BEHEMOTH
Pandemonic Incantations
1998 - Solstitium Records
PAOLO ERITTU
06/08/2015
Recensione
Diciamolo, i Behemoth sono sempre stati un passo più avanti della maggior parte delle band contemporanee: ci sono gruppi che in un'intera carriera non riescono a fare quello che questi ragazzini (poiché di ragazzini si trattava, al tempo) hanno fatto in tre album. Infatti, dopo aver esordito con lavori di un Black maturo e articolato come "Sventevith (Storming Near the Baltic)", cui è seguito il cupo "Grom", i polacchi arrivano al loro terzo full-length: "Pandemonic Incantations". Tale album ha un ruolo fondamentale, perché se il successivo "Satanica" rappresenta un manifesto dei "nuovi" Behemoth, questo è invece l'album di passaggio nel quale avviene il mutamento in sé. Ormai la gabbia stilistica del Black è troppo stretta, e i nostri vogliono spalancare le ali, e per farlo non si pongono problemi di appartenenza di genere o altre stupidaggini che ostacolino il loro percorso musicale, ma decidono di attingere a ciò che più gli sembra opportuno e utile, per dare alla loro musica una marcia in più. Adam "Nergal" Darski, chitarrista, voce e mente del gruppo, decide così di spezzare la brutale crudezza del Black con i tecnicismi e la complessità del Death. La miscela è esplosiva e il Blackened-Death (termine dal quale Nergal si discosta in favore di un più generico "Metal"), comincia a prendere forma, con risultati immediatamente apprezzabili. Insieme a lui troviamo Mefisto al basso e alle seconde voci (una presenza resa timida dalla produzione, non scarsa come nei precedenti lavori, ma neanche ottima) e Zbigniew Robert "Inferno" Promi?ski alla batteria, fautore di un lavoro davvero notevole. Possiamo quindi godere di una musica di maggior spessore, più curata e meglio prodotta, e abbiamo anche un ottimo versante a livello testuale. Infatti, se anche l'inglese (a tratti un po' confusionario) non è ancora cambiato nella forma arcaica che caratterizza gli album seguenti, abbiamo comunque un'idea di ciò che verrà in seguito: prende infatti campo l'Occulto, non nella una forma raffinata e colta che seguirà, ma neanche un becero satanismo fine a sé stesso; si rimane piuttosto nell'anticristianesimo feroce, con punte di occultismo e un satanismo più inteso come contrasto a Dio e ai precetti cattolici, che come esaltazione della figura di Lucifero come exemplum. È una scrittura rabbiosa frutto della frustrazione data dal vivere in un paese estremamente cattolico come la Polonia (dalla quale, ironia della sorte, proviene il papa del periodo), e già si profila la ricerca della libertà e dell'armonia che tanto verrà approfondita nel futuro del gruppo. E proprio questi motivi rendono ancora più evidente la maggiore ispirazione della band: la vita stessa, del singolo e del gruppo, cosa che viene poi rimarcata da Nergal durante un'intervista: "La mia principale ispirazione è la vita, non posso dire che siamo una band Black Metal influenzata dai Bathory e cazzate come queste [?] ed è fantastico prendere ispirazione ogni volta da un aspetto differente, da ogni diverso evento, con tutta la gente che conosciamo, tutti i libri che leggiamo, tutte le conoscenze che apprendiamo [?] ci sono centinaia di grandi band che hanno qualche influenza su di noi, ma fondamentalmente è così che vanno le cose". Vediamo quindi che cosa ci aspetta da questa crisalide, e in cosa si evolverà questa creatura neonata.
Due armonici di chitarra cristallini aprono il disco, iniziando "Diableria (The Great Introduction)", una inquietante marcia di arpeggi e note di piano, che acquista potenza con l'attacco di chitarre, tastiere e batteria, in un picco musicale solenne che lascia poi spazio alle sole chitarre elettriche, supportate da un leggero lavoro di piatti. Ritornano in campo i synth, con l'irrobustirsi della batteria, mentre cori di voci maestosi recitano un mantra ossessivo: "Signore Satana / Pandemonio / Capricorno / Padrone", terminando il pezzo con un lamento strozzato. La figura dell'Angelo Caduto si riallaccia al termine "Pandaemonium" (da pàn, "tutto" e daimònion, "demonio", col significato di "tutti i dèmoni"), coniato da John Milton per il suo "Paradise Lost", nel quale la parola viene utilizzata per indicare il palazzo edificato da Satana, nel quale il protagonista raduna e riorganizza le schiere degli angeli caduti, dopo la sconfitta che è valsa loro la cacciata dal Paradiso. Vi è poi il riferimento al Capricorno, creatura per metà capra e per metà pesce. La prima metà, quella superiore, cerca di scalare una montagna, simboleggiando l'ambizione e la ricerca di traguardi elevati, contrapponendosi alla simbologia sacrificale della parte inferiore. Questo dualismo è riscontrabile anche nella figura di Satana, un figlio in lotta continua contro un padre tirannico, violento e oppressivo, e che tuttavia viene screditato, insultato e temuto, pur continuando a lottare e sacrificarsi in virtù del libero arbitrio e della libertà. Il Capricorno è inoltre un importante segno zodiacale cardinale, legato al solstizio di inverno: è un simbolo femminile (legato a una primigenia società matriarcale) di Terra, e sotto la sua influenza si ha Marte (simbolo di determinazione e belligeranza) in esaltazione, laddove la Luna è in esilio e Giove in caduta (quasi un presagio di future vittorie per Lucifero). Inizia ora "The Thousand Plagues I Withness", che prende forma dal finale del pezzo precedente, e comincia con malefici arpeggi sorretti da un ritmato lavoro di piatti, che esplode in un potente intro di batteria, mentre feroci accordi si uniscono agli arpeggi, il basso lancia note vibranti, e la voce si scatena con un ringhio feroce. Poi tutto si quieta, lasciando spazio ad un momentaneo arpeggio carico di attesa, subito spezzato da un riff molto cadenzato, arricchito da una magnifica vena di malvagità pura, mentre una profonda voce in sordina enuncia le prime parole del testo, al termine delle quali un rullare di batteria porta a un cambio di tempo, con un riff lento e melodico. Il pezzo inizialmente potrebbe essere quasi considerato uno strumentale, non essendoci una voce ben definita, bensì un parlato sepolto sotto le note maestose, che si arricchiscono di orchestrazioni epiche, ma poi la voce colpisce, esplodendo nella sua roca ferocia, ancora lontana dal growl distintivo che avrà in futuro. Il pezzo mantiene una batteria rapidissima e articolata per tutta la sua durata, mentre il riffing si articola con le strofe, iniziando con accordi complessi e rapidi per poi immergerci in una cadenza più lenta e imperiosa. Al termine del secondo riff parte l'assolo, pregno di sonorità simili a quelle che ritroveremo (in versione più raffinata) nell'album "The Apostasy". Al termine dell'assolo, tra i fischi delle chitarre si fa spazio un nuovo e accattivante riff, il quale rallenta improvvisamente in un maestoso coro, che prende repentinamente velocità, spronato dalla voce. Parte così l'ultima strofa, dove il riffing sostenuto si scatena fino all'ultima sillaba, che spegne il pezzo bruscamente. "Un vecchio con un solo occhio io sono / Eppure ho la sapienza di mille saggi / Un fanciullo non nato io sono / Eppure esisto da un miliardo di anni", si possono qui ritrovare dei riferimenti alla religione egizia, dove si riconosce la figura di Horus, privo di un occhio, perso durante il brutale scontro con suo zio Seth, e riconoscibile anche dalla simbologia del fanciullo, che si ritrova nell'antichissima figura di Harpocrates (Hor Pa Khred), cioè l'Horus Fanciullo, figlio di Isis e Osiris, che la leggenda vuole punto fatalmente da uno scorpione inviato dal Seth, e in seguito salvato grazie all'invocazione della madre, che richiama l'attenzione di Ra, il quale infonde la sua energia nel bambino tramite il dio Thot, resuscitandolo. Da qui inizia un feroce attacco nei confronti di Gesù, dove lo spirito di Horus, figura a tratti speculare ma molto più antica, rivendica il proprio operato nell'esecuzione del suo emulatore: "Ero Judas nei tuoi sogni / Che adorava il denaro sopra ogni cosa / Ero il soldato romano / Che ti ferì e bevve il sangue divino / Ero Pilato durante il tuo processo / Che sputò sul tuo volto pallido". Metaforicamente possiamo vedere la vittoria di Lucifero, dei culti antichi, nei confronti del nuovo Dio, che in Cristo vede sé stesso; il protagonista afferma nei loro confronti: "Io sono le migliaia di piaghe e afflizioni". "Satan's Sword (I Have Become)" inizia con un breve intro piuttosto confuso, dal quale però emerge poi un nitido riff, che muta leggermente con l'entrata della voce, proseguendo fino alla fine della prima strofa; a questo punto si ha un breve break strumentale, che carica la strofa successiva prima di rientrare nel binario del main riff, che prosegue fino alla fine della strofa, dove nuovamente si interrompe momentaneamente per poi essere caricato da un altro break. La struttura di base delle ritmiche rimane quindi invariata fino al finale, dove il ritmo rallenta, per lasciare spazio a una parte in parlato, sorretta da una musica più lenta ed epica e arricchita da orchestrazioni, portando il pezzo a spegnersi lentamente. L'immagine che ci si presenta è quella di un Esbat, una tradizione antichissima legata ai culti lunari pagani, che il Cristianesimo, in particolare durante la caccia alle streghe, ha invece bollato come un raduno di adoratori del demonio. Il termine, indicante un festino dalla connotazione sessuale, è stato coniato da Margaret Murray, eminente egittologa e profonda conoscitrice e studiosa delle culture arcaiche e delle religioni pagane europee, che ha analizzato approfonditamente fino a giungere alla presunta riscoperta di una religione precristiana rimasta nascosta per secoli. Questo culto sincretico sarebbe stato una commistione di tutti i culti preesistenti, portati a unirsi e a fondersi in un unico credo a causa della persecuzione da parte del Cristianesimo; tale teoria è stata smentita in seguito, ma i suoi studi hanno enormemente influenzato la nascita della religione Wicca e del neopaganesimo in generale. Nel testo l'argomento viene ripreso in sfregio alla religione cristiana, rispetto alla quale si pone in atteggiamento antitetico: "Celebriamo pertanto l'antitesi dell'Eucaristia / Con il gesto sacerdotale ci dai il benvenuto / Io sono la soglia della vostra trance". Viene così evocato il "Ramingo, perpetuo e inquieto / Padrone, ugualmente orribile e meraviglioso", e il rito prende forma, in una danza orgiastica che soffoca la percezione del mondo esterno e porta alla luce gli istinti e le pulsioni più arcaiche e pure: "Cominciamo dunque! Siamo privi dei nostri corpi... / La Notte, che siamo onorati di celebrare / Forse l'ultima nella quale soddisferò il mio desiderio". Così, nel calore dei corpi e del fuoco, le menti inebriate si uniscono in un flusso unico: "Il mondo reale o la visione immaginaria / Ancora percepibili per i miei pensieri confusi / Nulla avrà più lo stesso sapore... / Ti attendo, per infilzare questo Mondo nel suo cuore". È ora la volta di "In Thy Pandemaeternum", che comincia con una serie di attacchi strumentali rapidissimi, scanditi e separati da un'unica nota orchestrale dei synth, presto abbandonata per una chitarra più cruda e violenta. Le ritmiche si incattiviscono grazie alla voce, acquisendo compattezza e continuità, in un fluire di note feroci che si fa più maestoso in corrispondenza del passaggio tra una strofa e l'altra, con brevi ma incisivi break strumentali, che impreziosiscono il pezzo con la loro raffinata strutturazione. La batteria mantiene i bpm sull'orlo della follia, articolando una base ritmica impeccabile e variegata, aiutata da un basso potente. Dopo l'ultimo ritornello parte l'ultima strofa, che scatena un outro articolato, dove le chitarre riecheggianti chiudono il pezzo con feroce magnificenza. In questo testo vediamo Lucifero schernire Dio, visto come un vecchio codardo nascosto, cieco e sordo alle sofferenze dell'umanità: "Vecchio! / Decrepito e orribile / Nascosto in boschi di follia e ansia"; questo Dio ha riservato per sé un immagine di bontà e amore, laddove suo figlio è divenuto "La Gehenna dell'Umanità". La Gehenna è una valle scavata dal fiume Hinnon sul lato sud del monte Sion, che il re Giosia trasformò in una discarica a cielo aperto, dove venivano buttati i cadaveri non degni di sepoltura, che venivano bruciati in un fuoco continuo; ecco perciò che Lucifero si schernisce definendosi una sorta di discarica nel quale il padre butta i suoi giocattoli rotti: "Io sono il sangue delle tue membra, tu sei la Saggezza / Ed è grande, certo, vani folli credono in essa / Ma loro cadranno comunque tra le fiamme". È un atto di ribellione, una dichiarazione di guerra perpetua fino al compimento di una giusta vendetta, ma Dio sembra non interessarsene, per timore o per menefreghismo, tanto che la chiamata sferzante che Satana gli lancia diviene un mantra: "Padre! / Sei cieco e sordo? / Vecchio!". Il Caduto ha qui una connotazione miltoniana, che emerge dal testo "Affamato del tuo amore, Io anticipo il mio tempo...", e sembra fare di tutto per convincere il Padre a considerarlo suo pari, non accettando la sconfitta, ergendosi dalle proprie ceneri secondo l'ottica per cui "È meglio regnare all'Inferno, che servire in Paradiso". Scatena la sua rabbia e intesse la sua canzone con una lingua di fuoco e tenebre, devastando il mondo, mettendolo in ginocchio nella totale indifferenza di Dio, tanto che alla fine, schiumante di rabbia per la freddezza e la codardia di quello che si definisce un Essere Superiore, prende una decisione frutto di una scelta incredibile: se Dio non si curerà di questo Mondo sarà lui a farlo, sarà lui a riparare a tale imperdonabile negligenza: "La Lingua del Diavolo è la lingua di mio Padre / L'Unico, che con l'Universo costituisce una sola entità / Un Padre che mai ti concederà di lasciarti andare ad alcun piacere / Per amore - relazioni, baci dell'Umanità / Pertanto che mi sia data la sua Oscurità / Potere, Forza, Speranza e Compito / Mi sia data la sua Luce / È giunto il momento del Banchetto Infernale...". Comincia dunque "Driven by the Five-Winged Star", aperta da un intro di chitarre arpeggianti, lento e raffinato, arricchito poi da una rapidissima batteria. Dopo un breve assolo, si fa spazio la voce, che segue il moto elegante delle chitarre, che sembrano volare sulle note di una danza tenebrosa, che si arricchisce di un breve e melodico assolo verso la metà. L'ultima strofa vede invece una velocizzazione del ritmo, con l'introduzione di un riffing serrato ed energico, che sostiene una voce parlata prima di un ringhio ferale che scatena un assolo di chiusura articolato e magnifico, pregno di sontuosa epicità, mentre il pezzo si chiude in un fade-out generale. Il testo si rivolge qui a una figura femminile identificabile con la Grande Babilonia , chiamata "Sorella del Peccato", che il protagonista invita a unirsi a lui in un rito di blasfemia e libertà, godendo appieno delle reciproche virtù in sfregio a un Dio che pretende castità e contrizione. Bisogna aborrire l'auto-privazione, il non concedersi alla Vita come lei si concede a noi, per timore di ripercussioni da parte di una sadica e abietta entità. La vita e l'esistenza sono un flusso continuo, inarrestabile e perfetto, sono l'armonia dell'Essere, e rinnegandole, rinnegando ciò che ci rende felici, che ci procura pace e piacere, noi usciamo da tale flusso. Con la nostra presunzione, il nostro ego ridicolo legato solo al timore di Dio, non siamo comunque nulla più di una patetica anomalia, come un sasso che prova a bloccare il corso di un fiume; quello che dobbiamo fare è re-immergerci in questo flusso, abbandonare credenze malate frutto di una mentalità oscurantista e masochista. La vergogna per propria natura si confà solo a una massa di patetici schiavi lamentosi, mentre chi è dio di sé stesso, chi accetta la propria essenza di creatura vivente e abbraccia la bellezza della Vita e dei doni che essa offre, sarà libero da queste ridicole catene di castità e idiozia, e potrà godere appieno di piaceri limitati solo dalla sua immaginazione. "Nascondiamo i nostri segreti dannatamente in profondità / Ed essi sono la chiave per la gloria sempiterna / Per l'armonia di corpo e anima / Immortalità, estasi spirituale e diavoleria". Per questo bisogna lasciarsi guidare dalla Stella dalle Cinque Punte: questo simbolo antichissimo, ben lungi dall'essere un simbolo malefico come i cristiani lo dipingono nella loro ignoranza, è legato al culto della dea Venere, simbolo di forza, bellezza e sessualità mistica. I suoi significati sono diversi, a cominciare dal movimento del pianeta Venere stesso, che durante l'anno si muove nel cielo come a formare un pentacolo, ma il più importante è quello che vede nel pentacolo la rappresentazione dei processi che regolano il Cosmo: in questa figura si celano infatti sia il macrocosmo che il microcosmo, combinando in un solo segno tutta la Creazione. Le cinque punte rappresentano i cinque elementi di Acqua, Aria, Terra, Fuoco e Spirito, forze motrici dell'Universo fisico e metafisico; i processi cosmici cominciano con l'elemento dello Spirito, fonte dell'esistenza e Divinità, scendendo verso la punta in basso a destra e arrivando all'Acqua, fonte e sostentatrice della vita, risalendo poi in alto a sinistra verso l'Aria, simbolo degli esseri capaci di autocoscienza e di auto-organizzazione, che li porta a procedere orizzontalmente verso destra, dove si ha il culmine massimo raggiungibile dalla loro esistenza, rappresentato dalla Terra, in un cammino che li porta a evolversi partendo dalla loro originaria innocenza. Quando l'esistenza giunge al suo culmine, si hanno delle ricadute, sopratutto spirituali, in una caduta graduale, non a picco, che porta in basso a sinistra, al Fuoco, simbolo di distruzione, ma anche di speranza, poiché dalle ceneri di un mondo ne può nascere uno nuovo, migliore, che riparte dalla punta centrale, la Spiritualità. È un processo di rinascita, sviluppo e morte continuo, che si ripete in eterno (non a caso il pentacolo è spesso inscritto in un cerchio o in un Ouroboros, il serpente che si morde la coda, simbolo di eternità). Questo si lega alla nostra vita, all'Universo e alla Storia, in un parallelismo che vede il suo punto focale nella linea orizzontale che unisce Aria e Terra, una linea che accresce di volta in volta la sua lunghezza (la durata di una civiltà, il suo grado di avanzamento, l'aumento dell'aspettativa di vita degli esseri umani), espandendo gradualmente il pentacolo come l'Universo stesso. Inoltre si hanno le tre punte superiori che rappresentano la Divinità trina, un fatto comune a innumerevoli religioni, mentre le punte inferiori rappresentano il principio di nascita e morte legato alla Divinità stessa. Nell'intro di "The Past is Like a Funeral" riemerge con prepotenza il Black, con un rapidissimo attacco di batteria e chitarre frenetiche e ritmi da cardiopalma, in una musica pregna di brutalità. Ma all'improvviso la musica si fa più cadenzata e imponente, arricchita da magniloquenti orchestrazioni, nell'estro generale della batteria, fino a velocizzarsi, con un altro cambio ritmico che rende l'atmosfera elettrica, carica di aspettative, aprendo la pista a un riff trascinante e raffinato, che prosegue per la durata della prima strofa per poi fluire in un break strumentale elegante e quasi delicato, che muta improvvisamente in un nuovo tecnicissimo riff. Col cambio della strofa si ritorna alle magnifiche ritmiche principali, più lente e riflessive, ma ancora una volta un lento break strumentale arricchisce la traccia, velocizzandosi in un coro di chitarre che sfocia in un ulteriore riff, quasi una classica cavalcata metal, melodica ma brutale, che porta il pezzo alla fine culminando in un brulicare di note. Qui troviamo un testo piuttosto criptico, che sembra descrivere il processo di conversione (o liberazione) di una donna di chiesa, che rinnega Dio e un passato cupo e carico di tenebre e tristezza, scegliendo infine di liberarsi schiantando le proprie catene. Vi è una sorta di riflessione postuma, scatenata dalla visione di cupe lande: "A volte, quando visito le terre d'ombra / Qualcosa che ricorda la tomba / Si nasconde nelle profondità infernali e attende". La protagonista ricorda: "Anni, migliaia di essi, ho marcito in una cella monastica / Sembravo una pietra, mentre nascondevo il mio animo omicida nel silenzio e nella paura", preda di una sensazione orribile, come una mano opprimente che la schiacciasse al suolo e la soffocasse. "A piedi nudi, scavando la mia stessa fossa"; ella è tormentata da incubi decadenti, vittima della sua vecchia vita, oramai un pallido, orribile ricordo: "Il passato puzza di una bara di quercia, così umido e vecchio". Ma giunse la rivalsa, una violenta ribellione, carica di tutto l'odio e la frustrazione di una vita smorta e ingiustamente penitente: "Sporchi artigli brucianti negli occhi di Jehovah / Ho ucciso la pietà, sputando sulle leggi di Dio / Ho celebrato la nascita del potere / Innamorandomi della libertà e della Bestia". In un nero rituale "Ho sputato l'Anticristo dal mio grembo malsano [?] Ho previsto me stessa come una grande maga [?] Oggi celebro la mia nascita, sebbene io sia più vecchia del Mondo / Più vecchia del Mondo". La donna diviene una sorta di incarnazione della Grande Babilonia, con tutta la sua sensuale voluttà, e soffoca le visioni del suo cupo passato, perchè "Il passato è come un eterno funerale", e non può essere cambiato, ma la Vita è Divenire. Con "The Entrance to the Spheres of Mars", si ha un attacco puramente Black, frenetico e brutale, ma stemperato da malinconiche orchestrazioni, che riescono a nobilitarne la cruda ferocia. La voce e la musica sono cariche di pathos e bellezza, spezzate a intervalli da break più malefici e d'impatto. A partire dalla fine della seconda strofa il pezzo assume una cadenza più violenta, che sfocia in un break più esplosivo e complesso, che vede il susseguirsi di diversi temi stupendi, prima dell'attacco dell'assolo, sorretto da una base ritmica rapidissima, e al termine del quale ritorna il magniloquente riff principale, finchè il pezzo non si spegne con un lento coro di chitarre che intessono una cupa melodia strascicata. Il testo inizia con un ruggito feroce: "Libertà - dissi / E alba e tramonto / Scesero sulla mia vita / Trasformazioni e metamorfosi / È ciò che ho provato laggiù, a Sud del Paradiso". Il protagonista è Lucifero, che descrive la propria caduta: "Colpivo con i miei pugni le volte del Paradiso / Troppo in basso sono caduto, non ho raggiunto il collo del Patrigno". Una volta precipitato, egli prende posizione e decide di non abbassare la testa, in preda all'ira bellicosa di un dio della guerra: "Ogni peccato - Un mio soldato / Un demone della cavalleria forte di diverse migliaia / Non sono figlio di Dio, ma di un milione di stelle / Laddove ognuna di esse rappresenta una diversa umana debolezza". Il Caduto rifiuta di lasciarsi piegare: se questo è il prezzo della Libertà, lui riuscirà a sostenerlo, a renderlo la sua forza: "Io non lo servirò, poiché non vi è potere più grande del mio / Sono la saggezza e la perfezione dell'Universo". E ancora una volta ruggisce un mantra personale, un promemoria ossessivo che lo rafforza, che infiamma il suo odio e il suo cuore: "Libertà - dissi / E alba e tramonto / Scesero sulla mia vita / Trasformazioni e metamorfosi / È ciò che ho provato laggiù, a Sud del Paradiso". È quindi il momento di un pezzo totalmente in polacco: "Chwala Mordercom Wojciecha (997-1997 Dziesiec Wieków Hanby)" - (Gloria agli Assassini di Wojciech (997-1997 Dieci Secoli di Vergogna)". La traccia inizia con un inneggiare esaltato, che si solleva in un'atmosfera sinfonica molto pomposa e cadenzata, che prosegue in un incessante innalzarsi e abbassarsi, spezzata dal feedback delle chitarre e sorretta dal lavoro marziale della batteria, mentre una voce filtrata recita il testo, trasformandosi alla fine in un malefico coro di urla distorte e disperate. Quest'ultima traccia fa riferimento al vescovo Adalberto (in polacco Wojciech) di Praga (956-997) martire e santo della Chiesa Cattolica, patrono di Boemia, Polonia, Ungheria e Prussia. Il riferimento deriva dal fatto che il pezzo fu composto nel 1997, 1000 anni dopo la sua morte, avvenuta per mano dei prussiani in terra baltica, allorchè vi si diresse per convertirne le tribù. Al suo arrivo egli fu arrestato ed espulso, insieme con suo fratello e un giovane monaco, con l'intimazione di non tornare. Tuttavia lui persistette nel suo tentativo, rientrando immediatamente, e fu ucciso insieme con i suoi compagni a colpi di lancia, non appena fu scoperto. Il testo prende le parti delle tribù pagane, che difendevano la loro cultura contro l'oppressione della Chiesa, causa di dieci secoli di oscurantismo e ignoranza, e si scaglia contro l'ipocrisia del patronato e dei cristiani discendenti dalle tribù che uccisero il vescovo: "Una grande croce lignea ancora getta un'ombra sanguinolenta sul vostro passato!". Vengono rivendicate con orgoglio le azioni dei pagani, considerabili persino come tolleranti, nel loro iniziale tentativo di risolvere la questione senza sangue in un'epoca brutale come quella, ma che sono risultate inflessibili di fronte alla più palese stupidità (o, se vogliamo romanzare la cosa, alla cecità della fede, inesauribile fonte di idiozia). Il messaggio è "Guerra!", guerra totale e continua al Vaticano e al vecchio "curvo, infermo e cieco" seduto sul suo trono, vale a dire il papa polacco Karol Jozef Vojtyla. Giunge ora "Outro" un insieme di 55 tracce di silenzio che culminano in una versione rovesciata "a specchio" di "Diableria (The Great Introduction"), creando un finale a sorpresa che sembra strizzare l'occhio al fenomeno della pareidolia, da sempre legato alla musica Rock e Metal, che porta le persone a riconoscere forme o parole note in oggetti o suoni dalla struttura casuale (il caso più noto è il discorso satanico che si dovrebbe udire ascoltando al contrario "Stairway to Heaven"). In questo caso l'ironia vuole che già la traccia iniziale avesse una tematica diabolica, ma per tutti coloro che pretendono di definire Rock e Metal le "musiche del demonio" per via di queste semplici illusioni, il comico americano Bill Hicks ha (aveva) un messaggio importantissimo: "Lasciatevelo dire, se state seduti a casa vostra ad ascoltare i vostri album al contrario, siete VOI Satana".
Come già sottolineato, spesso si commette l'errore di far partire il percorso dei "nuovi" Behemoth con "Satanica"; in realtà, sebbene quest'ultimo sia il primo album che presenta dei canoni nuovi e ben definiti, il primo cambiamento avviene in questo lavoro, in "Pandemonic Incantations", dove possiamo ammirare la maestria con cui i Behemoth (ricordiamolo, dei ragazzini appena giunti al terzo full-length) gettano le basi della loro ascesa incredibile. Il Black degli inizi, già incredibilmente articolato e maturo se rapportato all'età dei suoi creatori, viene qui innalzato a un livello successivo, assumendo fortissime connotazioni Technical e Death, dovute a una crescita repentina del livello tecnico della band. Inoltre possiamo sentire una sperimentazione ben più concettuale per quanto riguarda la connessione tra cantato e musica, insieme all'introduzione di orchestrazioni che, sebbene ancora a uno stadio grezzo, modificano completamente l'approccio all'album da parte dell'ascoltatore, oltre che l'utilizzo di trucchi come l'inserimento di 66 tracce, che sono mirati a confondere e incuriosire il pubblico ignaro (Nergal afferma: "Volevamo che la gente dicesse 'Hey, che succede? Che cazzo è questo? [?] abbiamo messo 66 canzoni, e ricevuto un sacco di domande per questo motivo. È semplicemente il tipo di cosa che è interessante mettere in un album"). Abbiamo di fronte un lavoro con un'impostazione professionale, frutto della mente geniale di un ragazzo-prodigio chiamato Adam Michal Darski, che si impone come cuore e cervello della sua creatura, che, ormai venuta alla luce, spalanca gli occhi e affila zanne e artigli, muovendo i primi passi caracollanti, iniziando quella che diverrà in breve la carica inarrestabile di una bestia immane. Inoltre è già evidente ciò che più caratterizzerà la poetica della band, e che rende ogni loro lavoro così vissuto e pregno di passione: "Quello che ci ispira è la Vita. Solo questa unica, semplice parola".
1) Diableria (The Great Introduction)
2) The Thousand Plagues i Witness
3) Satan's Sword (I Have Become)
4) In Thy Pandemaeternum
5) Driven by the Five-Winged Star
6) The Past is Like a Funeral
7) The Entrance to the Spheres of Mars
8) Chwala Mordercom Wojciecha
(997-1997 dziesiec wiekow hanby)
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