BARBAROSSA

He, Who Walks Alone

2016 - Invincible Records

A CURA DI
MARCO PALMACCI
24/02/2017
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Torniamo ad occuparci di underground italiano: la scorsa settimana, "Rock & Metal in my Blood" via aveva trascinato nei meandri di cimiteri abbandonati e case stregate, seguendo i cupi strascichii di una colonna sonora a forti tinte Horror. Quest'oggi cambiamo decisamente rotta, addentrandoci nella terra dell'estremo: sbattendo forte il grugno contro un solido wall of sound composto da Death Metal con forti connotati Thrash. Un condensato di sana ultraviolenza, propostoci dai giovani Barbarossa. Gruppo fondato ufficialmente nel Marzo 2014 e giunto al 20 Dicembre del 2016 al debutto ufficiale, mediante il rilascio di un EP composto da cinque brani ed intitolato "He, Who Walks Alone", oggetto della nostra odierna disamina. Prima di procedere nell'analisi track by track del prodotto in questione, tuttavia, è bene fornire un piccolo spaccato della storia dei Nostri, dall'anno di fondazione alla più viva contemporaneità. Come dicevamo pocanzi, il gruppo nasce nel Marzo del 2014 grazie alla sinergia instauratasi fra il duo Lorenzo / Davy. I primi due nomi "storici" del complesso, entrambi chitarristi ed allora (come oggi, del resto) desiderosi di conciliare le proprie idee ed istinti musicali in un prorompente unicum. Pneuma e monade del progetto, l'amore di entrambi per il Metal, meglio se estremo, sebbene inquadrato quest'ultimo in maniera non univoca (a detta dei due protagonisti, le loro idee iniziali erano addirittura "contrastanti"). Non passò molto tempo dalla primavera del 2014: Lorenzo e Davy cercarono infatti, in maniera piuttosto celere, di coinvolgere nel loro progetto musicisti i quali potessero fare al caso loro, giusto per iniziare a delineare concretamente il profilo di quel che poi sarebbero stati i Barbarossa. Iniziarono battezzandosi Stinger, formando un trio sprovvisto di bassista. Un'avventura che durò poco, almeno sino all'incontro con Cristiano Perin. Primo, vero importantissimo acquisto degli Stinger, i quali trovarono nel batterista un degno compagno nonché un preparatissimo musicante. Una primavera che dunque si rivelò infuocata: gli Stinger avevano difatti iniziato ufficialmente la stesura del proprio repertorio originale, creando ben otto pezzi e potendo addirittura contare su di un nuovo membro. Il bassista Alex Omega, subentrato proprio nella torrida estate di tre anni fa, giunto a dare man forte ad un giovane trio appena evolutosi, grazie a lui, in un quartetto. Dicevamo di un primo, importante repertorio composto: ben otto brani che consentirono ai Nostri di calcare i palchi e di prendere parte ad una serata in particolare, giudicata all'unanimità come importante crocevia della propria storia. Un bel concerto (tenutosi in data 6/12/2014) di spalla ai Craven, gruppo Death n' Roll di Castelfranco Veneto che i Nostri citano espressamente nella loro biografia, ringraziandone i componenti per gli stimoli donati e per la carica a loro infusa. Un concerto che galvanizza i furono Stinger.. per l'occasione ribattezzatisi appunto in Barbarossa. Un nome forte, d'impatto, rievocante la durezza dell'acciaio teutone; acciaio striato cremisi, forgiato dal fuoco della guerra e dei combattimenti all'ultimo sangue. Monicker rimandante ad una delle figure più affascinanti del Medioevo, ovvero il leggendario Federico I Hohenstaufen, detto appunto barbarossa. Imperatore del Sacro Romano Impero, protagonista in vita (ed anche oltre) di leggende circa la sua grande forza ed il suo notevole carisma. Si diceva, infatti, ch'egli fosse addirittura in possesso della mitica Lancia del destino: arma capace di rendere invincibile il proprio possessore, benché passibile di morte immediata se questi l'avesse per qualsiasi motivo deposta. Altro mito lo volle non morto bensì assopito, addormentato dai suoi cavalieri mediante un incantesimo. Al suo risveglio, secondo favolistiche ed epiche reminiscenze arturiane, egli si sarebbe risvegliato più forte e letale che mai. I nemici, quindi, non avrebbero avuto scampo. Una descrizione che fino ad ora renderebbe "onore" più ad una band Epic Metal che ad una compagine decisamente orientata verso il Death / Thrash Metal. Componente, quella estrema, ben rappresentata dal secondo riferimento storico che il nome barbarossa riesce a rievocare. Parliamo della famigerata "Operazione Barbarossa", nome in codice dell'assalto tedesco perpetrato ai danni dell'U.R.S.S. di Stalin, durante il secondo conflitto mondiale. Un mix, quello epico e violento, ben rappresentato anche dalla cover scelta per il debut dei Nostri, ovvero l'EP "He Who Walks Alone", licenziato dalla "Invincible Records" nel Dicembre del 2016 ed interamente prodotto da Lorenzo. Un artwork che, a prima vista, potrebbe farci pensare a qualche trovata stile Ex Deo, raffigurante un guerriero d'epoche che furono. Un fiero teutone bardato della sua armatura, coperto da un minaccioso elmo cornuto. Un guerriero a metà fra Thulsa Doom ed Arminio, pronto a sguainare la sua spada, puntandola alla nostra gola. Inutile dire che un siffatto invito non è da rifiutarsi. Selliamo dunque il destriero e prepariamoci ad affrontare questo mini ciclone di Death-Thrash Metal. Let's Play!

Confessions Through Torture

Iniziamo quindi il nostro viaggio con l'arrivo di "Confessions Through Torture (Confessioni tramite tortura)", prima traccia del lotto. Grida disperate alternate a risate sardonicamente sataniche lasciano presto il posto ad un riff massiccio ed incalzante, ben sorretto da una ritmica a tratti marziale. Chiari riferimenti al Thrash più violento ed oltranzista, rimandante in un certo qual modo a numi tutelari quali Slayer e Morbid Saint. L'urlo di Lorenzo, acido e di ampia durata, squarcia ancor di più la pesante e quadrata atmosfera, dando il via effettivo ad un brano che, dopo qualche parola "in solitaria" del singer, può partire lanciandosi verso velocità assai sostenute. Eco dei Cannibal Corpse si fanno largo sgomitanti, grazie ad una ritmica adesso serratissima e ad un bel riffing work di scuola sempre statunitense. Si giunge, dopo la prima strofa, ad un netto cambio di modus operandi. A dominare sono ora groove tipicamente Thrash, sempre di forgia slayeriana. Si riprende a picchiare in maniera più sostenuta con l'avvento della seconda strofa, mentre il refrain coincide con l'impennata grooveggiante già udita in precedenza. La struttura del brano non cambia sino al momento dell'assolo, ben eseguito da un Davy decisamente ispirato e tendente ad una melodia sinistra quanto sinuosa, ben spalmata su di un background duro ed implacabile. Ben presto, la distensione avvenuta grazie al momento solista viene spazzata via da un'accelerata letteralmente a valanga. E' il caso di usare il termine "valanga", riconducibile ai freddi ghiacci del Nord, dato che i Barbarossa di questo frangente sembrano più orientati verso un Death di stampo prettamente Svedese: un po' Unleashed un po' primi Amon Amarth, i Nostri corrono all'impazzata verso un nuovo refrain, questa volta conducente verso la fine, chiuso da una lunga nota sfumante ad libitum. Un brano decisamente d'impatto, potente e perentorio. Struttura assai lineare, nulla di nuovo o rivoluzionario; ma tanto basterebbe, ad un amante di certe sonorità, per divertirsi e ritenersi già ampiamente accontentato. Per quanto riguarda il comparto lirico di questa open track, potevamo già facilmente intuire dal titolo come esso potesse essere indirizzato verso la descrizione di un violento interrogatorio. Di ciò si parla, tornando indietro nel tempo, durante i periodi di massimo "splendore" della cosiddetta "Santa Inquisizione". Come tutti ben sappiamo, la Chiesa Cattolica promulgò leggi in favore dell'istituzione di particolari "tribunali", atti a vigilare su fenomeni di "eresia" o comunque rimandanti ad atti sobillatori / cospirazioni perpetrati ai danni dell'egemonia clericale. Personaggi come Torquemada tornano quindi a vivere nella memoria collettiva, e con essi i loro metodi brutali ed inumani. Il Tribunale dell'Inquisizione, di fatti, era noto per estorcere presentissime verità mediante un vasto campionario di torture, da infliggersi senza pietà alcuna. Dal cosiddetto "waterboarding" (affogamento simulato) a mutilazioni di vario tipo, dalla "Vergine di Norimberga" al palo, passando per le classiche e sempre efficaci frustate. I Barbarossa mettono particolarmente in luce l'aspetto sadico del boia, intenzionato più a procurare dolore nella sua vittima designata piuttosto che ottenere una confessione. La quale, nemmeno a dirlo, non potrà nemmeno essere considerata veritiera, visto che il torturato risulterà disposto a tutto pur di salvarsi da quel doloroso scempio. Interessante il riferimento ai Catari, paradossalmente perseguitati dai cattolici nonostante loro stessi credessero nella parola di Dio e ne seguissero (sebbene a livelli paurosamente ascetici) i dettami alla lettera. Un culto che non prevedeva l'obbedienza al papa e che costò loro la scomunica.. e, di conseguenza, l'imprigionamento nelle segrete, ove il tribunale avrebbe provveduto a fargli ammettere la loro colpevolezza.

Operation Barbarossa

Proseguiamo avanti tutta con il secondo brano, il quasi eponimo "Operation Barbarossa", pezzo immediatamente spinto oltre i limiti consentiti di decibel e velocità. Si parte speditissimi, ancora una volta attingendo a piene mani da stilemi Death tipicamente made in U.S.A., strizzando l'occhio ai già citati Corpse con l'aggiunta di qualche realtà maggiormente recente (nome a caso.. Gruesome); con il growl di Lorenzo sempre ottimo, rievocante a tratti il Barnes dei tempi d'oro. Un'impennata a dir poco convincente, ben supportata da un ensemble capace di innalzare un impenetrabile muro sonoro. Dei veri e propri Panzer, i Nostri Barbarossa non rinunciano comunque e nemmeno in questa occasione a "rallentamenti" certo d'impatto ma comunque dotati di un groove diverso, più Thrashy. Soprattutto nella seconda metà del brano, sembra di udire un riffing work assai vicino al modus operandi di un qualsiasi Kerry King. Ed in effetti, se la voce di Lorenzo fosse più simile (per timbrica ed espressività) a quella di Araya, avremmo potuto quasi dire di trovarci effettivamente in un brano degli Slayer più moderni (periodo "God Hates Us All", magari). Anche quando il singer (nonché chitarrista, lo ricordiamo) decide di lanciarsi in un breve assolo, nulla cambia. Un bel Thrash reso pesante dalle influenze e dalla pesantezza tipiche del Death Metal. Stilemi che conducono il brano sino alla sua conclusione. Un altro bell'episodio diretto e privo di fronzoli, i discreto impatto. Un brano dalla struttura molto semplice ma dominato da un'attitudine fiera ed indomabile, da tenere sicuramente sott'occhio. Maggiormente criptico il testo questa volta presentatoci, utilizzante non poche metafore atte a descrivere un concetto, ahinoi, antico quanto il mondo stesso. I Barbarossa decidono infatti di prendersela con la cosiddetta falsa beneficienza: ovvero, atti solo apparentemente "di carità" invece volti ad ingannare il prossimo. Ci viene quindi presentato un leone, il quale tende la sua mano ad un'ignara pecora. L'ovino è ovviamente intimorito dalle zanne del predatore, tanto che (lì per lì) vorrebbe rifiutare. Eppure, decide di fidarsi, siglando però la sua condanna a morte. Il leone, soddisfatto dell'inganno, non esiterà quindi ad azzannare un animale indifeso, reo di essersi fidato a cuor leggero di una bestia sua pari. Un racconto quasi "esopico" se vogliamo, rievocante alcune vecchie favole e motti greco / latini; descrivente, però, una situazione oggi più che mai attuale. Ovvero, quella del potente (ovvero il leone) in perenne contrasto con il povero (la pecora). Siamo governati da esseri privi di contegno o morale, i quali non esitano a mostrarsi affabili e sorridenti pur di comprare la nostra fiducia. Ammaliati da quei modi gentili e rassicuranti, decidiamo quindi di fidarci, non sapendo però a che pericolo stiamo andando incontro. Governanti avidi di denaro e potere, atti a scuoterci prendendoci dalle caviglie, pur di spremere dalle nostre tasche anche l'ultimo insignificante centesimo. Questo, il senso di un testo intriso di protesta sociale e decisamente efficace.

He, Who Walks Alone

Giro di boa compiuto con il terzo pezzo del lotto, la titletrack "He, Who Walks Alone (Lui, che cammina da solo)". Partenza melodicamente imperiale e sinistra al contempo, una chitarra cantilenante ben sormontata da rintocchi di ride, e da una batteria in generale che decide pian piano di inasprire le proprie ritmiche, sino a trascinarsi l'intera compagine verso lidi decisamente più massicci. Si dà dunque il via ad un brano dal flavour quasi à la Morbid Angel, nel quale una sorta d'oscura pesantezza sembra dominare l'intero svolgersi della canzone. Quasi ci trovassimo in atmosfere tipiche di album come "Blessed are the Sick" o "Covenant", i Barbarossa decidono di picchiare duro ma di adottare un'andatura non certo prevedibilissima. Questa volta notiamo come le componenti Death e Thrash non risultino troppo "separate" ma anzi siano ben più amalgamate, in maniera sapiente e centellinata. Con la sostanziale "benedizione" di Trey Azagthoth a farla da padroni, in ampia sintesi. Poco prima dell'assolo, eseguito questa volta da Davy, udiamo la ripresa dei sinistri espedienti iniziali, atti con la loro nenia sanguinolenta a creare un'atmosfera assai densa di pathos. Il chitarrista non si lascia quindi pregare e dà vita ad un nuovo assolo assai melodico e pungente, il quale chiude di fatto il pezzo. Le liriche di questo terzo episodio sembrano particolarmente intrise d'ascetismo, distaccandosi dalle tematiche più "sociali" ed impegnate affrontate nei testi precedenti. Il protagonista, colui che cammina da solo, sembra infatti una sorta di eremita. Un personaggio che ha volutamente deciso di spogliarsi d'ogni connotazione terrena per vivere in sintonia totale con la natura circostante, lontano da sovrastrutture urbane o comunque tipiche della "civiltà". Un superuomo di forgia nicciana, il quale abbandona ogni tipo d'ansia ed angoscia moderna per trovare se stesso, perso forse in uno sconfinato mare di caos. Uno stato di disperazione che stava iniziando a costargli caro, e dal quale egli ha deciso di allontanarsi. Trovando la cura ad ogni tipo di male interiore, sarà di conseguenza capace di trasmettere la sua conoscenza a tutti gli uomini, rendendo il mondo un posto migliore. Al momento, però, come uno sdegnoso eletto egli si limita ad osservare l'umanità dall'alto delle sue profonde conoscenze spirituali, rendendosi conto quanta ancora sia la strada che i suoi simili dovranno compiere, prima di aspirare alla pace dei sensi. Rinchiuso nella sua torre d'avorio, il solitario brama quindi di approfondire i suoi livelli d'ascetismo, arrivando persino a sfidare le barriere celesti. Oltre il cielo, ed oltre lo spazio.. per giungere laddove dimorano gli Dei, divenendo di conseguenza uno di loro. La sua missione è dunque estendere il suo spirito nel cosmo, raggiungendo vette mai neanche sognate da mente umana.

Into The Gloom

Senza riposo alcuno ci appropinquiamo ad ascoltare il quarto brano, "Into The Gloom (Nell'oscurità)". Si parte a ritmo di Thrash, quest'ultimo prepotentemente caratterizzato da un'andatura quasi "and Roll". Il tutto misto a pesanti chitarroni e roboante ritmica improntati su stilemi Death, recanti cadenze le quali non possono non far affiorare nella nostra mente alcuni momenti à la Entombed (da "Wolverine Blues" in poi). Un brano che riesce a coinvolgere grazie al suo essere scanzonato ed irriverente. Abbandonata la foga e l'oscurità dei precedenti pezzi , i Barbarossa sembrano in questa occasione più propensi a donarsi ad un qualcosa che suoni decisamente più "sfascione" che minaccioso. Un vero toccasana per questo breve EP, il quale viene senza dubbio reso più vario da questa eccellente trovata. Se il brano precedente risultava più maturo ed impegnato, anche e soprattutto dal punto di vista musicale, questo "Into the Gloom" ci svela invece l'indole più grezza ed impertinente dei nostri giovani veneti, impegnati in questo senso a distendere gli animi prima della fine definitiva. L'assolo, posto verso la fine del brano, risulta invece antitetico con la caratterizzazione di esso. Un momento solista che suona incredibilmente swedish Death, mettendo da parte gli Entombed per tirare in ballo altre realtà, più vicine ad un magniloquente Melodeath che altro. E' ancora Davy a far cantare la seicorde, cambiando volto ad un pezzo ora reso incredibilmente denso d'Epos e solenne carica emotiva. Ottimo lavoro, ancora una volta il quartetto ha saputo sorprenderci dopo due brani d'apertura forse troppo simili e prevedibili, come struttura (ma non per questo, lo ricordiamo, "scarsi" o privi di carica. Tutt'altro). In quest'occasione, i Barbarossa decidono di presentarci un testo assai particolare, incredibilmente oscuro ed inquietante. Il protagonista delle liriche, perso in un mondo tetro e frastornante (per alcuni tratti somigliante all'aldilà descritto da Lucio Fulci nel suo omonimo capolavoro), si chiede se tutto ciò che lo circondi sia realtà o magari frutto della sua immaginazione. Chiede conferme, vorrebbe essere rassicurato.. si rivolge quindi ad una figura misteriosa, la quale sembrerebbe essere la responsabile della sua presenza in quella sconfinata e maledetta distesa oscura. La figura non risponde: il protagonista capisce dunque di aver oltrepassato una linea di confine, un punto di non ritorno. La nebbia lo soffoca.. la nebbia dell'oscurità. Si potrebbe desumere, leggendo il testo, il fatto che il co-protagonista (ovvero l'interlocutore silenzioso) sia proprio la Morte, la quale sta accompagnando un'altra anima lungo la valle delle ombre. L'uomo comunque non ci sta, cercando di capire quale sia lo scopo di tutta quella vicenda. Implora la sua compagna di colpirlo, se è questo il suo sfogo. La Mietitrice, tuttavia, si limita ad osservarlo. Due occhi gelidi ed un silenzio di tomba: non v'è altro da aggiungere. "Stiamo camminando assieme.. ma non mi sono mai sentito così solo".

A Perverse Aesthetic

Chiudiamo in bellezza con il brano finale, il quinto "A Perverse Aesthetic (Una perversa estetica)". Una pioggia scrosciante fa da preludio ad un violentissimo riff pronto di lì a poco per palesarsi. Si parte a ritmo Death, con il brano che dopo l'intro diviene meno veloce e ben più marziale, porgendo comunque il fianco all'accelerazione killer udita ad inizio strofa. Le due strofe sono infatti introdotte da questa improvvisa impennata, salvo poi divenire più monolitiche e "quadrate" in fase di svolgimento. Passate due strofe si arriva quindi ad un improvviso "blackout", successivo alla solita accelerazione. Un momento di improvviso "stop" presto dominato dal basso di Omega (e prima di continuare, è doveroso "santificare" il lavoro sia di Alex che di Cristiano: una ritmica davvero sugli scudi). Dopo il bass moment è dunque tempo, per delle declamatorie clean vocals, di sostenere un refrain carico di groove ed effetto, certo ricco anch'esso di momenti "duri" ma ben più orientato a stupirci dal punto di vista espressivo. Un ritornello che viene quindi ripetuto due volte, recando discreta magniloquenza in un brano che vuole forse virare su territori maggiormente più complessi se messi a paragone con gli inizi di questo EP. Si torna a correre all'impazzata verso il minuto 2:59. Il Death / Thrash allo stato puro, introducente una nuova strofa; altra accelerazione improvvisa, una sorta di struttura dipanata su di un modus operandi carico di "stop and go". Si sfocia quindi nel particolare refrain, sempre caratterizzato da clean vocals di discreto impatto, recante in esso un'anima estrema ed una ben più misteriosa. Refrain che chiude il brano, e di conseguenza questo bell'EP. Ultimo brano, ritorna la vena critica che aveva contraddistinto il secondo pezzo. Questa volta, però, ad essere presa di mira non è la concezione di potere, subordinata ad un concetto di falsa beneficenza; tutt'altro si trattano temi ancor più sociali, riguardanti il culto dell'apparenza. Questa perversa estetica che ha di fatto esaltato all'inverosimile il nulla ed il vuoto più totali, facendoli assurgere a massima aspirazione dell'uomo moderno. Il quale ha sin dall'alba dei tempi ossessivamente disquisito sul concetto di "estetica", estendendo i significati del termine anche a tutto ciò non risultasse propriamente "bello" a vedersi (sarebbe quasi da compiere una piccola riflessione in merito alle idee di De Sade, strenuo difensore dell'estetica del sadismo). Una filosofia che dunque ci ha condotti verso l'odierna degenerazione, nella quale basta un semplice apprezzamento per sentirsi dei veri e propri superuomini. Si vuole apparire e solo apparire, ad ogni costo; mettendo su delle vere e proprie gare di inutilità, buone unicamente a saziare il miserabile ego di personaggi altrettanto miserabili. Un circolo vizioso che basa il suo esistere sulla menzogna, sulla vetrina: un fantasma che nel suo animo, arido come il deserto, non nasconde nulla se non ridicola superficialità. L'importante è farsi vedere, l'importante è strappare consensi. Fa nulla se, oltre "la fotografia", siamo il nulla più totale. Gli applausi valgono più di ogni valore, nell'epoca dell'estetica perversa, della glorificazione del vuoto: non v'è posto per la profondità d'animo, nel Kali Yuga.

Conclusioni

Arrivati alla fine di questo breve viaggio, il vostro affezionatissimo non si ritrova certo a dover formulare considerazioni altrettanto brevi. Perché, c'è da dirlo, questo giovane quartetto veneto ha dimostrato di padroneggiare molto bene la materia estrema, riuscendo a dar vita ad un prodotto molto interessante, seppur esiguo dal punto di vista del minutaggio. Un EP non propriamente imponente, ma neppure degno di scarsa considerazione. Partiamo dal principio, delineando in maniera rapida ed indolore quali sono i punti forse meno a favore di questa compagine; anche perché, dei pregi, potremo sicuramente parlare più a lungo. Volendo iniziare un discorso quanto più costruttivo possibile, è chiaro il fatto che i Barbarossa, in quanto gruppo emergente, rechino in loro stessi le naturali insicurezze gravitanti attorno ad ogni band loro coetanea. Un esordio che a livello di sound convince pur non strafacendo, ma che a livello di cura generale avrebbe dovuto esser rivisto ancora, limando più approfonditamente qualche sfaccettatura. Alcune volte, infatti, l'ensemble strumentale non sembra molto ben amalgamato, favorendo un leggerissimo dislivello fra suoni tipico delle self productions. Tuttavia, non mi sento certo di poter distruggere il lavoro comunque importante svolto da Lorenzo: il quale si è coraggiosamente messo in gioco, coadiuvato dai suoi bandmates, decidendo di lavorare in maniera autonoma su di un prodotto che di certo risulta (se non altro) schietto e genuino. Non perfetto ed ancora claudicante sotto certi aspetti, ma comunque vero, sincero. Niente orpelli e niente fronzoli. Non v'è trucco e non v'è inganno. Niente magia qui, cari lettori: i nostri drughi sono riusciti senza dubbio a colmare le lacune in fase di produzione con una bella attitudine D.I.Y (do it yourself) comunque da premiare, atta a trasportare in questi cinque brani tutto il loro entusiasmo, la loro voglia di fare. In tanti, al posto loro, avrebbero accampato mille scuse, pur di non realizzare almeno una demo. Invece, eccoci a parlare dell'esordio quasi totalmente "fatto in casa" di un gruppo giovane e rampante, vigoroso e desideroso di sfondare. Le idee esposte in questo "He, who walks Alone" sono senza dubbio interessanti: lo dimostra una partenza certo "prevedibile" ma presto seguita da tre brani molto sui generis, recanti in essi non poche sorprese. Trovate che rendono l'ascolto non monotono ma anzi variegato il giusto, pur non allontanando troppo il discorso dai canoni estetici preponderanti dell'Estremo. Quali la velocità e la brutalità sonora. Una foga, quella posta ala base di queste cinque tracce, che ben si scaglia contro l'ascoltatore, riuscendo senza dubbio a farlo divertire, ad appassionarlo. Giovani e proprio per questo scalpitanti, sia dal punto di vista musicale sia attitudinale. La rabbia tipica di chi ha appena iniziato a muovere i suoi passi all'interno del mondo Metal, ma che ha già deciso di volervi rimanere quanto più a lungo possibile. E' d'uopo, quindi, promuovere questa realtà non ancora a pieni(ssimi) voti: quelli arriveranno, senza dubbio, quando i Barbarossa dimostreranno di potersi "dilungare" componendo un intero full-length, potendo sviluppare le loro idee in maniera decisamente più corposa e ad ampio raggio. Per il momento, possiamo senza dubbio rivolgergli un importante cenno di gran consenso. Ringraziandoli per averci esaltato e per aver dimostrato a tutti quanto la nostra scena, benché se ne dica, sia ancora piena di ragazzi umili e volenterosi di riuscire con le loro sole forze. Niente "primodonnismo" della domenica: solo tanta voglia di collegare la chitarra all'amplificatore, di calibrare bene il suono.. e di suonare, suonare, suonare. 


(NB: utilizzo nelle foto in allegato gentilmente concesso da Irene Eva Scapin)

1) Confessions Through Torture
2) Operation Barbarossa
3) He, Who Walks Alone
4) Into The Gloom
5) A Perverse Aesthetic