BATUSHKA
Litourgiya
2015 - Witching Hour Productions
GIANCARLO PACELLI
10/03/2019
Introduzione recensione
Religione e musica hanno avuto lungo i secoli scorsi un rapporto bipolare, di amore e odio. Strumento fondamentale per l'espressione e comunicazione col trascendentale, oltre che percorso unico e inimitabile dell'avvicinarsi col divino. L'arte, nel nostro caso la musica, è da sempre collegata al sentimento religioso, basti pensare all'utilizzo dei canti gregoriani nell'esercizio di fede oltre che dei canti corali che infarciscono l'aria mistica presenti nelle varie professioni di fede di tutto il mondo: ma a volte questi due poli, religione e musica, possono collidere generando una nube impenetrabile in cui entrambi cambiano di veste. Quando parliamo poi di musica heavy metal e religione, è impossibile non pensare al gelido black metal scandinavo, all'Helvete di Oslo fino alle chiese bruciate nella tempestosa Norvegia di inizio anni 90, che dalla battaglia di Lindisfarne del 793 d.c (costola narrativa di album come "Eld" dei norvegesi Enslaved che narrava proprio uno degli eventi fondamentali dell'espansione vichinga a discapito dei cristiani) non ne ha voluto sapere di avere contatti con la chiesa cattolica vuoi per l'irrefrenabile orgoglio dei popoli vichinghi o semplicemente per la struttura sociale a tratti veramente incompatibile con i precetti di matrice cristiana anche se poi quest'ultima ha trovato lentissima diffusione con Haakon Il Buono (terzo Re di Norvegia). Questa riluttanza al "cristiano" ha generato un mood, un modo interpretativo che non poteva non attecchirsi con il concetto di metal, che nelle terre di Odino ha trovato terreno più che fertile. Di certo però quando la musica stessa (metal nel nostro caso) si incasella secondo i canoni di una santa messa, tutto ciò che abbiamo detto va in fumo in poco tempo, proprio perchè risulta inusuale immettere un suono estremo all'interno del chiarore sacro dell'ecclesiastico. E tutto questo è proprio il caso che analizziamo oggi, ossia di una meteora chiamata Batushka (padre della chiesa in lingua cirillica), nata nel 2015 quasi dal "nulla" che abbiamo già conosciuto con il primo singolo pubblicato il 30 Novembre del 2015 ossia "Yekteniya VII", il quale ha centrato gli obiettivi sensibili che si era prefigurato. Il singolo infatti già aveva messo su carta le intenzioni viscerali della band, e tra queste ci erano quelle altamente papabili di scrollarsi di dosso un unico ammasso musicale, per abbracciare più modalità di intendere l'extreme music. Questi simpatici polacchi (immersi in una corrente black metal veramente fruttuosa assieme ad acts come i Mgla o Infernal War), talmente oscuri e indecifrabili tanto da avere la decisa capacità di nascondere i nomi reali di ogni membro, erano consapevoli porgere i loro passi musicali su di un limite ampiamente delicato e utilizzato, proponendo nel 2015 un debutto che ha suscitato molti dubbi per gli espliciti segnali di cui godeva ma al contempo ha macinato consensi in tutto il mondo, soprattutto per l'effettiva unicità della proposta musicale tesa a unire in un solo colpo molteplici influenze. Abiti inerenti al monachesimo, incensi tipici da messa dominale che in sede live vengono profusi lungo l'asse del pubblico, membri incappucciati che si muovono come dei chierichetti di un classico esercizio di fede al cospetto del prete che è colui che diffonde la "parola": i polacchi non si sono risparmiati con dettagli e particolari mettendo in risalto un immaginario collettivo in paletti del tutto precisi, nel loro debutto "Litourgiya" del 2015, un lavoro compatto e solido e, come abbiamo già accennato prima, unico nella sua prospettiva. Intriso fino al midollo di sani riferimenti religiosi (e sacrali, in questo caso la cover iconica con Maria e Gesù di Nazareth ci danno una mano importante) e stilemi inerenti al più classico black metal irriverente e inconsapevole dei rischi di ciò che propone. Ma sarebbe troppo semplice inquadrare questo vero e proprio fenomeno con queste poche parole. I Batushka sono molto di più, sono una nuova espressione musicale che ha avuto un impatto decisivo negli ultimi tempi, in cui il black metal sta cercando di muoversi in tutti modi, proponendo il classico freddo stile verso nuove frontiere (gruppi di riferimento in questo nuovo modo di intendere la musica nera sono i gruppi esponenti del blackgaze o post-black, tra le tante fasce sperimentali del genere), e da questo punto di vista questi misteriosi polacchi si muovono verso territori più che giusti, da un punto di vista sia attitudinale che musicale costruendo una tracklist che sa di concept album anche se non è effettivamente cosi, nonostante i brani siano in un certo senso collegati da un trasparente filo conduttore che va a valorizzare ancora di più il succoso contenuto, e già questo piccolo punto trasuda di un'interpretazione unica della materia estrema in cui ogni cenno strumentale è da interpretare come punto fondamentale di un corpus complesso e sfuggente. Sette tasselli ritmici chiamati "Yekteniya"" (che in italiano di può tradurre semplicemente con "litania") muovono i loro neri passi lungo i cinquantatrè minuti che traboccano di maestosità, di potenza e di tentativi di avvicinarsi al cospetto di una creatura teoricamente celeste e giovale, capace di inghiottire i non cauti ascoltatori, forse ancora non preparati ad affrontare questo limbo composto da fibre insolubili di oscurità. Siete pronti ad affrontare questo passo verso la glacialità più informale ma al contempo ricca di pathos e atmosfera?
Yekteniya I: Catarsi
Pulisco la tua iniquità.
Molto probabilmente ti laverai dalla tua colpa,
E dal tuo peccato io ti purificherò (Eterno Alleluia!)
Con questi primi passi importanti inizia il nostro rituale sacrale con non senza troppi punti cavillosi. I Batushka carburano sin dall'inizio ammaestrare suoni, atmosfere pescate da una chiesa decadente, che non sobbalza all'occhio per la sua monumentale bellezza ma invece per gli artefici malefici sui cui pone le basi, e il terzetto polacco è l'adepto divino a costruire il proprio suono identitario su questa chiesa ricolma di una sinistra spiritualità. Punto centrale è il viaggio delle anime che da peccatrici dovranno diventare lavate e pulite nella loro essenza. A battezzare la celebrazione sono tocchi semantici tesi a sottolineare l'importanza dei discendenti di Abramo nel tessuto religioso e dell'importanza del perdono, un parametro indispensabile. Dal punto di vista musicale, i suoni tipicamente da chiesa che collidono con l'aria densa e irrespirabile, e proprio in questo istante colpisce l'artwork con la classica immagine della Vergine Maria che ha in braccio il piccolo Gesu' di Nazareth. E questo non è un dato da sottovalutare dato che i polacchi danno al valore visivo lo stesso peso di quello musicale, che sin dai primi istanti si carica addosso una carica strumentale di pregevole fattura. Il muro di suono del terzetto (ottetto in sede live), dopo un taglio chitarristico volutamente reso lento e opprimente dal fragore ipnotico strumentale, lascia spazio al cantato di matrice ortodossa, profondo e ispirato che impone la propria essenza lungo il medesimo filo chitarristico: nel cuore di tutto ciò la sezione ritmica, pulitissima e epica al contempo, preme a più non posso grazie a linee di basso e ad una chitarra di chiara ispirazione doom che circolano con una catartico rigore, e un controllo strumentale che la band subito mette in piedi. Il primo tassello di questa liturgia, "Yekteniya I", è partita, e meglio di cosi non si può. Il laccio malefico che fa da collante al cantato maestoso, rigorosamente registrato in tonalità basse, e al sound corpulento, si giostra al massimo, soprattutto lungo gli scream pesanti e allucinatori che sembrano provenire da un girone infernale dantesco, tesi ad opporsi ai cori soavi dei primi minuti iniziali. Ed ecco che il piatto, anzi la pietanza estrema polacca è servita, profuma di violenza, ribolle di fragore ritmico che sembra non avere una fine tanto che è effettivamente disegnato su un asse sonoro perennemente fresco e attivo. Il primo capitolo di questo lungo viaggio è da considerarsi come il battezzo di questa messa, che pone al suo interno tantissimi canali interpretativi, tra cui quelli del secondo minuto in cui un mid-tempos terrificanti spezzano i ritmi riabbracciando, con forti e rigorosi tremoli di chitarra, il cantato di matrice gregoriana, che si sposa magistralmente con le corde della blasfema ascia bollente e i ritmi ancora anneriti dal più catacombale doom che a sua volta si scontra con lo screaming organolettico di ovvia rimembranza black metal. È la catarsi, è la pulizia che l'Essere Onnipotente porgerà alle anime che non saranno più intaccate dai peccati ma che potranno con sicurezza abbracciare il mondo celeste, il luogo in cui solo il bene primeggia. I cambi di tempo sono il punto essenziale per capire bene il sound proposto, dato che passa con esponenziale facilità da ritmi infernali, conditi da un drumming perfettamente dosato dalla doppia cassa, a intermezzi melodici in cui l'anima gregoriana fuoriesce a più non posso, quasi sovrapponendosi al rigore del suono, talmente variegato da non trovare una sua dimensione sonora. E questi momenti riflessivi sono ben impastati in alcuni tratti, in cui tematiche sonore messe in disparte in precedenza riprendono forma ponendosi nel marasma ritmico a tratti violento e rapido con il suono "bleast-beattato" della batteria. L'atmosfera che ha iniziato la prima litania chiude questo brano che tocca livelli epici di musicalità e violenza. Quest'ultima è proprio il male da estirpare, la band è chiara con i suoi messaggi lirici che quasi si scontrano con la rabbia profusa.
Yekteniya II: Benedizione
Sono il santo, sono il più puro, sono il Signore.
Nel nome di me, prega per me,
Nel nome della salvezza, gli uomini pregavano.
Nel nome di tutto il mondo, benedizione, unirò tutto
Non facciamo che tirare un sospiro di sollievo dalla appena iniziata omelia purificatrice a cui abbiamo sottoposto le nostre attenzioni, che già veniamo surclassati da un terremotante tiro di batteria che come una lavatrice industriale centrifuga il nostro cervello indirizzando le nostre attenzioni in un universo sonoro completamente pitturato di nero. La doppia cassa di chiara matrice black metal preme a più non posso giostrando un sound apocalittico, diretto e ampiamente stilizzato per strizzare l'occhio all'estremo più fulgido e asfissiante. Il secondo capitolo, "Yekteniya II", ospita lo screaming fittissimo che abbiamo già provato all'inizio, ma con un piglio ancora più malvagio grazie ad una chitarra possente, indemoniata, talmente rapida che i beat estremi dell'oscuro drummer quasi non riescono a stare dietro, mentre invece la voce del "nero sacerdote" costringe le proprie corde vocali ad una task force incredibile, e in questo oceano non mancano scialuppe di salvataggio, ossia varchi melodici che sono coperti dai pieni cori gregoriani, che hanno la meglio solo per poco tanto è la velocità ritmica del complesso polacco. La litania del sacerdote ha preso possesso dei suoi mezzi e può protrarre la sua essenza di benedizione del Signore, grazie al chorus "Blessed the poor in spirit, so theirs is the Kingdom /Blessed the mourn, so they shall be comforted (Blessed) /Blessed the meek, so they shall inherit the earth (Blessed) /Blessed the hunger and thirst of righteousness, so they shall be filled (Blessed) /Blessed the pure in heart, so they shall see Me /Blessed the peacemakers / Blessed the persecuted for righteousness' sake (Blessed)", (Beati i poveri in spirito, quindi il loro è il Regno / Beato il lutto, così saranno confortati (Beati) / Beati i miti, così erediteranno la terra (Beati) / Benedetto la sete e la sete della giustizia, così saranno saziati (beati)/ Beati i puri di cuore, così mi vedranno / Beati gli operatori di pace /Beato il perseguitato per causa della giustizia (Beato)) che come vuole il copione dei polacchi si protrae al cospetto di noi spettatori invitandoci a glorificare Dio che per ricompensa ci benedirà. Il contrasto tra i vari universi canori e la sezione ritmica posseduta da uno spirito "demoniaco" ci fanno dimenticare il concetto di melodia che sembra quasi essere una peculiarità sconosciuta ai nostri. La chiara base ossessiva derivativa dalla lezione scandinava salta subito all'occhio, ma ciò che concedono i nostri è talmente personale che in questo caso fare paragoni con altre bands è assolutamente fuori luogo. I Batushka costruiscono, anzi stampano la loro carta di identità sonora con grinta e determinazione, in grado di ricalcare alcune sezioni della prima track, ma in questa seconda traccia l'impronta estrema prende tutto in mano. Un incenso chiericale inizia ad inondarci gli occhi, non vediamo nulla, abbiamo solo di fronte un prete incappucciato che nel bel mezzo di un altare ortodosso sganascia violenza da tutti i pori, e quel librone davanti ai sui temibili occhi sembra quasi prendere vita. Il secondo passo di questa liturgia non ha cenni di tranquillità o tentennamenti, il sound è tirato a lucido, è estremo nella sua concezione, anche quando i canti gregoriani sostituiscono lo screaming di base. La chitarra, abbastanza lineare e non troppo osata, ha una perfetta catarsi con la batteria, invece perfettamente rettilinea con i suoi tocchi selvaggi, dal sapore norvegese. Ma ecco che i Batushka sorprendono, si rendono conto di dover trovare una pausa, senò la loro chiesa crollerà: nei pressi del secondo minuto, il leader canoro, con il suo sontuoso cantato pulito e " spirituale, si erge a colui che porta la salvezza n questo mondo di ipocriti e falsi. Il singer approfitta per pochi secondi prima di essere accompagnato dalla ripresa ritmica della sezione strumentale che con stacchi improvvisi e colpi di doppia cassa precisi, dona al sound ancora più epicità, resa esponenziale dall'approccio ritmico di basso e chitarra, e proprio questa disegna qualche soluzione in solitaria, prima di tornare a costruire il complesso architettonico, con il resto della nera strumentazione. Ma non dobbiamo troppo abituarci a questi rigorosi varchi epici, dato che la maschera black metal torna a dare sfogo alla propria musicalità, prima di dare lo scettro a cenni altamente atmosferici che calano il sipario al pezzo. Secondo brano, seconda esperienza, ma siamo ancora agli inizi di questa particolarissima omelia.
Yekteniya III: Saggezza e conoscenza
Vieni ad inchinarti
E aggrappati a me, ti salverò
Rintocchi soavi ci avvisano che possiamo essere salvati se nutriamo interesse nel coltivare la conoscenza di noi stessi e del mondo che ci circonda: un essere superiore poi ci darà la ricompensa di tutti gli sforzi fatti che rimarcano il pentimento repentino dei peccati, vera macchia nera della nostra coscienza che tende alla glorificazione eterna ma trova un nodo intricato costruito proprio dal peccato. La saggezza del nostro Signore avrà il compito di traghettarci nel suo mondo perfetto. I polacchi si dimostrano ampiamente caparbi nel mettere su penna le loro intenzioni per poi traslarle in musica, la quale pone la sua base attitudinale su una fitta atmosfera evocativa: è in pratica il loro cavallo di battaglia. E proprio per questo alcuni tocchi mistici danno il ritmo ai primi gelidi secondi iniziali della terza traccia Yekteniya III, in cui una nube vaporosa ci avvolge il capo, e noi, poveri incauti spettatori di cotanta solennità, non siamo assolutamente consapevoli di ciò che sta accadendo tante le incognite che ci annebbiano la mente, tanti sono gli arcani da sviscerare. Tutto è avvolto dal mistero più fitto, tutto è amalgamato su emozioni scolpite su pietre laviche nere, oscure e terrificanti. Il drumming possente ci avvisa il ritorno dei Batushka che premono con grinta e determinazione, attraverso un notevole lavoro di chitarra che si allaccia alla batteria innestata su lidi estremi, in cui il basso riesce ad incidere ma non da quello che dovrebbe potenzialmente concedere data l'incursione dell'ascia principale che domina letteralmente il tutto. Lo screaming si incastra con una oscura e sacra armonia con il modo, anzi l'approccio strumentale vivo e vegeto nello snocciolare atmosfere sulfuree, in cui quei canti gregoriani sembrano essere quasi fuori luogo, ma i polacchi si dimostrano densi e saturi tecnicamente nell'ammaestrare tali atmosfere, riuscendo a scandagliare con forza furiosa tutto l'ammantare del sound mistico, che progredisce con stacchi imperiosi e tocchi di chitarra infernali, con chiare influenza doom negli stacchi melodici. In tutto ciò la cupola estrema del black metal non cessa di essere da collante ritmico in ogni minimo passo strumentale, glaciale e minuziosamente traslato secondo canoni neri come la pece. L'atmosfera del cantato multiforme è condita dal rifferama mistico che si insinua con parsimonia nelle decise composizioni che i Batushka dimostrano di maneggiare con rigore e fermezza mentale, anche nelle sezioni in cui il fantasma corale da "chiesa" prende la mano sul tutto, in cui lo spettro del sacerdote incita con solenne forza a ricercare la gloria perenne che si trova semplicemente sul suo altare, vicino al corpo di Cristo. E non potrebbe essere differente data la accentuata immagine su sui il combo polacco poggia le proprie temibili fondamenta, in cui quel tremolo incessante di chitarra sembra quasi fare a botte con la pavimentazione di matrice religiosa sprigionata dalle sezioni corali. Il corpo centrale di questo terzo capitolo è rapidissimo, il lavoro di batteria è posseduto da sistematici cambi di tempi assolutamente perspicaci nell'allacciarsi allo screaming che alla fine del riff di turno si sgretola in mille pezzi, poi raccolti e ricomposti dalla voce possente che incarna il prete, il sacerdote di questa particolare funzione religiosa. Terminata questa parte ecco che lo spirito organolettico dei nostri esce fuori, grazie ad un suono ricamato secondo il meno canonico black metal ma più incentrato su tormentate soluzioni della chitarra solista che cerca di ritagliarsi uno spazio fondamentale in un'atmosfera resa soave da un apparato compositivo che incide, che taglia le orecchie di noi spettatori, completamente immersi in questo viaggio concettuale.
Yekteniya IV: Misericordia, dono e grazia
Io sono il Signore stesso
Abbandona le tue azioni peccaminose.
E se lotterai per la sua grazia
Ti perdonerò tutti i peccati
Il sound ipnotico dei polacchi emerge con estrema delicatezza grazie ad un tuonante giro di basso che si stratifica lungo differenti impostazione diventando colui che battezza la quarta litania (Yekteniya IV) di questa liturgia. La batteria pacata scandisce il ripiano atmosferico che l'aura religiosa conferisce alle composizioni, rendendole riflessive e dannatamente attraenti nei loro pochi passi ritmici che compiono agli sgoccioli di questo quarto capitolo. Si avverte la catarsi strumentale, si percepisce il peso magniloquente dell'apparato di ogni brano, che se per ipotesi potesse essere sezionato sprigionerebbe tantissima luminosità che andrebbe quasi a collidere con la proposta della band. Ma appunto la luce, cari lettori è l'ultimo dei nostri pensieri, in quando il black metal della band è talmente evocativo tanto da farci dimenticare il significato di ciò che non è oscuro, di ciò che non crea timore. Come abbiamo già accennato i colpi di batteria sono secchi, precisi, sono correlati da una fulgida teatralità incuneandosi tra le retrovie composte da un basso squillante e da piccoli accenni corali, posti in un rigoglioso background. Cosi come la chitarra addomestica un sound misterioso ma al contempo aggressivo, che si mostra caparbio anche nel momento cardine di questa quarta traccia, quando alle soglie dello scoccare del primo minuto, i ritmi si spezzano al servizio dell'imperante cantato corale, che si dimostra l'unico che può permettersi di sviluppare questa litania, questa comunicazione con il divino. Quest'ultimo è colui che possiede la verità e che ogni essere umano che tocca il suolo di questa terra ha l'obbligo morale di rendere grazie e benedire il tuo Dio come dice esplicitamente la frase "Bless Mine by your soul, your Lord, / Because I'm the blessed God" (Benedici la mia anima, il tuo Signore, / Perché io sono il Dio benedetto). La misericordia, il dono e la grazia: ecco quali sono i tre obiettivi che ogni essere vivente deve mostrare la sua attenzione. Il sound intanto si allontana dalla staticità che potrebbe incombere in pochi istanti, abbracciando la causa estrema appena il cantato trabocca di violenza, sia ritmica, con una sezione che si muove con rigore e geometrica, che con lo screaming che si estremizza muovendosi anche sopra la già pesante strumentazione. I momenti, come nel corpo centrale, in cui alcuni fraseggi dialogano fra di loro, arricchiscono la proposta e preparano il terreno per ondulanti soluzioni, in cui la chitarra diviene più "morbida" e avvezza ad ospitare il cantato cosmico, con alcune tracce melanconiche che però hanno poco tempo, data la pericolosità strumentale che prende in pugno ogni secondo, strizzando l'occhio anche ad incursioni soliste, in cui le corde della chitarra principale vibrano, duellando con la batteria sempre presente e allucinatoria che arrotonda nel finale giostrandosi ancora più estrema e tarata al massimo. La base estrema della band emerge proprio in questo istante E data la situazione in cui noi poveri ascoltatori/spettatori siamo incappati, non ci resta che lasciarci trascinare dalle vocals truculente dei secondi finali, che marcano con un pennarello nero il nostro cammino sonoro che non finisce mai di premere e premere con tutta la forza disponibile.
Yekteniya V: L'ingresso santo
Io sono il Signore Dio tuo
Una precisa stasi ritmica punge nei primi istanti nella quinta traccia, "Yekteniya V", che tiene in disparte il clima violento profuso nel capitolo numero quattro per abbracciare una magistrale introduzione dal sapore mistico/spirituale. Mistico per l'aurea sacrale che germoglia nel tentativo di ammantare una proficua atmosfera in cui "il santo" e il "religioso" hanno i ruoli chiave nell'interpretare la giostra a cui ogni spettatore della messa è pronto a usufruire. Spirituale invece perchè tesse trame chiaramente funzionali alla litania, ossia la solenne preghiera rivolta a Dio e ai suoi seguaci in terra, ossia i credenti, che specificamente in questo tassello diventano la chiave di interpretazione lirica. Trenta secondi, soltanto trenta secondi che miscelano con parsimonia un sentimento che girovaga intorno ad una impazzante attesa, finalmente distrutta con l'incedere degli strumenti, e dello screaming orrorifico. Chitarra subito devastante, batteria che profuma di violenza, non bastano incursioni corali per addolcire il suono tanto è alta la caratura di ogni minima sezione strumentale, che si avvicina a comportarsi come una cascata sonora nerissima come la pece più pura, per poi scatenarsi con indubbia potenza. La velocità di esecuzione aumenta, macina kilometri, e proprio in quest'istante emerge il vocalismo principale che entra in conflitto con il tremolo della chitarra, responsabile del muro di suono appena profuso, essenziale fino a che emerge una nuova evoluzione sonora del suono dei polacchi: il canto lascia spazio alle urla acide, la profondità è sostituita da un chiaro e differente binario canoro che si incastra diligentemente con il suono dei nostri. Non mancano varchi melodici in cui l'attitudine vocale iniziale riprende le redini, per poi ridare il testimone alle "urla" di chiara matrice estrema, scalpitanti e rapidissime, cosi come è veloce il riffing delle chitarre, che non perde brio nonostante i minuti che passano, anzi la violenza sonora sembra non avere momenti di stanchezza e di mancanza di fluidità, ma continua imperterrita nel fare il proprio ruolo. Le vocals in alcuni punti corrono lungo il pentagramma estremo sfilettandosi e aumentando di chiarore, soprattutto quando le chitarre oscillano tra momenti abbastanza singolari e stilosi, e la batteria non si risparmia a premere all'impazzata. In questa quinta traccia viene dato alla proposta una spiccata importanza al valore strumentale, data la sua catarsi soprattutto lungo il quarto minuto in cui tra cambi improvvisi si approccia discretamente con la voce alquanto baritonale del sacerdote. I bleast beat scolpiscono i Batushka, e assumono una chiara rilevanza quando le sezioni corali si impongono tra chitarre tipicamente ossessive e gelide e un basso che pone il suo estro nonostante non sia messo in primo piano. E poi arriva il bello, la particolarità che contraddistingue il carrozzone est europeo, quei cambi improvvisi ma quasi preannunciati durante la violenza ritmica tipicamente estrema. Il brano cambia essenza al secondo quaranta, minuto quattro: il basso primeggia e la chitarra travalica il sound appena perpetrato per arrotondare un ruolo abbastanza solista, ondulando le percezioni strumentali e ponendo il cuscinetto adatto per il ricomporsi delle vocals magniloquenti che per un po avevano taciuto di fronte a cotanta sostanza. Un autentico ammasso che ora ragiona più nel doom sound, districandosi con matematica lentezza, con dettagli strumentali che aumentano la grandezza del cantato recitato che ormai abbiamo ben capito essere punto chiave per la band polacca. È finalmente giunto il momento sacro dell'avvicinamento della anime al cospetto dell'Essere Celeste, ma il viaggio di purificazione totale non è ancora finito..
Yekteniya VI: Speranza e fiducia
Il peccato è grande, quello che ho commesso è grave.
Quanto dolore abbiamo in questa vita terrena
La gente non dimenticare la mia anima.
Ho già attraversato il cielo
E non so esattamente dove sarò.
Il mio angelo custode cammina tutto dietro di me
Dio sta chiedendo le lacrime sulla mia anima
Giunto il momento di dare un rendiconto dei peccati, l'anima inizia a dialogare con il proprio angelo custode, il messaggero divino che avrà un suo ruolo nella trasformazione dell'anima del peccatore. Dio sarà il giudice finale e saprà scindere dalle anime meritevoli di tale premio a quelle che invece non sono ancora pronte a questo passo importantissimo. In questo sesto capitolo la tendenza del gruppo polacco ad imporsi musicalmente con la propria identità religiosa avrà, come nei cinque brani appena disaminati, un ruolo di innegabile valore simbolico e state certi, cari lettori che le ambientazioni ortodosse continueranno a persuaderci anche nelle restanti tre tracce. La "Yekteniya VI" si pare orgogliosamente rimarcando il background angelico e clericale con una suadente voce posta in lontananza che marca il brano con una possente signorilità. Approccio questo che è alquanto basilare per intendere la filosofia musicale del terzetto, che impone la propria mano dopo undici secondi. Secondi che sono bastati per far caricare le batterie dopo lo sfarzoso capitolo cinque. Il coro femminile si muove e si articola assieme ai primi aggressivi agganci di chitarra, che si intervallano con il range altolocato dei cori, che via vai abbassano di volume per fare spazio al glorioso apparato strumentale dei nostri inaugurato da un gioco di doppia cassa del drummer che incide e impone ora una nuova ospitata di nostra conoscenza, ossia il vocalist. Il sacerdote, la voce principale finalmente interviene dando fuoco al brano con la sua spiccata capacità di far esplodere il proprio range baritonale. La "Yekteniya VI" ha preso il proprio spazio, e ora come una moto da cross si presta a superare tutte le insidie che potrebbe incontrare lungo il proprio farraginoso percorso. Le complesse progressioni donate dal tremolo picking della chitarra principale hanno a che fare con la predisposizione della batteria a creare una base magniloquente che riesce a rendere semplice e fruibile la difficoltà che il singer incappucciato ha nell'inseguire il fragore ritmico. Proprio la velocità delle ritmiche ha dell'incredibile, i Batushka tra scream e vocals profonde disegnano il loro concetto di apocalisse sonora, perlustrando affondo il nostro animo, soprattutto nelle sezioni in cui l'accaldarsi delle strumentazioni trovano il loro scopo incastrandosi con gli strascichi vocali che sembrano perdurare nell'eterno più profondo. La voce possente prende in mano il suono, tra bleast beat infernali e chitarre agghiaccianti, e non mancano spazi ricoperti dal coro femminile che abbiamo già iniziato all'inizio. Un suono che invece di sbattere contro il muro composto da mattoncini di scream, tende a valorizzare ogni minimo aspetto sacrale. L'orgoglioso e complesso sound dei nostri trova la sua artificiosità nel complicato meccanismo del peccato, a cui ogni essere umano, sotto la lente di Dio, è sottoposto, e per espiare i peccati commessi bisogna prostrarsi alla funzione del perdono. Il perdono, tassello di questa litania rivolta al Signore, è l'aggancio opportuno al fine di preservare un posto nel paradiso celeste, paradiso che sembra invece con la cattiveria strumentale profuso in ogni angolo. Verso il terzo minuto il carrozzone polacco giostra l'atmosfera violenta secondo le proprie ricche potenzialità, usufruendo della magniloquenza delle vocals clericali che si innestano a piacere con la doppia cassa sempre matematicamente calibrata, soprattutto quando i ritmi aumentano esponenzialmente con le urla acide, simbolo effettivo e pulsante di vere e proprie staffilate tonali, e nell'incedere del basso pizzicato, vanno a parare verso lidi ancora più estremi, tesi a portarci in una landa desolata scandinava. Dimentichiamoci quindi il concetto di peccato commesso su questa terra passeggera, che secondo questa "Yekteniya" è solo uno spazio transitorio di preparazione verso il chiarore divino.
Yekteniya VII: La verità e l'autorealizzazione
Sia lodata la vostra anima
Le prime parole del Signore provocano armonia alle anime giunte al suo cospetto, ogni minima parole, ogni minimo sospiro di Lui è in gradi di spalmare gioia ovunque. Musicalmente questo settimo capitolo di impone con un preciso torrente strumentale, in cui un basso ben messo in evidenza domina i primi impulso, ci avvisa che già siamo immersi nel sound dei Batushka con questa settima traccia che si preannuncia gustoso in ogni suo frammento sonoro che assume progressivamente le sembianze di un puro assalto. Assalto è una parola più che giusta per intendere questa "Yekteniya" numero sette, che ricordiamo essere stata anche il singolo di lancio. Il brano subentra colmo di atmosfera e riesce ad imbastire una serie di frammenti strumentali che sfociano in un fine evidentemente ritualistico, in cui la band concentra la propria capacità musicale al fine di far emergere il cuore pulsante dal punto di vista lirico, ossia Dio Onnipotente. L'essere celeste sarà colui che raccoglierà tutti i peccati trasformando chi ha commesso questi ultimi in anime perdonate. I polacchi invece non perdonano con l'essenza del loro sound di chiara radice black metal, che sprigiona maestosità religiosa da tutti i pori, mediante una sezione ritmica asfissiante e con un gusto "demolitore" dalle ampie vedute, in cui ogni strumento, approfittando dell'ottima registrazione, viene valorizzato. Basso e alcuni giri di batteria essenziali, primeggiano lungo i primi secondi, e una sorta di spiritismo magnetico sembra assaltare l'incauto spettatore, inserito tutto d'un tratto in una chiesa ortodossa dove in cui l'eco si impatta lungo la sacra costruzione, creando dissonanze squisitamente equilibrate rispetto all'asse sonoro. Ogni colpo di batteria e ogni chitarra presenziano il brano non lasciando nulla a caso. Il suono è infati compatto, concentrato fino a che cambia completamente appena il singer con la sua rigorosa voce da sacerdote, innesta la sua presenza scenica con le credenziali ritmiche primeggiate dall'ascia della chitarra principale che sin dall'inizio giostra la sua imprimitura musicale con qualche interessante guizzo contornato da discreti cambi di tempo. Siamo soltanto agli inizi ma l'identità ben sicura della band polacca ha già molto da dire, soprattutto quando le vocals magniloquenti del vocalist /sacerdote scruta la platea religiosa, e ogni sguardo sembra però essere indirizzato li, al cielo, casa dell'essere celeste, del Signore Eterno che non perdonerà le anime dannate. La pesantezza cresce secondo dopo secondo, e lo screaming che emerge in background ha la funzione di portare tutto all'estremo, ma i solchi principali sono anche dettati dalla profondità, dal torpore, dall'oscurità che le vocals promulgano con diligenza e personalità, lungo un asse sonoro che si arricchisce di nuovi spunti man mano che le schegge del brano si valorizzano a vicenda. Le chitarre fanno il loro ruolo di aumentare la forte emotività, stratificandosi lungo i pattern secchi del batterista, metronomo ed acuto nel non perdere la scia sonora che la voce principale tralascia lungo il cammino di questa settima litania (Yekteniya VII) che sembra non cedere. È un edificio assoluto compatto, che poggia le sue fondamenta sacre grazie alla velocità d'esecuzione del pacchetto strumentale e la profonda attitudine vocale, a tratti asfissiante ed evocativa come il miglior black metal. Questa litania, alle soglie del terzo minuto, mostra un tappeto strumentale in cui i pattern del pellame continuano il loro gioco, addomesticando diverse armonie e immergendosi lungo quel riffing, a tratti scolpito da decisi mutamenti armonici. Tutto questo perdura fino al quarto minuto, quando la pesante chitarra prende il timone, il destino di questa traccia muovendosi con ancora più schiettezza, inquadrandosi lungo una corretta dose di colpi minimi di charleston, e tentando di diventate dominante in chiave solista, assieme al basso. Siamo quasi alla fine del viaggio, ma la band anche in questa penultima traccia ha mostrato il suo carattere ampiamente espressivo.
Yekteniya VIII: Salvezza, liberazione e illuminazione
Sono il santo, sono il più puro, sono il benedetto.
Sono il santo, sono il più puro, sono il tuo sovrano glorioso
E cosi' siamo giunti al momento in cui il Signore illuminerà il cammina delle anime, le quali sono consapevoli del risultato raggiunto ossia porgere i primi passi nel paradiso in cui la legge divina domina. ll nostro viaggio sacro sta quasi per concludersi, le emozioni che abbiamo assaggiato durante le prime sette corpose tracce sono stati diverse. Potenza, epicità, essenza religiosa, ma anche rigore, solennità e violenza. I Batushka hanno espresso il loro potenziale con molta personalità puntando all'essenziale, ossia costituire brani validi. Per concludere iniziano a bussare alla porta dell'ottava portata dei nostri eclettici polacchi. La "Yekteniya VIII" subentra nei nostri attenti padiglioni auricolari maneggiando una atmosfera sottile e leggera, che sembra essere stilisticamente lontani anni luce dal fragore del black metal. Questo cari lettori dura solo per poco perchè la pietanza numero otto si mostra decisa secondo i canoni che abbiamo addentato fino in fondo nelle sette litanie precedenti: basso messo in evidenza, eco catacombale che affiora andando a modulare i ritmi delle due asce a corde, le quali contribuiscono alla asfissiante resa sonora. La sezione ritmica, come ci hanno abituato i polacchi, assume toni pesanti, grazie a sussulti pensierosi e oscillanti in alcuni tratti, mentre in alte schegge del brano spuntano le peculiarità di matrice black metal che fanno della velocità la loro caratteristica migliore. Ma all'inizio questa litania numero otto insiste su una progressione di accordi decisa ed alienante, soffocando l'incauto ascoltatore. Si dà quindi precedenza alla costruzione parsimoniosa di un costrutto strumentale assolutamente non statico ma ben scattante nei suoi decisi giri armonici. Gli innesti vocali poi, che si andranno ad intrecciare al quadro strumentale, toccano gli stessi tasti di violenza che oramai sappiamo a memoria, ma la spettacolarità della band ha talmente uno stile unico che ogni colpo di scream ci sembra sempre fresco e differente. Il singer adagia la sua scarica vocale sulla lentezza delle chitarre, che premono su un riffing oscuro e assolutamente lento nel suo modo di agganciarsi al basso e al lavoro di batteria che rasenta linee sonore del miglior doom. Ma questo per poco: il convoglio polacco sfugge al nostro controllo e in pochi istanti muta dal punto di vista dell'approccio, rendendo ancora più squisita anche la breccia lirica proposta, incentrato sul peccato e sul suo valore simbolico come nemico della purezza d'animo e oppositore delle azioni che ti avvicinano a Dio. Proprio la presenza di quest'ultimo sembra sobbalzare tutto d'un tratto nel marasma e nella profondità di alcune parti della traccia, soprattutto quando la chitarra principale si lascia andare con dei riff efficaci ma spalmati lungo differenti dinamiche. La funzione espressiva della musica del combo trova la sua effettiva applicazione proprio perchè riesce, anche con facilità, ad adempire musicalmente all'impronta tematica, cosa non da poco. Giunti alle soglie del primo minuto avviene il primo cambio di marcia, quando la parte strumentale con un break improvviso innesca un cambio musicale innescando una reazione a catena che permette il cambiamento netto del drumming, che da etereo e trascinante, diventa martellante e incisivo. A questo si aggiungono le sezioni corali che svolgono il loro ruolo trascinatore intelaiandosi lungo gli acidi scream, che ondeggiano nella velocità ritmica che sembra aver assorbito al cento per cento il carrozzone estremo. Il tremolo picking della chitarra sembra non cedere, nemmeno durante quei rari momenti di apertura "melodica" coperti dall'incessante incedere di ritmi che vanno a colmare quello spiraglio lasciato libero. Il clima che i Batushka vogliono far trasparire è concettualmente derivativo rispetto ai classici stilemi del metallo nero scandinavo, ma l'impatto delle vocals prima, e dei canti gregoriani poi, rende la proposta estremamente differente da qualunque traccia ricoperta dalle gelide nevi norvegese. La solennità delle composizioni ricopre anche gli ultimi minuti, dominati letteralmente da agganci potentissimi e vocalizzi che scandiscono una costruzione della base estrema di assoluto livello.
Conclusioni
Quello che abbiamo affrontato non è un semplice ascolto di un canonico disco di metal estremo, ma molto di più, è un 'esperienza unica vissuta al cospetto di una grande navata in cui tu ascoltatore sei il protagonista motore di questo lavoro concettuale, che ti rende partecipe di un qualcosa arrotondato da alone di misticismo e spiritualità, nella sua concezione meno comune. I polacchi hanno centrato appieno il loro obiettivo artistico/stilistico attraverso quest'ora scarsa ribollente, accattivante, e mai stancante, anzi la capacità intrinseca dei musicisti di dare vita a diverse emozioni lungo stop and go improvvisi e stacchi di batteria onnipresenti, conferma il dato della preparazione del nostro unico collettivo. Sette tracce maestose, sette litanie (che ricordiamo essere una preghiera rivolta a Dio, il protagonista effettivo di questa liturgia e non poteva essere il contrario) incise da una peculiarità strumentale di livello, soprattutto considerando il fatto che trattiamo di un debutto e non di un terzo o quarto disco, ma dopo il nostro viaggio possiamo ben confermare che il futuro di questi misteriosi musicisti è piu che sicuro, se ovviamente si tenterà di centrifugare con ancora più parsimonia questo sound dal tocco psichedelico e nichilista, teatro di una "messa" abbastanza particolare, e a tratti talmente introspettiva, vuoi per i suoni o semplicemente per le tonalità maestose delle sezioni corali, tanto da far perdere la cognizione spazio tempo all'ascoltatore, immerso in una chiesa ortodossa della vecchia Bisanzio e inconsapevole di ciò che sta palpando con le proprie mani. È proprio l'atmosfera la carta vincente di questa liturgia oscura, incastonata in geometrie muscolari, forse mai sentite e per questo assai preziose. L'aspetto atmosferico è non solo la chiave di interpretazione di un sound unico nella sua gestione ed economia, ma anche un ponte trascendentale verso un nuovo approccio al black metal, sempre intelaiato con trame aggressive e tonalità della chitarra, ma diverso rispetto al classico modo di intendere la musica estrema, ossia minimalista ed ossessivo nei suoi tremoli aggressivi tanto da demolire praticamente ognuno che si avvicini a questa materia oscura. I Batushka scolpiscono il loro suono unico con sette tracce vincenti, con pochissimi (quasi nulli) cali di tensione, apparentemente immobili ma invece scattanti nella loro abissale imprimitura nera, attraente nella sua irruente interpretazione, dove la melodia è ingabbiata in un muro di suono epico e reso volutamente incatenato in uniche soluzioni. Altro lato che fuoriesce da questo "Litourgiya" e che conferisce al pacchetto musicale un valore ancor più interessante, è la base compositiva su cui è costruito, architettata su una produzione eccellente e assolutamente fuori dalla norma, dato che trattiamo di un collettivo sempre cementato in una costante attività underground. La resa degli strumenti è pulita, cosi da far valorizzare ancora di più la voce, anzi le voci, che conferiscono un brio dalla chiara ispirazione religiosa. E a questo discorso, dobbiamo tenere sempre saldamente in mente che questo primo disco in studio, e si spera inizio di una importante carriera, è stato partorito da una label, la "Witching Hour Productions", che ha fatto un completo salto nel buio dando fiducia a questi non canonici musicisti, essendo il combo polacco ampiamente misterioso e poco paragonabile alle altre compagini dell'etichetta. C'è da dire che la casa discografica ha creduto all'efficienza musicale di questa band che non si può non definire particolare in ogni suo minimo aspetto, e un paio di dubbi all'inizio per una proposta musicale del genere erano più che dovuti, ma l'apparato musicale, come sempre, ha smentito ogni minimo dubbio. Ma tutto questo solo per questo platter esordiente, dato che di recente la band polacca ha firmato un contratto con la più ben nota Metal Blade Records (punto di riferimento mondiale del metal che ristamperà questo disco), e sperando di un efficiente sodalizio, non possiamo che ritenerci abbastanza sicuri del fatto che i nostri menestrelli cercheranno di confermare le ottime conclusioni di questo debutto trasformandole in qualcosa di meglio. In conclusione, questo disco va ben interpretato, quasi vissuto lungo ogni suo spunto, teso a formulare un quadro musicale assolutamente non comune.
2) Yekteniya II: Benedizione
3) Yekteniya III: Saggezza e conoscenza
4) Yekteniya IV: Misericordia, dono e grazia
5) Yekteniya V: L'ingresso santo
6) Yekteniya VI: Speranza e fiducia
7) Yekteniya VII: La verità e l'autorealizzazione
8) Yekteniya VIII: Salvezza, liberazione e illuminazione