BASTARDIZER

Dawn Of Domination

2018 - Evil Spell Records

A CURA DI
NIMA TAYEBIAN
01/11/2018
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Non mi aspetto niente di "particolare" dai nuovi gruppi in ambito metal. Nel senso che non mi attendo particolari innovazioni, stranezze, astrusità, invenzioni, ma solo buona musica capace di colpirmi, capace di farmi godere come un ragazzino che ha da poco iniziato a sentire il rock duro. Perché, è chiaro, non è che le "invenzioni" in questo campo fuoriescano copiose ogni mese. Se abbiamo avuto "evoluzioni" è stato soprattutto grazie al "fattore tempo", componente indispensabile per qualsiasi cosa per crescere, maturare, evolvere. E' così che siamo passati dal primigenio hard rock a quanto è venuto successivamente: l'heavy più classico, il thrash, il death e via discorrendo. Non è certo da un giorno all'altro che tante invenzioni sono state messe in campo, che il fattore evolutivo ha giocato a beneficio di un intero genere onde svecchiarlo e renderlo più succulento e fruibile dalle nuove generazioni, oppure più colto, più raffinato etc. Quindi è lecito non aspettarsi, quando si viene a contatto con un nuovo gruppo, particolari destrutturazioni, voli pindarici, invenzioni, svolte eccetera eccetera. Che comunque, dovessero esserci risultano una manna, specie per me che sono sempre molto curioso e spesso desideroso di sentire qualcosa di veramente nuovo. Ma i miracoli non li fa nessuno (forse, e dico forse qualcuno un paio di migliaia di anni fa) e considerando che già, negli anni da poco trascorsi (questo relativamente parlando, mettendo in campo tutta la cronistoria del nostro genere preferito) siamo stati deliziati da generi "novizi" come lo djent, il cascadian e lo slavonic black (variazioni sul tema dell'atmospheric black), il "math metal", lo slamming death di gente come i Devourment e i Brodequin... beh, direi che di interessanti novità ne abbiamo avute. Quindi, considerando che creare qualcosa di diverso è sempre complicato, non mi aspetto niente di estremamente particolare da un qualsiasi nuovo gruppo che vado a scoprire, che non conoscevo prima. Certo di robe se ne potrebbero fare: mettere in piedi qualcosa tipo "epic thrash metal", esplorare meglio il concetto di "epic death" - già fatto... ma quanto sentito, ad esempio da gruppi tipo Caducity, non è che mi ha ispirato un vero senso di "epic"; o ancora... "country death metal", "brutal black metal" e via discorrendo. Miscugli banali, lo so, mi rendo conto, ma al momento - e scrivo di getto buttando velocemente i miei pensieri su questo file word - sono le cose che mi vengono in mente. E considerando che come potete constatare mi sto limitando a fare "minestroni" tra i vari generi si capisce che tirar fuori qualcosa di effettivamente diverso non è per nulla facile. È per questo che quando vado a sentire il "gruppo x" che mi viene presentato come una bella novità, non mi aspetto effettivamente nessuno scossone (che poi come ripeto, se mi sbaglio tale sbaglio non può che rendermi felice). È così per il gruppo da me preso in esame stavolta, i Bastardizer, (che a onor del vero sono attivi dal 2013, quindi non sono del tutto dei novizi. Cinque anni non sono un'eternità ma sono già abbastanza) e per il loro secondo disco Dawn Of Domination. Un gruppo e un disco che non presentano ricette nuove né formule particolarmente astruse. Quanto proposto dalla band è un sano metal di derivazione Motorhead/Venom che tanto fa la gioia di un vecchio dinosauro come il sottoscritto e ne farà sicuramente di chiunque ami in maniera sfegatata le due band sopra citate. Che si tratti di vecchi dinosauri o neofiti, non importa. Il prodotto - di stampo blackened thrash - è bello diretto, possente, aggressivo e perchè no, anche catchy. Sono differenti i gruppi che si sono rifatti a certe sonorità, e parlo del metal di ascendenza Venom/Motorhead (mi vengono in mente, così su due piedi Old, Midnight, Cruel Force e Baphomet Blood), ma il genere se ben fatto diverte sempre, colpisce infallibilmente come un fendente nel collo, come un colpo di mazza in piena fronte. E qui siamo di fronte a una band affiatata che sa bene come colpire, che sa come maneggiare una simil materia senza che aleggi minimamente un qualsiasi retrogusto stantio. Il che non è poco. Anzi, è a mio parere molto importante, perchè aldilà di certe pretese da parte di una frangia di pubblico (a volte mi ci metto anch'io) che vorrebbe sentire chissà cosa, quello che conta veramente è comporre bei pezzi, suonare bene, avere un cantante con gli attributi. Dato che i geni inventano, mentre gli ottimi artisti si possono tranquillamente limitare a dare alla luce ottimi prodotti. Quello che passa praticamente tra Picasso/Braque e qualsiasi epigono del cubismo, che comunque troviamo tranquillamente registrato, al giorno d'oggi, sulle pagine di un qualunque libro di storia dell'arte. Quindi dopo tanto parlare posso brevemente riassumere - nel caso non si fosse capito - che quanto tirato fuori "in seconda battuta" dai nostri, funziona parecchio, sa colpire nonostante non porti nel vasto panorama del metallo nulla di nuovo. Solo una bella dose in più di sana acredine capace di infiammarci e farci sbattere la testa ancora una volta come quando abbiamo sentito per la prima volta un pezzo dei Venom, o dei Tank, o dei Bulldozer. Roba per appassionati di "vero" metal, quello fatto di sangue, sudore, adrenalina - e di adrenalina qui ce n'è tanta - lontano dalla plastica di chi confeziona prodotti solo per seguire dei trend. Già, perché qui non si segue nessun trend, è ovvio, considerando che non si tratta neanche di un recupero passatista come, ad esempio, quello fatto dalla nuova ondata thrash, in cui un idea buona (quella di riproporre quanto fatto in passato dalla Bay Area) annega nell'ennesima moda che a un certo punto viene seguita da orde di gruppi. No, questo genere di revivalismo "aggiornato", questo voler portare in maniera "svecchiata" (parola orrenda comunque, un certo sound non invecchierà mai) il verbo di Venom e Motorhead è un qualcosa messo in campo, per fortuna, una tantum. E spesso funziona bene, almeno nei gruppi che mi è capitato di sentire. E qui, ragazzi miei, funziona pure meglio che in altri gruppi. Ma prima di procedere, è bene dare qualche info sui nostri: "I Bastardizer si sono formati agli inizi del 2013 a Sydney, Australia, con l'intenzione di produrre un brand di sporco black thrash 'n' roll che fa alzare i pugni, inducendo le teste a scuotersi e le ragazze a bagnarsi. Da allora la band ha accumulato un gran legione di fans e numerose carneficine live in giro per Australia, Nuova Zelanda, Europa e Asia, a supporto di pesi massimi dell'Heavy Metal come Morbid Angel, Hobbs Angel od Death, Origin, Destroyer 666, Skull Fist, Tribulation, Lich King, Midnight, Toxic Holocaust e Coroner. L'LP di debutto, "Enforcers of Evil", è stato rilasciato via Heavy Forces (Germania) e Hells Vomit (Nuova Zelanda) nel 2014, seguito dagli split "Strike of the Bastard" (2015) e "Bring Back the Riff" (2016). I Bastardizer sono pronti per rilasciare il loro attacco infernale sul resto del mondo.". Detto ciò passiamo alla nostra consueta track-by-track per dare uno sguardo approfondito a questo bel dischetto.

Dawn Of Domination

Ad aprire le danze è la breve strumentale introduttiva che dà il titolo all'album: una traccia dall'incedere marziale, sorretta da una batteria quasi militaresca su cui viene inanellato un lavoro di chitarra che definire pregevole è poco. Diciamo che il bello è tutto nel guitar work, evocativo e pregno di un indicibile splendore - da sottolineare che una introduzione di tal genere potrebbe essere usata tranquillamente anche per qualche disco di metal più classico, o power, o epic - e non è azzardato definire questa strumentale un po' la loro "Ides Of March" (chi non sa di cosa sitia parlando innanzitutto si cosparga il capo di cenere, quindi vada a sentirsi il secondo disco degli Iron Maiden). Da un preambolo di tal genere di sicuro non ci si aspetterebbe un avvio feroce e iracondo come quel che sta per abbattersi sul nostro capo al solo scopo di martoriarci.

A Dose of Vengeance

E infatti, il secondo brano "A Dose of Vengeance" (Una Dose Di Vendetta) si rivela essere un'inferno, un brano privo di compromessi, di sfumature epicheggianti o risvolti classici. Solo ed esclusivamente una carneficina sonora. Ma ci arriveremo. Il testo delinea una sorta di sfogo e "manifesto" al tempo stesso, compiacendosi nel descrivere la vendetta su di una massa di persone percepite come parte di una società degenerata, e in ogni caso desiderosa di essere nuovamente circondata da violenze e carneficine, allo stesso tempo vittima e carnefice. Un ode al ritorno alla barbarie portata all'estremo. Già dalle prime battute è possibile udire dalla voce narrante, quella del protagonista, come lui, dilaniato nel tormento e in attesa della morte, sia circondato da una plebe urlante e desiderosa di sangue e carneficine. Lui, quasi un novello "Cristo" ("inchiodato alla fottuta croce") non esprime minimamente la compassione caratterizzante il messia, ma piuttosto vomita parole di odio e rabbia ("Eradicazione dei malati e dei deboli/ Purgati per le sterminate steppe del malessere / Brucali tutti / Distruggi le loro anime / Annienta i decrepiti/ e gli orfani/ Sottometti la massa/ Morte a tutti"). Da quanto si evince attraverso i suoi pensieri sembra quasi un Cristo che si rivolge al padre, ma non per perdonare, quanto per punire. Una visione "cristologica" in cui comunque non vi sono figure da sacrificare per redimere il mondo. Semplicemente il mondo annega nell'odio e nel peccato e non c'è nulla da redimere perchè odio e peccato sono parte integrante del - marcio - tessuto connettivo sociale. Musicalmente, come introdotto nelle prime battute, si ha a che fare sin dai primi secondi su un inferno sonoro roboante e mefitico. L'impatto è da subito notevole, l'assalto incompromissorio. Nessuna introduzione strumentale viene messa in campo dal "preambolo" e la voce parte immediatamente - in effetti il primo brano strumentale risulterebbe più che sufficente, ma è raro che la voce attacchi direttamente con l'avvio del brano - accompagnata da un rifferama circolare di tipico retaggio thrash. Verso il ventesimo secondo comunque abbiamo un brevissimo affresco strumentale, importante per variegare una struttura altrimenti "monotona". È comunque questione di poco e si torna in seno alla struttura principale (voce di Morgan, riffing circolare reiterato). Verso il cinquantesimo secondo ancora un frangente strumentale, come sopra. Quindi si ricomincia, in un copione che nell'effettivo concede poche variazioni, e quelle presenti sono ben amalgamate nel tessuto musicale (leggasi "brano lineare"). Degna di menzione, a un minuto e trenta, una parte strumentale ben più ricca e lunga, capace di aumentare il senso di calcolata follia presente tra questi solchi. Come precedentemente accennato il brano fa della sua linearità un punto di forza, e l'irruenza belluina la fa da padrona catturando irrimediabilmente l'attenzione dell'ascoltatore.

Crimson Trenches

Si continua egregiamente con "Crimson Trenches" (Trincee Cremisi), brano ugualmente furente - ma servrebbero i RIS per trovare un pezzo tra i tanti in scaletta che non corrisponda a tale appellativo - che stavolta offre liricamente spunti storici e guerreschi. Il brano prende infatti spunto da un fatto storico realmente accaduto, ossia i fatti concernenti la Battaglia Di Gallipoli. Più precisamente il brano a suo modo onora  i morti dell'Australian and New Zeland Army Corps (ANZAC) che parteciparono, a fianco degli alleati britannici, al Medeterranean Expeditionary Force (MEF, traducibile nella nostra lingua come "forza di spedizione mediterranea", ossia l'assembramento dell'esercito britannico impegnato durante la prima guerra mondiale nel teatro di guerra del Mediterraneo. Tale gruppo venne inizialmente costituito per dirigere la campagna dei Dardanelli) del generale William Birdwood, nel 1915. Fu una delle più gravi disfatte della triplice intesa nella prima guerra mondiale, con qualcosa come 250.000 morti, contro l'impero ottomano in declino. Quella che la band chiama eufemisticamente Anzac Beach (in cui anzac è l'acronimo del corpo dispedizione australiano/neozelandese) è conosciuta da noi come Battaglia di Gallipoli, in Turchia (da non confondersi con la Gallipoli in Puglia), una penisola definita nel brano "penisola delle tombe". Il pezzo, al contrario del suo diretto predecessore, parte con una brevissima introduzione strumentale, roba di pochi secondi, ma comunque il clima è sin dall'inizio incandescente: il guitar work è serrato e gioca un'interessante alternanza con la batteria. La voce si presenta di lì a poco in un ululato (waaaar!) che resusciterebbe i morti, se il pezzo fosse passato in un cimitero. Il brano si assesta sin da subito su una struttura lineare forgiata tutta su un serrato gioco di chitarra/batteria, tutto molto basilare, niente trovate ad effetto, riffing elaborati et simila. Ma il tutto convince, è potente, aggressivo e capace di asfaltare qualsiasi cosa come un bulldozer. Nondimeno tanta carneficina sonora risulta abbastanza catchy, come un buon brano di black 'n' roll dovrebbe essere, per quanto la violenza - gestita in varie sfaccettature - la faccia da padrona. Ma è una violenza "controllata" pur se in apparenza parossistica. A convincere assai sono certe alternanze tra parti più furenti e dinamiche e parti ben più ragionate (l'inizio è con il botto, veloce e terremotante, ma già al quarantaduesimo secondo si dà il cambio con una parte gestita su tempi medi, e al minuto e trentacinque si scende ancora un livello sotto con un assestamento su territori maggiormente marziali e controllati).

Death Cult

Il proseguo è affidato alla quarta traccia "Death Cult", altro brano di grande impatto e con un testo particolarmente lungo, sebbene composto di strofe serrate che evitano largamente il rischio di prolissità. E in effetti il contenuto del testo non si perde tra mille concetti, dettagli, inutilità, ma risulta concettualmente ben conciso e semplice, dato che il fulcro di tutto è  l'ipocrita menzogna dietro fedi e riti religiosi dinanzi l'ineluttabile nulla della morte. Oltre a questo, il brano paventa l'avvento di un Culto che porti le masse al suicidio, onorando così l'unica grande verità di questo mondo, ovvero la morte. Tutto il brano si giostra su frasi laconiche espresse da una voce narrante, che rivolgendosi ad un personaggio, sottolinea in maniera quasi positiva i rituali che vengono perpetrati nei suoi confronti. Ma quanto espresso dalle sue parole ("Ingoia il tuo veleno/ Unisciti al Culto della Morte/ I sacri giuramenti furono sanciti/ La tua anima sarà strappata/ L'ora si avvicina/ Sei rinato") nasconde una mendacia di fondo, dato che nella morte - salvo non rifarsi a qualche dottrina monoteista che di base narcotizza la mente del fedele da millenni - non vi è salvezza o rinascita, ma solo il buio eterno. Parimenti la voce narrante si rivolge ad una pletora di persone non specificate, astanti possibilmente, per glorificare la morte ("Ingoiate il veleno/ I vostri cuori riempiti di orgoglio/ Il fetido odore della morte/ Suicidio di massa/ Ingoiate il veleno"). Un testo sicuramente lungo ma che comunque non cade in alcuna trappola di "elefantiasi lirica", e anzi, risulta essere molto interessante nel voler smantellare la mendacia di culti he si basano sulle folli dissertazioni di pseudo-illuminati e discepoli di questi. Il pezzo anche stavolta fa della linearità  una delle sue carte vincenti: abbiamo tutta una prima parte giostrata su tempi veloci ma non parossistici, in cui si segue un tappeto musicale incalzante dettato dalla chitarra e da una batteria che opta per un livello minimo di variazioni ritmiche; quindi la velocità - siamo verso il minuto e mezzo - prende piede in maniera belluina, inflazionando a dismisura, con la batteria che si impone su guerreschi blast beats; verso i due minuti e venti invece i tempi rallentano in maniera incredibile portandoci al cospetto di un frangente giostrato su tempi medi, energico e davvero bello a sentirsi. E per quanto la velocità sia una materia ben maneggiata dai nostri, è questa parte, dotata di un certo respiro, un sottile epos e una magnificenza non indifferente, a colpirmi e a farmi sbattere la testa come un pischello per la prima volta a pieno contatto con la musica metal. Bello, stupendo, quello che amo sentire specie dopo essermi dilaniato le orecchie a seguito di una incompromissoria carneficina sonica. Ma non è finita: dopo questo frangente, assolutamente ottimo e capace di dare un'anima ad un corpo già parecchio muscolare, si riprende lo stillicido: siamo ai tre minuti e venti e la velocità torna a farla da padrona. Un ottimo brano, non c'è che dire. A parere di chi scrive uno dei migliori del lotto, sia per ciò che concerne la parte musicale, sia per quanto riguarda il testo, incisivo, caustico e assolutamente non banale.

Demons Unleashed

Dopo i richiami storici/bellici e la critica sociale, con "Demons Unleashed" (Demoni Scatenati) ci imbattiamo in un apparato testuale dalla matrice differente, che pesca a piene mani da una visione demoniaca tipica di certo death, e death/black (inutile citare i Deicide, i Vital Remains, i Behemoth) che tanto ha calcato la mano su certi argomenti (figure infere, anti cristianesimo, monoteismo "non canonico" e antiteismo) più che dal black di matrice scandinava (dove la visione del male risulta quasi assoluta e non necessita la messa in campo di stereotipi triti). Per quanto una certa componente anti liturgico tipico di certo black è presente  in molte strofe, tendenti quasi a scimmiottare il linguaggio sacro ed ecclesiastico, mentre la descrizione è quella di un'umanità annientata e torturata da "demoni scatenati"("Il male è a portata di mano/ Demoni scatenati/ Le creature della notte"), evidente metafora della band stessa, laddove i "credenti" citati rappresentano, probabilmente, i fans e i metalhead in generale, ovvero i "forti" che trionfano sui "deboli" e corrotti. Da antologia la parte iniziale, che recita "Dalle ceneri del fuoco e della dannazione/ Demoni senza pietà sono pronti a colpire/ Lucifero osserva dal suo trono oscuro/ Il dannato sorgere dall'Inferno/ Un'orgia di massacro". Dunque, da quanto possiamo evincere, quello che viene messo in campo è un tema sicuramente usato e stra-usato da certe band (come già sottolineato in precedenza), ma comunque fa sempre piacere imbattersi, in un prodotto duro, puro e genuino come quello messo in campo dai nostri, in clichés tipici di certo metal. Musicalmente già dalle prime battute si evince un retrogusto "slayeriano", e per chi conosce bene la band, il richiamo è al mood dei brani del primo album, quelli ancora debitori di Maiden e Priest. Ascoltando questa prima parte vengono in mente pezzi stile "Evil Has No Boundaries" - tanto per fare un esempio - ma non vi sono citazioni eclatanti. Più che altro, o si tratta di coincidenze - ma non credo - o i nostri hanno opportunamente metabolizzato anche lo Slayer sound e lo hanno rigurgitato in forma diversa in questi solchi (il che è probabile). Tutta una prima parte è in effetti di vago appeal Slayer prima maniera, mentre nel proseguo ci si imbatte in un bel rallentamento - su tempi medi -  ancora una volta capace di donare un surplus di fascino ad un pezzo stavolta già riuscitissimo in partenza. Verso i due minuto si rimbocca nuovamente la strada dell'aggressività in salsa thrash/black 'n' roll, che portano il pezzo ad una nuova pompatissima iniezione di violenza. Un brano questo che, rallentamenti a parte, non avrebbe sfigurato nel songbook dei primi Slayer, e, con una voce differente - quella di Araya -  avrebbe accompagnato benissimo gli altri pezzi presenti su Show No Mercy. E insieme al precedente è possibile far figurare una tal perla come una delle song migliori del lotto. O almeno una delle mie preferite, considerando il mio amore per certo "metal primordiale", per il primissimo thrash, il proto-black etc.

Whiskey 'till Death

Altra variazione tematica con "Whiskey 'till Death" (Whisky fino alla morte), pezzo che, lasciandosi da parte i richiami bellici, sociali e antagonisti dei brani precedenti, stavolta ci porta al cospetto di un pezzo che celebra il vizio e la degenerazione insite nella vita del rocker. Il brano per inciso, ha un'altro testo di una lunghezza notevole, per una tematica, detto tra noi, piuttosto terra-terra. Nello specifico il protagonista descrive la sua vita dissoluta votata all'alcol e alle donne "di facili costumi". Non vi è alcuna mestizia o giudizio morale, nel descrivere come il vizio lo porti alla tomba, ma anzi, quasi una sorta di autocompiacimento nel rimarcare il fatto che, in qualche modo, crepando in seno alla lussuria, egli sia in qualche modo padrone del suo destino", mentre tutti gli altri "vanno all'inferno per un tiro di dadi". Il riferimento al rock and roll e al suo spirito (sesso, droga e rock 'n' roll), è piuttosto semplificato e squisitamente "yankee", poco caratteristico del black inteso nelle sue radici europee, ma logicamente qui non si parla di "black" inteso nella sua forma più definita (il black "seconda ondata"), quanto di black 'n' roll, che è quella particolare commistione tra il black metal e un certo tipo di hard rock. Motorhead e Venom in primis, ma anche Tank e in generale molti grezzi power trio (non solo, certo: i Satyricon post Rebel Extravaganza attingono da un repertorio possibilmente diverso). Nonostante il termine sia un pizzico fuorviante (se sei un neofita e senti "black 'n' roll" ti aspetteresti black metal e Jerry Lee Lewis) lo spirito incarnato da questo particolare sottogenere del black e dello speed metal è proprio questo, e, considerando spesso la compresenza nel sound del retaggio Venom, recupera del black le radici più grezze e primigenee (black "prima ondata"). Qui musicalmente è già possibile cogliere richiami, sin dalle primissime battute a un recupero del sound "motorheadiano": il riffing di partenza è di quelli "caratteristici" che, lo aveste trovato in un pezzo della band di Lemmy, non vi sareste affatto stupiti. Quindi molto più che i Venom che prima nominavo, è la band di Lemmy lo spirito tutelare di un simile pezzo. Un gustoso brano che si mantiene grossomodo su ritmi lineari e non si svincola mai da certi dettami speed/thrash. Batteria essenziale e guitar work mai troppo elaborato per un'autentica cannonata che recupera il lato più genuino e sostanziale del metal, in cui non subentra minimamente il bisogno di mettere in campo raffinati voli pindarici o stranezze superflue. Solo sudore, adrenalina e whiskey.

Un The Ante

"Up The Ante" (Alzare la posta) si caratterizza tematicamente per il recupero di un certo immaginario malefico, "antagonista", demoniaco già trattato in precedenza (vedasi "Demons Unleashed"). Un testo che nel complessivo comunque si presenta di scarso senso compiuto - o se non altro, di scarsa comprensibilità -  di gran lunga più propenso a suggerire immagini molto forti e suoni dal richiamo immaginifico. L'unico riferimento assimilabile a una certa solennità è il richiamo a una figura anti-messianica evocata per mettere il mondo a ferro e fuoco, forse ancora una volta esemplificazione della stessa band, portatrice di una rivoluzione sanguinaria e vessillo dei più forti (tutti, chiaramente, cliché più che radicati nel genere). Nonostante la generale brutalità delle immagini suggerite, lo spirito è goliardico e strizza l'occhio al pubblico metallaro e in particolare australiano (la citazione all' "est"). E questa peculiarità si inserisce nel novero di buona parte dei prodotti black 'n' roll che, rispetto al cugino baltico più intransigete, ha fatto della goliardia, della "visione ruspante" quasi un vessillo. Nel brano non deve ingannare la messa in campo del termine Hellraiser, che non evoca minimamente Clive Barker ma si riferisce a un qualche altro elemento infero portatore di caos e agitazione. Il termine è infatti traducibile come casinista, agitatore, in questo caso inteso come portatore di una rivoluzione infernale. E questo per quanto concerne la parte "lirica, mentre musicalmente notiamo  come ancora una volta la struttura si presenti particolarmente irruenta, e il retaggio black 'n' roll si faccia sentire in tutta la sua potenza. Un pezzo, questo, che risulta meno vincolato, rispetto ai suoi diretti predecessori, a certi numi tutelari storici: quel che si evince, ascoltando il pezzo, è un assaggio di prepotente e fottutissimo black/thrash in cui tutti i maestri sono stati metabolizzati talmente bene che non vi sono più scorie riconducibili a questo o a quel gruppo. E' essenzialmente speed metal, ma annegato a dovere nel black tanto da creare un ibridazione perfetta che può essere elemento-standard di un genere. Il pezzo in se è ancora una volta molto lineare, almeno fino ad un certo punto, quando ci si incanala nella solita decelerazione in mid tempo (un minuto e trenta, comunque breve, si e no venti secondi) che comunque si riassesta dopo non molto su velocità parossistiche e incompromissorie, stavolta in un frangente strumentale davvero egregio, di grande effetto. Una parte questa che inizia in maniera irruenta, tutta giostrata su un riffing aggressivo e impattante, la cui violenza è raddoppiata grazie ad un lavoro potente al drum kit. Dopo non molto a moltiplicare la grandiosità di tale parte ci pensa un solo guitar notevolissimo, il cui apporto risulta fondamentale nel donare un certo pathos e atmosfera ad una sezione che altrimenti avrebbe avuto dalla sua solo la cieca irruenza.

Hellions Of The Oath

La successiva "Hellions of the Oath" (Dannati del Giuramento) non si smuove tematicamente da certe tematiche "infere" dopo una certa varietà lirica colta nei primi brani del lotto che facevano presagire una certa libertà concettuale meno vincolata a un singolo filone - peraltro stereotipato - del metal estremo. In pratica qui si ripropone grossomodo la stessa tematica già accarezzata in altri brani del lotto, ma con richiami immaginifici "diversi". Il termine "diversi" è da porre tra virgolette perché in realtà cambia solo l'ordine con cui demoni, deboli vittime e anime dannate sono messe nelle strofe; alla fine il risultato è che l'orda di demoni - incarnazione infernale dei metallari in questione, per i quali il riferimento alle "corna" è un evidente doppio senso - fa piazza pulita di un'immonda e parassitaria umanità dalla faccia della terra ("Santi e peccatori/ Brucerà tutto/ La terra in cenere/ Il Signore Oscuro ritorna/ Parassiti terrestri/ La loro carne marcirà/ La nostra sete di sangue/ Mai si fermerà"). Unico riferimento "originale" è il giuramento del titolo, patto infernale col demonio, in ogni caso cliché classicissimo di metà metallo estremo tutto. Da notare che il termine "Hellion", qui tradotto con "dannati" per via del suffisso "hell" (inferno) in relazione al background di questa canzone, è normalmente traducibile come "birbante", "birichino", "piccolo demonio" o "piccola furia", (di solito nei confronti di bambini). L'uso di un termine così peculiare e relativamente anacronistico è l'unico, vero elemento d'ambiguità del brano a livello lirico. Passando al lato strettamente musicale possiamo notare ancora una volta un brano che rispetta in toto certi dogmi thrash 'n' roll/ speed-thrash, ossia richiami a determinate strutture speed metal il cui retaggio è da ricercarsi in una frangia di gruppi di rock duro, e una complessiva linearità di fondo. In un pezzo di questo genere, molto godereccio ma non estremamente ricercato, in effetti è difficile delineare particolari cambiamenti, prescindendo da sparute accelerazioni così in linea con il contesto generale. Il pezzo è complessivamente dinamico, incalzante, rockeggiante ma dotato di un appeal più aggressivo rispetto a quelli che potrebbero essere i padri spirituali di questa tipologia di suono (come al solito i Motorhead), vuoi per la maggiore carica, vuoi per la voce fognaria che rende il tutto si potente ma anche "marcio". Qui vi è un'altra lezione di come mettere in piedi un brano credibile di "speed/black", di black 'n' roll, ove nella semplicità risiede l'arma vincente, ben affilata e capace di colpire senza paura di sbagliare. Che poi il saper usare con maestria la semplicità è materia di chi la musica la conosce, e non ha bisogno di fare capriole e salti carpiati per arrivare al proprio scopo. Quindi ancora una volta un bel brano, efficace, e pur non stupendo con effetti speciali, arriva dritto dritto a dove deve arrivare lasciando ben più che soddisfati. Almeno chi scrive può dirsi particolarmente soddisfatto.

Midnight In Hell

Il disco, arrivato a questo punto, sembra essersi assestato su tematiche più prettamente "demoniache" e antagoniste, nonostante una sottile ambiguità che pervade molti dei brani capace di non farli scadere nel bolzo barocchismo fine a se stesso; e in effetti il nono brano "Midnight in Hell" (Mezzanotte all'Inferno) cambia di poco le carte in tavola, presentando ancora una volta un testo pregno di male, oscurità e dannati, per quanto il tutto sia condito da un retrogusto abbastanza sardonico. Stavolta non c'è da filosofeggiarci molto intorno, la storia è alquanto semplice: la morte è raccontata come una liberazione e un ritorno a casa, la "vera" casa, quella dove il metalhead in questione trova il suo vero Io nel grembo di satana e delle sue troie, luogo tutt'altro che infernale in cui si scopa e ci si scatena a suon di rock. Solo i toni grevi tradiscono una vaghissima pretesa di reale durezza, in quello che suona un testo in tutto e per tutto goliardico. L'Inferno come lo vorrebbe vedere - e godere - un vero rocker, duro e puro, per il quale il paradiso è luogo malsano e nel quale non si vorrebbe mai finire. Un posto dove possa continuare all'infinito la perdizione iniziata in questo fottutissimo mondo. Una visione immagino non esclusiva del metallaro, ma di molti rockers e artisti (che pur se non lo confesseranno mai, è proprio in un inferno pieno di puttane, droga e sano caos che vorrebbero trovarsi al termine di questa vita). Da sottolineare che ancora una volta il testo è particolarmente lungo - ma incisivo, privo di passaggi elefantiaci e ridondanti - a riprova dell'amore dei nostri per parti testuali non troppo stringate. Musicalmente parlando abbiamo un'introduzione che apparentemente sembrerebbe rimandarci ancora una volta verso territori slayeriani - sempre quelli "seminali" del primo album - ma basta poco per smentirci, almeno in parte (oddio, come molti altri gruppi anche gli Slayer farano sicuramente parte del retaggio complessivo dei nostri, ma in questo caso la struttura rimanda ad influenze dissimili rispetto al gruppo di Araya). Infatti dopo non molto il brano si assesta su partiture ancora una volta da clichè speed/black, che per tipologia di suono, possono rimandare vagamente a quanto fatto dai Baphomet's Blood. Un brano aggressivo, diretto, parecchio essenziale ma anche estremamente catchy. Come da miglior tradizione la linearità la fa da padrona, ma il tutto è arricchito da una maggiore varietà al drum kit, oltre che da un refrain stentoreo, in cui il titolo del brano viene declamato a caratteri cubitali (MIDNIGHT IN HELL!!!), tutti piccoli elementi che concorrono a contribuire alla grande riuscita di un altro brano, che,  pur non aggiungendo nulla di particolarmente nuovo, si pone come ulteriore gioiellino in un diadema ben più ampio di questo disco, che è quello dello speed/black tutto.

Mongrels' Wrath / The Depravated Nazarene Whore

La seguente "Mongrels' Wrath / The Depravated Nazarene Whore" (L'ira di Mongrels / La puttana nazarena depravata), inutile a dirsi, si mantiene sulle stesse coordinate tematiche degli ultimi brani in repertorio, rimanendo fedele agli stereotipi demoniaci e blasfemi che hanno caratterizzato, nel bene e nel male, quei pezzi. Non è il solo elemento reiterato, dato che come visto a più riprese, è molto lungo ma fatto per buona metà di strofe brevissime e quasi insensate, volte a suggerire singole immagini di brutalità e malignità. Quindi, seppur "suggerito" tramite immagini forti più che attraverso una narrazione compatta e dotata di un preciso ordine, possiamo constatare che il tema è lo stesso di sempre: orde di
devastatori demoniaci, stavolta incarnati dai "mongrels", annientano la società come la conosciamo per strutturare nel nostro mondo il regno del male. "Mongrels" vuol dire molte cose, ma principalmente è una razza di cane, e infatti si fa riferimento a branchi di cani e sciacalli, ma è anche un modo per definire delle generiche orde. Sul finale cambia sia la metrica, che s'allunga, che il contenuto, che si sposta dall'invasione furiosa e sanguinolenta dei mongrels alla figura di un anti-madonna, figura messianica invertita dal maschie al femminile e dal divino al demoniaco, versione lasciva e corrotta della madre di Cristo (e quindi, madre dell'anticristo). Quasi si trattasse di due brani in uno, come del resto potrebbe suggerire il doppio titolo che anticipa in maniera certosina le tematiche in questione lasciando poco spazio all'immaginazione. In realtà è praticamente un brano diviso in due "sezioni" differenti, ove sulla prima si fa riferimento ai dannati, alle orde, che spianano la strada a quella messianica figura "speculare" alla Madonna cristiana, portatrice di disordine, caos e male assoluto. E ad un testo che definire "malvagio" è poco (l'avvento di una figura anti-messianica ci riporta in mente Prince Of Darkness - ovvero "Il Signore Del Male" - di Carpenter) le musiche non sono da meno: un giro di chitarra ferale ci porta in breve nei meandri di una struttura incalzante che mantenendo un vago alone "rock" - cosa che il black tout court non ha - si impone con una veemenza paragonabile a quello di un uragano. Un uragano di anime dannate, di Mongrels pronto a portare devastazione ovunque. Le ritmiche sono serrate, la voce come sempre un inferno lercio e putrescente. La follia in breve dilaga come una nuvola di miasmi purulenti pronrìti ad accogliere l'apocalisse finale. E' la velocità a farla da padrona, e per ben oltre un minuto non vi è un attimo di tregua. In prossimità del minuto e venti un immancabile rallentamento ci permette di riprendere fiato: ma pur trattandosi di un frangente meno frenetico (ci si muove su tempi medi) la batteria si mantiene veloce, incontenibile. Arriviamo ai due minuti, e la velocità aumenta, la struttura diviene pulsante, il clima se possibile ancor più cupo. Vengono macinati riffs circolari come da migliore tradizione thrash, ma qui si va oltre in un prodotto che annerisce esponenzialmente il genere di cui sopra tramutandolo in un monolite di carbone pronto a schiacciare ogni cosa. Gran potenza e innegabile appeal per un altro brano che metterei nel novero dei capolavori della band. Una prova di ferocia indiscutibile che non ha mancato di girare più e più volte nel mio stereo.

Unholy Allegiance

Si conclude con "Unholy Allegiance" (Empia Dedizione), brano che, pur nella sua gradevole irruenza (tipica dei brani di questo platter) non aggiunge nulla di nuovo a livello tematico in un disco che nella stragrande maggioranza dei brani in esso contenuti, si limita a girare attorno a satanassi, dannazione, oscurità e via discorrendo. Il brano in questione come potete capire anche da soli, non fa eccezione in tal senso: questo finale, infatti, reitera precedenti aspetti concettuali e immaginifici, oltre a mettere in chiaro con ancor più evidenti richiami il parallelismo tra band = strumenti del diavolo, e Metallo = diavolo. Ovviamente tutto è così tirato, ripetitivo e mai realmente disturbante da portare tutto verso la pura goliardia, e probabilmente sulla capacità delle parole di trasmettere sensazioni piuttosto che sul loro significato. La sensazione di trash (senza la doppia acca) si evince a più riprese in un brano volutamente grottesco ed esagerato come questo, e l'accostamento di cui sopra tra metallo e forze del male ("Nato del menzogne di un Dio indegno/ Discepoli di satana, una squadra sinistra/ Demoni del thrash infernale con pelle e catene") sembra un qualcosa di caricaturale alla Spinal Tap, molto ottantiano, che poco ha a che vedere con la carica di empia malvagità espressa in maniera diversa da gruppi di stampo death e black (si vedano anche stavolta i vari Deicide, Vital Remains, Morbid Angel, Incantation, Immolation, il black nordico). Per quanto riguarda la musica possiamo dire che rispetto a quanto proposto nel brano precedente non vi sono grandi fattori di novità: di nuovo viene ripresentato un pattern molto veloce all'inizio, destinato - stavolta nell'arco di due minuti - a stemperarsi in una parte nuovamente gestita su tempi medi, cupa, inquietante, scandita dal tetro suono delle campane. Beh, tutto a rispetto di un copione ormai stra-collaudato, eppure mentirei se vi dicessi che non ho apprezzato (o al contrario, ometterei una grossa verità se non vi dicessi che ho apprezzato), dato che sarà pure uno schema rodato, eppure se funziona non vi è nulla da fare, si resta ad ascoltare mesmerizzati, incollati magneticamente a delle trame che hanno, tramite non so quale alchimia, una capacità di presa davvero innegabile. Il tutto poi scivola liscio come l'olio sino alla fine - in fade out - di questo brano, e quando subentra il silenzio il primo impulso è quello di risentire di nuovo questo pezzo. Di risentirli di nuovo tutti. Perchè come dicevo nell'introduzione, la novità nell'ambito del rock duro è sempre gradita, ma il gusto del sangue, del marcio, del cinema horror di serie z, della sguaiatezza tipica di certo metal che sembrava retaggio degli anni ottanta... beh, tutte queste cose danno sempre un sussulto, ti fan scappare la lacrimuccia e ti riportano indietro di parecchi anni. Anche se il panorama attuale è cambiato, se persino questo prodotto non è un prodotto degli anni ottanta, ma il lerciume ravvisabile in queste trame lo rievoca parecchio.

Conclusioni

Arriviamo quindi alla fine della nostra disamina, e a quelle considerazioni finali che a onor del vero potrebbero aggiungere non molto rispetto a quanto già detto. Ho già espresso il mio particolare apprezzamento per questo disco, capace, data una certa schiettezza ed irruenza priva di orpelli, di riportarmi alla mente vari gruppi che anni orsono mi hanno fatto amare il genere. Non è un prodotto ottantiano ma la sguaiatezza di fondo ne rievoca i fasti, tenendosi ben alla larga da intellettualismi e contaminazioni a volte pretenziose che il genere ha visto sorgere gradualmente. È anche questo un prodotto "contaminato", certo - parliamo di black 'n' roll, o al più di black/thrash, dunque non è un genere a sé ma una contaminazione di generi - ma nella cui amalgama convivono sonorità che hanno la loro raison d'etre nella schiettezza più assoluta. Del resto facciamo riferimento a gruppi ruspanti come i Venom, come i Motorhead, volendo gli Slayer e sicuramente altre bands più o meno note sorte quando il metal e l'hard rock non puzzavano di raffinatezza e intellettualismo. C'erano i Rush, ok. C'erano i Blue Oyster Cult con quei testi sopraffini, e va bene. Sicuramente anche altri che ora la memoria mi impedisce di citare qui, su due piedi (sto scrivendo di getto), ma erano comunque mosche bianche in un panorama abbastanza schietto. Il che non vuol dire a tutti i costi "grezzo" ma eventuali raffinatezze non andavano mai a discapito dell'impatto. Che nel metal e ancor prima nell'hard rock è tutto. Il tirar fuori un sound capace di tramortirti all'istante, un riff più incisivo di una fucilata, un solo da spaccare le montagne. Ecco. Questo è stato il metal (almeno per me ragazzi), e fa piacere sentire gruppi che al giorno d'oggi, nonostante sia passata tanta acqua sotto al mulino, riprendano possesso di quello che il metal è stato anni addietro proponendo un prodotto che, lontano da invasive sperimentazioni, giochi maggiormente sull'impatto. Perchè, come spiegavo nell'introduzione, non è un male - anzi - che ogni tanto nel metal si proponga qualcosa di nuovo. Il pubblico (e noi critici, che comunque facciamo parte del pubblico) amiamo farci deliziare da novità - talvolta assolute - capaci di dare uno scossone al genere che qualche volta rischia di stagnare. Ma non è sempre necessario, considerando che, a parere di chi scrive, il metal è stato, fino a non molti anni fa, un genere per sua stessa natura "reazionario". Chiaramente evito di dire che lo è tutt'ora perchè molte cose sono cambiate, e quello che era un genere reazionario oggi sembra in qualche caso abbracciare con favore eventuali rivoluzioni. Ma sto forse divagando. Parlavo del disco. E ne parlavo in termini sicuramente positivi, considerando che, a parte un sound che è esattamente quel che amo sentire, consta di un cantante che sa davvero il fatto suo (Bill Morgan) e un terzetto di strumentisti assolutamente con i contro-attributi. Un ensemble di questo genere non sfigura minimamente se messo a paragone con altri gruppi navigati che viaggiano nella loro stessa traiettoria (li citavo prima: i Cruel Force, attivi da qualche anno prima di loro, i nostrani Baphomet Blood, i Nokturnal, i Desaster ed altri). Degni di interesse anche i testi, anche se la scelta di posizionare abbastanza varietà tematica nei primi brani e relegare le argomentazioni demoniache in tutta la seconda metà del disco, mi ha lasciato un pizzico perplesso. Ho già specificato che in un prodotto nato per essere ruspante la varietà non sarebbe neanche fondamentale se ben rimpiazzata da altri preziosismi (che in questo caso si materializzano in strutture musicali ben suonate e capace di catturare). Ma se si evoca lo spettro della "varietà", e in questo caso si parla di varietà a livello lirico, questa dovrebbe essere ben gestita. Dunque perchè piazzare brani di rievocazione storica, di contestazione sociale/religiosa, di glorificazione della sacra triade sesso/droga/rock'n roll nella prima parte, e lasciare che il resto parli di dannati, oscurità, inferno, anti-madonne? Poteva funzionare alla grande se i vari brani sotto questa tematica fossero stati riuniti in una mega-suite il cui termine "suite" poteva pure essere un pretesto per incollarli tra loro. Ma a conti fatti non è così, non mi pare che la scelta di piazzarli tutti dopo la seconda metà (precisamente iniziando da Up The Ante) segua un criterio preciso, quindi pur apprezzando sia le divagazioni da quello che sarà poi il leit motive dell'album, sia tutto il resto, apprezzo di meno un simile sbilanciamento. Non credo di parlare a sproposito dicendo che una miscela più omogenea (un brano di "divagazione" piazzato una tantum, che so, dopo due che parlano di madonne demoniache e dannati) avrebbe giovato abbastanza a un disco che a parte questo non conosce grossi svarioni. Questo è infatti il metal che un dinosauro come me, attaccato al passato migliore del genere, vuole sentire. Non un capolavoro, certo. Non penso che i nostri mirino effettivamente a sfornare capolavori, ma solo emozioni, che in questo nuovo millennio qualche volta sembrano latitare.

1) Dawn Of Domination
2) A Dose of Vengeance
3) Crimson Trenches
4) Death Cult
5) Demons Unleashed
6) Whiskey 'till Death
7) Un The Ante
8) Hellions Of The Oath
9) Midnight In Hell
10) Mongrels' Wrath / The Depravated Nazarene Whore
11) Unholy Allegiance