BEHEMOTH

The Apostasy

2007 - Regain Records

A CURA DI
PAOLO ERITTU
05/10/2015
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

"Apostasìa: Ripudio, rinnegamento della propria religione per seguirne un'altra. In partic., nel diritto canonico cattolico, l'abbandono totale (diverso quindi dall'eresia, che è abbandono parziale) della fede da parte di un battezzato, manifestato esteriormente in modi non equivoci e con la volontà e coscienza di abbandonarla (il passaggio ad altra fede è solo una circostanza aggravante)"

Ho sempre detto che ogni album dei Behemoth risulta migliore del precedente, ma mi sembra il caso di rettificare e spiegarmi meglio. Con il passare degli anni la band è cresciuta in maniera esponenziale, e proprio grazie alla sua continua ricerca di nuove strade, nuove influenze e idee, la "creatura" Behemoth è andata evolvendosi e migliorandosi, raggiungendo vette creative sempre nuove e imponendosi degli standard sempre più alti. La band e la qualità dei singoli pezzi sono migliorate, ma gli album sono sempre stati magnifici. Dico questo considerando gli sforzi e la passione che questo gruppo riesce a infondere in ogni opera; per cui ogni lavoro dei Behemoth è il meglio che essi potessero fare in quel determinato periodo della loro carriera, ed essendo tutte le loro opere diversificate in quanto a influenze testuali e stilistiche, mi sembra riduttivo e ingiusto definirle una migliore dell'altra. Quello che è certo però, è che ogni album è riuscito ad essere un nuovo traguardo per la band stessa, che è sempre riuscita a cambiare, ad aprire nuove strade e mutare la propria alchimia musicale di conseguenza, riuscendo sempre a stupirmi, a coinvolgermi, tra musiche a volte più raffinate e melodiche, altre più grezze e brutali, e tra testi che in maniera poetica e mai banale hanno esplorato in lungo e in largo millenni di Storia, culture, credenze e idee nei loro recessi più oscuri e bistrattati. Tra figure e concetti maledetti, dimenticati o incompresi, illuminati ora dalla luce di una diversa prospettiva, i polacchi hanno creato un loro personalissimo percorso, atto ad aprire la mente dell'ascoltatore e teso alla continua ricerca di bellezza e saggezza, di autoaffermazione e libertà. Il frontman Adam "Nergal" Darski afferma: "Credo che con questa band, se si vuole comprenderla nel suo complesso, non si debba dividere la nostra storia in periodi [?] sono solo categorizzazioni, non ne abbiamo bisogno. Penso che alla fine tutto si riduca a qualità e sincerità, e noi siamo fatti così. Rispetto ogni singolo aspetto di questa band, e ogni periodo è importante per me. Si può dire che siamo questo o quello, ma io non ritengo sia una cosa necessaria". È in quest'ottica generale che è nato anche quest'album, datato 2007, dopo tre anni dal precedente "Demigod": "The Apostasy" è il nuovo traguardo del quartetto di Danzica; un album più "pulito" del precedente, con un sound meno roccioso e con un impronta diversa, altrettanto violenta ma più melodica. I filtri vocali che rendevano più vibrante e disumano il growl di "Demigod" sono stati abbandonati in favore di un uso intensivo di cori e fiati, che hanno suscitato inizialmente la perplessità del tecnico del suono Arkadiusz "Malta" Malczewski, ma che di fatto aggiungono alla musica un'aura arcaica e misteriosa, mentre i testi mescolano come sempre simbolismi, culti antichi e occulto, in maniera sapiente e colta. Ma oltre a questo, ogni traccia è anche una riflessione personale dei membri della band, in particolar modo del frontman, relativamente alla vita, alle proprie esperienze, al proprio rapportarsi col mondo esterno e con il proprio Io. La band ha già da tempo una line-up stabile ed estremamente affiatata, che vede Adam "Nergal" Darski a chitarra voce e testi (questi ultimi creati sempre in collaborazione con l'occultista Krzysztof Azarewicz), Thomasz "Orion" Wròblewski al basso, Patryck "Seth" Sztyber alla seconda chitarra e Zbigniew Robert "Inferno" Prominski alla batteria; in quest'album, come nel precedente, ci saranno inoltre delle "guest star", come il cantante  Warrel Dane dei Nevermore e il pianista jazz Leszek Mozdzer, che riusciranno ad arricchire l'album di atmosfere e melodie coinvolgenti, impreziosendo l'opera e dandogli un più ampio respiro. Come si evince dal titolo, l'opera è un manifesto di Apostasia, un plateale e cosciente rinnegamento della dottrina cristiana, in favore di un pensiero diverso (in questo caso il Satanismo Spirituale). Uno che non ingabbia la natura umana con dogmi e imposizioni di peccati e penitenze, ma anzi lascia all'Uomo la libertà di divenire il Dio di sé stesso, di cercare di essere libero e perfetto nei limiti delle sue possibilità, in pace, senza sopprimere i propri impulsi naturali o porre un freno ai propri sogni.

Rome 64 C.E.

L'album si apre con una eterea voce femminile, che con le sue note orientali dolci e malinconiche apre la strumentale "Rome 64 C.E.", che esplode con un irruento ed epico coro di chitarre, accompagnate dal cupo rombare del basso e dai ritmi serrati e cadenzati della batteria, che sorregge la melodia con note secche e rapidissime. Non si potrebbe sperare in un inizio migliore, perchè fin dai primi istanti si viene trasportati attraverso le sabbie del tempo, circondati da un'atmosfera di arcaica e magnifica decadenza, nella quale vibra la Storia stessa, con il suo carico di innumerevoli meraviglie e orrori, che coesistono nel loro personale paradosso, diluiti in innumerevoli eoni. Ma il tempo è una misura umana, il tempo non esiste, esiste solo un flusso di avvenimenti continuo e inarrestabile e questo flusso è l'Esistenza stessa; un concetto che ignora le nascite di uomini e dèi, che è esistito, esiste ed esisterà, impossibile da quantificare o da definire, e nel quale la mente si perde, incapace di abbracciarlo. La dimostrazione di ciò è appunto l'incredibile sensazione che scatena il suono queste note, perchè chiunque le senta si trova catapultato in un altro luogo, in un altro frammento di questo flusso, e vede le fiamme che si sollevano da Roma la notte del 18 Luglio del 64 d.C. , allorchè la città fu devastata da un terrificante incendio che esplose nei pressi del Circo Massimo e perdurò per tre lunghissimi giorni, distruggendo tre delle quattordici regioni della città e danneggiandone altre sette, falciando innumerevoli vite e privando del tetto più di duecentomila persone. Sappiamo che Nerone, di ritorno da Anzio, accorse in aiuto al suo popolo ed aprì i monumenti del Campo Marzio, facendo allestire delle tendopoli e abbassando il prezzo del grano, tuttavia, come afferma Tacito: "Questi provvedimenti, per quanto di carattere popolare, cadevano nel vuoto, poiché si era diffusa la voce che proprio nel momento in cui Roma bruciava egli fosse salito sul palcoscenico del suo palazzo e avesse cantato la distruzione di Troia, paragonando il disastro presente alle antiche sventure". Innumerevoli sono le speculazioni riguardo alla genesi dell'incendio, partendo da quella che vuole il folle Nerone alla ricerca dell'ispirazione per un suo canto, fino ad arrivare a quella che vede le branche più estremiste dei cristiani divenire il braccio armato di un'aristocrazia dissidente; nell'incertezza della causa, sono invece certe le conseguenze: infatti in seguito a questo avvenimento si sarebbero scatenate le persecuzioni nei confronti dei cristiani, braccati e dati in pasto alle belve del Circo, e secondo la tradizione cristiana gli apostoli Pietro e Paolo sarebbero stati martirizzati, il primo crocifisso a testa in giù, il secondo decapitato.

Slaying the Prophets of Isa

Comincia "Slaying the Prophets of Isa": un rimbombante scatto della batteria introduce un riffing serrato e rapido. La doppia cassa martella chirurgica, mentre le chitarre danno un attimo di respiro con potenti accordi sostenuti; ma una riecheggiante voce brutale richiama gli strumenti all'opera, e subito si avvia un riff che alterna una rapida brutalità a melodie molto accattivanti. La batteria detta i cambi di tempo con tecnicismi meravigliosi, fino a un veloce martellamento dei tom che apre una parte più lenta e violenta dove la voce ruggente domina la scena, impreziosita da un maestoso sottofondo di cori, ai quali si uniscono i fiati. Una breve accelerazione introduce la frenetica parte finale dove ritmiche serratissime sostengono l'ultima parte del testo, prima di un malefico assolo che scaglia in avanti una invocazione in arabo, un ruggito arricchito da cori femminili che chiude la traccia. Isa è il nome arabo di Gesù, e il testo una celebrazione della sua "nemesi", che vede una personificazione doppia: infatti la si percepisce come una singola entità con il primo verso, "Ascendi mentre imperi bruciano", ma tale entità associabile a Satana è al contempo una personificazione dell'ira dell'Impero Romano contro i cristiani e i loro leader, a seguito del grande incendio. Infatti la seconda personificazione è nell'Impero stesso, come si percepisce dalla strofa "Conquistatori della Terra Promessa / Come i figli di Anak [?] Sollevatevi quando chiamano trombe gloriose [?] Accompagnati da Marte / I raggi di Giove in occhi spalancati e senza paura". Anak è una figura regale semi-divina presente nell'Antico Testamento, associabile alla figura del Nephilim. Nel Libro dei Numeri viene descritto come Mosè invii dodici spie, una per ogni tribù di Israele, a ispezionare la valle di Canaan, ed esse ritornino per decantare le meraviglie della valle, una terra in cui fluivano "latte e miele", ma controllata dagli "Anakim", i "Figli di Anak", descritti come un popolo di giganti. L'etimologia del nome ha una storia interessante, perchè se in Ebraico "Anak" significa "lungo collo" (riferendosi appunto alla statura sovrumana di questi esseri), nel Libro dell'Esecrazione del Medio Regno troviamo descritto come, tra i vari nemici presenti nella valle di Canaan, vi fosse il "Popolo di Anak" gli "Iy Anaq". Il poeta e scrittore inglese Robert Graves fa risalire tale nome all'antica lingua Micenea, la lingua di Omero, dove troviamo la parola "Anax", un arcaismo che significa "Re", "Condottiero" (relativo a un re-sacerdote tribale e differente dal titolo più recente "Basileus"), che era anche il nome proprio di un sovrano gigante che regnava sull'Anatolia, nella zona dove sorse Mileto. Il ritornello recita: "Astareth! / Porta la pioggia di ferro! / Hekate! / Porta piaghe su questa razza decadente!". Astareth è una figura che nel Satanismo Spirituale è femminile ed è nipote di Baalzebub (in ebraico "Signore delle Mosche", demone legato alla pestilenza, simile al sumero Pazuzu, il cui nome è una storpiatura ebraica dell'originale dio fenicio Baal Zebul, "Signore della Grande Città"); è legata alla figura della Dea Madre di fertilità, amore e guerra, presente nello stadio arcaico di innumerevoli culture. In tale interpretazione viene associata al dio sumero Anum, che insieme a Baalzebub/Enlil e a Shaitan/ Enki forma una triade cosmica. Hekate (incontrata anche nell'album "Thelema.6" nella traccia "The Act of Rebellion") è invece una divinità pre-indoeuropea, descritta nella tradizione greco-romana come una creatura di stirpe titanica. La peculiarità di tale figura era il suo essere androgina, capace di donare e al pari generare la vita, in un'iconografia che la avvicina a Bafometto, divinità occulta di pace e saggezza presentata con seni e fallo, e con Danu, la Dea Madre delle acque indoeuropea, perchè Hekate viene rappresentata con tre volti, o in tre forme, rappresentanti le tre età della vita, come anche Danu, descritta allo stesso modo nella tradizione celtica (poteva infatti comparire a guisa di vergine, donna o megera). Questa figura nacque dai culti tribali della Tracia, e venne poi inglobata nella religione greca; in seguito, i saggi di Alessandria d'Egitto la identificarono come dea dell'arte magica e della stregoneria. I versi seguenti sono rivolti a Roma e al suo Impero: "Tu ristabilirai lo splendore di Sodoma / Tu sei la personificazione di Gomorra / Marci avanti con volontà ferrea", tema ripreso poi dai versi: "Nemesi! / Ci ergiamo come una cosa sola! / Dividi e conquista! / E ci approprieremo di questa fottuta Terra!". È presente poi una denigrazione di Dio (il "Grande Architetto") da parte di Lucifero, che gli rinfaccia il fallimento ottenuto con la morte del suo figlio/avatar ("Vomitato / Dallo squarcio ansimante di una prostituta"), e lo sbeffeggia: "Padre, non perdonarmi / Perchè ho peccato / E ora trema di paura". Egli si definisce "Avversario del tuo amore / Reietto del tuo Paradiso / Disprezzato", assumendo così una connotazione miltoniana di figlio ribelle perchè tradito. Le ultime strofe sono un'invocazione in arabo: "Salve, popolo di estremo coraggio! / Salve popolo della tunica! (la tunica del patriarca Giuseppe, figlio favorito di Giacobbe e perciò inviso ai fratelli, che lo vendettero come schiavo, portando poi la sua tunica inzuppata di sangue di capra per convincere il padre della sua morte, causata da una belva) / Guardiani del Cielo!".

Prometherion

"Prometherion" inizia con un rapido intro di chitarre e batteria, che cede il passo a un riff semplice e brutale, dalla potenza primordiale, arricchito da rapidi licks. Questa marcia serrata è sovrastata da una voce gorgogliante, e muta in una serie di furiose impennate strumentali in corrispondenza del ritornello, al quale si aggiungono dei cori. Si scatena così un duetto di chitarre che aumenta la tensione, fino a esplodere in un assolo rapido e feroce, che si protrae alternando parti più melodiche e sostenute, con brutali raffiche di note, riprendendo anche il tema del main riff, culminando in un brusio maligno che sorregge la violenza della voce, tra le meravigliose evoluzioni della batteria. Riprende il riff iniziale, e dopo il ritornello scatta un outro compatto che si spegne bruscamente. Il titolo del pezzo è una sincrasi tra le parole "Prometheus" e "Therion". Prometheus è il nome del titano che donò all'uomo il fuoco, rubandolo dalla fucina del dio Efesto. Zeus, furioso, lo fece incatenare ai monti del Caucaso, condannandolo a un supplizio eterno: ogni giorno la sua aquila raggiungeva il prigioniero e gli divorava il fegato, che ricresceva durante la notte. Il titano fu infine liberato per intercessione di Eracle, che implorò la pietà del padre degli dei e schiantò le catene che lo bloccavano. "Therion" è invece una parola in Greco antico che significa "Grande Bestia". Il testo è una celebrazione cantata in prima persona da Lucifero, che si presenta così come la Grande Bestia, un nuovo Pan, ma caratterizzato da una prometeica amicizia per l'Essere Umano, a cui offre il piacere dei beni della Creazione, senza la tortura di una vita da schiavi, continuamente obbligati alla soppressione degli istinti e messi alla prova nella loro fede. Nelle sue parole risuona il vanto nei confronti della sua antichità e potenza: "Udite! / L'intera Incantazione Profetica / Io ero lì, prima che giungesse l'Inizio / E Io sono Colui che verrà dopo tutti i miti e gli dèi / Perpetuerò oltre la Fine dei Tempi". Una attesa preparatoria per poter scatenare contro Dio tutto il suo potere, durante la quale continua a violare le leggi dettate dal suo antagonista: "Prima di scatenare la mia ira su di te, io farò questo... / Mangiare il debole! / Fottere la carne! / Tagliare la gola! / Consumare i morti!". La vita di questo essere è stata temprata da dolore e abbandono: "Affogato in una vuota oscurità [?] Ho appreso come strisciare tra coltelli e spine / Annegato nell'alienazione / Mi trascino nel fango"; gonfio d'ira, promette a Dio: "Quando l'Umanità cadrà vittima / Io sorgerò!", minacciandolo con ironia: "Voterò a te il mio pugnale!".

At the Left Hand of God

"At the Left Hand of God" è uno dei capolavori di quest'album: la traccia inizia con inquietanti accordi di una chitarra acustica, che si spengono poi nella dolcezza di un arpeggio tanto semplice quanto sublime. Dopo pochi secondi di silenzio voce, chitarre, basso e batteria attaccano all'unisono, con un boato brutale che avvia un riff dai tempi lenti e maestosi dalle sfumature orientali, che si velocizzano alla fine di ogni verso nell'espressivo tintinnio di crash e ride. Con il ritornello si avvia una cupa melodia, avvolgente, magica, che si solleva su una splendida batteria in un connubio epico e oscuro; il main riff ritorna con il suo attacco aggressivo, proseguendo fino a un nuovo ritornello. D'un tratto un elegante tintinnare di piatti fa nascere un riff più serrato e rapido, reso corposo da un basso massiccio, e che ci riporta poi a un rapido assolo, dove note velenose si sollevano come rami carichi di spine, scivolando in un tapping nervoso sfociante poi in una ammorbante nenia di Male puro che si chiude in un sinistro gemito. Sopraggiunge un ultimo ritornello ruggente, che termina con un outro incredibile dove la chitarra intesse una nera melodia ossessiva, mentre cori maschili recitano un mantra oscuro e una malinconica voce femminile sembra risalire dagli abissi più remoti di eoni dimenticati, sensazione acuita dal rimbombare cadenzato della batteria, che ci immerge nell'atmosfera di un rito tribale, chiudendo questa traccia spettacolare. "Oh, Serpente e Leone / Vi invoco!". Vengono nominati due animali simboleggianti Baphomet, figura chiave nell'occultismo e nel simbolismo di molte religioni; questa divinità pagana è simbolo di pace e saggezza, cosa che emerge anche da diverse interpretazioni etimologiche del nome. Infatti, lo scrittore britannico di origine afghana Idries Shah suggerisce una derivazione del termine dall'arabo "Abu fihama" ("Padre dell'Ignoto"), mentre secondo la tradizione che vuole il termine derivante dal Greco antico, si tratterebbe di una parola composta da "Baphe" e "Methis", che significa "Battesimo di Conoscienza". Anche secondo il Cifrario di Atbash, un cifrario monoanalfabetico dove l'ordine delle lettere viene invertito (A con Z, B con V e così via...), l'origine della parola sarebbe da ricercare nel termine "Sophia", cioè "Saggezza" in Greco antico. In pratica il narratore invoca la benedizione della saggezza "Alle miriadi di mortali / Che sono morti / E che ancora devono nascere", coinvolgendoli in un "Atto di Ribellione", fuori dal "Deserto delle Costrizioni" imposto da Dio, per fare sì che la pace, la "Stabilità della Materia", venga "Dalla serenità, la forza e la bellezza / Dal canto potente di ogni respiro", e non dal capriccio di un tiranno. Per questo la strofa dopo accoglie il dio: "Nella danza serpentina delle cellule del sangue / Nella semplicità degli incantesimi / Nomi divini, meta-giochi / Io saluto la tua presenza!". Con "meta-gioco" si intende qualsiasi azione o strategia che venga portata avanti trascendendo da regole prestabilite, utilizzando fattori esterni per influenzare lo svolgimento del "gioco" o oltrepassando i confini imposti dallo stesso; in questo Gioco, in questa partita, i meta-giocatori sono Lucifero e Dio, che al di fuori di regole, al di fuori delle leggi fisiche e logiche che regolano l'universo, continuano la loro battaglia. Vi è poi un riferimento al Satanismo Spirituale nelle strofe "Oh Serpente! Tu sei Dio! / Avvolto sotto il mio trono / Mi ricongiungo con te", il Serpente potrebbe essere il Serpente Kundalini (con "Kundalini" nella tradizione yogi si intende la forza divina presente in ogni creatura), che risiede idealmente alla base della spina dorsale, e che, con il suo veleno, rappresenta le forze violente che riposano nell'inconscio; il binomio Serpente-Dio poi, si riallaccia a tale tradizione, poiché aprendo tutti i chakra, quindi ottenendo l'accesso a tali forze e controllandole, si ottengono potenza e regalità divine (la "Testa di Dio", la sua natura essenziale). Si associa a questo nuovo Dio la Donna Scarlatta, la Babalon thelemica, la Grande Prostituta ("È così impaziente di sollevarsi / E così desiderosa di compiacere"); ella è  simbolo del Peccato nemico della fede e del Mistero della Conoscienza, simboleggiato dalla coppa ricolma che essa porta (associata al Graal). La sua pelle scarlatta ne riflette la natura regale, ma anche quella "viscerale", associata al sangue e agli impulsi più profondi della natura umana. Si entra poi nel vivo del simbolismo con la tematica della "Mano Sinistra di Dio": il riferimento è legato alla Kabbalah ebraica, dove i Sephirot ("Emanazioni") rappresentanti i poteri di Dio vanno a formare l'Albero della Vita. Come descritto nel Sefer haBahir ("Libro della Luce", prima opera sulla Kabbalah, scritta nel I secolo dal rabbino Nehunya ben HaKanah), il Quinto Sephirot, posto a sinistra dell'Albero, è Gevurath ("Forza"), legato all'elemento del Fuoco inteso come purificatore; è scritto "La Forza è l'Ufficiale di tutte le Sacre Forme alla sinistra dell'Unico Benedetto. Essa è Gabriele", l'arcangelo che rappresenta il potere del Giudizio Divino. Nella posizione speculare, cioè nel Qliphoth, rappresentante l'opposizione dell'Albero, la figura associata è invece Samahel ("Veleno di Dio" o "Castigo di Dio"), demone accusatore, seduttore e distruttore, rappresentato nello Gnosticismo come un serpente avente la testa di leone, che si ricollega alla simbologia di Baphomet. Samahel era un angelo che durante la Ribellione di Lucifero non aveva scelto nessuno di due schieramenti, e questo tema viene ripreso nel testo: "Samahel! Sii mio alleato! / Unisciti a me nelle schiere scintillanti / Senza considerare né la via della Luce / Nè le Tenebre / Il cui seme / Germoglia spassionatamente / Nell'estate della mia vita", cioè nel periodo della maturità. Il fatto che non si scelgano Luce o Tenebre rappresenta l'accettazione della natura umana: non esiste il bianco o il nero, il bene assoluto o il male assoluto, ma solo un loro eterno alternarsi, in una scala di grigi  che varia continuamente, seguendo il continuo fluire della vita tra felicità e disperazione, gioia e rabbia, amore e odio.

Kriegsphilosophie

"Kriegsphilosophie" è aperta da secche raffiche di batteria che fanno da spina dorsale per il riffing marziale di questa traccia, presto sostituito da una melodia che ne riprende il tema. Il ritmo prosegue stabile e invariato fino al ritornello, dove le chitarre impazziscono in un brulicante innalzarsi di note. I ritmi si alternano con eleganza, mentre nere melodie ci si piantano nel cervello con cattiveria. Al secondo ritornello segue una digressione musicale rapida e compatta, che alterna raffiche di note a un tapping stupendo, finchè non si scatena il velocissimo assolo, che termina in un crescendo di note trascinanti. Giunge poi un ultimo ritornello, terminante con una melodia ossessiva che accompagna il sussurrato e sinistro discorso finale. Il titolo della traccia ("Filosofia di Guerra"), rappresenta bene il contenuto del testo. Viene invocato Lucifero, il "Portatore di Luce", Stella del Mattino, visto come un sole che risveglia la Vita nel mondo: "Sorgi al mio richiamo / Sormonta il mare / Spalanca le porte della Vita", per poi commiserarne la storia ("Oh voce silenziosa / Lamento non udito / Cuore abbandonato, così desolato". Viene evidenziata la sua natura bellicosa e ribelle: "Il Lupo si è liberato / La disobbedienza ha un sapore così vittorioso...", in una celebrazione autoreferenziale, che associa la figura al dio della guerra Ares/Marte: "Eternamente abbandonato tra gli dèi" poiché, essendo feroce e vendicativo, Ares era inviso ed emarginato dagli altri immortali (nell'Iliade, è Zeus stesso a definirlo una "banderuola", disgustato dalla smania di sangue del figlio, che cambia schieramento continuamente per il puro piacere della carneficina); allo stesso modo Lucifero venne allontanato per via del suo agire ribelle. Venne insultato, allontanato, ferito, ma non piegato ("Eppure io ti sfido! / Non senti il mio grido di battaglia?"). La traccia finisce con un monito: "Non serviam ("non serviamo / non siamo asserviti"), amici miei. Non ci sono dèi al di fuori di quelli fatti di carne umana. Non c'è potenziale più divino di quello umano, e possa questa essere la più grande di tutte le leggi!". Prendiamo possesso del nostro destino, ricerchiamo il libero arbitrio e rifiutiamo l'ordine imposto! Se c'è una guerra giusta, è questa.

Be Without Fear

"Be Without Fear" è introdotta dai potenti ritmi delle chitarre, che creano un'atmosfera corposa. Al semplice riff si aggiunge un magnifico lavoro di batteria, in una pesante marcia inarrestabile, che non varia se non per aggiungere maggiore verve ai due assoli, magnifiche parentesi melodiche nella granitica compattezza della traccia. La traccia riprende ed espande il tema del libero arbitrio, parlando per voce di Lucifero: "Osservate il Trono d'oro bruciante /  E tutto il male che vi si annida": Dio viene definito il male, e siede sul suo trono imponendo il suo volere. Ma "Io stesso sarò un re / Offrendo più di ciò che gli altri offrono": laddove Dio porta avanti vane promesse di vita eterna in cambio di penitenza, sottomissione e rinunce, Lucifero si pone come alternativa, offrendo la libertà di agire e soddisfare i propri istinti in libertà e pace, godendo delle meraviglie dell'Esistenza. È poi richiesto l'aiuto di varie entità, che supportano il Caduto nella sua guerra contro Dio: "Nutri la mia Fiamma / Leviathan! / Violenta queste ferite / Asmodeus! / Sollevami in alto / Belial! / Attraverso la tua rabbia si manifesta la mia volontà". Varie entità vengono nominate: il Leviathan, bestia immane, il più grande essere della Creazione, che solo Dio può affrontare; Asmodeus, principe demoniaco della distruzione secondo l'interpretazione etimologica aramaica "As'medi" ("Distruttore") e dell'ira secondo l'interpretazione etimologica persiana "Aeshma-Daeva" ("Spirito del "Furore"); infine viene nominato Belial, il cui nome assume diversi significati a seconda delle varie tradizioni (può essere "Niente di buono", "Falso Dio", "Dio Superbo" e "L'Arrogante"), e che soprassiede in generale ai vari tipi di peccato contro Dio. Lucifero ribadisce di essere l'unico Dio di sé stesso, sovrano del proprio destino: "Io sono invero il mio stesso Redentore / Non seguo ciecamente nessuno tranne me stesso / Io sono senza paura"; l'ultima strofa fa sì che il titolo divenga un invito a vedere Lucifero come exemplum, e a seguirne il cammino. 

Arcana Hereticae

"Arcana Hereticae" vede un inizio esplosivo nello stupendo lavoro di chitarre, con uno sweep-picking semplice ma incisivo che decora le potenti ritmiche, nella folle danza della batteria. Si entra nel vivo del pezzo, dopo una rapida parentesi di stabilizzazione, con il riff principale che si carica, prende potenza per colpire con tutta la sua violenza, e ci riesce perfettamente. Le linee ritmiche sono aggressive e incalzanti e con la loro malignità stampano sulla faccia dell'ascoltatore un bieco sorriso; il ruggito del cantante si scatena con potenza, portando a una variazione del riff per il ritornello. L'assolo è incastonato perfettamente, non particolarmente tecnico ma assolutamente trascinante. L'ultima strofa da il via a un outro orientaleggiante, arricchito da maestosi fiati e da magnifici licks di chitarra, mentre la batteria cadenzata rimbomba spavalda. Nel testo avviene la glorificazione delle figure femminili dell'Induismo, a partire da Kali, manifestazione feroce e vendicativa di Durga. Quest'ultima è la dea della Creatività, nata dall'unione delle preghiere di tutti gli dèi, allorchè stavano per essere sconfitti dal demone Mahishasura, che non poteva essere ucciso da uomo o dio per grazia di Brahma; battuti e atterriti, gli dèi si unirono in una voce sola, e da un lampo accecante nacque Durga, alla quale ogni dio donò la propria arma. La divinità femminile, bellissima e terribile, esulava dalla benedizione di Brahma, e fu perciò in grado di distruggere il terribile nemico. La storia di Kali è una manifestazione del ciclo del tempo, perchè anche lei come Durga nasce in una situazione disperata, divenendo un'entità che esula perfino dal potere della Trimurti.  Quando gli dèi ingaggiano lo scontro finale con il Grande Demone Raktabija ("Seme del Sangue"), essi si trovano a soccombere, poiché egli rinasce da ogni goccia del suo sangue, in un ciclo infinito. È in questo momento che dal sopracciglio di Durga emerge la dea Kali ("La Nera"), l'Oscurità che tutto divora, il tempo che sgretola i mondi, una manifestazione di potenza primordiale e ira, che beve il sangue del demone per impedirne la rigenerazione e lo decapita, per poi rivolgere la sua cieca follia intorno a sé. Sarà il suo sposo a fermarla, gettandosi su di lei e dissipando la sua sete di sangue con il contatto tra gli sguardi. Ella è infatti sposa e figura speculare di Shiva, uno dei volti della Trimurti indiana che rappresenta la Distruzione, laddove Brahma è la Creazione e Vishnu la Ricostruzione. La dea fa parte di una trinità femminile, dove rappresenta appunto la Distruzione, assumendo anche il titolo di Grande Illusione (l'illusione della morte, l'illusione che esista una fine nel Ciclo dell'Esistenza), associandosi a Lakshmi, sposa di Shiva, dea della Fortuna e della Luce (la luce di una nuova nascita) e a Sarasvati, sposa di Brahma, dea del Sapere e della Musica (in molte culture la Creazione è legata alla musica e al canto, massime forme d'arte e di comunicazione, grazie alle quali l'Uomo si avvicina al Dio, divenendo lui stesso Creatore). Il testo esalta tali figure: "Shakti, Kali Ma, Durga Ma / Voi siete pure nella vostra natura terrifica!", e ne sottolinea l'essenza unica e trina: "L'Incondizionata! / Creatrice, Matrice, Divoratrice!". Si compie un viaggio nei recessi più oscuri del Cosmo, nel "Grembo di Kali", dove riposa il Serpente Kundalini, essenza divina in forma pura e archetipica. Questo potere immenso è un oceano pronto a cullare nelle sue correnti o a devastare nelle sue tempeste, non votato al Bene o al Male, ed è avvolto in riposo in attesa di essere risvegliato con l'Illuminazione; tale risveglio epurerà un mondo ormai marcescente e corrotto: "Come è possibile che ancora viviamo / In questi regni di lordura / Dove il Paradiso è così astratto / E l'Inferno così reale...".

Libertheme

Un tapping soffocato apre la magnifica "Libertheme", divenendo presto un bellissimo tappeto melodico sul quale si incuneeranno potenti note rabbiose, sorrette dalla batteria, che apre un'epica danza strumentale, fino al secco risuonare di una chitarra che apre il cuore pulsante del pezzo, dominato da ritmiche rapide e un riffing schizofrenico. Ma la vera chicca sono gli assoli, che partono subito con oscura eleganza, in un sublime sollevarsi di note. Dopo il primo assolo il pezzo prosegue sui cadenzati ritmi del main riff, ma non ci vuole molto perchè un secondo assolo si faccia strada, più nervoso e feroce del precedente, al termine del quale nasce un secondo riff, di matrice orientale, che sorregge le ultime strofe, prima del ritorno della stupenda danza iniziale, che chiude il pezzo in fading. Il titolo della traccia deriva dalla sincrasi di "Liberty" e "Theme", rendendo il pezzo un inno alla libertà; dal testo si evince che questa libertà è ciò che offre Lucifero, che presenta la sua personalissima Chiesa, improntata alla Legge thelemica del "Do what thou wilt", libera da costrizioni morali e regole contraddittorie e masochiste poste da un Dio sadico. "Nella mia Chiesa dell'Indifferenza / Così innocenti nella loro colpevolezza / Perfetti nella loro imperfezione / Lascia che i miei figli giochino!"; l'essere umano è una creatura che può sbagliare: è imperfetta, piena di dubbi, ed è giusto così. La sua imperfezione e i suoi errori devono farla evolvere, da essi deve imparare, liberandosi della violenza scatenata da dogmi contraddittori, da odio programmato e indirizzato verso gli estranei, da catene che soffocano la possibilità di godere appieno della vita. Deve essere una creatura libera, appagata nella sua ricerca della felicità, e non costantemente abbruttita da presagi di torture eterne e costretta a una continua penitenza. "Nella mia Chiesa della Liberazione / Quando dubbi e paure appassiscono / Io mi ergo solo contro il mondo": il mondo è controllato da Dio e dai suoi accoliti, che imbrigliano le menti annebbiate e le rivolgono contro coloro che perseguono la via della Libertà, li additano come anarchici ricercatori del caos, peccatori blasfemi e carichi d'odio, privi dell'amore che è prerogativa assoluta di Dio e da esso ispirato. Ma l'amore emerge lo stesso, un amore che fa sfidare le paure e i tormenti che Dio sussurra al nostro orecchio: "Nella mia Chiesa della Speranza / Anelando il tuo abbraccio / Ho attraversato le acque dello Stige": superare le acque dello Stige indica la purezza assoluta, poiché si è sconfitto l'"Odio" (appunto "Styx" in Greco antico). Secondo la mitologia greca, il potere di questo fiume era temuto persino dagli dèi stessi, che giuravano su di esso per convincere della loro assoluta buona fede. Zeus dava infatti una coppa dell'acqua del fiume al dio che lo chiamava in causa, per testarne il cuore: se il dio mentiva il potere del fiume lo mandava in coma per un anno, e per altri nove non avrebbe partecipato ai banchetti. Solo spinti da un cuore puro si possono sfidare le tali acque, come fece il cantore Orfeo per ritrovare la sua amata Euridice, morta prematuramente. In sintesi Lucifero sta affermando la propria buona fede in quanto prometeico amico dell'Uomo, giura che il suo aiuto non è corrotto, e che il suo obiettivo è il nostro: la caduta di Dio, la fine dell'oppressione. Quella di un padre talmente attaccato al suo potere da allontanare e infamare il figlio, ma anche quella di un tiranno che crea un mondo per poterlo poi incatenare e sfruttare, in modo da sentirsi glorificato e onnipotente.

Inner Sanctum

"Inner Sanctum" ha visto il grande jazzista polacco Leszek Mozdzer provare varie melodie sul suo piano, fino all'illuminazione che ha ridotto il tutto a una manciata di note incredibili, capaci di dare i brividi, trasmettendo inquietudine e malessere allo stato puro, presto sostenute da potenti chitarre. Una sinistra melodia si fa strada tra le linee ritmiche, e si intreccia con la voce di Warrel Dane (Serpent's Knight, Sanctuary, Nevermore), che assume un tono cupo e insinuante, alternando rabbia, disgusto e scherno con maestria, mentre il ruggito di Nergal emerge con violenza nel magnifico ritornello. La canzone mantiene delle linee ritmiche stabili, eleganti e leggere, che si irrobustiscono nell'accelerazione del ritornello, dove la batteria si lancia in un bombardamento chirurgico e secco. Ed è proprio con l'ultimo ritornello che il pezzo si avvia alla fine, sulle note mediorientali di una chitarra acustica, preludio di un outro dai ritmi serrati, sui quali viene ricamato un assolo molto coinvolgente, al termine del quale il pezzo si chiude bruscamente. Il termine "Inner Sanctum" indica un "Santuario Interno", un luogo mentale e spirituale, il nucleo pulsante dell'identità di una persona. Un rifugio per il nostro, Io che mai dovremo abbandonare. "Sputa sulla mia pelle / Violenta le mie ferite / Profana il mio Santuario Interno, nel quale mi nascondo / Trascinami attraverso il fango / Acceca i miei occhi biancheggianti / Così che io possa vedere l'Oscurità nei tunnel della Luce". L'incipit è un ricordo di Lucifero, che essendosi ribellato viene umiliato e devastato in tutto il suo essere, e cerca rifugio dentro di sé per non impazzire. Un tale dolore gli apre gli occhi, e comprende la malvagità, l'"Oscurità" di un padre che aveva amato fino a poco prima, e che si presenta come pio e luminoso. Roso da un dolore che non può sopprimere, torturato nel corpo tanto da chiudersi in sé stesso nella vana ricerca di sollievo, "Sommerso nella disaffezione", il Caduto viene introdotto al suo "neonato Inferno". La rabbia comincia a montare, e un'idea prende forma, manifestandosi in un ruggito ribelle: "Che ciò non sia, dunque! / Non mi vedrete agonizzante! / Fu un fallimento, e questo non è una scelta". Si riscuote, lacero e umiliato, ma ora ravvivato dal fuoco e dalla dignità che portava in sé, e che non ha permesso che gli sottraessero neanche dopo tutte le torture subite, conservandoli nel nucleo del suo Io, e lasciando ora che gli siano spada e scudo: "Questo mio Essere immortale / L'Eterno Viaggiatore, figlio del Mattino / Abbandonato, ma impossibile da sconfiggere!". Il Caduto si risolleva e scandisce il suo nome: Shaitan, "L'Avversario!" nasce in questo momento.

Pazuzu

"Pazuzu" ci immerge in una magia incredibile, raddensando intorno a noi tenebre insondabili grazie a inquietanti accordi carichi della più pura malvagità musicale, accompagnati da una batteria dal suono ritmato, tribale, il battito del cuore di un demone, mentre una chitarra intesse una nervosa melodia di sottofondo. Il pezzo esplode tra cori femminili e ruggiti, e tra le secche note degli strumenti; i ritmi sono da cardiopalma, sensazione enfatizzata dalla linea melodica delle chitarre, una folle raffica di note. L'atmosfera è satura di una nereggiante malvagità; ci si ritrova sollevati e trascinati via da un vento oscuro, sulle cui folate volano sciami di mosche, tra turbini pestilenziali che fanno gonfiare le ali del Demone dei Venti. La batteria sembra esplodere, mentre la voce diventa un ringhio indistinto e le chitarre intessono note su note. A un tratto tutto tace, e per una manciata di secondi risuona solo il vibrante rimbombare del basso, prima che la voce ruggisca le ultime strofe, chiudendo il pezzo bruscamente come era iniziato. Il testo inizia con la recitazione di tre versi in Sumero: "Tale è il Sigillo di Nergal / Tale è il Trono di Pazuzu / da tempo immemore Custode della Vittoria", come si capisce dal titolo, il brano verte intorno alla figura di Pazuzu, demone conosciuto grazie alla mitologia assiro-babilonese, ma di origine molto più antica, e che assume caratteristiche sia positive che negative. Egli era principalmente noto come il demone dei venti di sud-ovest, che soffiavano dal deserto portando terribili epidemie; il demone spargeva il male con il suo respiro gelido e secco, e con le sue grandi ali, circondandosi di silenzio e desolazione. Le sue rappresentazioni variano: era solitamente rappresentato con quattro ali, zampe di leone per mani e di avvoltoio per piedi, con un corpo coperto di scaglie, il pene eretto con testa di cobra e una coda da scorpione. Il tratto più inquietante era però la testa, con una forma simile a quella umana, ma cornuta e con un muso di cane o sciacallo, a rappresentare morte, malattie e carestia, Un'altra inquietante descrizione è quella che viene dal Vecchio Testamento, dove è descritto come una creatura scheletrica dal pelo nero, un cacciatore che vive nelle lande desolate. È legato a una simbologia che lo associa al titano/drago Typhon, "angelo dalle ali fatali", che non è nient'altro che la versione greca dell'antichissimo dio Seth, anche lui rappresentato con tratti simili a quelli di un canide, dio del Caos, signore del deserto (per questo adorato dei carovanieri), della guerra e degli aspetti più brutali o onorifici legati ad essa. Lo scrittore e poeta inglese Kenneth Grant, thelemita allievo di Aleister Crowley, amico di Austin Osman Spare e fondatore del Typhonian Ordo Templi Orientis, lo definisce una emanazione di Seth, chiamata Shugal, la volpe del deserto, simbolo del dio e parte maschile della Bestia, il cui numero è 333. Ha una compagna, Choronzon, signora della pestilenza, parte femminile della bestia, anche lei associata al numero 333 (333+333 = 666). Nella demonologia il numero di Pazuzu è 107, il che lo avvicina anche al demone Oval, messaggero della Bestia, il cui nome significa "Uovo", ed è legato alla forma germinale dell'Eone di Seth, un'epoca di distruzione totale, nel quale Oval/Pazuzu lancia il suo ululato, il gemito dei venti che trasportano malaria, peste e tifo. Tale urlo riecheggia anche nel ruggito di Atem, il Grande Drago dell'Apocalisse (nel testo: "Atem, Divoratore della Vita, eterno Oscuratore") il cui numero è 440 (cioè 107+333); questo numero è legato ai diversi fattori che segnano la fine di un'Era: "Annichilimento", "Cessazione", "Scomparsa", ma anche (sopratutto) "Completamento", il completamento di un ciclo che porta al ciclo successivo, il che emerge anche nella strofa "Possa il 107 completare il Ciclo / Quando l'Eone di Seth emergerà / Le tempeste del deserto non potranno essere domate". Questo aspetto di divinità legata alla ciclicità dei tempi e alla fine delle ere, lo associa anche alla nera Kali, la Distruttrice. Un ulteriore aspetto di Pazuzu era benigno, poiché la leggenda voleva che il demone si nutrisse anche del potere degli altri demoni, neutralizzandolo; per questo il suo culto era diffuso tra le partorienti, che lo utilizzavano paradossalmente come simbolo apotropaico, sia per scongiurare i suoi stessi mali, sia per annullare quelli portati dagli altre entità (inclusa la sua sposa Lamashtu, portatrice di febbre che si accaniva appunto contro donne incinte e bambini).

Christgrinding Avenue

"Christgrinding Avenueparte con un rapido intro di chitarra, sorretta da una batteria cannoneggiante. Un assolo frenetico inserisce poi un riffing compatto e brutale, di matrice orientale, che alterna momenti di frenetico caos con attimi di più ampio respiro, dove la batteria abbandona il blast-beat per ricamare magnificamente sui piatti, mentre il ritornello diviene un'orgia di malvagità, e colpisce i timpani con la forza di un maglio. Il pezzo culmina la sua breve corsa con un rallentamento generale, dove una solenne batteria avvia un imponente outro, dove le chitarre scandiscono come un mantra una maestosa melodia, che viene resa ulteriormente epica da un'ottima sezione di fiati. Nel fade-out che chiude il pezzo si solleva una melodiosa voce femminile, un ultimo meraviglioso addio. Il testo abbraccia una tematica più marcatamente anticristiana, riferendosi alla "Via Dolorosa", una strada di Gerusalemme, chiamata così perchè percorsa da Gesù, diretto verso la cima del Golgotha, dove fu crocifisso. Le strofe si scagliano contro la fede cristiana, qualificandola come una malattia: "Rettile! / Spargi follia e malattia tra gli uomini [?] Nessuna gloria ti attende / Nei piangenti cieli sovrastanti". Gesù è visto come un folle che con dolci parole conduceva menti deboli ad essere asservite a Dio, inducendo gli uomini a rotolarsi in una ristagnante relazione a senso unico, abbracciando rinunce ed espiazioni, convinti di essere macchiati da un assurdo peccato. Questa convinzione li spinge ad auto-segregarsi nel loro microcosmo, pensando che nulla di meglio possa venirgli dalla vita, quasi fossero poveri schiavi ciechi, convinti che il mondo non vada oltre la luce lattiginosa che percepiscono, violenti verso ciò che percepiscono come ignoto. Ma il mondo è Esistenza ribollente, pieno di terrori e meraviglie, di esperienze da fare, di piaceri e dolori da provare, di passioni e di bellezze che possono soddisfare lo spirito e il corpo. È un Universo a misura di Uomo, l'unico e solo Paradiso, e questo credo fatto di lacrime e privazioni porta gli uomini a ignorarlo ciecamente, per cui non c'è pietà nelle parole del testo: "Brindate alla crocifissione / Poichè l'Oppressione è finita! [?] Su questo cadavere / Io banchetterò / Finchè non rimarrà speranza per questa marmaglia deviata!". Vengono poi invocati vari dèi: "Mithras! / Solleva la tua Spada del Giudizio / Rilascia la pioggia di ferro [?] Sekhmet! / Manifestazione di Mut / Protettore di Ma'at". Mithras è una divinità solare di origine indo-iranica, il cui culto si è sviluppato nel 1200 a.C. circa; compare nei Veda (antichissimi testi religiosi indiani), nei quali è una delle divinità più importanti e il simbolo del potere regale, e in seguito diviene uno degli Amesha Spenta, i "Benefici Immortali" della religione persiana, nonché braccio destro del grande dio Ahura Mazda, il "Saggio Signore", di cui era il rappresentante sulla terra e braccio armato contro il demone supremo Angra Mainyu, "Spirito del Male", chiamato in seguito Ahriman. Era un dio benigno di verità, nobiltà, correttezza e patrono dei patti; egli era il "Giudice delle anime" che proteggeva dal Male e accompagnava nel Paradiso (termine derivante dal persiano "pairidaeza", "giardino"). Come dio del sole, della luce e del fuoco (distruttore e purificatore), egli era anche legato alla prosperità, e a tutto ciò che cresce. La seconda divinità invocata è Sekhmet, dea egiziana dalla testa di leonessa, anch'essa legata al sole e al fuoco, purificatrice e guerriera, sposata a Ptah, dio creatore patrono della conoscenza. Era il lato oscuro della dea Mut, sposa di Amon ("Il Nascosto", antico dio supremo degli Egizi, poi unito al dio solare Ra), e nella sua forma leonina rappresentava il potere distruttivo dell'astro solare, la punizione derivante dall'ira di Ra. Il dio infatti la invierà a punire gli uomini, ribellatisi agli dèi, in modo da ristabilire l'ordine cosmico (incarnato dalla dea Ma'at, per questo nominata nel testo); la dea si lancia in una carneficina terrificante, tanto che sarà lo stesso Ra a impedirle di annientare la razza umana, facendola ubriacare con della birra rossa come sangue. Ella si addormenta, e al suo risveglio assume la forma di Hator dea dell'amore, della gioia e della fertilità, una figura arcaica legata al culto preistorico della Dea Madre, una Madre Universale simbolo della vita, ma anche protettrice dei morti. Nel testo si invoca la punizione di queste antiche entità contro colui che cerca di spazzarne via i culti, appropriandosi però dei loro dettagli e delle loro peculiarità per riuscire a trovare degli accoliti. Il peso del loro giudizio e della loro ira stritolerà il falso profeta, che già gravato dal peso della croce si avvia verso la morte, osservando la cima del Golgotha stagliarsi sopra le strade polverose di Gerusalemme.

Conclusioni

Questo disco si stacca dal suo brutale predecessore, presentandoci un lavoro compatto, saturo di una poetica incredibilmente complessa e di una musica brutale ma melodica. Dove "Demigod" si lanciava in un lirismo ispirato principalmente alle radici più arcaiche dei culti semitici del Vicino Oriente, in una dialettica imperniata sul superamento del limite umano grazie alla forza di volontà, "The Apostasy" si sposta ancora più indietro geograficamente, nel simbolismo e nella Storia, unendo nozioni già presentate, legate ai culti misterici mediorientali, con riferimenti estremamente ricercati alle religioni "complesse" più antiche, traendo spunto dai Veda indiani, dai culti degli Arii, dal Mazdeismo. Le liriche scivolano sinuosamente tra le radici più profonde dell'albero dei miti, creando collegamenti, evidenziando somiglianze e rievocando entità antiche e misteriose. Ma, come al solito, al centro di tutto ci sono l'Uomo e il suo percorso verso la Libertà; in ogni testo brilla la natura umana, la sua imperfezione, e persino quando si parla di arcaiche divinità, il loro essere sia benevole che malevole non fa che rimarcare questo punto, portando alla luce le mille sfumature di grigio che si trovano tra il bianco e il nero che i dogmatismi impongono. Le musiche sono potenti e curate, partendo dal meraviglioso lavoro delle chitarre, con parti soliste più complesse rispetto a quelle precedenti (in questo senso fra tutte le tracce brilla "Libertheme"), passando per il basso, corposo e possente, per arrivare alla batteria, mai abbastanza lodata, che in alcune tracce arriva quasi a parlare. Per concludere, quest'opera è un altro centro di una band in ascesa, che non finirà mai di stupire. In tempi come questi, dove gruppetti di poco valore ricercano fama e fortuna attraverso misere scorciatoie, mirando al soddisfacimento della massa, è confortante vedere che rimangono ancora artisti così emotivamente coinvolti nelle loro opere, che curano e perfezionano con la perizia di artigiani, primi a godere della loro bellezza. Questa passione e questa cura sono ciò che rende unici i loro lavori, e gli permette sempre di essere un gradino, anzi, una scalinata al di sopra degli altri.

1) Rome 64 C.E.
2) Slaying the Prophets of Isa
3) Prometherion
4) At the Left Hand of God
5) Kriegsphilosophie
6) Be Without Fear
7) Arcana Hereticae
8) Libertheme
9) Inner Sanctum
10) Pazuzu
11) Christgrinding Avenue
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