BEHEMOTH
Sventevith (Storming Near The Baltic)
1995 - Pagan Records
DAVIDE PAPPALARDO
16/12/2014
Recensione
Nel 1995 i Behemoth erano ben lontani dal successo ottenuto negli anni 2000, e anche dal suono più tendente verso il Death e dalle tematiche più occulte che li caratterizzeranno in una serie di lavori devastanti che li consacreranno nello stardom del Metal estremo, attirando sia lodi, sia critiche feroci dai detrattori; i nostri nascono in Polonia (inizialmente chiamati Baphomet) nel 1991 per volontà del chitarrista e cantante Adam Darski a.k.a Nergal, del batterista Adam "Baal Ravenlock" Muraszko e del chitarrista/bassista Adam "Desecrator" Malinowski (tutti minorenni all'epoca, attratti dalla forte e sovversiva estetica e dal suono delle band europee già esistenti come i Samael, e di classici estremi come Hellhammer e Bathory). Dediti quindi ad un Black Metal derivativo dal sound norvegese, caratterizzato da tematiche pagane legate alla tradizione della loro terra, e a tipici argomenti del genere come il vampirismo, confermandosi come una delle prime band di Metal estremo in Polonia, paese rigidamente cattolico e tradizionalista non alieno a crociate anche politiche e mediatiche contro tutto ciò che è blasfemo, o semplicemente non consono alla Chiesa. La band comincia quindi a produrre una serie di demo ( "Endless Damnation" e "The Return of the Northern Moon" ) sotto l'etichetta Pagan Records, dove la tecnica è molto amatoriale e la produzione scadente, usando però la motivazione del "raw and frostbitten" per giustificare tale fatto, ma parallelamente migliorando sempre più con il tempo; in ogni caso, probabilmente anche per l'assenza di molti concorrenti in patria, i nostri cominciano a farsi conoscere nell'ambiente underground (perdendo però una parte del seguito iniziale che vedeva il passaggio sotto etichetta come un tradimento) anche grazie ad una serie di concerti nei luoghi più disparati, spesso con strumentazione e impianto audio di fortuna. Seguono anche interviste per varie fanzine e lo scambio di cassette, tipico metodo di comunicazione nato dall'epoca del Thrash, e ripreso anche dalla deriva Black, dove grazie allo scambio del passaparola tra appassionati il loro nome si diffonde sempre più nei circoli polacchi; intanto i risultati delle loro prove costanti incominciano a vedersi nell' ultimo demo "..from the Pagan Vastlands" del 1994, dove sia la tecnica vocale, sia la performance strumentale, raggiungono un buon songwriting e resa sonora, sempre naturalmente lo - fi, ma non più inascoltabile come il primissimo demo, che era praticamente un lavoro di Noise involontario. I nostri sono quindi pronti per il loro primo album ufficiale "Sventevith (Storming Near The Baltic) - Sventevith (Tempesta Vicino Al Baltico)" che sancisce sia il loro primo cd, sia il primo in assoluto per la Pagan Records, creando grandi aspettative da entrambi le parti. La band è qui ridotta al duo Nergal - Baal, supportati alle tastiere da Cezar e dallo svizzero Sascha Falquet a.k.a Demonious, il quale si occuperà dei due pezzi strumentali contenuti nell'album; la produzione è affidata al boss della label, Tomasz Krajewski, che si occuperà anche dei testi di "From the Pagan Vastlands" e "Hidden In A Fog", dando un supporto a trecentosessanta gradi ai nostri. Si tratta di un lavoro che pur non rivoluzionando certo il genere, mostra una raggiunta maturità da parte della band, dalla quale partirà un processo che con il tempo li farà sperimentare verso diversi elementi e direzioni, conservando comunque una natura prettamente Black fino alla fine degli anni '90; non troviamo quindi solo un cieco assalto costante, bensì anche sezioni epiche e dal gusto più sinfonico anche grazie all'aggiunta dei synth, che richiamano i primi Emperor e i Carpathian Forest del primo EP, con un' atmosfera fredda e suggestiva dai connotati a volte quasi Ambient che richiamano Burzum, coniugando il tutto con attacchi di chitarra e batteria degni degli Immortal, e momenti calmi di matrice Folk che si legano perfettamente con l'elemento culturale della loro musica, grazie alll'uso di chitarre acustiche in arpeggio e tastiere. Nergal si occupa di chitarra, basso e testi, Baal della batteria, dimostrandosi entrambi cresciuti come musicisti e capaci di proporre una visione più coerente di quanto cercavano di fare sin da inizio carriera, tenendo in mente che ancora si trattava comunque di ragazzi molto giovani neanche ventenni. In alcune parti spunta anche l'uso della voce pulita in recitazioni suggestive, elemento poi usato ampliamente dal front man, il quale qui crea momenti che si discostano dall'assalto estremo, creando solenni isole sonore di atmosfera, ennesimoa spetto che dona un minimo d'identità al suono del gruppo, pur riconoscendo tutte le ispirazioni prima menzionate.
"Chant of the Eastern Lands - Cantico Delle Terre Dell' Est" si apre con un freddo rifting aspro e lo - fi sorretto da tastiere evocative e solenni, nonché dalla doppia cassa in loop nei suoi colpi continuativi che creano l'ossatura ritmica del brano; al quattordicesimo secondo incontriamo le vocals in screaming gracchiante di Nergal, non certo rivoluzionarie e lontane dalle tendenze growl che lo caratterizzeranno in futuro, ma comunque più che competenti e perfettamente legate all'atmosfera atavica e oscura del pezzo, ricollegandosi pienamente alla seconda ondata del Black Metal ricordando molto lo stile di Varg Vikernes. Alcuni blast irrompono poi nel brano sottolineando l'andamento della strumentazione, e al ventiseiesimo secondo doppio un rullo di batteria il suono cresce d'intensità, grazie ai giri di chitarra pieni di malinconica melodia atonale, che instaura atmosfere da foreste notturna di chiara natura frostbitten; qui si nota come l'apporto delle tastiere sia fondamentale, creando la base sulla quale si delineano i toni più taglienti e duri delle chitarre a sega elettrica. Al trentanovesimo secondo l'urlo rauco del nostro segna un andamento più cacofonico ed altisonante, dove la distorsione delle chitarre domina al scena, insieme agli apocalittici cori campionati e ai colpi rocciosi di batteria, in un andamento sinfonico dal grande impatto e solenne; al quarantasettesimo secondo partono poi bordate di chitarra incalzanti che creano un percorso sonoro più ritmato e cadenzato, che porta avanti il pezzo su questa linea in una nera cavalcata in perfetto stile Black. Essa è tagliata dalle vocals a rasoio di Nergal e da alcuni blast che compaiono nel drumming altrimenti serrato nella sua cassa dritta, in uno stile decisamente più minimale e non molto tecnico, molto diverso da quello per il quale poi i nostri saranno conosciuti; la melodia glaciale di tastiera e muri di chitarre atonali continuano a dominare il pezzo nel suo incedere, puntando alla creazione di un mondo sonoro onirico e dla grande impatto, che si lega perfettamente con i testi pagani dei Behemoth di questo primo periodo. L'epica cavalcata s'interrompe al minuto e diciannove lasciando posto ad una nuova sezione con toni orchestrali, dominata dagli effetti di tastiera spettrali e dai giri rocciosi delle chitarre, sottolineati dai piatti pestati di batteria, la quale poi si lancia in un movimento meccanico da pressa industriale; con il colpo stridente di chitarra del minuto e trentacinque riprende la corsa altisonante che cresce d'intensità e mostra un songwriting più articolato, dove rulli e suoni quasi meccanici si legano al buzz costante dello strumento a corda, offrendo parti incalzanti come quella che dal secondo minuto e tre fino al secondo minuto e otto vede colpi pesanti e distorti di batteria come quelli di un'incudine. Essi poi tornano in concomitanza con il ritornello, creandone la cadenza insieme alle ariose chitarre atonali, stridenti e taglienti nel loro freddo incedere, sottolineando le malvagie declamazioni da creatura delle foreste del cantante; improvvisamente al secondo minuto e cinquantanove tutto si ferma, lasciando spazio ad una pausa con fraseggi ultra distorti di chitarra, sui quali poi parte la batteria marziale, sottolineata da rulli e arpeggi in tremolo stridenti in sottofondo. Riprendono poi i colpi cadenzati di batteria in concomitanza con l'epico incedere e le tristi melodie, fino alla nuova pausa distorta del quarto minuto; essa preannuncia con le sue lente motoseghe la nuova cavalcata in doppia cassa, dove i loop di chitarra gelidi creano la struttura melodica poi supportata dalle notturne tastiere cosmiche e da assoli stridenti in sottofondo, in un nuovo crescendo struggente dal sicuro impatto emotivo, il quale prosegue imperterrito fino alla dissolvenza finale che chiude il pezzo. Il testo esplora le tematiche ataviche care ai nostri, che invocano le gesta di barbari dei Carpazi che amano la battaglia e si sentono legati alla foresta; "In the midnight wilderness I took a pledge, Quickly I fell in love with the taste of steel - Nella selvaggia foresta di mezza notte faccio un patto, Velocemente mi innamoro del sapore dell' acciaio." viene declamato, proseguendo le varie descrizioni con immagini legate all'ambiente selvaggio, e alla fiera natura dei combattenti slavi, che si oppongono alle forze cristiane, come in "In brightness of bloody light, steel holocaust, I received hails from the northern side - Nella chiarezza della luce sanguigna, olocausto di acciaio, ricevo I saluti dal nord.". L'unione d'intenti è unica: raggiungere la gloria e riportare in vita i culti pagani soffocati dalla nuova religione ( "This battle is a rebellion, rebirth of old traditions, Mythical hell is the paradise to the true warriors - Questa battaglia è una ribellione, rinascita di vecchie tradizioni, Mitologico inferno che è il paradiso dei veri guerrieri." ) in una rinascita culturale pagana tipica di certo Black Metal, soprattutto dopo che era stata superata la prima fase prevalentemente satanica e blasfema. "The Touch of Nya - Il Tocco Di Nya" è una strumentale molto breve, di neanche un minuto, dove incontriamo arpeggi progressivi di chitarra sferraglianti nel loro suono alto, ma dall'andamento delicato che contrasta con i colpi metallici in sottofondo, in un suono quasi Neo Folk e Industrial che si chiude con un feedback sommesso di strumentazione. "From the Pagan Vastlands - Dalle Vaste Terre Pagane" invece offre subito chitarre rocciose e taglienti dall'andamento lento ed imperante, sotto le quali si sentono delicati arpeggi melodici di chitarra, legati all'intermezzo strumentale precedente; prende poi sempre più consistenza il muro di chitarra, aprendosi al dodicesimo secondo al supporto della doppia cassa e delle grida rauche di Nergal, partendo con il rifting devastante e frostbitten. Esso prosegue in una fredda tempesta sonora, sottolineata tanto dai colpi del drummming, quanto dalle melodie atonali ed evocative, instaurando l'ennesima atmosfera nera e solenne molto evocativa; l'andamento poi conosce toni serrati che non sfigurerebbero nei primi lavori degli Immortal, accompagnati da affascinati scale di chitarra e suoni di tastiera che aggiungono alla cieca violenza una certa valenza "medioevale" vicina a quella dei primi Satyricon. Il movimento prosegue su tali coordinate fino al minuto e tre, quando il songwriting si fa ancora più incalzante e diretto grazie ai loop di chitarra gelida e ai colpi cadenzati di batteria, sottolineando lo screaming da troll di Nergal, che segue come sempre il modello norvegese nella sua performance vocale. Al minuto e ventinove un assolo distorto di chitarra di qualche secondo anticipa una nuova "suite" dove si sviluppa in un loop accompagnato da alcuni colpi improvvisi di batteria, creando una tensione di matrice quasi Thrash, la quale al minuto e trentanove si apre ad una marcia monolitica nel suo drumming marziale e nei suoi suoni dissonanti di chitarra, calma nel suo incedere da carro armato; essa prosegue a lungo, accompagnandosi anche a parti più tecniche di batteria, e alle grida sgolate di Nergal, in un andamento ipnotico e trascinate nei suoi loop circolari, dove le chitarre scolpiscono fredde tempeste sonore. Al secondo minuto e ventiquattro il tutto si fa più veloce grazie all'implementazione dei blast di batteria, creando una cacofonica corsa dove la produzione, non plastica, ma neanche troppo scarsa, contribuisce al terremoto sonoro pomposo e aggressivo qui rappresentato; il tutto prosegue con le vocals del cantante, sempre aspre e più giocate sulla costante declamazione del testo, piuttosto che su potenti ruggiti, e da alcune polifonie della ritmica che donano varietà al pezzo, mostrando un minimo d'inventiva da parte del gruppo, che cercano di adattare così il sound di riferimento con alcuni accorgimenti che in seguito, prenderanno più piede nel loro stile. Al terzo minuto e tredici abbiamo una nuova corsa con in sottofondo una più solenne melodia di chitarra oscura ed ariosa, dall'incedere epico sottolineato dalle tastiere, e dai colpi potenti e cadenzati di batteria, in un avvincente crescendo sottolineato dai rulli di batteria, e dal loop costante dei riff circolari di chitarra; essa prosegue fino all'improvviso stop del quarto minuto e nove, quando lo spazio è lasciato all'arpeggio melodico di chitarra che chiude il brano su note delicate e progressive. Il testo tratta ancora una volta del retaggio culturale slavo e dell'opposizione al cristianesimo, identificato con Roma luogo della Santa Sede, in una rivendicazione delle proprie radici; ) "Union with people from the sign Of the half-moon, To crush the golden walls of Earthly heaven, To strangle the pestilence ... - Unione con le persone che hanno il marchio della mezza luna, Per schiacciare le mura dorate del Paradiso terrestre, Per strozzare la pestilenza?" viene fieramente dichiarato come in un discorso di guerra, raccogliendo le forze pagane sotto un unico simbolo, pronti all'attacco. Con immagini poetiche viene presentata l'unione tra i vari schieramenti, provenienti da vari territori ( "From unremembrance, From Fire and Water, From the sacred woods, Ancient Wolves gather, From the burnt Arkona ...From the Pagan Vastlands ! - Dalla non rimembranza, Dal Fuoco e Acqua, Dalle foreste sacre, Antichi Lupi giungono, Dalla bruciata Arkona ?Dalle Vaste Terre Pagane ! " ) e accumunati al lupo, animale fiero e selvaggio caro alle culture nordiche e baltiche. "Hidden in a Fog - Nascosto Nella Nebbia" si apre con un feedback di chitarra a cui segue un rifting distorto e stridente che individua il gusto dei nostri anche per lo stile rozzo e sgraziato degli Hellhammer; esso prosegue nei suoi toni taglienti, accompagnato poi da rulli marziali di batteria, fino all'esplosione del ventunesimo secondo. Con essa abbiamo un movimento sempre controllato, ma più cadenzato grazie ai colpi continui di batteria e al loop di chitarre, sui quali si instaura lo screaming cavernoso e ricco di riverbero di Nergal; non mancano in sottofondo fraseggi di chitarra pacati che contribuiscono all'atmosfera sognate, ma sempre fredda, e che concorrono per contrasto alla struttura del pezzo. Al minuto e sette abbiamo un crescendo d'intensità grazie all'apporto della tastiera, che prosegue la linea melodica atavica e malinconica dal perfetto stile Black, con un tono epico sottolineato dai ritornelli rauchi e dai cori solenni, dove non mancano comunque i colpi serrati e potenti di batteria, la quale viene tenuta nel mixaggio molto metallica, ottenendo un buon effetto accattivante perfetto per gli andamenti sinfonici qui presentati; il brano prosegue su medie velocità, dando enfasi ai fraseggi di chitarra e alle melodie vocali sgarziate, in una costante atmosfera imperante che al secondo minuto e venti ha un nuovo crescendo sottolineato da tastiere ad organo e colpi di drumming, il quale poi accoglie nuovamente i cori sacrali da oscura cerimonia, sottolineati da cadenze feroci di batteria, sempre comunque controllata e meccanica nel suo incedere. Riprende poi il movimento precedente, conservando tutta la sua glacialità grazie anche agli assoli distorti che si sviluppano in sottofondo, il quale poi al terzo minuto e trentasette evolve di nuovo nei suoni da organo solenni dalla regale intensità, che creano come sempre un'epica atmosfera in crescendo, dominando poi al scena insieme ai beat di batteria, e conoscendo anche parti parlate in pulito da parte di Nergal; al quarto minuto e venti abbiamo una pausa improvvisa con basso strisciante e greve, la quale prosegue a lungo arricchita da dissonanze e andamenti marziali di batteria, accompagnata poi da tastiere in un andamento più Ambient e sperimentale. Al quinto minuto e diciannove intervengono anche arpeggi di chitarra che rafforzano la nuova struttura, in un evocativo incedere appassionante e che mostra la volontà dei nostri d'inserire elementi innovativi nel loro songwriting, ottenendo un suono ancora una volta vicino a certo Neo Folk oscuro; al sesto minuto e tredici anche esso si ferma e lascia lo spazio ad effetti di synth e feedback di chitarra, sottolineati da suoni di piatto di batteria, in una coda finale che assume connotati Dark Ambient poco prima di chiudersi definitivamente. Qui nel testo il tema naturalistico viene legato ad un altro tipico del Black più fantastico: quello dei vampiri, algide creature non morte che si legano perfettamente al freddo e oscuro immaginario ricercato dai nostri; "Nobody remembers days of glory, Several hundreds years passed in silence, Not a soul has been seen here - Nessuno ricorda i giorni della gloria, Diverse centinaia di anni sono passati in silenzio, Nemmeno un'anima è stata qui vista" sono le parole che delineano foreste dimenticate da tempo, dove tali creature dimorano in attesa di risvegliarsi per colpire nella notte. Essi sono visti come appartenenti ad un antico culto sacro ed implacabile ("Faithful guards of religion, Old as the blood itself - The Cult of the Undead Vampirism ! - Guardie fedeli della religione, Vecchia come il sangue stesso - Il Culto Del Vampirismo Non Morto ! " ), esseri che sono tutt'uno con la nebbia transilvana, e che si nutrono del sangue dei mortali in un drammatico destino epico descritto in maniera cruda, ma evitando banali volgarità e mantenendo un certo stile poetico che dona fascino alle parole della band, qui come detto in precedenza curate dal boss della loro label. "Ancient - Antico" è una breve suite strumentale dal sapore neo classico, grazie a tastiere barocche e suoni d'archi campionati, per un atmosfera ariosa ed elegante dai toni settecenteschi, che si discosta dalle trame oscure che dominano il lavoro, offrendo attimi di luce nell'oscurità perpetua della foresta sonora offerta dal resto dell'album. Subito dopo la sua dissolvenza, parte "Entering the Faustian Soul - Penetrando L'Anima Faustiana" con il suo bel fraseggio di chitarra melodico supportato da rifting a muro di chitarra dal tipico sapore Black; il movimento prosegue, con toni di marcia sottolineati da improvvisi rullanti di batteria, fino all'esplosione del ventitreesimo minuto con la voce maligna e gracchiante di Nergal che si lancia insieme alla doppia cassa in una corsa Black Metal sparata a tutta velocità. Essa si sviluppa nel solito terremoto sonoro con riff taglienti in loop ricchi di melodia atonale, e colpi potenti di drumming, giocato sia sulla doppia cassa, sia sui blast metallici che investono l'ascoltatore instaurando parti più serrate e cadenzate; una di esse la incontriamo al cinquantaseiesimo secondo accompagnata dal crescendo di tastiere solenni e dagli arpeggi malinconici che sottolineano parti importanti della struttura del pezzo, mentre Nergal continua a declamare disperato le sue oscure visioni; al minuto e quarantotto un grido accompagna la pausa marziale con rulli di batteria, la quale poi si fa più incalzante e vede risate malvagie che si stagliano su di essa, in un andamento simile a quello iniziale più controllato dove si fanno notare ancora una volta i colpi metallici di batteria, mixata piena di riverbero martellante. Al secondo minuto e ventotto abbiamo una nuova cesura, dove questa volta sono i toni rocciosi di chitarra ad essere protagonisti nei loro giri concentrici ripetuti; essa evolve al secondo minuto e trentasette in una nuova corsa frostbitten anticipata da rullanti di batteria, dove la doppia cassa si lancia serrata insieme ai loop a motosega delle chitarre, aspri e ipnotici nel loro costante andamento. Al terzo minuto e tredici ritornano le epiche tastiere, instaurando di nuovo una parte evocativa dal grande effetto, sottolineata come sempre dal movimento marziale della batteria, dedita a marce metalliche costanti; il suono così ottenuto prosegue in un freddo crescendo fino alla pausa del terzo minuto e trentacinque, dove il tutto rallenta in toni Doom accompagnati da parti vocali recitate in pulito ed arpeggi dissonanti di chitarra. Ma la quarto minuto e sette torna al doppia cassa sparata, insieme ad un urlo rauco, che segnano la ripresa dei ritmi più sostenuti, in un nuovo turbine cacofonico che cresce d'intensità tra blast potenti e melodie distorte ed atonali in sottofondo; l'andamento si fa sempre più pestato e massacrante, vedendo però anche l'aggiunta al quarto minuto e trentadue delle fide tastiere sinfoniche in un completamento dell'atmosfera grandiosa che prosegue fino al quarto minuto e cinquantasette. Qui riprende la corsa turbinante precedente sempre in doppia cassa e arricchita dai suoni estranianti, ma melodici, in sottofondo, mostrando ancora una volta un lato più tecnico ancora acerbo, ma competente nei suoi crescendo ammalianti; essa prosegue sempre più veloce e vorticante, fino al finale improvviso segnato dall'urlo in riverbero di Nergal che chiude il brano definitivamente. Il testo affronta in maniera più onirica e legata alla mitologia il tema delle radici slave e pagane dei nostri, nominando una serie di divinità e concetti del pantheon slavo; "When the servants carry me to the gates of Helevorn, Dreams about unlimited dimensions - Quando I servi mi portano ai cancelli di Helevorn, (Ho) Sogni di dimensioni senza limiti" dichiara il protagonista all'inizio del suo viaggio mistico, facendo riferimento anche al lago Helevorn tratto dal Silmarillion di Tolkien, altra grandissima fonte di ispirazione per i gruppi Black scandinavi e non. Si susseguono una serie di immagini suggestive e concetti religiosi, raggiungendo poi il culmine tematico con il ritorno dell'opposizione alla religione cristiana e semita, vista come aliena e nemica: "With blessings I join the caravan of my brothers, Like a thunder I strike into the Jehova's armies - Con benedizioni mi unisco alla carovana dei miei fratelli, Come un fulmine colpisco le truppe di Jehova" descrive con fervore il nostro, unendosi ai suoi fratelli e colpendo senza indugio, in nome del suo credo e della sua cultura. "Forgotten Cult of Aldaron - Il Dimenticato Culto Di Aldaron" è introdotta in maniera simile ai pezzi precedenti con un altisonante rifting circolare lo - fi tempestato dal drumming serrato di Baal; presto otteniamo una tempesta cacofonica fredda e ricca di melodie stridenti, sulle quali la batteria si lancia in giochi ritmici che interrompono brevemente i quattro quarti che dominano l'ossatura del pezzo, e lo screaming cavernoso ed inumano di Nergal s'innalza sopra la strumentazione. Al trentottesimo secondo la linea di chitarre si fa ancora più tagliente e grezza, in un movimento feroce e solenne supportato dalle tastiere sinistre, che procedono nel marasma sonoro che porta avanti la devastante marcia Black; al minuto e diciassette il tutto si fa poi più diretto e incalzante, portando in bella vista i loop ossessivi e rocciosi delle chitarre ad accordatura bassa, accompagnati dai battiti serrati di batteria. Lo stile è inconfondibilmente Black Metal della fattura più trascinante e vicina a groove Black 'n' Roll, dove il ritornello si presta alle grida gracchianti ed acute del nostro, mentre poi tornano le tastiere ad aggiungere tratti più atmosferici, che non rovinano però la ferocia costante del resto della strumentazione; compaiono anche schitarrate estremamente sature di riverbero che si configurano dilatate in modo da sottolineare i passaggi ritmici del drumming, mostrando ancora una volta inventiva nel songwriting apportato. Al secondo minuto e nove tutto si ferma lasciando posto al loop frostbitten di chitarra, il quale presto viene accompagnato dalla doppia cassa in riverbero da terremoto, sormontata poi anche da blast da tregenda e dalle grida sgolate del cantante; permane le tagliente melodia atonale delle chitarre, al quale prende spazio nella pausa del secondo minuto e cinquantanove con i suoi arpeggi distorti e dissonanti; il nuovo motivo avanza suadente fino all'esplosione di batteria del terzo minuto e dieci che si accompagna ad esso in un crescendo martellante. Gli assoli dissonnati in sottofondo portano avanti la malinconica atmosfera che si mantiene accattivante facendo d perno per la ritmica violenta; al terzo minuto e trentasei i suoni si fanno più dilatati, ma sempre incalzanti, aggiungendo le diafane tastiere che prendono sempre più posto nel mixaggio rispetto alla strumentazione, ma tenendo in sottofondo il loop costante di chitarre e drumming, in un effetto cerimoniale solenne che si ferma improvvisamente con una digressione di chitarra, concludendo il pezzo. Il testo torna a mischiare il mondo pagano slavo con l'immaginario fantasy di Tolkien, evocando la figura di Oromë detto appunto anche Aldaron, divinità che fa parte dei Valar, divinità - angeli che si oppongono al loro fratello caduto Morgoth, essere a metà tra Loki e Lucifero e antagonista del poema epico Silmarillion. I riferimenti sono vari nel testo, che sembra unire la storia letteraria del protagonista con il tema generale dell'album, dove troviamo antiche e misteriose foreste legate ai culti pagani. Il nostro, un essere altrettanto antico, ricorda con nostalgia i tempi più puri dove trascorreva il suo tempo nelle foreste di notte ("I used to spend whole days, In the mystic places of Delduwath, There, where the light of the halfmoon, Fell as the dying sun, The wolf's howling was lulling to sleep, My young soul... - Una volta passavo giorni interi, nei mistici luoghi di Delduwath, Dove vi era la luce della mezza Luna, Caduto come il sole morente, L'ululato del lupo faceva una ninna nanna per il sonno, Della mia giovane anima." ) in contrasto con il decaduto presente; viene poi confuso il tema originario con quello più reale della cultura slava, immaginando la prigionia della divinità che ora invoca le foreste dei Carpazi, tenuta incatenata in attesa della morte, come espresso in "I lie crushed by the chains in a wet cell, bleeding, I am awaiting for mother, the last hope, death - Giaccio schiacciato dalle catene in una fredda prigione, sanguinante, attendo la mia madre, l'ultima speranza, la morte . ", per un testo quindi più giocato sull'invocazione di un certo tipo di atmosfere e scenari, piuttosto che su un filo narrativo logico e coerente, richiamando comunque nel finale l'opposizione alla cultura cristiana e il legame con la tradizione antica. "Wolves Guard My Coffin - Lupi A Guardia Della Mia Bara" parte con un feedback di chitarra a cui fa seguito subito un rifting entusiasmante dalla chiara matrice fredda e tagliente; esso prosegue con i suoi toni lo - fi, presto accompagnato nel suo loop ossessivo dai colpi metallici di batteria, che al ventitreesimo secondo accelerano in doppia cassa in concomitanza con le urla di Nergal. Qui il mixaggio è particolarmente basso, e ricorda molto le cose più grezze dei Darkthrone in una tempesta frostbitten costante e monotona che prosegue ad oltranza con i suoi toni epici e malinconici; questo fino alla pausa del quarantottesimo secondo caratterizzata da giri di chitarra rallentati, ma sempre affilati come rasoi, e blast di batteria dilatati. Dopo un rullo di batteria riprende la corsa selvaggia, con il ritmo precedente dove le chitarre a sega elettrica sovrastano tutto, e dove al minuto e dodici riparte ancora una volta la devastante doppia cassa frenetica in una tormenta sonora spessa che investe l'ascoltatore; al minuto e trentasette tutto si ferma ancora, lasciando spazio agli arpeggi distorti dello strumento a corda, melodici e stridenti allo stesso tempo, che instaurano una solenne atmosfera sulla quale poi si organizzano serrati e potenti colpi di batteria. Al secondo minuto un rullo riapre la cavalcata forsennata dove tutti gli elementi, screaming da troll, loop di chitarre a sega elettrica, e drumming ossessivo a cassa dritta, concorrono nel creare e mantenere la tipica atmosfera gelida e cacofonica del più classico Black Metal della seconda ondata, per uno dei brani più legati a questo stile; essa prosegue mettendo sotto ogni cosa nel suo incedere senza sosta, trovando nuovamente pausa al secondo minuto e venticinque, grazie a nuovi arpeggi rallentati e atonali. Su di essi s'installano blast cadenzati, che prendono sempre più velocità fino alla nuova esplosione che riprende l'andamento precedente, crescendo poi di potenza grazie al drumming cacofonico sul quale si stagliano i loop in tremolo taglienti e freddi; al terzo minuto e un quarto il movimento si fa più epico e cadenzato, supportato da ariose tastiere ad organo che ne accrescono l'intensità emotiva ed evocativa, lasciando spazio poi ai rocciosi giri di chitarra; su di essi si organizzano cori sacrali e potenti colpi di batteria, instaurando una marcia occulta dal grande effetto scenico ed orchestrale, che termina in una cacofonia di grida rauche, feedback di chitarra stridente, e rulli di batteria, che sanciscono il finale dell'epico pezzo su note altisonanti e grandiose. Il testo richiama ancora una volta l'immagine del vampiro, qui legata alla tradizione culturale pagana e agli elementi naturali, narrando con immagini poetiche la (non) esistenza del protagonista, con richiami alla nebbia, alle foreste, e alla notte. "When I am in eternal sleep, When wild storms dwell, Wind blows through the Baltic - Quando sono nel sonno eterno, Quando dimorano selvagge tempeste , Il Vento soffia attraverso il Baltico" dichiara il nostro, confermando il suo legame con la sua terra, come se fosse egli per primo parte naturale di essa; le parole si mantengono molto oniriche e poetiche, delineando anche in questo caso una successione di immagini piuttosto che una narrazione coerente e strutturata con un preciso nesso causa - effetto. "Watch the streams of frozen tears, Spilled with blood of forefathers - Guarda le esalazioni delle lacrime ghiacciate, Estrapolate con il sangue degli antenati." È una di esse, evocante il dolore del passato sopraffatto dal presente cristiano, al quale però il terribile essere, forse Dracula stesso, si oppone evocando tutta la sua potenza per contrastare in nome degli Dei dell'Est il nemico cristiano, agognando un nuovo regno sotto il suo dominio. "Hell Dwells in Ice - L'Inferno Risiede Nel Ghiaccio" ci accoglie con delicati suoni melodici alti nel mixaggio, che ci ammaliano con le loro note notturne da cattedrale, trasportandoci nell'ascolto con le loro scale ripetute e cadenzate; sia accompagnano presto suoni di tastiera evocativi ed ariosi, insieme alla voce pulita di Nergal, che recita in una sorta di madrigale oscuro il testo, in una bellissima atmosfera pacata che richiama il Neo Folk dei Current 93 e Death In June. Troviamo dunque un tripudio di tastiere eleganti ed emozionali, per un brano decisamente più Ambient e controllato, che mostra il lato sperimentale della band in un costante loop fatto di note e toccate melodiche; la voce di Nergal si fa anche sospirata in momenti ricchi di riverbero, aumentando l'intensità della composizione. Al minuto e diciassette lo spazio viene lasciato di nuovo al suono iniziale, dai toni gotici ripetuti, sui quali poi prendono di nuovo spazio linee di synth cosmiche, e la voce appassionante del cantante, che si dimostra un buon interprete anche in ambito non estremo, suadente e strisciante in piena armonia con la parte strumentale; quest'ultima sale d'intensità grazie alle note di tastiera malinconiche, slavo poi rallentare come un carillon che ha finito al sua carica. Rimangono sulla scena quindi solo le note come di pianoforte dal sapore neo classico che creano una bella suite sonora ispirata, accompagnata in alcuni tratti da campionamenti ariosi e new age, e poi da spirali di tastiere in crescendo melodico di scale stratificate sul monotono suono di sottofondo, che avanza calmo. Il brano prosegue così fino al quinto minuto e undici secondi, quando lo spazio è lasciato completamente alle linee sintetiche che evocano spettrali suoni d'archi e nebbie fitte, chiudendo quello che è il brano che più si discosta, anzi abbandona del tutto, la componente Metal offrendo una sorta di ballata tetra ed oscura dal grande effetto. Il testo dipinge un lugubre scenario di ghiaccio e fredde, immaginando un antico e terribile inverno che assale le terre slave e le loro foreste; "There was only one long and terrible winter, Where icy blackness covered the sun and the grass - C'era un unico e terribile inverno, Dove l'oscurità di ghiaccio copriva il Sole e l'erba." Raccontano come in una leggenda, iniziando una serie di descrizioni di un mondo dove domina il gelo, e dove i lupi si aggirano affamati, sotto la luce della Luna in una notte eterna dove non vi è più traccia del Sole, ululando mentre cacciano e portano terrore nei villaggi. Si tratta di una nuova vita crudele ("Life has affected a new form here, Through the icy vastlands run wild - La Vita ha intaccato una nuova forma qui, Tramite le vaste terre ghiacciate si diffonde selvaggia. " ) dove tutto è selvaggio e vige la legge del più forte, in un testo più di ambientazione che di concetto. "Transylvanian Forest - Foresta Transilvana" chiude l'album, e parte con sinistri suoni di corvi e tormenta, instaurando una intro cinematica che crea una tenebrosa atmosfera; essa prosegue fino al quattordicesimo secondo, quando vengono introdotte le sferraglianti chitarre ad accordatura bassa, in un rifting tagliente e pienamente "raw" che riporta in auge l'elemento Black e frostbitten dei nostri. Esso prosegue accompagnato poi dalla doppia cassa metallica e dalle urla del cantante, qui con uno stile più gorgheggiante e convulso rispetto ai brani precedenti, aumentando l'asprezza generale del pezzo; al minuto e otto la marcia si ferma e rimangono solo i loop a sega elettrica dello strumento a corda, sul quale poi si stagliano i colpi incalzanti e dilatati di batteria insieme alle urla in riverbero di Nergal, in un andamento cadenzato giocato sul crescendo. Esso esplode presto in una nuova cavalcata cacofonica dalla batteria impazzita e dal buzzsaw fuori controllo, creando un'ennesima tempesta sonora oscura che assalta i sensi dell'ascoltatore in perfetto stile Black Metal; il delirio musicale prosegue con epici andamenti glaciali e malinconici, dove lo screaming segue la linea della strumentazione forsennata nei suoi folli cantici malvagi, sottolineati da punte in riverbero che en aumentano la natura inumana e atavica. Al secondo minuto e diciannove un feedback di chitarra segna una pausa dove esso si dilunga, interrotto prima da un grido rauco, poi da epici arpeggi sui quali si organizza il drumming sferragliante; esso si lancia in rulli continui sotto i quali poi prosegue il loop tagliente di chitarre; al secondo minuto e cinquantacinque la ritmica si fa più cadenzata proseguendo in un andamento ammaliante sul quale lo screaming da palude continua a declamare la sua nera lezione, mentre le chitarre a sega elettrica proseguono senza sosta nel loro andamento freddo e tagliente. L'epico crescendo d'intensità trova sfogo nella doppia cassa del terzo minuto e venti, che instaura una nuova tormenta epica nelle sue melodie atonali e nei colpi di batteria in riverbero, in una malinconica linea sonora che prosegue, diventando più aspra al terzo minuto e quarantasette in concomitanza con le urla sgolate del cantante; rulli di batteria e cimbali dominano poi la scena, sovrastati però al quarto minuto e sei da un rifting arrugginito e sega ossa che si espande sulla composizione, delineandone il perno melodico atonale che incalzante prosegue fino al finale, accompagnandosi a stridenti assoli che ne accrescono l'atmosfera, prima di chiudersi del tutto con un grido e feedback di strumentazione, sancendo la conclusione del lavoro qui recensito. Il testo ritorna sul tema dei guerrieri pagani, pronti a dare battaglia al culto cristiano in nome del proprio credo e delle proprie tradizioni, legate al paesaggio naturale in un'inscindibile dicotomia tra gli elementi nominati; "Pagan warriors hide in frozen wood, Like black statues born in the heart of winterevil - Guerrieri pagani nascosti nella foresta ghiacciata, come nere statue nate nel cuore dell'inverno del male. " ci viene detto, dando immagine alle truppe che si nascondono nelle foreste per tendere agguati al nemico. Tornano poi velati riferimenti al vampirismo, evocando un antico essere dagli occhi pieni di sangue che viaggia sui venti della Transilvania e che comanda i lupi ("Winds carry me through Transylvania, Virgin evil hidden in the blackest heart - I venti mi portano per la Transilvania, Vergine malvagità nascosta nel cuore più nero. " ) e che probabilmente è a capo dei soldati, pronto a scatenare un vero e proprio olocausto contro i suoi nemici.
Siamo dunque davanti all'esordio di quella che in seguito diventerà una della band più di successo nell'ambiente del Metal estremo, fautori di un sound brutale che mischia in varie fasi e percentuali la materia Death e Black seguendo la volontà rigorosa di Nergal, personaggio forte che attira sia consensi, sia critiche, ma che sicuramente ha fatto al differenza sia nella crescita musicale, sia in quella d'immagine e di fama, del gruppo. Per ora comunque ancora sia in un contesto Black Metal legato ai dettami della seconda ondata, dove però troviamo alcuni elementi più propri, con inserti quasi Neo - Folk e ritmi marziali quasi industriali, anche grazie alla produzione che favorisce un suono metallico e pesante per la batteria, che si accompagnano perfettamente con la natura sintetica ed evocativa delle tastiere, che configurano un certo gusto sinfonico ed epico che non lascia mai piatti i pezzi. Inoltre si mostra un certo gusto per il groove e gli andamenti incalzanti, che poi enl tempo si svilupperà sempre di più, qui accompagnato da vari riferimenti al suono Black sia anni ottanta, tra Hellhammer, Bathory e Salem, sia quello allora più recente della scuola scandinava, sia più Ambient ed ariosa, sia più diretta e minimale. Alcune ingenuità sono ancora presenti sia a livello tematico, sia musicale (evitando però le rozze blasfemie in nome di uno stile più onirico ed elegante), e alcuni pezzi sono simili tra loro, inoltre ancora la voce di Nergal deve trovare una sua identità e maggiore potenza, ancora legata alla copia delle sue influenze; ma questo è più che perdonabile data l'età dei nostri e l'inesperienza, contando inoltre che un grosso passo è stato fatto rispetto ai primi demo, e soprattutto contando che il risultato finale è godibile e pieno di spunti interessanti che saranno sviluppati negli album successivi, creando una propria linea di Black Metal dagli interessanti arrangiamenti e soluzioni, prima del salto stilistico e di fama mondiale del nuovo millennio. Un'opera che come le sue "sorelle" non dovrebbe mancare agli appassionati del Black Metal di metà anni novanta meno "di plastica" e più vicino alle atmosfere frostbitten care agli inizi della corrente.
1) Chant of the Eastern Lands
2) The Touch of Nya
3) From the Pagan Vastlands
4) Hidden in a Fog
5) Ancient
6) Entering the Faustian Soul
7) Forgotten Cult of Aldaron
8) Wolves Guard My Coffin
9) Hell Dwells in Ice
10) Transylvanian Forest