hanno deluso le altissime aspettative che avevo e ancora una volta si sono adoperati per dare il meglio di loro, con determinazione e passione incrollabili, facendo scelte a volte azzardate, ma che hanno sempre ripagato. È bello pensare che vi siano ancora artisti che vogliono andare oltre il pezzo o l'album ben riuscito, mirando invece a raggiungere la perfezione, per quanto sia possibile, e a usarla come trampolino per arrivare ancora più in alto, evolvendosi e oltrepassando i propri standard una volta dopo l'altra. La cosa è ulteriormente avvalorata dai loro trascorsi, come il processo subito per aver strappato una bibbia sul palco, che li ha portati a scontrarsi con la repressione ideologica e con il bigottismo imperante nella loro patria (il motivo scatenante delle loro scelte stilistiche almeno fin dai tempi di Pandemonic Incantations, e le loro scelte musicali da un tempo ancora precedente), o anche la terribile leucemia che ha stretto il suo cappio intorno al collo di Nergal (e di così intorno a quello della band, che vede in Darski il suo fulcro). La tenacia con la quale i polacchi hanno superato questi ostacoli è stata pari solo all'impegno e alla passione che hanno riversato in quest'album, che ha raggiunto un tale livello di bellezza anche grazie all'aiuto dello staff che li circonda. Non si può infatti non lodare la produzione perfetta curata ancora una volta da Daniel Bergstrand e dai fratelli Wieslawski, che ci permette di percepire l'anima dell'album in ogni nota, e apprezzare ogni singolo ingrediente di questo capolavoro. E così, i Behemoth raggiungono il loro decimo album, un pilastro per la loro carriera e -secondo l'umile parere del vostro scribacchino- una pietra miliare nella scena metal dell'ultimo decennio, nonché un giro di boa per un band che ha raggiunto degli standard artistici tali da essere semplicemente unica.
2) Furor Divinus
3) Messe Noir
4) Ora Pro Nobis Lucifer
5) Amen
6) The Satanist
7) Ben Sahar
8) In Absence of Light
9) O Father O Satan O Sun!