BATTERY

Martial Law

2016 - Punishment 18 Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
02/05/2017
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Sempre più spesso in questi ultimi anni abbiamo trattato bands che, forti del loro lascito precedente forgiato dai blasoni e da gruppi meno conosciuti, hanno cercato e cercano ancora di portare avanti la fiera tradizione dell'old school, senza farlo mai morire del tutto. Ed è per questo che ci ritroviamo fra le mani sempre più spesso dischi di giovani menti che si rifanno al passato, soprattutto in alcuni generi; Speed, Heavy e Thrash sono assolutamente i più gettonati in questa fantomatica roulette dell'acciaio, perché alla fine sono i filoni in cui è stato detto di più in assoluto, ed anche quelli con canoni più rigidi. Di conseguenza, salvo contaminazioni che possono andare dall'estremo all'epico più aulico ed andante, questi tre sotto generi del Metal classico godono di ampia fama fra il pubblico ed i musicisti stessi, e vengono celebrati ad ogni occasione che capita fra le mani. Particolarmente per quanto riguarda il Thrash Metal, abbiamo una folta schiera di giovani adepti che ancora oggi riprendono le fiere tradizioni di inizio anni '80 e le fanno loro sotto ogni singolo aspetto, chiazzando semplicemente il sound generale delle canzoni con registrazioni e missaggio moderni, grazie alle nuove apparecchiature a disposizione. Quello che ci ritroviamo fra le mani dunque è qualcosa che "suona vecchio" nella resa, nelle partiture e nel sound  generale, ma che ha sulla punta della propria lingua quel pizzico di moderno che non guasta, ma anzi, innalza ancora di più il tiro di tutto il disco. E questa nuova ondata, che viene celebrata persino dagli stessi membri di formazioni che tal genere lo hanno fatto nascere, non accenna minimamente ad affievolirsi, anzi, ogni anno si sale sempre più in alto, arrivando anche a produzioni che, ci crediate o meno, possono tranquillamente battersela alla pari con i dischi più celebri della storia. Nel calderone abbiamo anche una poliedricità davvero grande per quanto riguarda i paesi di provenienza dei gruppi: dalle lande genitrici degli Stati Uniti, in cui il Thrash ha visto la luce molti anni fa, all'Inghilterra, passando per il sempre sul pezzo Sud America, per la Germania e per la Francia, senza dimenticarci anche della nostra Italia, dove sono presenti realtà che sanno davvero il fatto loro. Oggi però ci spostiamo nelle gelide terre del nord, il freddo e le conifere saranno la nostra guida, più precisamente ci spostiamo ad Aahrus, piccola cittadina della Danimarca. Probabilmente i danesi non saranno noti al mondo per la loro vicinanza all'acciaio, né primordiale, né tanto meno moderno, eppure i nostri amanti dei "biscotti" sono sempre stati lì, pronti a saggiare e foraggiare gli stilemi come se non ci fosse un domani, soprattutto in ambito old school. Perché alla fine il Nord Europa non è solamente Black Metal, foreste gelate e musica estrema, anzi, ai primordi della storia musicale, le terre nordiche hanno dato i natali ad alcune delle formazioni classiche più belle che orecchio umano possa sentire, purtroppo molte durate il tempo d'un battito d'ali, ma il loro lascito è assolutamente eterno. E così, accanto ad Heavy Load, Gotham City e quant'altro, oggi andiamo a stringere la mano ai Battery, quattro ragazzi che hanno assolutamente le idee molto chiare su come si affronta questo mondo. Contrariamente a quanto possiate pensare, ed è un punto su cui è bene soffermarsi prima di proseguire nella nostra disamina della loro opera, il nome della band non deriva dalla celebre canzone dei Metallica. Non sappiamo bene perché sia stato scelto, ma la vicinanza con il concetto di "potenza" è espresso ai suoi livelli più alti, è sicuramente un monicker che trasmette muscolosità e pomposità a grandissimi livelli, e che soprattutto rimane in testa facilmente. Il loro esordio alla regia del mondo musicale avviene nel 2008, e fino al 2011 i nostri thrashers collezionano una manciata di demo una dietro l'altra, presentandosi timidamente al mondo; poi, la svolta con l'EP Mental Pollution, uscito nel 2012, e di seguito, due anni dopo, il primo full lenght, Armed With Rage. Il mondo finalmente li aveva conosciuti, ed il loro Thrash impregnato di critica sociale, argomenti che spaziano dalla fine del mondo alla denuncia religiosa, alla violenza più nuda e cruda, li fa assolutamente apprezzare alla critica, ma anche al pubblico che inizia il proprio smodato supporto. Due anni dopo l'uscita del primo disco completo, i Battery bissano la loro dinamica, tirando fuori dal cilindro l'argomento di oggi, Martial Law. La copertina si presenta a noi con un accattivante stile che ricorda molto quello del più famoso Ed Repka, già autore di tanti e tanti artwork celebri nella storia del Thrash. Dal tratto sporco, grezzo e molto colorato, l'immagine ben rappresenta tanto il titolo del disco, quanto gli argomenti che vi troveremo all'interno. Un poliziotto in tenuta anti-sommossa sta reggendo per il collo, grazie all'uso del ligneo manganello, un malcapitato uomo, che pare essere un manifestante. Dietro di loro si intravedono gli stivali lucidi degli altri poliziotti, e subito ci tornano alla mente scene di guerriglia. Quelle scene che ogni tanto vediamo al telegiornale, con la carica delle forze dell'ordine sui manifestanti, pacifici o meno che siano; ad ogni modo un'immagine assolutamente forte, come forte è il giallo fluo del logo posto in alto, mentre il titolo del disco è scritto in rozzi caratteri blu bordati di giallo. Prepariamoci dunque a combattere, prenderemo mazzate sui denti a più non posso, la legge marziale è in vigore, e noi possiamo solo subire, ma alla fine saremo proprio noi a rialzarci dalla polvere. 

The Rapture

Decisamente al vetriolo l'inizio del disco grazie a The Rapture (Il Rapimento); una bordata di batteria investe la nostra mente, cui poco dopo fa capolino la sei corde, che subito inizia a ricamare annodandosi su sé stessa senza alcuna remora per l'ascoltatore. Siamo in un mondo ricolmo di caos e distruzione, la vita come la conoscevamo un tempo è soltanto un lontano ricordo, ed in mezzo a tutte quelle macerie di un tempo che ormai non tornerà più, senzienti macchine di morte girano e galleggiano nel cielo sopra le nostre teste, aspettando soltanto di pesarci ed ucciderci. Il rapimento che da il titolo alla canzone viene ulteriormente supportato dalla musica che i Battery mettono in piedi in questa primissima fase dell'album; i riff delle sei corde si alternano fra loro a più non posso, andando ad ispirarsi alle formazioni Thrash più aggressive che si possano pensare (potremmo fare un rapido collegamento ai Forbidden, piuttosto che agli americani Viking o agli Watchtower delle fredde lande canadesi). La canzone procede a spron battuto fino al primo ritornello, in cui la voce, che fino a questo momento è rimasta relegata ad un gutturale tono di disperazione, si lancia in alcuni freddi acuti dal sapore old school, supportata da altrettanto azzeccati cori, che riescono bene ad incatenarsi fra loro e con la musica, rendendo la canzone un vero pugno nello stomaco. Siamo ormai stati rapiti dalle macchine, la nostra carne verrà pesata e le nostre interiora verranno sparse ovunque, sangue e morte aleggiano davanti ai nostri occhi, mucchi immensi di cadaveri ammassati come carcasse di animali ormai in fin di vita, ed il nauseabondo fumo che esce da quelle carni penetra nel naso e fin dentro la testa. La strumentazione procede ancora con il medesimo ritmo forsennato e continuo, non si discosta minimamente dal sentore caotico ed aggressivo che ci ha introdotto al pezzo; l'alternanza unica che riusciamo a sentire si ha dalla sei corde e dalla voce, che come draghi famelici combattono fra loro per la supremazia durante l'ascolto, ed in tutto questo non possiamo che menzionare anche il grandissimo lavoro di Andreas dietro alle pelli. I suoi colpi sono tellurici e precisi, cronometrati al secondo, tanto che ad ogni nuovo passaggio, è alla fine forse lui a dettare la massima legge della band, grazie al talento ed alla tecnica che riesce a tirare fuori. Ormai la pulizia è iniziata, il massacro prosegue, le macchine e l'esercito dei folli marcia sulla terra a suon di colpi dei propri stivali borchiati, cercando qualcuno che sia ancora vivo. Sembra una scena da film post-apocalittico quella che ci si para dinnanzi allo sguardo, e mentre un roboante assolo fa il suo ingresso sulla scena, irrompendo con grandissima forza e protraendosi a più non posso, la canzone finalmente muta di ritmo, andando invece a foraggiare stili nettamente più classici e meno aggressivi dei precedenti, di megadethiana memoria soprattutto. C'è molto di vecchia scuola nel sangue di questi ragazzi, e non perdono occasione per farcelo notare, senza problemi e soprattutto senza pietà. La mietitura dei corpi non finirà mai, come ubriachi a passeggio su strade deserte, i pochi superstiti cercano la libertà dove ormai esiste solo dolore e mancanza di vita; cercano il benessere dove il bene è morto. Il rapimento è l'unica forma di sociale accettazione che viene proclamata senza limiti né perdono il sole, tanto è il sangue che viene versato per le strade, si eclissa in un tramonto cremisi, impregnato anche esso dell'odore mortuario di tutte quelle vittime. Una scena che difficilmente dimenticheremo,  e mentre il nostro frontman continua forsennatamente a ripetere il titolo alzando sempre più il tono della propria voce, il brano torna alla sua furia iniziale, in un vortice di caos che ben si delinea con l'argomento trattato. Una volta conclusa la mietitura, ciò che le macchine lasciano sul terreno lascia lo stomaco annodato come le corde della chitarra stessa, conati di vomito che salgono dalla gola invadono il nostro essere, e la testa inizia a scoppiarci dal dolore, l'emicrania più forte che abbiamo mai provato. La dissolvenza del pezzo spazza via ogni sentimento, come polvere sul tappeto viene fucilata ed uccisa ogni voglia di riscatto, non potremmo mai piegarci ad una volontà così forte.

Proxy Warfare

Con un agghiacciante urlo di disperazione, e dalle avvisaglie musicali sicuramente più classiche rispetto al pezzo precedente, inizia Proxy Warfare (Il Mandante Della Guerra); in un mondo come quello odierno, nel quale la guerra pare essere diventato l'unico strumento di offesa o di comunicazione che si conosca, i Battery si scagliano con improvvisa ed inaudita forza verso coloro che ritengono responsabili di tutto questo, la classe politica dirigente, e  non della sola Danimarca, ma dell'intero globo terracqueo. Alla fine, come dargli torto? Se si fa un balzo indietro, anche solo di qualche anno, con la testa ed i ragionamenti, vediamo sempre che le più sanguinose guerre combattute in questi ultimi anni, sono state spesso causate dal capriccio di qualche politico. Vuoi per risposta ad un evento catastrofico avvenuto nel proprio paese, vuoi (molto più spesso), per rappresaglia o secondari interessi, ma politica e guerra vanno a braccetto dalla notte dei tempi. Perché alla fine, brutto o bello che sia da ammettere, la guerra porta soldi, montagne di soldi, che ovviamente finiscono sempre nelle tasche dei soliti, maledetti uomini in giacca e cravatta che si ingozzano al tavolo dei ricchi, lasciando le briciole al popolo. E spesso gli stessi politici che proclamano la guerra, lo fanno in nome della giustizia; una giustizia sommaria, in cui paradossalmente viene celebrato chi ha ucciso di più. Il sangue nuovamente scorre a fiumi, e nei tre minuti che compongono il brano, i Battery incatenano al muro ogni singolo politico del mondo, prima di assestargli un sonoro colpo al petto con grande forza e determinazione, senza mostrare la pietà ed il rispetto che neanche loro sembrano avere con le proprie vittime. E lo fanno grazie ad una musica nuovamente molto aggressiva, ma che si discosta leggermente da quanto abbiamo ascoltato nel primo slot, andando forse a dare pane a cose ancor più classiche; ciò che rimane sempre e comunque non classico è la voce del frontman, i suoi toni gutturali che danno adito a sentori molto più Hardcore che Thrash canonico (come se si andasse a chiedere al padre anziché al figlio, essendo il secondo prodotto del primo), e tutto ciò fa si che ogni singola parola pronunciata da Chris Steel, sia ancora più incisiva e galoppante di quanto mai potremmo aspettarci. I politici soggiogano il mondo tra le loro mani ricolme di sangue e morte; le loro bianche camice hanno i colletti e le maniche sporche di tutto il male che stanno facendo al mondo stesso, la loro brama di potere è immensa, la loro voglia di guerra è insaziabile, sembra non ne abbiano mai abbastanza. E noi, povere vittime di questo maledetto sistema corrotto, non possiamo far altro che sperare, sperare che la guerra non venga mai a bussare alla nostra porta, sperare che i fucili dei ribelli non colpiscano mai uno dei nostri cari, e sperare soprattutto che chi ci governa, abbia almeno quel minimo di sale nel cervello per capire che tutto ciò è dannatamente assurdo. Ed è anche paradossale pensare che tutta questa enorme denuncia, venga da una band che abita in una zona del mondo notoriamente famosa per la sua tolleranza; il Nord Europa sembra aver trovato la formula giusta per riuscire a convivere (forse per la poca presenza umana, chissà), ad ogni modo un testo del genere sembra quasi più appartenere ad una formazione amerinda (come la musica stessa del resto, in moltissimi tratti ricordano tanto i Vulcano quanto altrettante formazioni più famose ed ascoltate), ed è bellissimo invece vedere come questi ragazzi, pur non avendo il male alla propria porta, si preoccupino per quello degli altri. Foraggiando anche formazioni come gli Onslaught nella seconda parte di pezzo, i Battery sfoderano nuovamente un assolo da antologia dal proprio repertorio, gettandocelo in faccia come una pentola di acido fumante, che ben ci fa capire la voglia di rivalsa e cattiveria che aleggia per tutto l'album. La voglia soprattutto di rivalsa sociale, le parole Warfare e Proxy vengono pronunciate con una enfasi quasi viscerale, ti arrivano in faccia come un treno in corsa, mentre il refrain del pezzo è di prima categoria, come sempre la batteria gioca un ruolo fondamentale per tutto il meccanismo, grazie ai colpi possenti che riesce a tirare fuori dal cilindro. Una volta conclusosi il brano, dopo molti, moltissimi secondi di dolore e morte, quasi ci sentiamo pieni di vita nell'aver appreso che c'è qualcuno che finalmente la pensa come noi. Un brano che, per quanto semplicistico dal punto di vista strutturale, non può che stupire dall'angolo dell'impatto sonoro e del significato, che rimane forse in testa più di un ottimo assolo di chitarra o di un alternate picking che si rispetti. 

Kukulkan

Abbiamo parlato di Sud America poco fa, ecco, adesso andiamo direttamente a farci un salto grazie a Kukulkan, prossimo slot in  cartellone. Questo nome per molti forse non significherà nulla, ma per chi mastica un po' di storia, riporterà alla mente ricordi indelebili; per le popolazioni amerinde, particolarmente per la stirpe Maya, egli era il dio serpente piumato, protettore dei sacerdoti. Per i Maya, così come per i fratelli aztechi (da cui presero ispirazione, grazie al mito di Quetzalcoatl, con cui poi perfino Kukulkan arriverà a condividere alcuni racconti), i sacerdoti che abitavano nel tempo, l'edificio più alto ed imponente della città, erano coloro che, attraverso sacrifici umani e preghiere, riuscivano a parlare con gli dei e muovere il corso della storia. Non solo, anche a prevedere le calamità naturali e non, così come riuscire a capire se un determinato periodo di sventura sarebbe finito o meno; come dimenticarsi la grandissima scena di "Apocalypto", film di Mel Gibson che racconta proprio della vita in quelle aspre terre ancora dimenticate. Durante un sacrificio, un'eclisse sconvolge l'ordine della popolazione, un fatto insolito che viene interpretato come la volontà di Kukulkan stesso, che ha posto la sua mano sul sole per far capire al mondo che ne ha abbastanza del sangue, è sazio di tutto ciò che gli è stato offerto. Brevissimo e velocissimo brano, in questo frangente i Battery usano nuovamente un refrain aggressivo e pieno di cattiveria, supportato bene dalla voce di Chris, che certo non si fa problemi a farci assaggiare la sua dose di malignità; la musica invece viene nuovamente incentrata su di un main theme ripetuto fino allo stremo, dando pane e voce anche ad altrettante bands che si sono susseguite nella storia (certi passaggi ricordano gli Obituary, altri lo Speed marcio e perennemente arrabbiato dei Razor). In tutto questo, viene descritta grazie alla furia della sei corde la potenza del Dio Sole amerindo; egli è venuto sulla terra con le piume e le squame di un serpente per portare la verità. Salverà il popolo del sole dal diavolo bianco che poco tempo prima era atterrato sulle coste della loro terra (ovviamente si riferisce ai conquistadores); gli "uomini con la pistola" hanno versato tanto sangue indios, e ne verseranno ancora, la loro "pancia di ferro", e le loro lame affilate torneranno, ma il popolo della luce ha la protezione di Kukulkan, portatore di verità. In tutto questo il vortice della musica ci inghiotte come un cacciatore con la preda, tirandoci per i piedi e trascinandoci nella sua tana buia e ricoperta di sangue. Bellissimi i passaggi fra sei corde e batteria, che si alternano al tempo del cronometro per dare il giusto spazio al testo; viene nuovamente descritta la potenza del Dio Sole, i cori inneggiano a lui ed alla sua forza, e mentre la chitarra si ritaglia un suo magico momento per un velocissimo assolo poco prima del grande finale, si cerca di far capire all'ascoltatore l'orrore che gli indios devono aver vissuto sulla propria malcapitata pelle. Per quanto sperassero nella salvezza del loro Dio, i conquistatori arrivarono e li soggiogarono con la forza, uccidendone a migliaia sulle coste e nelle foreste, rubando loro oro ed oggetti preziosi, ma prendendo forse la cosa a cui tenevano di più, la loro terra. In tutto questo non dobbiamo infatti scordarci che questo brano, pur essendo una lode all'antico dio Maya, è anche una feroce critica allo strapotere degli europei. Per quante volte sui libri di storia abbiamo letto delle atrocità commesse dagli Inglesi e dagli Spagnoli contro Indios, pellerossa ed indigeni in generale? Quante volte ci siamo trovati davanti scene di cruente battaglie in cui gli indigeni certo non sapevano come difendersi dai fucili e dalle pistole, armati solo di lance e coltelli. Quante volte poi ci siamo fermati a pensare che tutto questo è assolutamente assurdo? Certo non la brama di esplorare e conoscere nuovi mondi, quanto quella di voler far proprio qualcosa che nostro non è affatto, invece di convivere in pace e coesione con gli abitanti che calcavano quella terra millenni prima di noi. Un pezzo che, per quanto sia solo l'ennesimo pugno nello stomaco da parte dei Battery, fa assolutamente riflettere, su quanto l'uomo bianco e l'essere umano in generale, siano sacralmente votati all'errore ed alla denigrazione di altri esseri umani.  Un pezzo che anche, grazie ai suoi fulminei passaggi di chitarra, renderà assolutamente bene dal vivo, già intravediamo le corna al cielo, pronte a cantare a squarciagola il nome del Dio Sole, il serpente piumato sceso dal cielo per raccontare la verità.

Downfall Of An Age

Pochi e semplici colpi dei piatti aprono a Downfall Of An Age (Caduta Di Un'Era); un'apertura assolutamente old school per questo brano, prima che Chris sconvolga come sempre l'ordine delle cose grazie al suo cantato feroce ed aggressivo. La canzone procede a spron battuto fin dai primi secondi, annodando le proprie spire attorno al nostro collo, e dandoci modo anche di assaggiare alcuni infernali acuti e cori lanciati dalla band, come sempre azzeccati. Nella storia, ad un certo punto, vi è sempre un enorme cambiamento che cambia il corso degli eventi, mettendoci nella condizione di ricominciare tutto daccapo. Se pensiamo bene a ciò che i libri raccontano, ogni singola epoca ha avuto il suo periodo di massimo splendore, poi il declino e la rinascita, ed è così fin da quando il mondo esiste. Non a caso si è passati dagli uomini primitivi a quello che è l'uomo moderno, così come dalle affilate spade medioevali, qualcuno un giorno usò la polvere da sparo per inventare e perfezionare cannoni e fucili, pistole e quant'altro, rendendo la battaglia più cruenta e temibile. Gli imperi cadono sotto i nostri occhi ogni singolo giorno; vediamo intere nazioni che fino al momento precedente erano tranquille e beate, forgiarsi nella violenza e rendere il loro futuro incerto. Gli assalti arrivano quando uno meno se lo aspetta, e buttano all'aria tutto ciò che possiamo pensare di aver visto e fatto fino a quel momento, senza alcuna pietà né tantomeno remora per gli altri. Grazie a questo concetto, i Battery mettono in piedi uno show senza precedenti, un'alternanza di ritmi e canonici riff che fa venire i brividi sulla pelle e fin dentro la testa. In tutto questo non scordiamoci infatti che, a discapito di quanto possa far pensare la voce (che sicuramente, pur mantenendo la sua base Hardcore come abbiamo sottolineato poche righe fa, certo è più accostabile alle bands moderne che antiche, le quali prediligevano cantati più squillanti o aulici), la musica è assolutamente vecchia scuola. Particolarmente in questo frangente, è bellissimo il passaggio centrale, nel quale la chitarra fa grande sfoggio di tecnica e sagacia, accelerando progressivamente senza limitarsi neanche per un secondo, in un enorme crescendo che sfocia poi, dopo una manciata di secondi, in un altro scoppiettante assolo che ha sulla lingua il sapore dei blasoni. Ed è proprio in questo passaggio che vediamo una fantomatica città fortificata cadere sotto i colpi dell'assedio; i bastioni di pietra che fino a qualche momento prima erano il simbolo della muscolosa forza degli abitanti, adesso si stanno riducendo pian piano ad un cumulo di macerie, ad una enorme accozzaglia di pietre che rotolano giù come fossero grissini. E non solo, vediamo anche i simboli religiosi accartocciarsi su sé stessi, prendendo la via della perdizione. Le nuove spade sono state forgiate ci dice il testo, ed è un rapido collegamento all'evoluzione di cui parlavamo in apertura di canzone; nel corso della storia, ad un certo punto è sempre arrivato qualcuno con "la spada più affilata degli altri", che ha saputo far sentire meglio la propria voce, e che ha saputo soprattutto conquistarsi la fiducia ed il rispetto di tutti quanti. Ed è proprio mentre ci accingiamo a pensare queste cose, che il tutto deflagra nuovamente sotto i possenti colpi della sei corde, anzi, delle sei corde, visto che le alternanze fra le due (che in alcuni passaggi diventano addirittura tre) sono di caratura assai pesante, e fanno ben capire quanto la band sia attenta ai dettagli. Il problema dei cambiamenti, e ci pensiamo mentre un altro assolo invade la scena prima del finale che pesta sull'acceleratore come in preda ad un isterismo di massa, è che se vengono effettuati dalle persone sbagliate, tutto ciò che viene lasciato dopo è oscurità. Non a caso viene espressamente citato nel testo, il mondo del buio sta prendendo nuovamente piede, le persone hanno fatto i loro comodi, ed adesso la terra brulica di cadaveri, di fumo che usciva dalle pistole e dai fucili, e la desolazione del momento stringe il cuore in una gelida morsa.  

2083

Proseguendo in ordine incontriamo 2083; aperta nuovamente da alcuni passaggi di batteria, la canzone fin dai primi accordi si sviluppa "in altezza", nel senso che appena finito il brevissimo intro, è la chitarra nuovamente a farla da padrone, grazie ad una solida concatenazione di riffs. A questi fa capolino di nuovo la batteria, che non perde certo occasione per fare sfoggio di sé stessa. Il cantato invece, qui più che in altri passaggi del disco, somiglia davvero molto a quello del primo frontman degli Onslaught, che possiamo ascoltare in quel grande capolavoro che va sotto il titolo di Power From Hell. I Battery si immaginano una società futura, in cui il controllo mentale è ormai dilagante, un po' come accadeva con le macchine del primo pezzo. Vediamo distintamente una metropoli futuristica, palazzi altissimi e tutti in vetro, macchine che fluttuano per aria come aerei e jet. Un mondo che sembra perfetto solo in apparenza, ma che per i vicoli delle sue strade, nasconde il male; ed il male come sempre deriva dall'uomo, dalla sua enorme smania di conquista del territorio, soprattutto dalla sua smodata voglia di controllare tutti quanti, soprattutto gli altri esseri umani. La band immagina squadriglie della morte che viaggiano per le strade, coprifuoco sempre più pressanti ed opprimenti, ed una atmosfera generale che rasenta la follia più totale. Un fascismo moderno che, ci crediate o no, nella sua forma più blanda è già in atto oggi; pensate a quanto controllo mentale è già presente sul territorio, pensate a quante forme di controllo intrinseco esistono al giorno d'oggi, e quante nuove ne vengono fuori ogni momento. Basta comprare qualcosa ad un negozio, pagare con la carta di credito, e qualcuno da un buio ufficio sa già chi sei e cosa fai, sa come ti muovi e come mangi, sa che cosa compri e quali sono le tue abitudini. Per non parlare poi dei Social Network; vero cancro di questi ultimi anni, hanno ampiamente sminuito il concetto per cui sono stati creati, ovvero quello di creare una rete globale di contatti che mettesse tutti allo stesso piano. Ed invece troviamo leoni da tastiera, haters, denigratori di professione, gente che passa la sua intera esistenza a far sentire gli altri meno di quanto sono, ammorbando le loro menti e facendo di loro quel che vogliono. Ecco, in mezzo a tutto questo, immaginatevi una musica trascinante ed una apocalittica visione del futuro; le due chitarre cozzano fra loro come antichi guerrieri, le scintille si sprecano anche nei precisissimi cori che ogni tanto vengono sfoderati dal mazzo e messi in bella mostra, il tutto sempre nel segno della vecchia e sacra scuola. Ci muoviamo per le strade di questa megalopoli moderna con in testa l'assolo veloce che irrompe sulla scena e spacca il palco in due, sempre più veloce, sempre più aggressivo e pieno di verve. Sempre più sete di sangue hanno gli squadroni in stivali e manganello che girano per le strade; ad ogni angolo vediamo un arresto, una persona che viene picchiata a morte perché ha semplicemente espresso la propria opinione, che non è ovviamente in linea con il fascista pensiero comune. Perché spesso viene fatto l'errore di considerare il Fascismo come un concetto lontano nel tempo, eppure esistono migliaia di modi per applicarlo; riducendo tutto ai minimi termini, si ha questa condizione ogni volta che qualcuno schiaccia qualcun altro, ogni volta che il benessere del singolo viene messo davanti alla stabilità di molti, ogni volta che un pugno viene sferrato senza motivo. Ecco, immaginatevi una società del genere, ma invece che discorsi da balconi e marce militari, tutto ciò viene effettuato via etere, via web, in una macchia ingabbiante invisibile che ci si para di fronte allo sguardo, non la vediamo, ma lei ci sta già stringendo a sé. In tutto questo, la canzone procede senza troppi intoppi, andando come sempre a dare corpo agli stili classici del Thrash ma anche dello Speed stesso, sfociando ogni tanto in qualche passaggio leggermente più estremo. I Battery sanno assolutamente il fatto loro, e non perdono occasione per dimostrarcelo; nella sezione finale il tornado prende ancor più forza, si stringe attorno ai nostri piedi mentre Chris pronuncia le sue  ultime parole di diniego verso la società. Ciò che stupisce ascoltandoli, è la piena consapevolezza che ragazzi così giovani hanno del mondo che li circonda; certo non sono persone che se ne fregano, anzi, si informano, analizzano ed attaccano con l'unica arma a loro disposizione, del sano e robusto Thrash.

Forced Retaliation

Alla metà esatta del disco, a fare forse da spezza-ritmo con tutto il resto, troviamo una bellissima strumentale, Forced Retaliation (Ritorsione Forzata). Fin dalle sue prime battute il pezzo sembra assolutamente in linea con il resto del disco; una batteria come sempre sul pezzo, che mangia letteralmente le scale ed i ritmi a colazione, ingoiandoli interi. A questo va aggiunto il sapore enorme delle tre chitarre, e l'ottimo lavoro in studio di cui parleremo nelle conclusioni; il brano procede veloce e costante per quasi tutta la sua durata, ripetendo fino allo stremo lo stesso ritmo, che consta di un saliscendi tanto delle sei corde che della batteria stessa, inframezzando alcuni passaggi con scivolate che non sfigurerebbero su un disco Death Metal. A fare da contralto a tutto questo, troviamo una serie di assoli e riff di pregevole fattura, che come sempre fanno ben intendere la tecnica che questi giovani ragazzi nascondono nelle loro mani. A fare da contorno a tutto questo, un evocativo titolo, che si accosta bene sia a quello del disco, che alla canzone che abbiamo appena finito di ascoltare; ci riporta alla mente di nuovo pensieri di ritorsione, di denigrazione verso gli altri, soprattutto verso i più deboli. Sentiamo le loro teste che vengono schiacciate come acini d'uva sotto gli stivali dei soldati; la ritorsione è un concetto che possiamo trovare anche in una sanguinosa guerra civile, nel quale succede l'esatto contrario di ciò che abbiamo appena raccontato. Il popolo, affamato e disperato per gli anni dittatoriali a cui si è mai abituato del tutto, si ritorce letteralmente contro i padroni, contro il potere, distruggendone i simboli e decretando la fine del totalitarismo, a favore della democrazia. E' un intermezzo strumentale preso e messo lì alla fine, non ha molta attinenza col resto del disco, se non quello di farci intendere fino in fondo quanto i Battery siano bravi. Viene lasciata per un momento da parte la voce per dare lustro e forza alla musica, che nei brani precedenti veniva spesso lasciata a contorno della voce stessa, dando così molta più forza alle parole. Eppure, nonostante l'assenza del testo, questi danesi sanno bene come generale mefitiche immagini nella nostra mente: motivo per cui ad ogni nuovo passaggio ci ritroviamo in testa scene di cruenta violenza, di sangue e distruzione, di strade percorse da manifestanti aggrediti, e di soldati che lentamente marciano verso di loro con fare da conquistatori. In tutto questo, plauso enorme va a Jeppe Campradt e la sua chitarra; assieme a quella di Chris stesso formano un duo enorme, che si scambia scintille ogni momento necessario, sfociando in assoli che spaccano i timpani e li fanno sanguinare. Anche Jökull Johannesson con la sua ritmica fa il suo sporco lavoro, andando a completare il quadro e definendo ancora meglio la cornice di tutto quanto il pezzo. Ripeto, non è un brano per cui gridare al miracolo, sa molto di riempitivo e di momento in cui "togliamo la voce per saggiare a fondo le nostre capacità personali", tuttavia non è da buttare, anzi. E' aggressivo al punto giusto senza mai diventare pesante, è tecnico ed aulico al tempo stesso, e tutto sommato è anche dannatamente bello da ascoltare, ti rimane in testa e ti fa alzare le corna al cielo, anche se i pensieri che genera sicuramente sono di sentore molto più buio e tetro. 

Battery By Authority

Dalla durata più lunga di tutto il disco, in posizione sette troviamo Battery By Authority (Batteria Dalle Autorità), che come sempre inizia in medias res, grazie ad un intro muscoloso ed aggressivo al tempo stesso, dato dalla commistione fra batteria e chitarra. Strumenti che ben presto si sciolgono per dare lustro e forza alla voce, che sembrava ormai mancare da troppo tempo. Siamo sempre in una visione apocalittica del mondo, ma questa volta subiamo la carica eversiva delle forze dell'ordine mandate dallo stesso governo che credevamo nostro alleato. Dove si ferma esattamente il concetto di violenza gratuita? Dove nella storia possiamo dire che azioni criminose contro liberi cittadini sono state compiute per fini superiori? Semplice, non possiamo. Ed i Battery, quasi auto-dedicandosi la canzone, denunciano con grande forza tutto questo scempio, ricorrendo ad ogni mezzo, ad ogni singola dose della loro forza per andare avanti e far si che il mondo sembri leggermente meno buio del solito. Grazie ad un comparto ritmico di tutto rispetto, ed alla mefitica voce di Chris, la band prosegue per la sua strada senza intoppi, inframezzando come sempre partiture moderne con ampie svirgolate su lidi già conosciuti; all'interno del loro Thrash troviamo di tutto, dalle foraggianti coste sudamericane, grazie al loro carico di cattiveria innata, fino ai tecnicismi americani ed inglesi, e finanche a qualche piccolo elemento più estremo che non guasta mai ai fini della produzione generale. La batteria non è altro che un manipolo di soldati scelti, uno squadrone pronto a tutto pur di obbedire agli ordini che vengono dall'alto; li vediamo, mentre la tempesta musicale infuria sotto i nostri occhi e nelle orecchie, marciare con passo svelto verso la vittoria, e la vittoria è spaccare i nostri denti. Bellissimo il passaggio centrale, dopo una sviolinata della voce, un corroborante assolo fa capolino sulla scena, marcio e pieno di verve, la chitarra vomita ritmi dall'inizio alla fine, mentre i rigurgiti acidi della voce rendono il tutto ancor più tossico, fino ad arrivare al magico ritornello, in cui si alterna l'acuto di Chris stesso al coro della band. Successivamente un grido disperato sorge dall'ombra, ed il brano muta di conseguenza, trasformandosi in un pezzo quasi Power; le concatenazioni musicali si sprecano, doppio filo d'acciaio lega ogni nota alla successiva, in un enorme cerchio infernale nel quale perdersi. Stupendo anche il passaggio successivo, nel quale la band si concede un sano momento per essere davvero vecchia scuola: i ritmi si fanno più mesti, i secondi scorrono mentre il clangore delle chitarre cozza con le pelli della batteria, piatti e doppia cassa vengono deflorati mentre lo squadrone ricomincia la propria carica. Ci chiediamo se tutto questo sia giusto, se ce lo meritiamo, se esprimere la propria opinione sia soltanto follia, oppure un desiderio normale da persone normali quali siamo. La risposta ovviamente è da ricercarsi nella seconda opzione, eppure il mondo spesso sembra aver dimenticato da dove viene, e tutto il sangue che è stato versato per permettere a noi uomini moderni di avere tutta la libertà del mondo. E viene fatto dimenticare nel mondo più feroce e brutto possibile, ovvero tornando a quel sentore di regime che aleggiava al tempo dei nostri nonni o padri, quel periodo della storia nero come la notte più scura, di cui i Battery si fanno portavoce delle bianche e candide teste dei meno fortunati. Il passaggio Power sfocia alla fine in un crescendo sempre più aggressivo, man mano le note si aggiungono, e poi l'esplosione totale sul finale del pezzo stesso, con l'intero comparto strumentale che ci prende a schiaffi senza alcun problema e senza alcuna cura di noi poveri ascoltatori. Un altro coro e di nuovo ci si chiede se la violenza serva davvero a qualcosa, se riunirsi per portare un messaggio positivo debba essere schiacciato da chi non la pensa come noi, ed è allora che, ascoltando il brano in questione, un enorme NO gonfia dalla nostra testa fino alla bocca, e lo gridiamo a squarciagola nel modo più becero possibile, stavolta noi senza preoccuparci delle conseguenze. 

Evil Offspring

Dai passaggi molto più veloci e di breve durata è invece Evil Offspring (Prole Malvagia); un inizio al vetriolo dai Battery, che subito lanciano la voce a raccontarci dei cosiddetti "figli di Anak". Nella mitologia biblica, Anak era il signore dei giganti (il che riprendeva il proprio nome e fattezze dal dio Sumero Annunaki , a dimostrazione che alla fine, nonostante gli scontri, le religioni sono sempre tutte collegate). Egli era il mastro della distruzione, portatore di morte e disperazione nelle terre in cui passava; alla sua morte lasciò moltissimi figli, fra cui spicca, almeno nella tradizione cristiana, Golia, il gigante sconfitto da Davide nel celebre mito. Dunque per la prima volta dall'inizio del disco, passiamo da argomenti di ordine sociale, a sviolinate storiche e mistiche al tempo stesso; i figli di Anak hanno ampiamente conservato il male della loro stirpe, ed i Battery grazie ad un pezzo che definire maligno è riduttivo, celebrano questi esseri del passato, che non sono così lontani da noi. Ebbene si, perché nella mitologia mondiale, di figli di Anak ve ne sono stati molti (compresi gli Ctoni nell'antica Grecia, di cui faceva parte il celebre Polifemo, gigante ad un occhio solo reso cieco da Ulisse nel tomo di Omero), ed ogni volta la loro venuta portava sangue e morte. La chitarra rigurgita riff come impazzita mentre ci vengono narrate le storie di incantesimi e misticismo che ruotano attorno ad Anak ed alla sua stirpe; ogni figlio calcherà la terra portandole via un pezzetto, facendola marcire dall'interno. Se ci pensiamo bene però, nonostante l'argomento principe della canzone siano storie mitologiche, di figli di Anak e di prole malvagia ne abbiamo a bizzeffe anche oggi. Parliamo ovviamente dei soliti uomini che regolano le sorti del mondo, oggi sono loro i giganti da cui stare lontani, e la silenziosa denuncia dei Battery, che inizialmente ci aveva mandato fuori strada, ora ci è chiara più che mani. Parlare di altro per non sembrare ripetitivi, ma allo stesso tempo sottolineare sempre con grande forza lo schifo che ogni giorno i nostri occhi sono condannati  a vedere fin da quando vengono aperti. Una volta i giganti dominavano il mondo, oggi non sono più alti metri e metri, sono come noi, ma la loro forza distruttiva è equiparabile a quella di Golia stesso. I figli di Anak volevano solo una cosa, il sangue, il sangue e la carne delle loro vittime scrocchiare sotto ai denti. Volevano reggere il mondo fra le loro mani e schiacciarlo con le dita ogni volta che lo desideravano, e nel tempo ci sono ampiamente riusciti. Secondo la mitologia cristiana, Anak portava il mondo verso l'apocalisse, ed ancora oggi molti teologi ritengono che certi miti siano sicuramente stati scritti ispirandosi a fatti realmente accaduti. Per raccontare tutto ciò, i nostri danesi mettono in piedi un furente e ferale Speed/Thrash dal sapore antichissimo come i giganti stessi; parliamo dell'acciaio dei primordi, quello affilato come un rasoio e che squarciava la pelle appena la toccava. Cronometrici passaggi di chitarra sfociano sul finale in un altro assolo bellissimo e pieno di energia, mentre Chris che ormai la fa da padrone sin da quando abbiamo iniziato, certo non se ne sta in disparte, anzi, raccoglie tutte le sue energie per soggiogare il pubblico sotto di sé. Paura bisogna avere dei giganti e della loro sete di morte, paurosi sono i figli di Anak, nessuno sembra poterli fermare; e di nuovo pensiamo ad oggi, ai nostri giganti, a come possiamo sconfiggerli. Paradossalmente sembriamo avere molte più armi adesso di quanti ne avessero gli abitanti dei miti, ma allo stesso tempo sappiamo che quelle armi sono in mano dei giganti moderni stessi, e che quindi possiamo fare ben poco per risolvere il problema. Se non alzarci e cercare di combattere in ogni modo possibile, aiutandoci a vicenda e sollevandoci dalla polvere ogni volta che cadiamo; questo è l'unico modo per essere vivi, rimanere in piedi di fronte al male. 

Evoke The Morbid

Di altrettanta velocità e violenza è anche il pezzo numero nove, Evoke The Morbid (Evocare Il Morboso); dalla mitologia del pezzo precedente passiamo all'oscurità in questo passaggio, andando a foraggiare ancor di più gli stilemi estremi della musica Metal (Morbid solitamente è associato ad una particolare band, di cui ovviamente non v'è bisogno di dire il nome). Dopo i giganti parliamo di evocazioni oscure, andando a risvegliare lo spirito del Morboso; egli secondo tradizione è uno dei demoni più forti di tutto l'Inferno, la sua venuta sulla terra porterà soltanto caos e morte, tanto per cambiare. In tutto questo la musica che ascoltiamo ricorda molto Thermonuclear Devastation degli Onslaught, sia per velocità di esecuzione, sia per la gutturalità della voce di Chris. In tutto questo mettiamoci anche una forte dose di buio data da alcuni passaggi graffiati e sinistri, ed abbiamo un pezzo che, pur non superando i tre minuti di lunghezza, riesce bene a spaccarci la testa in due per vedere che cosa c'è al suo interno. Siamo degli stolti se pensiamo di controllare il Morboso, la sua venuta ci farà pentire di ciò che abbiamo scelto; egli prenderà possesso delle nostre anime e le controllerà al suo volere, senza alcuna pietà. Nel corso degli anni abbiamo sentito decine di argomentazioni diverse nella storia del Thrash; è un genere che alla fine attinge ovunque può, dalla storia alla politica, dalla religione alla fantasia, passando per fatti realmente accaduti e personali, sogni, incubi su gambe e tutto ciò che la mente umana può leggere o pensare. Nel caso specifico dei danesi, e come loro di tante altre bands nel corso del tempo, lo sfociare in argomenti occulti è quasi la prassi; del resto, maneggiamo riff di chitarra, Metal e birra da mattina a sera, vuoi non dare pane al maligno prima o poi? Bisogna sempre vedere come esso viene affrontato però. Vi sono quelle band che banalmente cercano di raggranellare le maggiori leggende che conoscono, e le riportano sotto forma di canzone; in seconda battuta abbiamo quelli che cercano di reinterpretare a modo loro ciò che sanno, magari mettendoci qualche elemento personale. Nel caso dei Battery invece, si prende qualcosa che non esiste, lo si unisce ad una credenza comune, ed ecco fatto un bellissimo pezzo; veloce, aggressivo al punto giusto, le sfociate della sei corde non sono mai troppo aggressive, mentre è stupendo il passaggio finale nel quale non poteva certo mancare l'assolo a condire il tutto. Nel complesso un brano che si fa amare praticamente al primo ascolto; rimane in testa sia il coro, che durante un concerto sicuramente canteremo a squarciagola sotto la pioggia o sotto il sole, ma anche l'argomentazione in sé. Perché alla fine, diciamocelo senza troppi problemi, tutti sono attratti dall'oscurità, tutti quanti nessuno escluso. E' il motivo per cui alla fine ascoltiamo la musica che ascoltiamo, perché dentro di noi alberga anche un fascio nero come la notte più scura e senza stelle. Il Morboso ormai è stato evocato, è stato risvegliato dal suo millenario sonno, e la scelta non può certo dirsi reversibile, anzi. Ormai da una dimensione parallela il nostro demone risvegliato sta chiamando tutti i suoi amici, folte schiere di altre infernali creature che non vedono l'ora di possedere corpi e menti degli abitanti, in un turbine di male senza alcuna fine. Col finale della canzone, che arriva poco dopo l'assolo, altrettanti cori vanno a chiudere il cerchio iniziato qualche minuto prima, dando pane e corpo alla nostra malefica evocazione. 

Martial Law

Chiude il cerchio la title track, Martial Law (Legge Marziale); come abbiamo accennato in apertura di recensione con The Rapture, l'imposizione militare porta all'instaurazione di un regime totalitario, ed è esattamente lo scenario che viene descritto in questi ultimi tre minuti di disco. In tutto questo ci immaginiamo un mondo che, invece di essere dominato dalle macchine come era accaduto nel primo slot del disco, è dominato dall'esercito e dalla coercizione. Per fare questo i Battery si affidano ad un intro molto più aulico del solito, che però come sempre sfocia in pochissimo tempo nel mid time aggressivo che ce li ha fatti conoscere. In tutto questo sentiamo ad ogni colpo della batteria il marciare dei soldati, prima che un dirompente assolo si presenti a noi a pochissimi secondi dall'inizio del pezzo. Chris dal canto suo affronta le liriche con consueta verve, lanciando un altro infernale acuto che fa tremare le pareti della stanza; la compulsione del potere porta a tutto questo, la voglia senza freni di soggiogare la propria nazione, la voglia incontrollabile di controllo, che quasi suona come un ossimoro all'orecchio, è questo il cocktail letale della legge marziale. Il nome di questa sanguinaria legge prende spunto ovviamente dal dio Marte, il Dio della Guerra e della Distruzione; applicare questa legge, il che accade prevalentemente in condizioni di guerra, equivale a ridurre i tempi dei processi ad esempio, rendendoli più brevi e quindi accelerando la condanna delle vittime. Solitamente, come abbiamo detto, dopo l'instaurazione della Legge Marziale, il passo successivo è l'applicazione di una dittatura militare, come è accaduto per esempio in Thailandia nel 2004. Potremmo ricollegare quanto detto dai Battery in queste violente liriche al massacro di Piazza Tienanmen, avvenuto nel 1989 in Cina, celebre ritratto di protesta popolare con l'altrettanto celebre foto del Rivoltoso Sconosciuto, un manifestante che si parò di fronte ad una fila di carri armati nel tentativo di fermarli e non farli proseguire. I Battery grazie alla loro musica ci fanno rivivere quelle sensazioni di violenza ma anche di rivalsa sociale; accanto alla denominazione di mondo moderno e della costrizione che i malcapitati sono costretti a subire, abbiamo anche la piena consapevolezza che ad un certo punto tutto questo finirà. E verrà concluso nell'unico modo possibile, ovvero nel sangue; perché i ribelli alla fine ci sono sempre, e se non vi sono mai stati, si formano in men che non si dica. Il messaggio dei militari è uno solo, tolleranza zero, bene, ed allora chi protesta ne avrà ancora meno; imbracceranno i propri fucili in segno di protesta, e mentre un altro roboante assolo di chitarra spacca il nostro cranio in due, Chris da voce alle speranze di quei riottosi che si sono alzati in piedi, come speriamo farà il protagonista della copertina stessa del disco. Il collo rigido quasi soffocato dal manganello di legno della guardia, i suoi pesanti stivali sulla testa e lo sguardo perso in una smorfia di terrore; le sue urla vengono sentite fin dentro le viscere, ma noi che abbiamo lo spirito del guerriero, speriamo che vada a finire in un altro modo. Perché l'instaurazione della legge marziale altro non fa ottenere che la formazione di squadriglie di protesta sempre più affiatate e piene d'odio verso coloro che li hanno controllati; il tutto infatti altro non può sfociare in un meccanismo sempre più complesso ed assurdo, fino al rovesciamento totale della situazione. Allo stato attuale dei fatti però, è soltanto la paura quella che aleggia per le strade; siamo schiacciati dalla paura, dallo strapotere e dalla voglia di sottomettere, la paura è lo strumento di offesa più grande insieme alla guerra. La paura fa vincere le battaglie e fa schiave intere nazioni; i diritti non valgono più, non c'è libertà, solo la legge marziale che impera. Il brano va a concludersi omaggiando anche formazioni come gli Exodus ed i Testament, oltre che le consuete scivolate sui lidi sudamericani grazie alla voce di Chris. Arriviamo alla dissolvenza quasi dispiaciuti che il disco sia finito, ma come tutto ciò che ci piace ha un inizio ed una fine; ed ecco che su di un coro muscoloso e violento, montato su una serie di rullate di batteria e chitarra, anche l'ultimo brano del disco va a concludersi. 

Conclusioni

Che dire, questo Martial Law si è rivelato una discreta sorpresa; onesto è la parola che userei per definirlo in tutta la sua interezza. Onesto e cristallino come probabilmente sono le anime di questi giovani thrashers danesi, così socialmente impegnati nella protesta e nella lotta alle ingiustizie del mondo. In tutto questo ci siamo ritrovati fra le mani un discreto disco di Thrash Metal canonico con qualche leggera scivolata estrema o moderna. Come occorre sempre ricordare, metà dell'opera è stata fatta anche dal grandissimo lavoro di missaggio e produzione che la dorata Punishment 18 ha operato sul disco di questi giovani ragazzi. Il risultato è un sound pulito e mai troppo esagerato, che permette di apprezzare in pieno sia le musiche che la parte vocale. Soffermandoci principalmente sulla musica, c'è ben poco da dire; i Battery hanno preferito non discostarsi troppo dal Thrash classico, andando soltanto in alcuni piccoli frangenti a dare energia tanto al classico Speed, quanto a lidi più Death; nel complesso una musica onesta e tranquilla nel suo essere dannatamente violenta, la presenza di tre chitarre fa si che gli scambi siano ancora più fulminei, potendo contare su altre sei corde a fare da contrappeso a tutto quanto. Plauso enorme va alla voce di Chris Steel; a molti forse il suo stile non piacerà molto (ricorda infatti quello di "Mo" Mahoney, primo frontman degli Onslaught, che a suo tempo ed ancora oggi viene criticato da molti, soprattutto se paragonato a Keeler), ma alla fine per raccontare determinati argomenti, non v'è niente di meglio di una maligna voce quasi gutturale, che esce dalle profonde abissali terre e ti si stampa in faccia come un sonoro calcio. In tutto questo poi, parlando appunto degli argomenti trattati, c'è da dire che Martial Law è un disco assolutamente impegnato da questo punto di vista; abbiamo infatti una sequela di argomentazioni che vanno dal singolo analizzare le dinamiche sociali, alla mitologia che però ben si ricollega al meccanismo base dell'album stesso, ovvero denigrare e denunciare certe pratiche. Il tutto, ed è una cosa molto strana parlando di Thrash, senza usare neanche un velo di humor nero, cosa che nella musica che stiamo ascoltando è quasi la prassi fatta e finita. I Battery invece preferiscono schiantarci in faccia la nuda e cruda verità; non si scherza in effetti con certe cose, ed è proprio per questo che ad ogni angolo di questo album, l'odio per queste dinamiche viene fuori in tutta la sua interezza, ribolle letteralmente dal disco appena lo sentiamo, sentiamo la loro forza e la loro voglia di far si nel loro piccolo che certe cose non accadano mai più nella storia, desiderio impossibile, ma non irrealizzabile. In tutto questo, altrettanto plauso come abbiamo sottolineato molte volte nel corso dell'analisi, va alla batteria. In molti frangenti del disco fa quasi la metà del lavoro; è tecnica ed aggressiva, è pesante ma non chiassosa, insomma, è perfetta per ciò che stiamo ascoltando. Carina anche l'idea di inserire un intermezzo strumentale a metà del disco, anche se come potete leggere nella sua analisi, sa più di riempitivo che altro. Tirando le somme generali dunque, il secondo full dei Battery va ampiamente oltre la sufficienza piena, guadagnandosi un discreto 8. Ed è un voto che è ampiamente giustificato dalla ricerca che, seppur non così marcata a livello musicale, spicca invece a livello di liriche; sono brani che in sede live danno sicuramente il meglio di loro stessi, ma anche sparati a livello da manicomio dentro lo stereo di casa, certamente non sfigurano affatto, anzi. In tutta onestà, mi sarei solo aspettato qualche assolo in più, o almeno qualche modifica più incisiva da parte dei passaggi musicali; alla fine, per quanto belli, spesso i pezzi sono la ripetizione ossessiva del tema che li apre, e questo se nei brani da due minuti non è assolutamente un problema, trova riscontro più negativo nei brani con minutaggio più elevato. Tolto questo (ed è un dettaglio trascurabile, considerando che, se si pensa ad alcuni dischi della storia musicale Thrash, mi vengono in mente i primi due degli Hirax, ben si capisce che alcune sfumature del "metallo percosso", certo sono avvezze a dinamiche ripetitive, tutto sta nel vedere a quale parte faranno più riferimento). E' un disco che piacerà anche ai neofiti, così come ai vecchi dinosauri come chi vi sta scrivendo, che pensano di aver visto (pur non essendo presenti) il Metal morire nel 1989. Che dire, se non ascoltatevi la seconda produzione dei Battery; se il loro esordio completo era una discreta dose di mazzate, qui giochiamo su terreno ancora più violento e becero, preparatevi, la legge marziale è in vigore, nessuno potrà mai fermarla, o forse si? Dipende tutto da voi. 

1) The Rapture
2) Proxy Warfare
3) Kukulkan
4) Downfall Of An Age
5) 2083
6) Forced Retaliation
7) Battery By Authority
8) Evil Offspring
9) Evoke The Morbid
10) Martial Law
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