The Doors
The Doors: Original Soundtrack Recording
1991 - Elektra

Andrea Ortu
Davide Cillo
DOPPIATORI:
Enrico Vaioli
The Doors: musica originale
DATA RECENSIONE:
16/06/2021
TEMPO DI LETTURA:











Introduzione
Quando le porte della percezione si apriranno, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite.
William Blake, "Il Matrimonio del Cielo e Dell'Inferno"
È il 1954: lo scrittore britannico Aldous Huxley pubblica il saggio "The Doors of Perception", il cui titolo fa esplicito riferimento all'opera di William Blake. Siamo negli anni della cosiddetta beat generation, fenomeno culturale di portata generazionale la cui influenza si riflette sull'arte, sulla letteratura, e naturalmente: nella musica. Un'ondata di proporzioni storiche che l'Europa assimila a modo suo, filtrandola attraverso quel grande ponte fra un lato e l'altro dell'Atlantico chiamato "Gran Bretagna". Il Regno Unito, dopotutto, gioca da sempre con gli Stati Uniti un gioco al rimpallo fatto di tendenze, mode e rivoluzioni culturali, ora influenzando, ora lasciandosi influenzare. Il saggio di Huxley è di quelli destinati a far discutere, il tema è: esperienza sensoriale ed extrasensoriale attraverso l'assunzione di mescalina, ruolo delle sostanze allucinogene nell'arte e nella religione, e infine, il superamento della normale percezione attraverso l'uso di droghe. Negli anni '50, quello di Huxley è un dibattito ancora aperto, ma lo scrittore non ha neanche la più pallida idea dell'ispirazione che il suo saggio darà ai movimenti futuri.
È il 1971, il 3 di luglio: Jim Morrison viene trovato morto in una vasca da bagno nel suo appartamento a Parigi, per motivi che non sapremo mai. Morrison era nato ventisette anni prima a Melbourne, in Florida, ma la sua creatività e la sua carriera erano sbocciate al sole della California, terra degli avventurieri, dei folli e dei disperati, patria degli ultimi sciamani. Pensava di fare cinema, Jim, così a Los Angeles frequentava i corsi di Jack Hirschman all'UCLA, la prestigiosa Università della California, e in quell'ambiente fecondo faceva sua l'estetica e la poetica di Artaud, dei surrealisti e degli esistenzialisti, trovando tuttavia più disillusione che vocazione. Nel frattempo, si dilettava scrivendo versi e canzoni. Nel 1965 Jim Morrison si trasferiva a Venice Beach, e sulla spiaggia incontrava un compagno d'università interessato a quei versi: Ray Manzarek, un musicista di talento, un tastierista capace di supportare idee avanguardistiche con la più totale lucidità - una qualità che si rivelerà assai preziosa, a lui e soprattutto a Morrison. Poco tempo dopo i due fondavano i The Doors, mettendo in moto gl'ingranaggi del destino. Con John Densmore alla batteria e Robby Krieger alla chitarra, i Doors rispondevano all'attacco della british invasion e determinavano le nuove regole del gioco, dando l'avvio a sonorità in bilico fra tradizione e sperimentalismo, ma soprattutto, al di là del sound, a un'estetica che avrebbe modificato per sempre l'immaginario collettivo. La band di Morrison stava plasmando la poetica di una generazione, il suo linguaggio e i suoi desideri, e il cantante - una delle figure più carismatiche del 900 - forgiava insieme a pochissimi altri l'immagine della moderna rockstar. Sì, i Doors avevano aperto le porte della percezione ai giovani americani, ma ora, il corpo inerme nell'acqua immobile, muore James Douglas Morrison, l'uomo, e nasce Jim Morrison, la leggenda.
È il 1991: I The Doors sono ormai storia. Per i ragazzi del grunge, del punk, del rap, del metal estremo e dell'elettronica, quella è musica di padri e di madri e di appassionati troppo alternativi, per ascoltare roba contemporanea. Ma se il "come" non regge mai la prova del tempo, il "cosa", di contro, resta impresso a fondo nel tessuto sociale: è il Mito, che con la sua narrazione epica, vince facilmente sulla storia e la sua asciutta aneddotica. Morrison, l'artista, il poeta, è adesso oggetto di consumo impresso su milioni di magliette, la sua faccia stampata su decine e decine di libri, e le sue opere - canzoni e poesie scritte un passo oltre la soglia della percezione - usate e abusate a seconda del bisogno d'una cultura di massa sempre più vorace. Travolto dallo scintillio patinato degli anni '80 di Ronald Reagan, il Rock, da linguaggio della controcultura e simbolo di ribellione, è divenuto innocuo establishment. Molte sono le voci che da più parti gridano la morte del rock 'n' roll, così come già avevano gridato quella prematura del punk; sarà forse per questo che Oliver Stone, regista già acclamato per capolavori come Salvador e Platoon, nonché sceneggiatore di pellicole di culto come Scarface e Conan il Barbaro, decide di lavorare a una pellicola che racconti un momento cruciale nella storia del rock. Quel momento si chiama "The Doors". Dopotutto, a breve saranno vent'anni esatti dalla morte di Jim Morrison. Il film esce a marzo e s'intitola proprio così: "The Doors", ma a ben vedere sarebbe più opportuno si chiamasse "Morrison", perché il regista americano non è affatto interessato a raccontare i musicisti intorno al cantante, né più di tanto l'opera della band. Anzi, a dire il vero non è nemmeno interessato a Jim Morrison... non all'uomo e al musicista, almeno, ma solamente, unicamente, quasi maniacalmente, a Jim Morrison idolo e leggenda. Stone, dopotutto, è un artista la cui spiccata visione autoriale si riflette non solo in un'estetica potente e fuori dal comune, ma anche in un piccolo universo ideologico e simbolico. I fans dei The Doors non apprezzano la cosa, così come non l'apprezzano i membri superstiti della band, che pure, nel '78, ben pochi scrupoli s'erano fatti a dare forma a "An American Prayer", raccolta di poesie che Morrison intendeva tenere ben distante dalla musica dei Doors; a Oliver Stone tutto questo non interessa granché. Quello che interessa al regista è innanzitutto offrire un gioiello d'arte visiva graziato da una colonna sonora d'eccezione, e in questo, senza ombra di dubbio, Stone riesce alla perfezione, aiutato peraltro dalla notevole interpretazione di Val Kilmer nei panni di Morrison, nonché da un cast generalmente all'altezza: Meg Ryan è Pamela Courson, la compagna di Jim, Kyle McLachlan interpreta Manzarek e Frank Whaley e Kevin Dillon, interpretano rispettivamente Krieger e Densmore. Il momento storico si rivela cruciale: l'hip hop, in questo inizio d'anni '90, sta prendendo piede e ben presto erediterà alcuni dei valori fondamentali del rock 'n' roll, ovvero aggregazione e critica sociale; mentre il punk arranca sulle sue ceneri, e il metal ritorna ad essere sì controcultura, ma sempre più rivolto ad una nicchia, e mentre l'elettronica scrive capitoli di storia completamente a parte, è il movimento cosiddetto grunge - il "sound di Seattle" - a definire i sentimenti di una nuova generazione, la sua estetica e il suo atteggiamento nei confronti della vita. Molti l'hanno in odio, ma in fondo è semplicemente il Rock, in una delle sue ultime e più sincere incarnazioni. Le differenze tra ieri e oggi sembrano tuttavia insormontabili: il rock 'n' roll dei The Doors era spinta dionisiaca, il grunge è puro intimismo; il rock 'n' roll era unione e rivoluzione sociale, il grunge è individualista e disilluso; il rock 'n' roll era eccesso, il grunge è castigato e dimesso. Entrambi, però, urlano le loro ragioni con rabbia e disperazione; entrambi ricercano l'amore, l'uno con innocente certezza, l'altro con ostinata speranza. Entrambi, soprattutto, flirtano con la morte e viaggiano sul filo del rasoio. Il 1991 è l'anno di Nevermind, disco simbolo dei Nirvana, band di un uomo che come Morrison morirà prematuro, a ventisette anni, e che proprio come Morrison abdicherà la sua umanità in favore del mito, divorato da una società drammaticamente affamata d'idoli. Entrambi hanno conosciuto e conoscono il potere ambiguo della droga. Il rock 'n' roll di Jim Morrison era psichedelico e rivoluzionario, il grunge è de-saturato e depressivo, ma entrambi perseguono un'autodistruzione che fa parte del gioco, tragica scala per il paradiso che significa Immortalità. Il film di Oliver Stone è dunque non già mera biografia, né realistica rappresentazione, ma è confronto generazionale, riflessione post-moderna sul rock inteso come linguaggio e sulle sue future direzioni. È indispensabile punto della situazione. Il Morrison di Oliver Stone è un personaggio esasperato, è celebrazione esaltata e drammatica del mito, anzi, del simbolo che oggi rappresenta Jim Morrison, e "The Doors", nonostante il titolo, è il ritratto volutamente esasperato d'una generazione nell'atto di scrivere la storia semplicemente vivendo, bruciando la vita.

The Movie
Avete avuto un buon mondo morendo? Abbastanza da farci un film?
- Jim Morrison
The Doors: Original Soundtrack Recording, colonna sonora tratta dal film, racconta la storia dei Doors meglio del film stesso, ripercorrendo le vicende del gruppo attraverso le sue canzoni. Tuttavia, la prima traccia non è esattamente una canzone, e a dir la verità non è neanche dei Doors: è una poesia di Morrison intitolata The Movie, "il film" - l'ideale, avrà pensato Oliver Stone, per aprire la sua personalissima opera. La vicenda ha inizio quasi dalla fine, con un flashback di Jim nel 1970, già famoso e desideroso di lasciarsi alle spalle una band ormai scomoda, d'intralcio ai suoi progetti più intimi, personali e fuori dagli schemi. Tra questi, c'è l'incisione delle poesie da lui scritte nel corso degli anni, poesie che l'artista vuole senza musica... be', almeno senza quella dei The Doors. La poesia risale al 1964, negli anni della facoltà di cinematografia all'Università della California, a Los Angeles, ed evoca la fascinazione dell'oggetto-film, della sala cinematografica e della rappresentazione in generale, ponendo al centro la sensazione pura e rifuggendo ogni dialettica concettuale - almeno fino all'interrogativo finale. Nella visione di Morrison, quasi un'allucinazione o un'esperienza premorte, gli ultimi istanti nella vita d'ognuno sono dipinti delle tinte grigie d'una processione silenziosa, una marcia desolata tra le poltrone di un cinema che manda su schermo l'Esistenza - quella di Morrison, la nostra, di tutti. Il poeta fa uso degli elementi più eclettici della sua epoca, le avanguardie della music concrete e dell'elettroacustica, con particolare orientamento verso la spatial music di Karlheinz Stockhausen e all'opera di John Cage. I suoni, minimali e distorti, offrono una sensazione d'ineluttabile solennità, una magnificenza oscura che il cantante spezza con la domanda più importante di tutte: Avete avuto un buon mondo, morendo? Abbastanza da farci un film? La poesia, in barba a quelle che erano le volontà di Morrison, è stata aggiunta all'album "An American Prayer", uscito sette anni dopo la morte del cantante. Nel '78, i diritti sulla proprietà intellettuale di Morrison appartenevano alla famiglia della compagna, Pamela, morta pochi mesi dopo di lui, e al resto della band. Nessuno si fece tanti scrupoli a usare una raccolta di poesie che Jim aveva pensato per un altro compositore, con un altro artwork, e a trasformarla in un "album dei Doors", con ben altra musica e il ben più vendibile ritratto di Morrison sulla copertina. Oggi quel disco è un'opera di duplice rappresentazione: quella di Morrison uomo e poeta, lontano dall'idolo, e quella del mondo che l'ha nutrito per poi divorarlo, risputarlo e divorarlo ancora.

Riders On The Storm
Indiani disseminati sull'autostrada all'alba / Fantasmi sanguinanti affollano i bambini / La cui mente è fragile come un guscio d'uovo - Jim Morrison, Ghost Song
Il regista spiazza ancora una volta l'ascoltatore con un nuovo flashback, passando con disinvoltura dal 1970 ai primi anni '50, a un momento determinante e fondamentale nella formazione del giovane Morrison. In quegli anni Jim è solo un bambino, gli occhi che scrutano il desertico panorama del New Mexico da dietro il finestrino d'un auto. I genitori siedono davanti, il padre guida. Sul bordo della carreggiata, uno spettacolo orrendo: i corpi di numerosi nativi americani, morti o morenti, sono riversi ovunque sul terreno infuocato. Erano ammassati su di un furgone e andavano a lavorare, poi, semplicemente, l'incidente e la morte. Da quel giorno, Jim sarebbe stato convinto di essere divenuto la dimora di quegli spiriti, di averli con sé, dentro di sé, come se da bambino avesse respirato l'essenza vitale di quegli uomini prima che potesse disperdersi nel vento. Ero solo un bambino. E un bambino è come un fiore con la testa scossa dal vento. Lo sfondo scelto dal regista è un brano dei Doors tra i più famosi, Riders On the Storm, "cavalieri della tempesta". Un titolo evocativo per un brano evocativo, sia dal punto di vista concettuale che sonoro. Quel suono di tuoni, e pioggia, e vento che apre il brano, gioca in antitesi con le immagini del deserto americano. L'intera canzone sembra così nascere dalla tempesta, o cavalcarla, su poche ma incisive note di piano, su di una chitarra minimale e raffinata, dal piglio surf rock, e infine su di un basso determinante a opera di Jerry Sheff, già bassista di Elvis Presley, colonna fondamentale di una melodia rilassata e sognante, perfino effimera. Le tastiere crescono ancora e ancora fino a determinare la catarsi dell'opera, per andare a stemperarsi solamente sul finale. Così portato sullo schermo, è un gioco di contrapposizioni decisamente degno di Oliver Stone: nel primo flashback, siamo nel 1970 e ascoltiamo versi scritti molti anni prima, nel secondo, assistiamo a eventi passati ascoltando l'ultimo, vero capolavoro realizzato dai Doors. "Riders On the Storm" è infatti parte di L.A. Woman, del 1971, sesto album della band californiana e ultimo con la voce di Morrison. La musica è ispirata a "Riders in the Sky: a Cowboy Legend", di Stan Jones, mentre il testo è idealmente ispirato, almeno in parte, alle parole e alle azioni di Billy Cook, un serial killer le cui vicende avevano già ispirato "An American Pastoral", film sperimentale di Morrison da non confondersi con l'omonimo del 2016. Il cantante pone all'ascoltatore una visione dell'infanzia e della crescita drammatica, la consapevolezza d'essere brutalmente gettati in un mondo crudele senza alcun appiglio, e a tali considerazioni alterna strofe taglienti e sarcastiche: rapidi scorci d'un assassino sul ciglio della strada, un autostoppista pronto a uccidere chiunque gli offra un passaggio. Lui, le sue vittime, Jim Morrison, chi suona e chi ascolta, chi uccide e chi viene ucciso: sono loro, siamo noi tutti a "cavalcare la tempesta" chiamata vita, gettati dalla la nascita nel suo caotico turbinare di nuvole e tuoni e fulmini, cullati infine da una pioggia che tutto pulisce e infine cancella.

Love Street
All'età di diciannove anni, Pam arrivò ad Hollywood per trovare se stessa; invece, trovò Jim. Erano come Romeo e Giulietta. Litigavano come diavoli, ma erano fatti per stare insieme. Pam desiderava ardentemente essere all'altezza di Jim.
- John Densmore su Pam e Jim
Il travagliato rapporto di Jim Morrison con Pamela Courson riveste un ruolo particolarmente importante, nella narrazione di Oliver Stone. Il regista utilizza la compagna del poeta come puro e semplice espediente narrativo: in parte, come metro di misura della lenta ma ineluttabile metamorfosi umana di Jim, e in parte, soprattutto, come ideale confine tra due mondi, quello reale e quello mentale. Nella narrazione di Stone, Pamela è spettatrice passiva della vita propria e di quella di Jim, è allo stesso tempo un'ancora di salvezza e una fatale zavorra; il suo entrare e uscire dalla perenne allucinazione in cui vive Jim Morrison, permette allo spettatore di fare lo stesso. Principalmente, Pamela rappresenta l'ultimo legame di Morrison con il mondo esterno, fatto di responsabilità e regole sociali, nel bene e nel male. Per dipingere un personaggio del genere e il suo rapporto col Mito, il regista non si pone alcuno scrupolo ad uscire dalla biografia ed entrare nel romanzo. Quasi ogni elemento della relazione tra Jim e Pamela è così esasperato o distorto, talvolta inventato. Il primo incontro fra i due è parte di quest'ultima categoria. Alcune biografie e lo stesso Manzarek, nel suo libro "Light My Fire: My Life With the Doors", dicono che Pam incontra per la prima volta Jim ad un nightclub di Los Angeles, il London Fog, durante una delle prime serate dei Doors. Il regista sceglie un'altra ambientazione e un altro periodo, antecedente la formazione della band, probabilmente, vista la natura centrale e simbolica del personaggio di Pamela, per dare maggiore spessore e romanticismo alla sua figura e al suo rapporto con Morrison. Il sottofondo alle prime inquadrature sulla ragazza è la sfuggente Love Street, letteralmente "Strada dell'Amore", brano che ben rappresenta l'unicità di un rapporto decisamente anticonvenzionale. Il disco che l'ospita è quello del 1968, il terzo: Waiting for the Sun. Love Street ha un suono pigro ed assolato, una calma riflessa da una ritmica decisa, ma regolare e cadenzata, piuttosto classica, come classiche sono le atmosfere barocche e i movimenti del piano di Manzarek. Meno di tre minuti definiti da queste semplici componenti, dalle sfumature elettriche del Gibson G-101 di Ray, dal fitto dialogo tra piano e chitarra acustica e infine dalla voce, centrale, profonda e pregnante di Morrison, decisamente protagonista e in assoluto risalto. Il testo parla di una donna che vive in questa Via dell'Amore, una ragazza eccentrica e saggia, bella e giovane. Morrison traccia una sorta di topografia: la casa della donna, il giardino, il negozio in cui "s'incontrano le creature", ovvero i giovani amanti, e su tutto, il desiderio di osservare ciò che avviene nell'abitazione della ragazza, come se oltre quel giardino risieda la sua stessa anima nuda. Oliver Stone decide di lasciare da parte la storia e di raccontare la favola: nella sua rappresentazione, Jim e Pamela s'incontrano in una casa del tutto simile a quella di Love Street, in un'estate identica a quella accennata nel brano. Al posto del giardino, il regista preferisce un più canonico balcone, da secoli teatro delle più grandi storie d'amore. Dopotutto, a ispirare al cantante il tema del brano è proprio il nido d'amore suo e di Pamela, una casa da cui era possibile osservare i figli della generazione dell'amore libero passeggiare, flirtare, baciare. La Via dell'Amore si chiamava e si chiama Rothdell Trail 8021, al Laurel Canyon di Los Angeles; da lì, Jim Morrison e Pamela Courson ammiravano placidamente l'amore fiorire intorno a loro, traendone un calore che andava a confondersi con quello, intenso, del sole californiano.

Break On Through (To The Other Side)
Ci sono cose conosciute e ci sono cose sconosciute. Nel mezzo, ci sono le Porte della Percezione.
- Aldous Huxley
Break On Through, cui fa eco il sottotitolo "To the Other Side", è un brano il cui titolo indica il passaggio, forzato e brutale, da un lato all'altro di una barriera apparentemente insormontabile. È stato il primo singolo dei Doors, un pezzo dai riscontri mediocri e dalla diffusione limitata, recuperato nel tempo e assurto lentamente a grande classico della band. Oliver Stone ne fa il sottofondo di uno dei pochi scorci dedicati al rapporto di Morrison col gruppo, e dell'approccio di questo al duro lavoro che è la musica. Una scelta piuttosto coerente con la cronologia dei Doors e che permette, attraverso pochi e sintetici passaggi dialettali, di definire i ruoli artistici dei vari componenti, sottolineando, implicitamente, la non totale centralità di Morrison nella ricerca creativa della band. La ritmica del brano è regolare ma concitata, quasi turbolenta, chiaramente influenzata da sonorità vicine al Sudamerica e alla cosiddetta bossa nova; il cantante, scatenato e altrettanto concitato, si esibisce in urla scomposte che negli anni '60 riescono ancora a scandalizzare qualcuno. Il resto è definito da un dialogo piacevolmente disordinato fra tastiere e chitarra. Quest'ultima, come riferito dallo stesso Robby Krieger, è ispirata a una versione di "Shake Your Moneymaker" di Paul Butterfield, e quindi, indirettamente, alla matrice blues del buon vecchio Elmore James. Nel suo strano e volutamente "scompigliato" assolo d'organo - culmine centrale della canzone - Ray Manzarek trae probabilmente ispirazione da un altro Ray, ben più famoso e almeno altrettanto creativo: Ray Charles, e in particolare l'ormai storica "What'd I Say". Alla fine, "Break On Through" è un brano che vive di sensazioni figlie del loro tempo, e che tuttavia esce, se non addirittura rifugge, i canoni della popular music anni '60. Per questo, forse non fu capito, o forse, non era semplicemente il pezzo adatto a far gridare al miracolo. L'elemento determinante e dirompente, alla fine dei conti, è il testo di Morrison, sorta di piccolo manifesto artistico decisamente sopra le righe. Sembra una canzone d'amore, e invece, le braccia ch'erano di conforto si rivelano catene, e gli occhi, una volta ricolmi di sentimento, sono adesso specchio di menzogna. Ma il cantante non è affatto interessato a descrivere la fugacità dell'amore, né una delle tante femmine fatali d'antica tradizione blues; piuttosto, sembra indicare come catene della mente quei legami stabili, quelle regole sociali, che per lui e parte della sua generazione sono mera scoria perbenista e borghese. "Break On Through" incoraggia dunque a superare i confini stabiliti e prestabiliti, vivere ogni settimana, ogni giornata, ogni ora al pieno delle proprie possibilità e anche oltre, fino ad arrivare "dall'altro lato" di se stessi. Un'interpretazione che però è solamente metà della medaglia. Il neo-sciamanesimo di Morrison ha uno strumento ben preciso, al centro della sua liturgia, un tramite fra diversi stati di coscienza che qui chiama "la bimba che tutti amano", ovvero, ovviamente, la droga. Un elemento fondamentale che ridefinisce alcuni versi, caricandoli di un doppio significato: le braccia che incatenano e gli occhi che mentono rivelano adesso l'uso scorretto della sostanza, usata per evadere e fuggire una quotidianità mediocre o drammatica, mentre il superamento di uno stato limitato di coscienza, e il raggiungimento di nuove dimensioni dell'umana percezione, sono il fine ultimo e più alto di una filosofia, anzi, una religione, che fa della droga la sua nuova eucaristia. Il senno di poi, come sempre, avrebbe decisamente chiarito i confini di tali convinzioni.

The End
The End, "La Fine", è un brano di una tale intensità compositiva e poetica, di un tale spessore artistico, che si fa fatica a realizzare sia parte del primo disco dei Doors, un'opera che dovrebbe rimanere - e che in buona parte effettivamente rimane - sui binari d'una maturità creativa ancora tutta da concretizzare. Oliver Stone, nel suo film, ne utilizza le iperboli poetiche per descrivere il carattere artistico di Morrison, e le difficoltà che tale carattere ponevano alla band e al suo desiderio di spiccare il volo. La cornice è quella del famoso Whisky a Go Go, lo storico locale a West Hollywood, un palco che nella sua lunga storia ha visto le esibizioni di Jimi Hendrix, dei Led Zeppelin, dei The Who, dei Black Sabbath, dei Van Halen, dei Linkin Park, degli Slayer, e un'infinità d'altri nomi storici. All'epoca delle prime esibizioni dei Doors, il Whisky a Go Go è ancora giovane. Non ospita la tendenza: la crea. È in assoluto il luogo ideale da cui iniziare a volare. Quanto a The End, visti i suoi quasi dodici minuti di liturgica durata, non è certamente il brano più indicato al successo di massa, la canzoncina disimpegnata da mandare in radio a far ballare le ragazzine. The End è indubbiamente un'opera dalle pretese più complesse, ma se il suo successo va di pari passo con quello del primo album, la sua grande notorietà, anzi, la sua attuale pregnanza nell'immaginario collettivo, è soprattutto postuma. Jim Morrison muore nel 1971, e sebbene avesse già fatto un pezzo di storia, il lutto dura il tempo d'uno schiocco di dita. Dopotutto sono gli anni '70, epoca delle grandi rock band, di David Bowie e di Lou Reed, di rivoluzioni musicali e culturali che s'avvicendano una di seguito all'altra. Morto un messia, ne spuntano altri dieci a prendere il suo posto. Quando la tempesta pare placarsi almeno un poco, nel 1978, quel che rimane dei Doors fa uscire "An American Prayer", opera un po' ruffiana, un po' sincera, completamente centrata su Morrison e sulla sua commemorazione. La critica è divisa ma il disco ottiene quanto sperato, e il nome dei Doors torna a riempire le riviste, a imperversare su radio e televisioni, a girare di bocca in bocca. Jim Morrison, da martire fascinoso e maledetto, trasfigura adesso in figura mitologica dai contorni addirittura astratti, impalpabili. Nel 1979 esce Apocalypse Now, il capolavoro di Francis Ford Coppola e John Milius, tra le pellicole più grandiose mai girate, e opera dalla penetrazione profondissima nell'immaginario collettivo tutto. Il pezzo di punta di quel capolavoro, momento di una delle più grandi anti-catarsi mai viste sul grande schermo, è proprio The End. Da qui in poi, la canzone diviene leggendaria quanto il suo stesso autore, impermeabile all'erosione degli anni e delle tendenze: immortale. The End nasce nel '66 come sorta d'amoroso epitaffio, ispirato dalla fine della relazione tra Jim e la sua prima, vera fiamma adolescenziale: Mary Werbelow. Tuttavia, durante le diverse serate della band al Whisky a Go Go, il brano è andato via via caricandosi di elementi poetici e musicali, d'improvvisazione a improvvisazione, fino a raggiungere, al momento della registrazione in quello stesso anno, la forma che conosciamo oggi. L'essenza dell'opera riposa sugli arpeggi d'una chitarra leggera e rassegnata, vagamente orientale, nella sua ricerca di sensazioni oniriche e spirituali, perfino sacre. La composta ritmica di Densmore gioca su di una contrapposizione fra la delicatezza del tamburello, anima di un preludio triste e solenne, e la turbolenta agitazione di un culmine che carica per metà della canzone fino al suo catartico finale. Il fitto dialogo fra chitarra e tastiere, tra Robby Krieger e Manzarek, è come sempre un'inestimabile colonna portante; insieme, i due musicisti definiscono un tappeto sonoro che permea di un'atmosfera intima e decadente lo spazio intorno all'ascoltatore, come a immergere ogni elemento nell'assolutezza che chiamiamo Fine. In questo scenario, desolante e grandioso al tempo stesso, la voce di Morrison intesse una recitazione che quasi rifugge l'artefatta forzatura del canto, il semplice conseguimento d'un vago ideale di bellezza. Le sue parole sembrano mera constatazione, presa di coscienza che cresce insieme alla musica e all'emozione, trasfigurando in una suggestione sensoriale che richiama l'estasi mistica, fino all'esplosione di rabbia, divertimento, tristezza ed erotismo di un finale che è ogni cosa e nulla nel medesimo istante, ancora una volta assoluto quanto il concetto stesso di Fine. Nella sua vasta stratificazione poetica, The End rappresenta quasi una summa del pensiero di Morrison, dei suoi feticci e delle sue convinzioni, nonché delle sue principali influenze letterarie: dalla letteratura pessimista americana alla beat generation di Kerouac, dall'esistenzialismo al decadentismo più oscuro. I riferimenti all'Edipo Re, assassino del padre e sposo della madre, riflettono anche l'influenza di Freud e delle sue teorie, scandalizzando un pubblico che Jim trattava senza alcuna censura. Il surrealismo, lo studio dei sogni e la loro interpretazione, la droga e le visioni che l'accompagnano, il ripudio della guerra e dell'autorità, l'erotismo e il corteggiamento della morte: Jim Morrison sintetizza un'intera generazione e i suoi movimenti, e The End, fine dei "nostri elaborati piani e di ogni cosa che resiste, la fine delle notti in cui provammo a morire", è solo un'altra porta della percezione da oltrepassare. L'ultima.
Questa è la fine, bellissima amica. Questa è la fine, mia unica amica, la fine. Mi addolora lasciarti libera, ma tu non mi seguiresti mai. La fine delle risate e delle innocenti bugie. La fine delle notti in cui provammo a morire. Questa è la fine.

Light My Fire
Ci interessa qualsiasi cosa abbia a che fare con la rivolta, il disordine e ogni genere di attività apparentemente priva di significato.
- Jim Morrison
Se "The End" entra di diritto fra i primi, veri grandi inni rock, Light My Fire, nel 1967, ridefinisce il concetto stesso di popular music. Per tre settimane il brano imperversa al primo posto delle classifiche americane, proiettando il gruppo verso i più dorati sogni di gloria; un gioiello che ha in sé l'apparente semplicità del tormentone radiofonico, e insieme, l'inattesa complessità della musica sperimentale, tra i primi esempi di ciò che sarà definita fusion. Il titolo, in italiano "accendi il mio fuoco", richiama ad un erotico romanticismo tipico del più classico rock 'n' roll; dopotutto, Light My Fire è opera soprattutto di Krieger, e buona parte della sua poetica è semplice e diretta, ben differente da quella onirica, criptica e tagliente di Morrison. Nella messa in scena di Stone, il brano è la perfetta rappresentazione d'una sinergia professionale troppo spesso dimenticata, tanto è forte l'idolatria legata al frontman. Il tocco del singer si sente soprattutto nella seconda parte del brano, su strofe in cui l'improvviso accostamento dell'amore alla morte, getta un alone d'oscurità in un contesto già di per sé vagamente clandestino, fosco ed avventuroso. Per il resto, tuttavia, "Light My Fire" è un inno all'erotismo e all'amore di una notte, al sesso nella sua accezione più essenziale e mistica al tempo stesso. A ben vedere, è il genere di brano di cui i Doors avevano bisogno, contrappeso ideale al genio fin troppo radicale di Morrison. Parlando del testo, "Light My Fire" ha fatto la sua fetta di "storia dello scandalo" il 17 settembre del '67, quando i Doors sono ospiti all'illustre Ed Sullivan Show, il programma più popolare della TV americana. Alla band è richiesto di cambiare una strofa significativa, la quale recita "Girl, we couldn't get much higher", ovvero "ragazza, non potremmo essere più fatti", con una versione leggermente modificata e del tutto innocua. Morrison assicura tutti che non c'è alcun problema, e naturalmente, durante l'esibizione in diretta, canta la canzone originale senza cambiare neanche un virgola. Oliver Stone riporta l'episodio così com'è, esasperando certe reazioni ma rimanendo, tutto sommato, fedele al mito e alla storia. Presentatore e produzione sono furiosi, i Doors invece, ancora più popolari di prima. La canzone è aperta da un'esecuzione all'organo elettrico di Manzarek, melodia psichedelica dai toni spensierati e positivi, quasi in contrapposizione alla voce di Morrison, naturalmente baritonale, cupa, ma proprio per tale motivo perfetta, nel delineare la natura intrinsecamente notturna del brano. L'opera vive di spazi, o "episodi", se vogliamo", delimitati dai frequenti assoli di Manzarek, ora davvero onnipresente e centrale, a dare lezioni di rock psichedelico a mezzo mondo. Il musicista guida "Light My Fire" al suo raffinatissimo culmine, affiancato prima da Densmore, le cui rullate e i fills offrono la necessaria dose d'eccitazione, poi da Krieger, le cui corde definiscono l'eros e la passione, lo stesso fuoco di cui parla il cantante. Il finale è affidato alla riproposizione del ritornello e all'esuberanza di Morrison, per quasi sette minuti di durata che in radio, ovviamente, diventeranno circa tre, permettendo a "Light My Fire" di entrare nel tessuto sociale americano per molti anni a venire.

Ghost Song
Il centro di questa peculiare raccolta è dedicato a una poesia fondamentale, nel personalissimo repertorio di Jim Morrison: Ghost Song, la "canzone del fantasma". Volendo rimanere sintonizzati alla messa in scena di Oliver Stone, occorre fare un passo indietro e tornare al primo appuntamento tra Jim e Pamela, a una passeggiata notturna clandestina e misteriosa, romantica e seducente, fra senzatetto che intonano blues malinconici e la luna che si specchia sul mare. Il regista sceglie bene gli elementi estetici, sia in base alle parole della poesia, sia riguardo una ricercata contrapposizione ideale: povertà e benessere, dura realtà e realtà trasfigurata, terra e cielo. Il sottofondo sonoro è quello scelto dai Doors per "An American Prayer", il disco uscito sette anni dopo la morte di Morrison che raccoglie le principali poesie dell'artista. È una musica totalmente estranea alle sensazioni della poesia, emotivamente neutrale, mero accompagnamento su raffinate basi funky-fusion. Ad ascoltarlo, pare quasi d'immaginare Morrison recitare i suoi versi in una sterile sala d'attesa, o alla meglio, in un ordinato salottino borghese. Versi che dovrebbero mettere a nudo l'anima dell'uomo. Nella sua rappresentazione, Stone riesce a dare un senso immaginifico migliore alla melodia, accostando alla progressione musicale un'idea di movimento spaziale e temporale, e tuttavia, essa rimane comunque avulsa non solo alle parole, ma anche al romanticismo intrinseco nella messa in scena del film. Tale contrasto fra poetica e strumentale caratterizza quasi interamente "An American Prayer", ed è uno dei fattori che da sempre dividono la critica su di una oggettiva valutazione dell'opera. Quelle poesie, Morrison le voleva per un altro compositore, con un'altra copertina e una differente immissione sul mercato. Manzarek, Densmore e Krieger, ne hanno fatto un album dei Doors. Riguardo la questione si espresse John Haeny, che registrò il materiale originale di Morrison e ne curò la sua trasformazione nell'opera che conosciamo: An American Prayer è stato realizzato dalle persone che erano più vicine a Jim, sia personalmente che artisticamente. Tutti avevano le migliori intenzioni... Jim ne sarebbe stato felice. Lui avrebbe capito le nostre motivazioni, e avrebbe apprezzato la nostra dedizione e la nostra sincera gestione del suo lavoro. Può darsi, ma purtroppo, il pensiero reale di Morrison non lo sapremo mai. Ad ogni modo, nel film abbiamo modo d'ascoltare solo metà della poesia, perdendoci proprio la parte che riguarda il fantasma che dà il titolo all'opera; lo spirito d'un indiano Morto che a detta di Morrison s'insinuò nella sua anima, in quel terribile giorno d'un infanzia traumatizzata. L'inizio del brano è idilliaca celebrazione dell'infanzia, definita in parte da una poetica aulica ed astratta, e in parte, da ricordi narrati quasi in forma di prosa. Un'impostazione decisamente tipica del Morrison poeta e scrittore. L'idillio ha termine con il Risveglio, con l'esigenza di trovare il proprio ruolo nel mondo e nella società dell'uomo, e infine, con la realizzazione del concetto stesso di morte. Morte, vita, orgasmo, arte nell'accezione più elevata del termine, sono concetti che il poeta esprime in differenti forme, attraverso metafore o ricordi, allegorie o esperienze, fino a tornare all'estremo giudizio di sé che apriva "The Movie", e alla morte come ultima e più grandiosa Porta della Percezione.

Roadhouse Blues
La seconda metà della colonna sonora si apre con Roadhouse Blues, ovvero "Il Blues del Motel", qui in versione Live. Il termine "Roadhouse" indica quel genere di motel che puoi trovare in mezzo al nulla su miglia e miglia di panorama americano, magari proprio nel bel mezzo di quel deserto californiano tanto caro al Re Lucertola. La storia narra che i Doors si scatenassero perfino durante le loro jam session in sala prove, cosa affatto difficile da immaginare. In particolare Jim: il frontman, dopo aver bevuto, era solito liberare tutta la propria vena creativa improvvisando versi blues classici, siparietto che in quel periodo, intorno al '69, si ripeteva con una certa frequenza. È così che, in uno di quei giorni, vennero fuori le idee per "Roadhouse Blues", canzone pienamente frutto della creatività del cantante. I compagni di band, da subito piacevolmente sorpresi, ci misero ben poco tempo a comprendere le potenzialità di quel brano. Così, "Roadhouse Blues", fu portata in sala di registrazione: ben due giorni in studio, il 4 e il 5 Novembre 1969, furono interamente dedicati alla registrazione di questo brano. Il produttore Paul Rothchild, anch'egli convinto dell'alto potenziale di quanto tirato fuori da Jim, si rivelò un maniacale perfezionista. Le tante prove che furono necessarie alla band per tirar fuori la versione definitiva all'interno di "Morrison Hotel", molti anni più tardi entreranno a far parte della versione remastered del disco del 2006. Durante le registrazioni del brano, Jim assunse eroina, entrando in totale contatto con la musica e in "piena modalità cantante blues", secondo quanto più volte raccontato dall'allora ingegnere del suono Bruce Botnick. Pare che Jim ripetesse continuamente la frase "money beats soul everytime", ovvero "il denaro sconfigge l'anima tutte le volte", al punto che ciò divenne un autentico tormentone delle sessioni di registrazione. Simpaticamente, questa frase fu poi ribattezzata il "Roadhouse Rap", e figurerà nella soundtrack di "When You're Strange: Music from the Motion Picture", il documentario del 2010 in cui, tramite la narrazione di Johnny Depp, vennero ripresi i Doors e la loro storia. Le sessioni di registrazione del brano si conclusero nel corso del secondo giorno, quando il chitarrista della Elektra, Lonnie Mack, si mise al basso e l'ex frontman dei Lovin' Spoonful, John Sebastian, contribuì all'armonica, sotto lo pseudonimo G. Puglese. Per l'occasione, Manzarek abbandonò il suo pianoforte elettrico Wurlitzer: al contrario, il modello di tack piano che utilizzarono i Beach Boys per "Good Vibrations", si rivelò semplicemente perfetto per l'occasione. Tre mesi più tardi, così, "Roadhouse Blues" prese vita in "Morrison Hotel", del 1970, album che riprende le radici Rock/Blues della band e che rappresenta un ritorno al successo, per i Doors, dopo il relativo fallimento del precedente "The Soft Parade", spesso criticato per la sua maggiore sofisticatezza e l'impiego di fiati e strumenti ad arco. "Roadhouse Blues", pur non riuscendo ad essere la nuova "Light My Fire", ovvero il travolgente singolo che tutti stregò e che tutti cantarono, si piazzò con il suo 45 giri alla cinquantesima posizione della "Billboard Hot 100" statunitense, portando i Doors alla conquista prima di un disco d'oro, poi di platino. Così, come di consueto, il brano fu portato su ogni palcoscenico, compreso quello dell'amatissima versione live di New York del '70 inserita nella pellicola di Stone. Un Jim Morrison letteralmente scatenato, fra urla e capitomboli sul palcoscenico, accese lo show sull'incalzante sottofondo tastieristico di Manzarek e sul roccioso riff di chitarra di Krieger, i quali appiccarono il fuoco di questa perla del blues. Il pubblico, estasiato, andò letteralmente in delirio nel corso del tremendamente intrigante, seppur classico, assolo di Krieger, e l'esibizione è ancora oggi ricordata come una di quelle di maggior successo artistico della band. Ad ispirare Jim per la canzone fu la "Topanga Canyon Boulevard", una strada che i ragazzi avevano percorso per andare a suonare, contraddistinta dalle sue tremende curve e il suo percorso potenzialmente letale. Jim rimase colpito dal tragitto, ed è così che in seguito, poco più tardi, in sala prove tirò fuori il celebre motivetto "Keep your eyes on the road, your hand upon the wheel", ovvero, "tieni gli occhi sulla strada, e le tue mani sul volante". Il famoso riferimento ai bungalow rappresenta invece il ricordo d'un emozionato Jim Morrison, memore di un regalo fatto a Pamela proprio nei luoghi narrati: un felice e tenero ricordo di vita vissuta con la sua anima gemella e compagna di sempre. Il brano trasmette tutto l'affetto provato da Jim, nonostante la sua ostilità, per quella strada e quei momenti di vita da poco passati. Una strada che, per il leggendario frontman, rappresentava il vero spirito del Rock 'n Roll. Sia la versione di "Morrison Hotel", sia quella del live New Yorkese, divennero estremamente celebri nell'ambiente underground blues, e centinaia di band iniziarono a suonarne la cover in bar e piccoli locali. Il brano impiegò pochi anni per essere ribattezzato "la canzone da bar definitiva". E quale occasione migliore, per Oliver Stone, per rievocare uno dei più controversi e celebri episodi della vita del cantante? Un episodio, naturalmente, collegato ad un bar! Vari testimoni ricordano tutt'oggi divertiti quando Jim, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, urinò per terra in quello che, ad oggi, è il ristorante Barney's Beanery nella West Hollywood di Los Angeles. All'episodio è legata una storia che ha dell'assurdo, come le tante leggende sulla vita di Jim. Tanti anni dopo il fattaccio, pare che i proprietari del locale abbiano contattato Ray Manzarek, facendosi indicare precisamente il punto del pub in cui Jim urinò. Ed è in quel preciso punto che, soddisfatti, decisero di affiggere una targa in onore della leggenda del rock: "Qui sedeva Jim: Poeta, Artista, Leggenda". Ovviamente, omettendo il piccolo dettaglio dell'urina; dopotutto, la gente lì ci va per mangiare! "Roadhouse Blues" dal vivo, "il brano dei bar", fu poi inserito in "An American Prayer". Varie cover della canzone sono state eseguite da Status Quo, Stone Temple Pilots, Blue Öyster Cult, Eric Burdon, Deep Purple e altri. Ma di maggior rilievo è l'apprezzamento della leggenda del blues John Lee Hooker: infatti, vi è una versione studio del celebre cantante che canta assieme a Morrison, e la troviamo sull'album "Stoned Immaculate: The Music of The Doors". Ad oggi, "Roadhouse Blues" non ha mai smesso di essere suonata nei bar, e forse mai smetterà.

Heroin
La soundtrack procede con una traccia leggendaria, Heroin, "Eroina", brano d'apertura del Side B dell'album "The Velvet Underground & Nico" del 1967, talvolta soprannominato "Banana Album" per la ben nota illustrazione ad opera di Warhol. Il disco, nonostante il totale insuccesso commerciale al momento dell'uscita, è stato più tardi rivalutato come uno dei più grandi lavori della storia del Rock e ritenuto all'avanguardia assoluta, specie in seguito al grande successo ottenuto da Lou Reed nel corso della sua carriera solistica. Il cantante scrisse il brano da ragazzino, quando frequentava la Syracuse University. All'epoca l'artista suonava la chitarra per piccole band da bar e componeva brani semplici per piccole etichette, e così nacque anche "Heroin". La storia narra che, quando John Cale la ascoltò per la prima volta, ne rimase estasiato, esclamando "Questo è ciò che dobbiamo fare!". Il brano inizia lentamente, con la calma e melodica chitarra di Reed, la ritmica di Sterling Morrison e la batteria di Maureen Tucker, ipnotica e dannatamente avvolgente. Subito di seguito alla Tucker, si unisce John Cale alla viola elettrica. Dopo un inizio lento che culla l'ascoltatore, il brano comincia ad accelerare, evocando gli effetti della droga con un Reed che, senza attribuire al consumo di eroina accezioni negative né positive, ne descrive gli effetti. Numerose sono state le accuse alla band per il testo del brano, che, con il suo contenuto, avrebbe avviato diversi ascoltatori del gruppo al consumo di droga. Lou Reed ha sempre smentito con veemenza tali accuse, ritenendo "davvero brutta" l'idea che qualcuno avesse cominciato a drogarsi semplicemente a causa di una canzone, per di più, una sua canzone. I Velvet si sono mostrati una band all'avanguardia non solo dal punto di vista musicale, ma anche dei contenuti: già dal debutto discografico del '67, infatti, in brani come "Sunday Morning" sono stati i primi a descrivere l'utilizzo di droga come forma di autodistruzione: ed è probabilmente proprio a causa di questo suo "non essere in linea con i tempi", che è dovuto il fallimento commerciale dell'album. È diventata celebre, a due minuti dalla conclusione della traccia, l'improvvisa interruzione di batteria della Tucker: un semplice incidente dovuto a un'incomprensione fra la batterista e gli altri musicisti, lasciato al suo posto come una sorta di segno del destino e divenuto iconico. Come in "Sister Ray", apprezzatissimo brano di diciassette minuti del secondo e successivo album "White Lights/White Heat", in questa traccia il basso è assente. Nel film di Oliver Stone, la presenza di "Heroin" è ben contestualizzata nel contatto fra i Doors e gli ambienti della Factory di Warhol. Quest'ultimo, che era anche produttore del citato album di debutto dei Velvet, faceva partecipare la band di Reed e compagni ad esibizioni dal vivo uniche e del tutto innovative, dove alla musica si intrecciavano capolavori d'arte, anche ad opera dello stesso Warhol, ed estratti cinematografici, fra giochi di luci ed evocative atmosfere. Si dice che sia anche grazie a questi spettacoli che, ad oggi, la musica sia ritenuta una forma d'arte a trecentosessanta gradi, e abbia acquisito una dimensione più completa. Nel film, mentre gli altri membri dei Doors si defilano dalla situazione, Jim Morrison fa la conoscenza di un Warhol estasiato dall'incontro. Nelle scene della pellicola, non è trascurata neppure la relazione fra Jim e la sua collega di origine tedesca, Nico: quest'ultima, riferendosi alla loro relazione, definì Morrison il suo "fratello d'anima". Ritroviamo nel film un collegamento fra Warhol e Nico, gli unici due a possedere una parte attiva e ad avere dei contatti con Jim. La grande amicizia fra Andy Warhol e la cantante, del resto, è nelle pagine di storia: pare che sia stato lo stesso artista a volere l'ingresso di Nico nei Velvet, e questi, considerati gli eccezionali benefici offerti da Warhol, non potevano certo tirarsi indietro. La storia darà poi ragione allo stesso Andy Warhol, dal momento che Nico avrà una carriera solistica di primissimo rilievo, e lo stesso John Cale sarà felicissimo di tornare a collaborare con la cantante. Anche su questo brano, e più in generale su questo album, vi sono delle storie incredibili: pare che nel 2006, ad una bancarella di New York, un signore abbia trovato per puro caso un acetato originale delle prime registrazioni dell'album realizzate allo Scepter Studios sotto il produttore Norman Dolph. Acquistato per settantacinque centesimi, avrebbe poi fruttato su Ebay oltre venticinquemila dollari. È infine necessaria un'ultima precisazione: la versione di "Heroin" presente nella soundtrack del film, è completamente differente dall'altrettanto celebre e omonima "Heroin" di Lou Reed, affermatasi in seguito allo storico live "Rock & Roll Animal" del '74. Quella del Reed solista è una canzone caratterizzata da un'impronta più dinamica, squisitamente Rock, e impreziosita dai chitarristi Steve Hunter e Dick Wagner. Ad oggi, le due versioni sono ritenute ugualmente valide, e per la critica costituiscono entrambe, alla stessa maniera, un inestimabile patrimonio della storia del Rock.

Carmina Burana: Introduction
La soundtrack del film prosegue con Carmina Burana: Introduction, la leggendaria cantata scenica composta da Carl Orff nel corso del biennio '35-'36, divenuta celebre in breve tempo portando l'artista all'attenzione mondiale. La versione presente nel film di Stone è realizzata dalla Atlanta Symphony Orchestra. La famosa composizione, che è parte di un "trittico" chiamato "Trionfi", è stata nel corso degli anni spesso utilizzata per richiamare la grande e incontrastabile forza degli elementi naturali e sovrannaturali: con il suo tono solenne e imperioso, e tratta da testi poetici medievali omonimi, la "Carmina Burana" è infatti a buon ragione considerata una cantata unica nel suo genere, e perfetta come nessuna per esprimere determinate, travolgenti, scene. Ed è proprio in questa chiave che la ritroviamo nel film: Jim e la giornalista Patricia Kennealy, presto Patricia Kennealy-Morrison, celebrano la loro unione secondo rito wicca, tagliandosi i polsi e bevendo il proprio reciproco, sgorgante sangue in calici dorati, per poi unirsi in un rapporto sessuale. Naturalmente, non prima di aver fumato e consumato cocaina. Nel film ci viene mostrata la totale contrapposizione fra Pamela Courson e la Kennealy, ritenute rivali in amore: Pamela è raccontata come una compagna fedele, spesso passiva e vittima dei balzi d'umore di Jim, mentre Patricia è descritta come una donna intraprendente, disinibita e pronta a tutto, pur di irretire sessualmente il cantante. Infatti, la giornalista nel corso del film giunge al punto di indagare sul passato di Jim e di risalire alle sue origini, pur di svelarne le piccole furbizie e così poterlo soggiocagare; le due "compagne" di vita di Morrison si ritroveranno faccia a faccia in uno scontro verbale che porterà, nel giro di pochi minuti, alla rovina di un Giorno del Ringraziamento festeggiato in famiglia: "Hai davvero messo il tuo uccello in questa donna, Jim?", chiede Pam timorosa e sarcastica allo stesso tempo, ma con l'aria di una persona che conosce già la risposta. Un dettaglio da pochi conosciuto, ma interessante in questo contesto, sta nel fatto che Jim e Patricia, effettivamente, un legame di sangue lo avevano, poiché entrambi di origine irlandese. Se Patricia, la Butler, amica di Pamela, e la stessa Kennealy, hanno smentito la versione del film con due rispettivi libri, raccontando di come le due donne fossero in realtà quasi amiche, indiscutibilmente perfetta è la scelta di questo brano come colonna sonora del rituale pagano celebrato dal cantante e dalla giornalista. Carl Orff dipinge, come meglio non si potrebbe, una scena che è da concepire, a suo modo, come il superamento di ogni limite di trasgressività. Il culto pagano delle streghe, violazione e "profanazione" del Dio monoteista riconosciuto dalle principali religioni, diviene un mezzo per raccontare la vita di una bandiera del Rock, in quello che appare allo spettatore come il superamento, se non addirittura una "beffa", a dogmi come quello cristiano. La "Carmina Burana" ebbe un tale riconoscimento dal pubblico che Orff, folgorato dal successo, volle riscrivere le sue principali composizioni finché non le avesse ritenute all'altezza della stessa. Descrivendo ciò che aveva composto, raccontò che la sua intenzione fosse quella di trasmettere il costante conflitto fra l'animo umano e il richiamo sessuale. Per questo, la scelta della cantata del compositore tedesco per questa scena, appare talmente opportuna da risultare quasi obbligata. Nel film di Stone è presente solo la parte iniziale della composizione dell'autore tedesco, ed è per questo motivo che, nei titoli della pellicola, la vediamo accreditata come "Carmina Burana: Introduction". Il celebre brano, probabilmente il più famoso dell'intera composizione, da cui è estrapolato ciò che ascoltiamo nel film, si intitola "O Fortuna".

Stoned Immaculate
Successiva traccia della colonna sonora è Stoned Immaculate, grossomodo traducibile in "Strafatto Immacolato"; un brano particolarmente rappresentativo, con le sue caratteristiche di tributo al cantante e carico di parallelismi con il film, avendo quest'ultimo proprio Jim Morrison, ancor prima dei Doors, come grande protagonista. Nonostante ciò, e nonostante la sua presenza nella soundtrack, la canzone non è presente in alcuna scena del film. "Stoned Immaculate" fa parte della rievocazione del mito del cantante, e le sue poesie composte in gioventù vengono riutilizzate, dopo la sua morte, per incidere un nuovo e nono album in studio firmato "Doors". La tastiera di Manzarek, qui, si unisce alle ritmiche incalzanti ma piacevoli e leggere al tempo stesso. La carismatica, pacata, grave, voce di Morrison, che si innalza come una predica, diventa un tutt'uno con la melodia costruitagli intorno, al punto che, a metà brano, il parlato del cantante viene messo in primo piano, e la musica brutalmente abbassata nel missaggio. "An American Prayer", l'album tributo al cantante del '78 e che vede appunto "Stoned Immaculate" al suo interno, ha diviso la critica. In molti hanno ritenuto il lavoro un'ingenerosità nei confronti del defunto membro del gruppo, un'uscita a scopi commerciali per il beneficio dei restanti membri dei Doors: persino Paul Rothchild, il leggendario produttore della band, ha etichettato l'album come "uno stupro fatto a Jim Morrison". Critiche, queste, non tanto mosse alla qualità della musica, quanto al concept del lavoro in sé. L'idea di creare musica intorno alle poesie composte da Jim, tuttavia, veniva dal cantante stesso: prima di partire per Parigi, infatti, Morrison si recò da Lalo Schifrin, leggendario tastierista, arrangiatore e compositore argentino che, a detta del cantante, sarebbe stato perfetto per il progetto; progetto che però non ebbe all'epoca alcun supporto da parte degli altri membri dei Doors, interessati piuttosto a creare musica adatta al grande pubblico. Un buon motivo per nutrire più di qualche dubbio sulla bontà del progetto postumo. Sempre prima di lasciare gli Stati Uniti, Morrison contattò anche l'artista tedesco Breitenbach per la copertina, il quale realizzò un trittico di reminiscenze fiamminghe mai utilizzato. Per la cover di "An American Prayer", infatti, i Doors preferiranno una più semplice, e più furba, foto del viso di Jim. La nota frase "I ran into two young girls, the blonde one was called Freedom, the dark one Enterprise" ovvero "incontrai due giovani ragazze, la bionda si chiamava Libertà, la bruna si chiamava Impresa", è invece per molti un altro riferimento alle due donne della vita di Jim. Ad ogni modo, se diverse sono state le critiche al lavoro, quest'ultimo ha anche riscosso consenso da parte di personaggi di tutto rilievo: John Haeny, che aveva lavorato insieme a Morrison al progetto musicale e poetico nel '70, registrando le sessioni che saranno poi riciclate per l'album tributo del '78, ha assicurato che le intenzioni del cantante fossero precisamente le stesse, e che "An American Prayer" sia stato realizzato "con le migliori intenzioni" dalle persone che in assoluto erano più vicine a Jim, sia personalmente che artisticamente. Stoned Immaculate" per molti versi ci rimanda al film di Stone: un racconto su uno dei personaggi più importanti della storia del Rock, uno di quei personaggi che, quando vengono toccati, possono dividere opinione pubblica e critica come nessuno e nient'altro riuscirebbe a fare. "Stoned Immaculate: The Music of The Doors" è invece un album tributo a Jim del 2000, a cui hanno partecipato artisti come Aerosmith, Stone Temple Pilots, Bo Diddley e numerosi altri. Nonostante il titolo, tuttavia, non vi è alcun reale collegamento con la traccia che, nonostante tutto, non è mai stata criticata per la sua qualità e il suo valore musicale. "Stoned Immaculate" è una canzone la cui musica, opportunamente e in maniera sfiziosa, supporta il racconto di Jim che descrive un viaggio fra infanzia e adolescenza, rivelazioni divine e verità raggiunte mediante l'assunzione di droghe.

When The Music's Over
Si continua con When The Music's Over, letteralmente: "Quando la musica è finita"; brano fra i più amati e ricordati della carriera dei Doors. La traccia, con i suoi quasi undici minuti di ascolto, è la più lunga della carriera della band dopo "Celebration of the Lizard", di oltre diciassette minuti, e "The End", quasi dodici minuti. Il brano fu scritto prima che i Doors avessero ottenuto il loro primo contratto discografico e, nonostante sia assente nell'album di debutto del gruppo, divenne celebre già dal '66 in seguito alle strabilianti performance live. La band, infatti, all'inizio della propria carriera apriva praticamente ogni concerto con "When The Music's Over", che vedeva uno scatenato Jim Morrison fare capitomboli sul palco e accendere il fuoco negli spettatori. Quando l'anno successivo il gruppo registrò il brano in studio, la traccia di canto fu realizzata da Manzarek, dal momento che Morrison fu assente per la prima giornata di lavoro. Jim avrebbe realizzato la sua parte vocale solo in seguito, poi diventata definitiva all'interno di "Strange Days". Robby Krieger, invece, improvvisò completamente l'assolo di chitarra, in un'impresa che giudicò "tutt'altro che semplice" a causa della staticità della melodia. In "When The Music's Over", i Doors descrivono la musica come "fuoco della vita": una volta che la musica si ferma, così avviene allo spirito vitale. Nel testo sono presenti anche riferimenti biblici: si parla infatti dei Magi, una casta sacerdotale dell'antica Persia. Nella notte di Natale, i Magi persiani osservano il cielo notturno avvistando, luminosa, la stella di Betlemme. La parte in cui Jim descrive questo momento, con le parole "Jesus! Save Us!", "Gesù, salvaci!" è, senza esagerazione alcuna fra le più significative della storia del Rock. Ma in questo ricchissimo capolavoro non mancano neppure citazioni cinematografiche: infatti, all'interno del brano, Jim cita anche il film "Scream of the Butterfly" del '65, di Lobato, una pellicola forse non molto celebre, ma che colpì profondamente il cantante. La canzone, nella pellicola di Stone, ci racconta di uno dei momenti più significativi della vita di Morrison: processato in seguito ai fatti del discussissimo concerto a Miami del '69, il cantante, nella scena successiva cullata dalla tastiera di Manzarek e dalle incalzanti linee del brano, litiga con la sua compagna Patricia, dicendole di non volersi occupare del figlio in arrivo. La scelta di utilizzare uno dei brani più rappresentativi della band, per raccontare un momento che rappresentò una svolta cruciale nella vita del frontman, è qui indiscutibile. Il titolo e le parole del brano, probabilmente, sono perfette per descrivere quello che è senza dubbio considerato come l'inizio del declino della carriera di Jim e dei Doors. Immenso e indiscusso punto di forza di "When The Music's Over" è la sezione d'organo di Manzarek: il tastierista, nel realizzare la parte, fu ispirato dal classico del jazz "Watermelon Man" di Herbie Hancock. Anche in "Soul Kitchen" ascoltiamo una parte di tastiera molto simile. Non sarebbe esagerato dire che il brano, insieme a "People Are Strange", abbia trascinato l'album "Strange Days" di diritto fra i capolavori discografici degli anni '60: una grande e impegnata traccia conclusiva per un'uscita che, pur non vendendo quanto la precedente "The Doors", è ricordata come forse la più valida della carriera della band. Magari non avrà l'impatto commerciale di "Light My Fire", magari non sarà cantabile come "People Are Strange", ma dal punto di vista compositivo e strettamente artistico, "When The Music's Over" è tra i migliori brani dei Doors.

The Severed Garden (Adagio)
Penultimo brano della soundtrack del film è The Severed Garden (Adagio) ovvero "il giardino reciso", tratto da "An American Prayer". Questa breve ma straordinaria canzone è tratta a sua volta da un brano di Albinoni, eccellente compositore e violinista veneziano ben conosciuto nella prima metà del 18° secolo. Nato da una ricca famiglia di mercanti, Albinoni studiò sin da piccolo canto e violino, strumento su cui riuscì da subito ad eccellere. Piuttosto che iscriversi all'Arte dei Sonatori, la corporazione veneziana degli strumentisti professionisti, ed esibirsi in pubblico ottenendo così guadagni dalla sua musica, il veneziano preferì dedicarsi unicamente alla composizione. I suoi straordinari brani erano conservati all'interno della Libreria di Stato di Dresda, devastata dagli anglo-americani nel corso della fase conclusiva della Seconda Guerra Mondiale. Molti dei lavori dell'artista, così, sono andati purtroppo persi per sempre. È una fortuna che sia sopravvissuto, ad oggi, un grandioso capolavoro come l'Adagio in G minore, che ha ottimamente ispirato il brano presente in "An American Prayer". La poesia di Jim è una celebrazione della morte, ritenuta meno dolorosa e liberatoria rispetto alla vita stessa. Liberarci di tutti i nostri bisogni materiali, possedere ali al posto delle spalle, non avere più nulla a che fare con i tiranni che governano il mondo. Eppure Morrison, nelle ultime righe, pare contraddirsi, affermando comunque di preferire una serata con un gruppo di amici, piuttosto che unirsi alla "gigantesca famiglia": quella dei morti. "I will not go, I prefer a feast of friends to the giant family", "Io non andrò, preferisco un manipolo di amici alla gigantesca famiglia". Una contraddizione colma di significato, e che eleva l'orientamento e la predisposizione umana alla vita. Jim, come purtroppo ben sappiamo, poco tempo dopo a quella famiglia dei morti si sarebbe unito, eppure, queste bellissime e poetiche parole sopravvivono per sempre: non c'è da stupirsi che Oliver Stone abbia voluto questa canzone, come sottofondo per la scena della morte di Jim: l'opera di Albinoni, insieme ai dettagli della lapide di Morrison, ottiene una energia catartica e struggente che impreziosisce la messa in scena. "The Severed Garden" è straordinaria nel rielaborare la composizione di Albinoni in chiave Morrisoniana, mentre l'evocativa melodia chitarristica culla l'ascoltatore in uno dei passaggi più delicati dell'intera pellicola.

L.A. Woman
E mentre scorrono i titoli di coda del film, è L.A. Woman, la "donna di Los Angeles", ad accompagnarci. Il sesto e omonimo album dei Doors, l'ultimo realizzato con il frontman della band in vita, segnò la svolta più Blues dell'intera carriera della band. Questo non piacque allo storico produttore Paul A. Rothchild, che disprezzò quella che ritenne una svolta troppo commerciale nel sound del gruppo, al punto che il lavoro fu prodotto dall'ingegnere del suono Bruce Botnick. L'album, ad ogni modo, rappresentò l'ennesimo disco d'oro e più tardi di platino per la band. Per ottenere una voce più piena, Morrison registrò le parti vocali della traccia nel bagno dello studio di registrazione. Per le sessioni di registrazione di questo brano fu ingaggiato al basso Jerry Sheff, famoso per aver suonato con Elvis Presley, mentre Marc Benno venne assoldato alla chitarra. Se non fosse stato per la precoce morte di Jim, i due avrebbero anche partecipato al tour del gruppo: semplicemente, ai Doors servivano più strumenti per determinati brani, fra cui appunto "L.A. Woman". Sfortuna volle che il brano venisse suonato dal vivo soltanto in un'occasione, ovvero a Dallas nel dicembre del '70, e così, l'unica registrazione esistente è presente solo in un bootleg intitolato "If It Ain't One Thing, It's Another". Manzarek avrebbe in seguito chiarito il senso basilare della canzone: guidare follemente sull'autostrada di Los Angeles. Emblematica a riguardo è la parte in cui Jim canta "Drive through your suburbs, into your blues, into your blues, yeah", "Guida attraverso le periferie, nel tuo blues, nel tuo blues, sì". Nel brano, tuttavia, non mancano riferimenti sessuali: il mojo che si alza di cui parla Jim, chiaro riferimento all'organo sessuale, è un po' una sorta di "rivisitazione bianca" di un incantesimo Voodoo, una forma di magia popolare ancora praticata - talvolta - dagli afroamericani che vivevano nel sud degli Stati Uniti. Un mojo solitamente è infatti una borsa piena di oggetti come radici, pietra calcarea, sonagli di serpente, denti di alligatore, monete, ciondoli: ogni borsa per una funzione diversa. La borsa rossa è simbolo di amore e passione, e andrebbe riempita con qualcosa di appartenente alla propria persona, come ad esempio i propri capelli, affinché funzioni. La borsa nera è, al contrario, simbolo di morte. Nella tradizione occidentale, il mojo è stato più spesso interpretato come mero simbolo di energia sessuale, così come nel testo di "L.A. Woman". Tutto ciò che abbiamo detto, ad ogni modo, non sottrae nessuna delle grandi qualità di questo brano: un pezzo magari non innovativo, che non pretende di "schiudere" la mente dell'ascoltatore, ma un grandissimo classico del Blues con tutto ciò che il genere dovrebbe possedere. Ci sarà pure un motivo se ad oggi, a cinquant'anni di distanza, questo brano continua ad incantare e a farsi ascoltare: una forza che risiede nella straordinaria sinergia fra la chitarra di Krieger e la tastiera di Manzarek, così come nella straordinaria e profonda voce di Morrison che, anche nelle sue vesti più Blues, non ha mai tradito le aspettative.

Conclusioni
La pellicola di Stone si prende la responsabilità di immortalare una band, i Doors, nei confronti della quale il pubblico mostra tuttora una enorme sensibilità, e di farlo attraverso una colonna sonora che, conosciuta e soprattutto cara a tutti, rievoca a tappe le fasi di un artista e di un periodo storico impresso nella memoria collettiva. Certo, rievocare un'annata così delicata e controversa della storia recente, e farlo evitando la "facile" falla della retorica post-moderna, non è un'impresa da prendere a cuor leggero. D'altra parte, rilasciare un film sui Doors, con la musica dei Doors, "è guadagno facile", potrebbe dire l'altra più maliziosa e sfrontata faccia della medaglia. Ad oggi, inevitabilmente, alcuni aspetti sono estremamente attuali e facili da comprendere, come può esserlo il successo dei Doors verso il pubblico e l'adulazione provata dalle masse, specie "quelle femminili", verso una star come Jim. Altri, invece, richiedono una profonda sensibilità e analisi storica, come può esserlo quantificare quanto la "risposta giovanile" fosse dovuta agli avvenimenti politici dell'epoca e quanto ad altri fattori, e quali realmente fossero lo spirito e "i venti" che soffiavano e battevano sulle più o meno fissate radici dei ragazzi. Venice Beach, California, estate 1965: due ragazzi che si erano conosciuti alla sezione di teatro, film e televisione dell'università californiana, Jim Morrison e Ray Manzarek, discutono del loro presente e futuro. "Io ho finito con i film", dice il primo, deluso dallo scarso consenso che aveva ricevuto in aula dopo aver presentato un suo cortometraggio a professore e colleghi di studio. "Ho scritto una canzone", confessa il giovane Morrison all'amico, che immediatamente lo sollecita a provare a cantarla. Manzarek resta subito colpito da quella che è una primordiale "Moonlight Drive", e gli propone di formare una band. Ad una lezione comune di meditazione trascendentale il tastierista aveva conosciuto due ragazzi che suonavano insieme in un gruppo chiamato "The Psychedelic Rangers": Robby Krieger, un chitarrista appassionato di rock'n'roll, flamenco e rhythm and blues e John Densmore, un batterista un paio d'anni più grande e coetaneo di Jim, appassionatissimo di jazz. Così, il ragazzo più esperto di musica e di gran lunga il più grande del gruppo, Ray Manzarek, 26 anni, diviene regista di uno dei più grandi miti di sempre, i Doors. Il titolo della pellicola è probabilmente improprio, è la vita di Morrison ad essere al centro dei fari del film, dal primo all'ultimo minuto di visione, e non la carriera della band; eppure, com'è inevitabile che sia, tutto parte dalla nascita dei Doors, e tutta la pellicola si sviluppa attorno alla musica del gruppo, con le sole eccezioni della nobilissima "Carmina Burana" e della ben contestualizzata "Heroin". Il Jim Morrison, bambino dalla mente fragile e immacolata, che si ritrova improvvisamente dinanzi al suo primo incontro con la morte, è l'ispirazione di "Riders On The Storm", uno dei più grandi capolavori in assoluto della storia della musica, una di quelle formule che ha visto i Doors esprimere il meglio del meglio delle proprie potenzialità: come meglio aprire un film?. Più tardi Jim dalla sua famiglia si separerà, non seguirà la carriera militare voluta dal padre, provando da subito a cimentarsi nel mondo dell'arte, del cinema. E il Jim ragazzo, ormai emancipatosi dalla sua famiglia, si innamorerà follemente di una ragazza di nome Pamela, incontrata in spiaggia: è "Love Street" la canzone dedicata alla sua musa, la musa che Jim nel film osserva e aspetta per ore. C'è una festa in corso, ma Jim non bussa alla porta, si arrampica su un albero e salta direttamente sul balcone, presentandosi a Pamela, già pazza di lui, e baciandola. Il povero ragazzo di Pamela, incredulo, chiede alla sua ragazza: "ma quello chi cavolo era?". Il sorriso di Pamela è eloquente, mentre risponde di non sapere chi quella persona fosse. Ben presto, tuttavia, Jim sottrarrà Pamela dal letto del suo ragazzo e i due trascorreranno la notte insieme, leggendo le poesie del futuro cantante. L'irriverente "Break on Through (To The Other Side)", apprezzata ma forse non la preferita dal pubblico all'epoca, è stata a buon ragione ben presto rivalutata come una delle più geniali tracce della carriera della band, nonché una degna apertura all'album di debutto dei Doors, ritenuto quello di maggiore valore artistico del complesso. Eppure, il film di Stone ci mostra l'incredibile impatto sul palco della traccia, e la presa sul pubblico che avevano i ragazzi. Potrebbe mancare "The End"? Ovviamente no. I ragazzi della band si ritrovano insieme, in cerchio e a teste unite, come quattro fratelli, nel Deserto del Mojave della California, terra di nativi americani, a sperimentare la potentissima mescalina-peyote, droga altamente allucinogena. E questi quattro fratelli, talmente uniti erano all'inizio, che decisero di non cercare più un bassista per la band; Manzarek, con le sue geniali capacità creative, decise di adattare in tal senso il suo stile tastieristico, aggiungendo al suo organo Vox Continental un Fender Rhodes Piano Bass che gli consentì di suonare le note basse con la mano sinistra, e le melodiche con la destra. Questo si sarebbe più tardi dimostrato uno degli elementi più unici della musica dei Doors, di quelli che tutt'oggi contraddistinguono la band. "Light My Fire" ci viene raccontata successivamente al momento in cui Manzarek e Jim decidono di formare la band: il gruppo è ormai al completo, e durante le prove, dopo aver suonato "Break on Through (To The Other Side)", Krieger abbozza alla chitarra una melodia da lui composta. Tutti riconoscono da subito il valore della primordiale "Light My Fire", ma Manzarek si spinge oltre, chiedendo agli amici di essere lasciato solo per qualche minuto per elaborare una melodia per la canzone. Come con un tocco di bacchetta magica, ecco che la scena successiva del film ci mostra il grande successo ottenuto dalla band proprio grazie all'impetuosa "Light My Fire", che scalò ogni classifica portando il nome dei Doors ad essere conosciuto nel mondo. Non ci vorrà molto affinché i Doors ricevano la proposta discografica della Elektra. E se la romantica passeggiata notturna fra Jim e Pam porta come colonna sonora "Ghost Song", la leggendaria "Roadhouse Blues" firma la tutt'altro che romantica vicenda che vede Jim urinare sul pavimento del bar. Semplicemente troppo calzante "Heroin", anche per la narrazione dell'incontro della realtà dei Doors con quella, ben più sperimentale e fuori dalle righe, dei "The Velvet Underground", la band che sotto l'ala di Warhol e della sua factory rilasciò il suo "The Velvet Underground & Nico": il cosiddetto "banana album", ad oggi ritenuto all'unanimità uno dei dischi più sottovalutati della sua generazione, in incredibile anticipo sul suo tempo, se non addirittura il più sottovalutato in assoluto della storia del Rock. Fra Morrison, Warhol e la sua fedele amica Nico, i rapporti erano ottimi, non è un segreto: è una importante parte della storia che la pellicola di Stone, con "Heroin", non dimentica di immortalare, sebbene con qualche semplificazione. Allo stesso modo, anche la "Carmina Burana" di Orff, nel raccontare il momento dell'unione pagana fra Jim e la Kennealy, è opportuna nel suo rimarcare a dovere quello che è uno dei momenti che più hanno avuto influenza sulla vita del cantante. È il giusto risalto, il giusto accento, quello ricercato dal film... e come raggiungerlo, se non con un brano così pregno di spessore e spirito drammatico? Se stupisce l'assenza di "Stoned Immaculate" dal film, nonostante la presenza nella soundtrack, fa molto riferimento al titolo del brano la presenza di "When The Music's Over" nella scena del processo di Morrison a causa dello show di Miami del 1° marzo del '69, storicamente ritenuto l'inizio del momento del declino per lui e per la band. "The Severed Garden (Adagio)", riportando la poesia sulla morte di Jim, è una scelta imperativa per raccontare il momento del suo decesso; e, le bellissime melodie della traccia, con la stupenda parte di chitarra solista tratta dalla composizione di Albinoni, sono magnifiche nell'unirsi alle scene della tomba del cantante. "L.A. Woman", sia per il contesto storico della sua uscita, sia per la sua enfasi, nonché per il suo significato sicuramente meno pretenzioso, è infine un brano ad hoc per la chiusura del film. Canzone dopo canzone, scena dopo scena, la vita di Jim viene ripercorsa, e il parallelismo fra musica della band e le scene del film si riconferma "l'epicentro" della pellicola di Stone. Il rapporto fra il protagonista e i compagni di gruppo, inizialmente di fratellanza, si logora con il passare delle scene e i crescenti squilibri del cantante, sebbene anche le grandi attenzioni ricevute da Morrison dal pubblico sicuramente non aiutino l'unione, allontanando parzialmente il frontman dagli altri componenti della band. Nelle fasi finali della vita del cantante, e con la partenza per Parigi dello stesso, il rapporto appare tuttavia ricostruito. I brani utilizzati nel film sono quelli giusti nelle scene giuste, e le scelte sono se non obbligate, perfette. Con la magnifica musica dei Doors "si è già a metà strada", probabilmente, ma qualunque critica rivolta al film, opportuna, condivisibile e giustificabile, non potrebbe comunque mai partire dalla sua perfetta colonna sonora.

2) The Movie
3) Riders On The Storm
4) Love Street
5) Break On Through (To The Other Side)
6) The End
7) Light My Fire
8) Ghost Song
9) Roadhouse Blues
10) Heroin
11) Carmina Burana: Introduction
12) Stoned Immaculate
13) When The Music's Over
14) The Severed Garden (Adagio)
15) L.A. Woman

