BATTLE BEAST

Circus Of Doom

2022 - Nuclear Blast Records

A CURA DI
FEDERICO SICCARDO
19/09/2022
TEMPO DI LETTURA:
7,8

Recensione Album

Figli di una vittoria meritata alla "Wacken Open Air Metal Battle" del 2008, il gruppo finlandese Battle Beast riuscì ad attirare facilmente l'attenzione di pubblico e critica, aggiudicandosi poco tempo dopo un ghiottissimo contratto con nientepopodimeno che la Nuclear Blast, label assai prestigiosa che tutti noi conosciamo molto bene. Il debutto "Steel" di ormai 11 anni fa presentò un heavy/power metal robusto, energico e divertente con accompagnamenti synth anni '80 che diventarono in un battibaleno gli elementi distintivi della band e che ritroveremo pure in maniera più marcata nelle pubblicazioni successive. Con la dipartita della talentuosa vocalist Nitte Valo verso la fine del 2012, i Battle Beast diedero il loro miglior benvenuto nella formazione all'iconica Noora Louhimo, cantante dalle ottime capacità canore che senza ombra di dubbio risultò essere il valore aggiunto tra le fila dei finlandesi. L'omonimo disco successivo rilasciato due anni più tardi, assieme ad "Unholy Savior" (del 2015) definirono con solida maturità il sound della band dove gli elementi 80's diventarono un vero e proprio marchio di fabbrica accompagnato da una scrittura invidiabile del chitarrista Anton Kabanen, vero autore della musica Battle Beast di questi primi 3 album. Purtroppo (o per fortuna?) però durante il 2015 fu proprio Kabanen ad uscire da quella che sembrava essere la più solida formazione possibile dei BB. Dico "purtroppo" perché è indiscutibile che la formazione risentì di questa perdita - continuando comunque a sfornare musica di ottima qualità - ma dico anche "perfortuna", perché da questa scissione ne derivò l'alba di un altro "progetto Kabanen" di tutto rispetto e altrettanto valido: nacquero così i Beast In Black.
Da qui in avanti, dunque, si può considerare l'inizio di una nuova fase dei Battle Beast senza Kabanen. Trascinati dalla coloratissima personalità di Noora Louhimo che, prendendo le redini della formazione riuscì a mantenere alto e fedele il nome del gruppo, pubblicarono due dischi di ottima fattura all'interno dei quali troviamo brani assai apprezzati e ascoltati, immancabili in sede live, come "Straight to the Heart", "King for a Day" e "Familiar Hell" dall'album "Bringer of Pain" (datato 2017) assieme a "Eden", The Hero" e "No More Hollywood Endings" dall'omonimo album del 2019.

Oggi arriviamo a trattare quindi del terzo lavoro in studio della nuova formazione finlandese: "Circus of Doom". Enjoy!

Sicuramente l'ambientazione circense suggerita da titolo e copertina non spicca di originalità, ritroviamo difatti numerose band nel mondo rock/metal che già in passato decisero di utilizzare tale concept con l'obiettivo di "meravigliare", proprio come teoricamente dovrebbe succedere all'interno di queste strutture: ricordiamo i KISS con "Psycho Circus" (1999) o il più recente "Welcome To The Absurd Circus" (2021) dei nostri compaesani Labyrinth, senza tener conto di gruppi che invece hanno deciso di puntarci l'intera carriera come gli esplosivi Avatar o i più banali Circus of Rock.

Viene dunque la volta dei Battle Beast con la prima traccia che prende il nome del disco: dopo una breve intro orrorifica di carillon veniamo travolti dalle chitarre di Juuso Soinio e Joona Björkroth subito seguiti da una strumentazione sinfonica che dà il benvenuto all'ascoltatore in questo nuovo disco. L'opener risulta dunque ben massiccia, ritmata da un ritornello aggressivo e coinvolgente, tipico del gruppo, la cui potenza si ritrova anche nella successiva "Wings of Light", decisamente meglio strutturata, che effettivamente avrebbe meritato il ruolo di brano d'apertura: bello il ritornello, belli gli assoli e Noora "is on fire".

Le prestazioni della signora Louhimo ancora una volta risultano essere la soluzione vincente in molte situazioni. "Master of Illusion" è un brano chiaramente più poppeggiante che troverà facilmente spazio tra le grazie delle orecchie dei fan della band e non solo, dove le melodie sinfoniche amalgamano con delicatezza il colore sprigionato dai sei musicisti di Helsinki.
"Where Angels Fear to Fly" unisce con grande efficacia melodia e potenza, caratteristiche che disegnano la base del power metal classico ma che in questo caso incontrano arrangiamenti catchy, tastieroni ottantiani e validi filler del buon Pyry Vikki che come sempre dimostra di sapere il fatto suo dietro le pelli, dando ulteriore carburante al motore BB.

"Eye of The Storm" è sicuramente il brano di punta dove tutti gli elementi distintivi di Noora e compagni vengono amplificati del 100%. Canto cristallino si alterna con uno più graffiante, tastiere e chitarre ammorbidiscono la sfera musicale mettendo da parte la parte "heavy" senza però cadere nella ridondanza e banalità grazie alla tipica immediatezza del gruppo. Al primo ascolto è come incontrare una donna che vi sembra di conoscere da una vita (e solitamente è un buon segno).

Quasi ce ne eravamo dimenticati, ma ecco che torna l'accenno a sonorità circense con "Russian Roulette" che suona bella accesa e avvincente, dove molti passaggi dance potrebbero strappare un sorriso anche ai metallari più devoti al dio del metallo duro e puro. Non da meno troviamo la seguente "Freedom", arricchita da cori epici, batteria power e, ancora una volta, tastierozzi ottantiani.  Un connubio che ammetto possa facilmente finire nel ripetitivo, ma grazie alla scrittura mai sempliciotta, rende il tutto sempre piacevole all'ascolto senza per forza far gridare al capolavoro.

"Road to Avalon" non aggiunge né toglie nulla a quanto già constatato, passa piacevolmente facendo battere a tempo il piedino, attirando l'attenzione su un fraseggio interessante tra il tastierista Janne Björkroth e il fratello Joona alla chitarra. Soluzione che avrebbe meritato maggior spazio, cura e attenzione.

Sul finale la "bestia da battaglia" riesce a segnare due goal al volo da cineteca. "Armageddon" gira intorno a melodie dinamiche e ritornelli semplici ma efficaci trascinando l'ascoltatore attraverso chitarre taglienti e la solita Noora che non delude neanche in questo frangente.

La chiusura finale arriva con "Place That We Call Home", una power song graffiante ed energica che ricorda lontanamente i primi album del gruppo, influenzata da elementi epici che ricordano timbri e ambientazioni dei primi Rhapsody. Promossa a pieni voti.

In conclusione, possiamo constatare che "Circus of Doom" può collocarsi sui nostri porta cd tranquillamente affianco ai due lavori precedenti e appartenenti all'era "post-Kabanen", trovandosi a proprio agio e senza sentirsi né inferiore e né superiore ad essi ma semplicemente un buon proseguimento del percorso di una band che, ancora una volta, dimostra di saper produrre musica di ottima qualità e di essere in grado di saper divertire vecchie e nuove leve della nostra grande quanto cara famiglia del metallo. I fortunati che erano presenti al Legend Club di Milano lo scorso 7 settembre sanno di cosa parlo.

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