BANGALORE CHOIR

Metaphor

2012 - AOR Heaven

A CURA DI
CESARE VACCARI
16/05/2012
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione

Prima di parlare dell'ultima fatica dei Bangalore Choir, "Metaphor" mi sembra il caso di rinfrescarci un attimo la memoria (compresa la mia). Dopo aver registrato "Eat The Heat" con i teutonici Accept, in sostituzione di Udo Dirkshneider, e aver partecipato al loro tour americano, nel 1992 David Reece torna a Los Angeles con l'intenzione di formare una propria band e di cercare un nuovo contratto con una major. Nascono così i Bangalore Choir che pubblicano lo stesso anno "On Target" per la Giant Records. Manco a dirlo, anche se l'album ha un discreto successo, i bollori vengono rapidamente raffreddati dall'arrivo dell'ondata grunge di Seattle, che propone un tipo di sound che le band di hair-metal ispirate alla musica degli anni '80 non possiedono. Quindi il progetto viene accantonato. Negli anni a venire Reece passerà continuamente da una collaborazione ad un'altra, partecipando anche al primo album solista di Alex de Rosso (1995). Diciotto anni dopo, nel 2010, sembra che i tempi siano di nuovo maturi per la musica proposta dai Bangalore, e coinvolgendo gli altri membri originali della band, Curtis Mitchell (chitarra) e Danny Greenberg (basso) esce l'album "Cadence", al quale partecipa sia come chitarrista che come produttore Andy Susemihl (U.D.O.), personagio ben noto nell'ambiente musicale per il suo talento indiscutibile.

Dopo meno di due anni dall'uscita del suo predecessore, ecco pronto nei primi mesi del 2012 questo "Metaphor", che vede i Bangalore Choir praticamente schierati con la stessa formazione del disco precedente: Andy Susemihl è definitivamente nella band e dietro ai tamburi siede Rene Letters, che mette anche a disposizione il suo studio personale per la registrazione delle parti di batteria. Da qui i files ottenuti vengono inviati a St. Paul, in Minesota, dove David aggiunge le parti vocali. E' poi il turno di Curtis e Danny che registrano le tracce di loro competenza a Carson City, nel Nevada. Ultima tappa del master la Germania, dove Andy mixa e masterizza il prodotto finale.

L'album contiene inoltre diverse collaborazioni con amici della band, come Rikard Quist che ha partecipato alla stesura di "Sihouettes On The Shade" e "Scandinavian Rose", oppure Jon Wilde che ha lavorato ai testi insieme a David, dopo aver già condiviso con lui l'esperienza Reece-Kronlund.

Questa lunga epopea che il master ha vissuto, possibile oggi grazie all'era del digitale e dell'elettronica e fino a pochi anni fa impensabile o comunque troppo dispendiosa, sia in termini economici che di tempo, non ha in nessun modo intaccato la qualità o la coesione del prodotto finale che è stato ottenuto. Il CD suona fresco e molto "live", come se la band avesse suonato insieme nelle session di registrazione. Il genere è hard/metal melodico a cavallo tra il vecchio e il nuovo continente. Alcune canzoni si avvicinano molto alle produzioni europee di Bonfire, Gotthard, Pink Cream 69 etc., in particolare "All The Damage Done", che apre le danze," Trojan Horse", "Silhouettes On The Shade" e "Always Be My Angel". Altre suonano decisamente più americane, vicine in alcune occasioni all'hair metal degli anni'80. Alcuni esempi sono la title track "Metaphor", "Don't Act Surprised" o la quasi acustica "Never Face Ole Joe Alone", in cui steel guitar e armonica la fanno da padrone.

Quello che salta immediatemente all'orecchio è il lavoro raffinato e estremamente complesso delle chitarre, che intrecciano riffs sempre lontani dallo scontato, ricordando in alcuni casi il lavoro di Mike Slamer con gli Steelhouse Lane, autori di uno "Slave Of The New World" indimenticabile. Questo vale sia per le parti ritmiche che nelle funamboliche parti soliste. "Catch An Angel Fallin'" e "Civilized Evil" gli episodi dove più evidenti sono queste similitudini. La voce di Reece, graffiante ma mai eccessivamente sotto sforzo, risulta calda e aggressiva nei momenti giusti. Precisa e potente al punto giusto la sezione ritmica, con una batteria che sfoggia suoni reali di buona fattura. Insomma, complessivamente un buon album, raffinatamente melodico ed aggressivo al punto giusto nelle composizioni più veloci. Nulla di innovativo o che faccia gridare al miracolo, ma da godere in tutte le sue sfumature dalla prima all'ultima nota.


1) All The Damage Done
2) Trojan Horse
3) Silhouettes On The Shade
4) Metaphor
5) Don't Act Surprised
6) Never Face Ole Joe Alone
7) Scandinavian Rose
8) Catch An Angel Fallin'
9) Civilized Evil
10) Fools Gold
11) Always Be My Angel