BEHEMOTH

Demigod

2004 - Regain Records

A CURA DI
PAOLO ERITTU
02/07/2015
TEMPO DI LETTURA:
9,5

Recensione

"Demigod": una parola che mette i brividi, con la sua aura di arcaica solennità e la sua potenza sonora. Ed è divertente scoprire come sia nata, cosa che ci illustra lo stesso Adam "Nergal" Darski, che ricorda la sua situazione al termine del Six Feet Under Tour, nel 2003, quando si trovava "in una pessima e scomoda situazione di vita [?] ma ho tentato di stare a galla. Ho raccolto tutti i pezzi da terra e ora sono più forte che mai. Sono diventato qualcosa che non sono mai stato". Questo è il concetto, che si lega non solo a Thelema, all'occulto, ma anche alle esperienze personali, perchè come spiega: "Tutti noi Behemoth siamo molto personali e passionali in quello che facciamo, è un fatto", perciò Demigod è una manifestazione del cuore pulsante pieno di passione e vitalità della razza umana. Dopo il capitolo di "Zos Kia Cultus", un album che aveva travolto la scena con la sua maestosità, Nergal decide che i tempi sono maturi per portarsi ancora al di là, e rendere ancora più articolato e imponente il sound della band; la volontà è quella di creare un album più massiccio, potente, staccandosi in parte dai concetti più astrusi della dottrina del "Do what thou wilt", per concentrarsi invece sulla singola bellezza del concetto alle radici dei suoi insegnamenti, vale a dire la Volontà, il motore del nostro fato e della nostra essenza. Le lyrics, rigorosamente in inglese antico e sempre partorite dal frontman e dall'occultista Krzysztof Azarewicz, sono imperniate intorno al raggiungimento di uno stato Nietzschiano di "Übermensch", "Super-uomo" o "Oltre-uomo", nel quale ogni individuo è dio di sé stesso, e "Ogni uomo e ogni donna sono una stella". Tuttavia non bisogna vedere il tutto come una manifestazione di aderenza assoluta a una dottrina: tutto il (profondo) simbolismo presente nei testi non è fine a sé stesso, né una semplice manifestazione di conoscenza, bensì "uno strumento per raggiungere un luogo dove desidero andare, per sentirmi felice e appagato. Voglio solo avere la mia soddisfazione in vita", afferma Nergal, aggiungendo "Ho trovato la vita troppo ispiratrice per limitarmi con una sola dottrina". Per cui, al fianco di una evidente evoluzione musicale, si ha anche un arricchimento delle tematiche, con concetti estrapolati da dottrine e pensieri differenti, poi reinterpretati in chiave personale dal gruppo. Il risultato è un unico e possente flusso di energia brutale, con atmosfere maestose e cariche di una ferocia primordiale, il tutto arricchito da una accentuata vena esotica e mediorientale, in un'evoluzione di ciò che avevamo già sentito nel lavoro precedente, ma con una linfa, un'anima se vogliamo, dalla quale emerge qualcosa di meraviglioso e insinuante, maligno ma epico in maniera commovente. "Demigod" vede anche la formazione di una line-up più stabile, che dura tutt'ora: infatti, oltre all'eclettico Nergal abbiamo di nuovo Zbigniew Robert "Inferno" Prominski alla batteria, con un lavoro di doppia cassa incredibile e una precisione chirurgica, Tomasz "Orion" Wróblewski al basso, un energumeno dotato di velocità e tecnica davvero elevate e infine il buon Patryk "Seth" Sztyber alla seconda chitarra, che svolge un lavoro ritmico molto tecnico e pulito. Nergal afferma che per rinnovare la band ha sempre cercato artisti che fossero in sintonia con il suo pensiero artistico, in modo da lavorare in completa armonia e massima ispirazione. E ha funzionato. Non un pezzo annoia e non una nota è fuori posto, la band lavora come un'unica entità, una bestia titanica che carica in preda a un'ira fredda e calcolata. 

"Sculpting the Throne ov Sethapre il disco con un inquietante arpeggio di chitarra acustica che si solleva sempre più fino all'esplosione di un intro formato da un coro di chitarre dalla distorsione potente, epica e feroce, e una batteria martellante, fino a un improvviso istante di silenzio, al quale segue l'avvento di un riff violento, con una batteria esplosiva, sul quale si impone il growl demoniaco della voce, appesantito da un filtro che lo rende più sporco e malefico, in sintonia con la frenetica brutalità della musica. Il rapido riff principale viene spezzato dal ritornello, un mantra ossessivo nel quale le note e la voce si intrecciano in un coro rovente. Si solleva un lento e imponente muro sonoro, sul quale si innesta uno scambio molto bello tra le chitarre, che si uniscono in un lacerante flusso di note esotiche. Da qui in poi il pezzo si avvia alla chiusura, con un ultima strofa ruggente e solenne che apre la pista a un assolo di chiusura che prosegue aumentando la sua velocità, prima di un outro che chiude il pezzo con tre potenti note, cariche di aspettative. Nergal afferma che "Il pezzo è un manifesto di ostilità, e il suo messaggio è chiaro e diretto: ognuno è dio di se stesso, non ci sono altri dei". Infatti, il testo è un inno che celebra una figura senza nome, ma che possiamo identificare con Hoor-paar-kraat, l'Horus Infante, una figura chiave dell'occultismo thelemico, un importantissimo simbolo di rinascita che difatti afferma: "Non parlate di me come di uno / Non parlate di me come di molti / Non parlate di me come di nessuno / Poichè io sono continuo", e viene successivamente chiamato "Fanciullo coronato e conquistatore". Tale figura si unisce a Ra-Hoor-Khuit, il Ra-Horus dei Due Orizzonti (del quale è una forma infantile o un fratello, a seconda dell'interpretazione), creando Heru-Ra-Ha (Horus Carne del Sole), massima divinità thelemica, colui che porterà l'umanità all'auto-realizzazione e auto-attualizzazione, condividendo con essa la sua oscura saggezza. Vengono poi menzionati Tonal e Nagual, due mondi paralleli propri della scuola esoterica di don Juan Matus, che rappresentano il mondo del materiale e quello dell'immateriale. Attraverso quella che è definita "Prima Consapevolezza", noi percepiamo Tonal, attraverso i sensi, ma per poter esplorare Nagual si dovrà sviluppare la "Seconda Consapevolezza", la chiaroveggenza. Sono quindi due universi distinti e completamente separati, eppure, per rendere l'idea della assoluta innovatività e del potere della figura di Hoor-paar-krat, esso viene fatto agire nell'ambito di una anomalia tra tali universi esoterici: "Quando Tonal si incrocia con Nagual". È interessante poi il raffronto che si ha nelle strofe successive, dove il protagonista viene definito "Reincarnazione di Serapis", una divinità creata dalla dinastia macedone dei Tolomei, che governò l'Egitto in seguito alla morte di Alessandro Magno e alla spartizione del suo regno. Serapis era anch'esso frutto dell'unione di più divinità, e risultava perciò un dio multiforme, signore della fertilità, propiziatorio, signore degli Inferi e della medicina. Fu creato in modo che la popolazione multietnica di Alessandria, capitale del regno, avesse una divinità nella quale si potesse identificare, e la sua importanza crebbe tanto che divenne una delle divinità principali, con Iside e Anubi, sostituendo Horus nella sua forma, appunto, di Hoor-paar-kraat. Da questa nebbia, che sembra quasi palpabile, si sollevano intorno a noi gli echi di corni e trombe di antichi eserciti, che accolgono l'arrivo di "Demigod", il semidio (o super-uomo) che guiderà le sue sterminate legioni oscure per spezzare le catene che soffocano l'Umanità. La batteria e le chitarre esplodono in una devastante battaglia sonora con un riff principale che mantiene una carica orientale nella sua ferocia, mutando poi in linee ritmiche che si articolano insieme alla voce, non appena essa entra in campo. In seguito l'alternarsi dei questi due riff verrà spezzato da un ruggito gorgogliante, che introdurrà un ritmo molto più rapido, carico di una ferocia folle e nervosa presto stemperata da potenti accordi che sorreggono una voce imponente, in un insieme che fluirà poi di nuovo nel riff principale. Questo terzo riff ricomparirà poi verso la fine, ed è proprio da esso che nascerà un lacerante ed epico assolo, che condurrà poi a un'ultima strofa per chiudere la traccia con un ruggito privo di qualsiasi traccia di umanità. Nel suo insieme, il pezzo è un puro flusso di energia, sprizzante una vitalità primordiale e ostile. Nergal spiega che la traccia "esprime le virtù più espansive e intransigenti e gli istinti che reputo miei: l'individualità, l'affermazione nella vita, l'ambizione, la determinazione e la vitalità". La traccia rappresenta un inno di battaglia rivolto verso sé stessi e un brutale anatema verso i nemici. Il Demigod, è debitore dell'Oltre-Uomo di Nietzche, e Nergal stesso ha tratto ispirazione da "L'Anticristo", opera scritta nel 1888 dove il filosofo descrive "la maledizione del Cristianesimo" ai "pochissimi" capaci di comprenderlo senza travisare le sue affermazioni. Infatti, Nietzche riconduce al Cristianesimo ogni male sociale che affligge il mondo e ogni male morale che affligge l'uomo, tale religione non è altro che un capovolgimento della sua forma più pura e originale, ed è stato messo in atto in secoli di storia al fine di controllare le persone. Questo abominio ha utilizzato la sua nefasta influenza per creare una società schiava del Peccato, che vive nel terrore di esso sopprimendo i suoi più naturali istinti, e lo ha fatto utilizzando uno specchietto per le allodole, un "mondo dietro al mondo", una vita dopo la morte. Per questo il testo della traccia ruggisce "Non pentitevi! / Siete degli Uomini / Dio non esiste più!": il Demigod è la rappresentazione della Volontà di Potenza, una volontà che vuole sé stessa, in un circolo trascendente di continua rinnovazione. Si scaglia contro i preconcetti e i dogmi religiosi, e con le sue armate spazza via le morali costruite in secoli di condizionamento mentale. È il bisogno di cambiamento e di adattamento, è la natura stessa che schianta le proprie catene con violenza e si rivolge furiosa contro i suoi carcerieri ("Che le loro armi possano sciogliersi come cera / Che le loro lingue possano venire tagliate / Che Apophis possa distruggere le loro ossa / Che le loro ceneri possano venire sparse sul terreno..."), è la libertà di scelta e la razionalità. E il messaggio viene rimarcato dal testo: "Come hai potuto cadere così in basso? / Ottieni la redenzione attraverso il rifiuto! / La restrizione è diventata un peccato". Ciò che è vecchio e incompatibile per il mondo odierno non dovrebbe pertanto governarlo, per questo bisogna cambiare, utilizzare la nostra volontà individuale per far sì che la nostra mente e il nostro pensiero si evolvano insieme al nostro corpo e al nostro mondo, diventare più forti. Il resto è conseguenza. "Conquer Allesplode con due violente note, che danno il via a un riffing granitico, scandito da un potente e cadenzato lavoro di piatti. Con l'attacco della rapidissima doppia cassa, viene introdotto un lick, che riprende le note del riff e da esse elabora una lenta e solenne melodia, che si spegne con l'entrata in campo della voce imponente. Dopo la prima strofa le chitarre rallentano per formare un breve coro, prima di impazzire in una linea ritmica estremamente tecnica, che segue la melodia vocale in un'escalation di potenza dalle tinte mediorientali. L'alternanza tra il riff principale e quest'ultimo riff si ripete ancora una volta, portando poi a uno stupendo assolo, tecnico e trascinante, che termina con un'ultima nota acuta, sorretta da maestosi accordi, che lanciano l'ultima parte, una secca gragnola di note serratissime ed esplosive, che seguono la voce maligna spegnendosi all'improvviso. Il cantante afferma: "La mia volontà mi ha portato sul sentiero sul quale cammino, e questo sentiero mi ha portato la volontà di conquistare il mondo, l'intero universo. Tutto o niente". Qui ci ricolleghiamo a Nietzche e a "L'Anticristo", quando il filosofo scriveva: "Cos'è la felicità? La sensazione di aumento del potere", che percepiamo quando ci adattiamo ed evolviamo fisicamente e mentalmente per superare infine le avversità, che sono il bene in quanto stimolano questo processo di rivoluzione dell'individuo. Per questo bisogna mirare in alto. E qui ritorna la figura del Demigod, ancora più iconica, ora che si trova nel vivo del suo titanico scontro, come un nuovo Prometeo, illuminando le tenebre di un'Umanità oppressa. "Sono cosciente di essere un catalizzatore e del mio odio verso dio"; il Demigod è un mezzo, uno strumento grazie al quale la Volontà umana agisce, e ne è cosciente, tanto che afferma infine: "Sono la pura fiamma che brucia / Sono il (sempre splendente) figlio di Sirio (la stella più luminosa del nostro cielo) / Sono lo spazio infinito / Sono il più grande conquistatore". Arriva poi il mio pezzo preferito, "The Nephilim Rising", una traccia imponente e meravigliosa. Si inizia subito in maniera maestosa, con batteria e chitarre che si intrecciano in un brutale attacco di note serrate, dal quale emerge un riff trascinante, rabbioso e potente, che sorregge una voce trasudante ferocia. La linea ritmica si mantiene uguale, tranne per l'inserimento di due break durante i quali la musica si fa più lenta e sinistra, prima di esplodere con ancora più violenza. Al termine del secondo break parte l'ultima strofa, che incanala tutto il fuoco della traccia in un assolo finale, caricando tutta l'energia del pezzo e trascinando l'ascoltatore col fiato sospeso, in attesa di liberare tale energia prima che esploda. E la valvola di sfogo la si trova in un improvviso, bruciante sweep-picking, che lascia fluire tutta questa carica e questa tensione, in uno stupendo esempio di catarsi musicale, che si articola su melodie orientali per poi interrompersi improvvisamente, lasciando spazio agli arpeggi (sempre orientaleggianti) della chitarra acustica, che ci culla dolcemente portandoci alla fine della canzone. Traendo spunto dalla mitologia mediorientale il quartetto polacco rievoca la leggenda dei Nephilim, giganti, semidei o figli di angeli e di donne umane descritti nella Genesi. In alcune interpretazioni vengono addirittura descritti come gli angeli caduti insieme a Lucifero, e rappresentano simbolicamente l'essere umano dio di sé stesso, una rappresentazione di quella collettività che è riuscita ad andare al di là dei dogmi, e a elevarsi al di sopra del fango nel quale la religione monoteista trascina l'essere umano: "In questa totalità la perfezione siamo noi, la natura è libera, l'esistenza ci dà gioia [...] Quando la realtà non è più di un vortice quantico, si cade in un sonno profondo, intervallato da un lucido sogno [?] sono esaltazioni di tutti, di una persona, di nessuno. Non c'è differenza. Siamo l'inizio e la fine. Io, Pan!" Nergal afferma che il testo ha un valore molto personale, e tenta di spezzare la supponenza con la quale si ritiene che qualcosa stia al di sotto o al di sopra di un'altra: "La storia, l'evoluzione umana, l'universo e l'esistenza stessa sono qualcosa di più di una linea verticale che unisce l'uomo a ciò che è divino. Prendendo come esempio i "Tre Libri della Flilosofia Occulta" di Agrippa, se guardiamo attentamente i talismani che simboleggiano il macro e il microcosmo vedremo chiaramente delle similitudini tra di loro, e il fatto che non siano connessi verticalmente ma più orizzontalmente rende le cose più chiare...". Il mondo è esistenza che fluisce, che si trasforma grazie alle avversità e alla volontà di superarle e superarsi, e l'unico dio che può esistere è quello che diverremo, singolarmente e collettivamente. Giunge quindi la brutale "Towards Babylon", che esplode rabbiosa con un lavoro di batteria impossibile che supporta un riffing veloce e violento, che muta nel ritornello trascinante dove, mentre una chitarra mantiene una brutale linea ritmica, l'altra inserisce dei licks in sweep-picking. Al secondo ritornello la musica di colpo diventa più cadenzata e lenta, e si fa strada un assolo incrociato delle due asce, lento, potente e tecnico, rafforzato da violente scariche ritmate di batteria, e che termina con un lungo fraseggio che ci lascia a un break strumentale che sfocia nell'ultima, ruggente strofa, sulle note del riff principale. Il testo, come spiega Nergal, è un inno ai "Grandi Antichi", gli dèi primitivi e occulti degli albori dell'uomo, e alle battaglie combattute da loro e per loro. "Leviatan! / Il tuo potere infurierà per l'eternità / Sono rinato / Purificato / Dalle brucianti fiamme di Sodoma / E dal potere degli dèi". Più volte viene invocato Dumuzi, un dio della rinascita sumero, equivalente al babilonese Tammuz, e sposo di Inanna, la babilonese Ishtar; il loro matrimonio era uno dei riti più sacri e rappresentativi dell'antichità, in quanto rappresentava l'unione della rinascita naturale con la bellezza e l'amore, creando così la fertilità. Vengono nominati anche i "Fratelli del seme di Ahriman", cioè la progenie dello Spirito Distruttore, in origine Angra Mainyu ("Spirito del Male") nello Zoroastrismo, una figura speculare (e che forse ha dato origine) a Lucifero, ribellandosi al dio supremo Ahura Mazda per libera scelta. Tuttavia, al contrario del Cristianesimo, Ahriman col suo potere in qualche modo limita quella del suo precedente signore, in un'accezione religiosa più dualistica che monoteista, dove il Male e il Bene sono definiti l'uno dall'altro, inseparabili ma inconciliabili. L'ultimo a venire invocato è Apollyon, altro nome di Abaddon, demone ebraico legato alla distruzione e alla desolazione, che nell'"Apocalisse" guida l'invasione delle locuste infernali, creature con il volto e i capelli di donna, i denti da leone, il corpo corazzato e le ali di una cavalletta e la coda da scorpione, queste creature avrebbero tormentato l'umanità per cinque mesi, e per cinque mesi essa avrebbe cercato la morte senza trovarla. "Before the Æons Cameinizia in un epico crescendo di batteria e chitarre, in questo pezzo va sottolineato un lavoro davvero superbo del batterista, che per tutta la durata della canzone non smette mai di stupirmi, e che già dall'inizio si cimenta in un magnifico lavoro ai piatti. Un silenzioso istante dopo l'intro, il quartetto si lancia in un riffing potente ma melodico, mentre la voce ruggisce una meravigliosa poesia. Il riffing cambia bruscamente per lanciarsi in una cavalcata dominata da un blast-beat "infernale", ma un cambio di tempo ci riporta al riff principale, che chiude la traccia. Il testo è tratto da "Atalanta in Caledonia", un'opera scritta da Algernon Charles Swinburne, poeta inglese e uno dei maggiori ispiratori di Aleister Crowley per quanto riguarda la poesia. I suoi argomenti principali erano la libertà, al relazione tra il dolore e il piacere e la psicologia della passione sessuale, e inseriva il tutto in un contesto di neopaganesimo. Il testo parla del Mondo "prima dell'inizio degli eoni", del tempo, quando "La forza non veniva esercitata solo con le mani, l'amore durava solo il tempo di un respiro, la Notte era l'ombra della Luce e la Vita era l'ombra della Morte", e prosegue nel descrivere l'esistenza totalmente pura di coloro che vissero in tale periodo, dove la vita era fine a sé stessa e le passioni erano tutto. La canzone termina con un'ultima, poetica strofa, che rievoca tempi aldilà dei tempi, quando "Tutto era avvolto dalla tristezza e dalle risate e abbellito dalla sofferenza e dall'amore. La Vita veniva prima e dopo l'uomo e la Morte gli era sopra e sotto". "Mysterium Coniunctionis (Hermanubis)è un pezzo molto cadenzato, dove, mentre la batteria intesse un elaborata base sonora, le chitarre si intrecciano con la voce per riportare la nostra mente dentro antichi templi di civiltà scomparse, tra i fumi delle incensiere e gli occulti riti di iniziazione. La traccia mantiene un ritmo incalzante per tutta la sua durata, con una batteria velocissima e molto articolata, con il basso di che ne scandisce il tempo. Troviamo un riff principale fatto di note esplosive, un fiume in piena, inarrestabile ed entusiasmante, nel quale il growl si incastona perfettamente in un disegno di epica ferocia. Il pezzo è costellato di cambi di tempo e atmosfera, che divengono a volte più frenetici, altre più lenti ed avvolgenti, arricchendosi di eleganti fraseggi delle chitarre, che rendono il tutto più carico e imponente. "I suoni della notte / Sono nati dalla tranquillità / L'incensiere profuma come il sole / E attrae i ricordi". Il testo contrasta con la ferocia della musica, essendo intriso di una solenne poeticità, che ricrea l'atmosfera sonnecchiante delle notti nel deserto, tra arti occulte e culti misterici, e presenta la figura di Hermanubis, un esempio (come il già citato Serapis, vicino al quale era posta la sua statua nel tempio di Alessandria) di sincretismo tra divinità egizie e greche, a seguito del dominio macedone. Hermanubis è infatti frutto dell'unione delle figure di Hermes e Anubis, e presenta i tratti caratteristici di entrambi, partendo dalla testa canina per arrivare al sacro Caduceo, lo scettro del dio greco. La funzione rimane quella comune di conduttore di anime, ponte tra il mondo degli uomini e quello degli dei, e viene associato ai culti misterici e alla casta sacerdotale egiziana, votata alla ricerca della verità."'Nel mistero del collegamento dio è l'uomo' / E io capisco qual è il fardello / Che stiamo trasportando in questo viaggio: / Lo so, lo saprò / Oserò e manterrò il segreto". "XULin Sumero significa "male", e la canzone tiene fede al titolo, raddensando intorno a noi un muro di oscurità fatto di note, in una traccia più frenetica e rabbiosa della precedente. Le chitarre si lanciano in licks dal sapore orientale, mentre la batteria mantiene costante un furioso blast-beat, che aggiunge ferocia alla ferocia, mentre i ruggiti si incuneano nel nostro cervello insieme alle maligne melodie delle chitarre, che sfociano in un assolo eseguito da Karl Sanders, chitarrista e fondatore dei Nile, inizialmente calmo, che accumula sempre più velocità fino a sfumare con l'ultima nota, che sfuma in nervosi ronzii chiudendo il pezzo. Insieme al male viene evocata anche l'oscurità, poiché "xul" è anche il contrario della parola "lux", in Latino "luce". Con il Male, Nergal spiega di voler simboleggiare le occulte, indefinite e onnipresenti "forze primitive, le entità cosmiche dal potere infinito", in un approccio, rispetto all'uomo e all'universo metafisico che definisce ispirato a quello di H. P. Lovercraft, padre degli scrittori Horror insieme a E. A. Poe. L'attacco di Slaves Shall Serve è un distorto ruggito in una lingua antica, al quale segue un veloce e furioso intro di chitarra e batteria. Il riffing è mutevole ed elegante, molto articolato e rapido e si hanno due assoli, il primo più calmo, con un brusco cambio di tempo di tutti gli strumenti, il secondo uno sferzante gemito distorto, prima del ritornello finale, un mantra folle, e ossessivo, animato da pura follia. Il testo, che prende il nome da una citazione del "Libro della Legge" scritto dall'occultista inglese Aleister Crowley, comincia con un'invocazione in Sumero: "Gli schiavi serviranno quando cadranno le corone, nell'Apocalisse incombente, gli schiavi serviranno come forza vitale minore, e come i rivali dei non-morti". In seguito viene invocato il Padre del Terrore: "Abu el-Hol (la Sfinge, letteralmente "Fonte del Potere") / Tu che vivi nei meandri del passato / Nelle catacombe della notte / E nel grembo stellato", in una sorta di canto di guerra che evoca anche Asar un-nefer, un tardo nome di Osiris che significa "colui che porta le buone cose", e che prosegue con frasi spavalde e scherno nei confronti dei nemici e della morte, accettando di vivere appieno la loro esistenza, in un lungo sogno dove ogni risveglio è una nuova vita. Nergal afferma: "Queste parole invocano il potere dell'individualità, che va contro la paura e l'oppressione della civilizzazione dell'ovest e contro tutti i suoi tabù, contro le religioni cadute e gli idoli politici, contro la pazzia e la stupidità delle masse...". "The Reign ov Shemsu-Hor", con i suoi 8 minuti e mezzo, è la canzone più lunga dell'album, e di sicuro una delle più epiche in assoluto. É ispirata dal libro di Andrew Collins "From the ashes of the angels. The forbidden legacy of a fallen race", in questo libro, spiega Nergal, si dice "che gli angeli caduti una volta facevano parte di una razza che visse prima della nostra. Shemsu Hor era una società sacra che esisteva in Egitto prima dell'inizio dell'Antico Regno. Si dice che queste persone fondarono la cultura egiziana", inoltre "Collins trova che gli idealismi di Shemsu Hor siano simili al Nephilim biblico", come una figura storica archetipica dalla quale sono nate molteplici leggende speculari. La canzone è un'opera composta da tre parti, che ci porta attraverso i secoli alla ricerca della bellezza, della libertà e della saggezza. La prima parte: "The Forbidden Legacy ov a Fallen Race", è un pezzo strumentale con una cadenza lenta e imponente, data dalle chitarre e sostenuta dalla batteria, un movimento epico e fiero, arricchito da orchestrazioni che aggiungono una sfumatura antica. La lenta melodia si interrompe per un breve break di una fievole chitarra acustica, per poi esplodere in "Invocation ov the Watch Gods", dove la musica si fa più potente, rapida e cadenzata, con potenti note concentrate in secche scariche, come fossero il battito del cuore di un essere immane, che improvvisamente prende velocità, in una poderosa carica nella quale si accresce la sensazione di prendere parte a un rito antico, con il cuore che batte all'unisono con la doppia cassa. Sono presenti due assoli incredibilmente epici e composti da scale orientali, tale scelta musicale raggiunge un picco magnifico con il pezzo in tapping che chiude il secondo assolo, dopo il quale si ha un'ultima strofa. Qui il Demigod invoca l'"Osservatore", membro di una razza senza tempo di dèi primordiali, descritti nel Libro di Enoch come un gruppo di angeli che affrontò il declino e la caduta per via dell'amore per le donne umane, e richiede di essere liberato, e che la sua mente sia aperta alla conoscienza. Questa figura avrà poi più di un nome: Azazel, una figura antica e potente, demone signore dei deserti, uno degli angeli caduti che insegnò agli uomini a costruire le armi e alle donne la cosmesi, ma viene anche nominato Shemyaza, il capo degli Osservatori, che una leggenda vuole conoscesse il vero nome di Dio. "Oh potente Sentinella! / Sei la conoscenza / Spezza la monotonia dell'esistenza / E che io possa venire illuminato!". La terza parte "The Splendorous Return" è un ruggito vittorioso: la musica è rabbiosa, e mentre la batteria crea una base rapidissima, le chitarre, supportate dalle esplosive note del basso, lavorano sulla leva del vibrato delle chitarre e creano continui licks che supportano il growl luciferino, che con l'ultimo ringhio avvia un finale strumentale, glorioso e brutale, che chiude sfumando il pezzo. Le strofe finali sono un imponente canto di perversione: "Fatevi sotto codardi! / Sputate la blasfemia! / Passate dalla parte del peccato!", e dopo una nuova invocazione agli antichi, alla ricerca della saggezza, l'invocazione si conclude, presagendo il Ritorno. Ma "Si deve prima Cadere / Per poter regnare nella blasfemia!".

I Behemoth hanno fatto della perfezione totale il loro punto di forza, e lo dimostrano, lavorando con maniacale perizia su ogni minima sfumatura dell'album. La produzione impeccabile di Nergal e Daniel Bergstrand ci permette di tuffarci in un flusso musicale dove possiamo percepire ogni singolo strumento in maniera perfetta. Quest'album è di sicuro uno dei massimi lavori del quartetto polacco, che supererà ancora le aspettative del pubblico con un lavoro compatto e potente, di una violenza finora inarrivata. Risuonano gli echi del precedente "Zos-Kia Cultus", ma le atmosfere sono più protese verso la musica orientale e le tematiche affrontano il terreno nel quale affondano le radici dell'albero dell'occultismo. Miti antichi, entità primordiali e figure perse nella corrente erosiva del tempo, trovano qui nuova forma, donando e ricevendo vita dalla musica nella quale prendono vita. Si riesce a percepire la loro presenza oscura, e la mente è come trascinata in un delirio mistico dalle ritmiche rimbombanti e dagli affascinanti fraseggi delle chitarre, e ho apprezzato anche l'utilizzo frequente di un filtro vocale che rende i ruggiti più cavernosi e distorti, quasi meccanici, come se non avessero anima e fossero preda delle divinità da loro evocate. Ancora una volta il percorsi musicali e di vita di ogni componente si fondono, e si percepisce la band come un'entità unica, capace di muoversi in maniera armoniosa e di scatenare ondate di energia pura, preda di una ferocia imponente ma controllata, consapevole, un altro strumento utilizzabile dagli artisti come veicolo di espressione. Trovo che sia qui che risiede la maggiore bellezza dei Behemoth, nella loro estrema professionalità e nella continua ricerca del miglioramento, e nella maestria con la quale riescono a controllare le emozioni, imbrigliandole ma al contempo facendole esprimere appieno. Questo rende ogni album un lavoro fatto da artigiani esperti, ritoccato e decorato, vissuto e sofferto, un passo di un cammino che porterà questo gruppo sempre più in alto.

1) Sculpting the Throne ov Seth
2) Demigod
3) Conquer All
4) The Nephilim Rising
5) Towards Babylon
6) Before the Æons Came
7) Mysterium Coniunctionis
(Hermanubis)

8) XUL
9) Slaves Shall Serve
10) The Reign ov Shemsu-Hor

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