LENNY KRAVITZ

5

1998 - Virgin Records

A CURA DI:
Andrea Cerasi

DOPPIATORI:
Federico Pizzileo
MUSICA DI SOTTOFONDO:
LENNY KRAVITZ 5

DATA RECENSIONE:
13/04/2020

TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Ore 21:40. La strada fuori è buia, se non fosse per le luci dei lampioni che ne colorano l'asfalto. Fuori, tra l'altro, piove, le gocce d'acqua picchiano sul vetro delle finestre, sfocando un panorama esterno estremamente silenzioso. Due ragazzi si preparano per una serata fuori città, uno ha i capelli lunghi, di un castano tendente al chiaro, indossa jeans chiari e una felpa nera con il logo di una metal band sul petto, l'altro ha un look diverso, porta il ciuffo alla Elvis e veste con abiti appariscenti e colorati. Entrambi si preparano in silenzio, pronti per la notte che li attende, ben consapevoli che ben presto la musica sparata a un volume impressionante e le luci stroboscopiche della discoteca li abbracceranno fino all'alba. L'automobile è proprio davanti al portone di casa, i due scattano sotto l'acqua senza proteggersi con l'ombrello e si scaraventano in macchina, chiudendo gli sportelli quasi all'unisono e sogghignano mezzi fradici. Si guardano dritti negli occhi, così diversi ma così simili, amici di vecchia data con passioni e interessi diversi, sì, ma ciò non importa, perché il tragitto che da casa conduce al locale sarà lungo e intriso di un'atmosfera che li unirà e li farà sentire simili, condita da suoni liquidi come la pioggia che batte sul tergicristallo dell'auto. È il 1998 e le contaminazioni musicali ormai sono sterminate, è l'epoca della sperimentazione, del coraggio artistico, che coinvolge più o meno tutti i musicisti del mondo. È un'epoca transitoria, priva di effettive certezze, dove le band cambiano pelle di album in album, assorbono suoni e sfumature provenienti da ogni parte del globo e flirtano con la modernità e con le nuove tecnologie. Lenny Kravitz è tra i musicisti che optano per il cambio stilistico. Il giovane alla guida dell'auto afferra una cassetta: "Che ne dici?" chiede sbandierando "5", "Wow, il nuovo album di Kravitz, deve essere una figata!" risponde sorpreso l'altro, "Non è ciò ti aspetteresti da un musicista come lui" e la ficca dentro l'autoradio con fare deciso, poi si volta ancora verso l'amico metallaro concedendogli un sorriso luminoso. Ecco che partono le note del quinto album del cantante newyorkese, ma c'è qualcosa di strano: "Senti come suona diversamente qui?", dice l'uno all'altro, in effetti le chitarre rock, presenti nei suoi primi lavori e che omaggiano i suoni sporchi degli anni 70, non sono più in primo piano, la scarica elettrica questa volta è meno energica, ancorata al funk e alla musica black, ma che non disdegna quel tocco di modernità dato dall'elettronica. "5" è il disco della svolta stilistica e, come suggerisce il titolo, il quinto sigillo di Kravitz rivela un'anima morbida, fatta di loop e di scintille R&B. "Non è più il leone dei primi quattro album, vero?", domanda il metallaro, fissando la custodia della cassetta, mentre il compagno scuote il capo, "Però spacca di brutto!", aggiunge alzando il volume. Eh no, cari, i primi dischi sono decisamente più vigorosi e spregiudicati, qui Lenny Kravitz preferisce lasciarsi cullare dal tepore della notte, abbandonandosi a una serie di inni alla vita o a intime riflessioni che riguardano la sua esperienza, come la recente morte della madre, e quindi decide di annacquare ogni singolo strumento, come l'immancabile chitarra, sotto un velo di malinconia che divora la mente e che placidamente si diffonde nell'aria stantia della vettura in moto. Allora i due ragazzi restano in silenzio, travolti dalle note della cassetta, come avvolti da un fitto strato di nostalgia e abbracciati alla notte che fuori dalla vettura divora ogni angolo. I lampioni che colorano le strade sembrano luci di riflettori che illuminano le gocce di pioggia, danzanti sull'asfalto facendo da contorno ai ritmi della cassetta; i due amici si godono questo viaggio come ipnotizzati, rilassati alla vista del cemento bagnato, che in quel momento pare un mondo astratto. L'auto sfreccia per la città ma a loro interessa la musica, quella stessa musica che forse li unisce per la prima volta, una musica a metà strada tra il rock e il funky che piacciono ad uno e il pop danzereccio ed elettronico che piace all'altro. Si direbbe che son due ragazzi così diversi, eppure così uniti e vicini, uniti dai brani di "5", l'opera più venduta di Kravitz, ma...intendiamoci: forse non la migliore ma di sicuro quella con più anima. La cultura black delle ritmiche funk e soul, il caldo dei suoni, il fraseggio delle chitarre, incontrano in questo disco i gelidi rintocchi dell'elettronica, il beat computerizzato della modernità, e aprono un varco che fa luce lungo il cuore della notte. Un varco è color azzurro, proprio come il video del singolo "If You Can't Say No", dai tratti morbidissimi, o quello più cupo di "Black Velveteen", buonissimo pezzo dance, e allora i due ragazzi lo vedono con i loro occhi che si palesa in mezzo alla strada, incendiato dai fari della macchina. Inizialmente accolto con disprezzo dai vecchi fans e sminuito dalla critica, tanto che la rivista AllMusic lo definisce "Senza piglio e senza melodie vincenti, con qualche passaggio riuscito ma noioso e non all'altezza del culto dell'eroe dei primi album", "5" viene rivalutato poco dopo, quando i numerosi singoli conquistano le vette delle classifiche, come nel caso delle ballate elettro-soul "I Belong To You" e "Thinking Of You" o nella più intrepida "Fly Away". I brani fuoriescono dagli altoparlanti dell'autoradio, investendo i timpani dei due giovani, accompagnandoli nella notte in un tripudio di malinconia, tra melodie cibernetiche filtrate dall'elettronica e saporiti riff funky, tra grassi giri di basso e il caldo drum-beat tipici degli arrangiamenti R&B, senza contare il tappeto tastieristico costruito in sottofondo e l'ingresso, in più occasioni, del sassofono. Il tutto per un'esperienza che unisce cultura black e modernità e allo stesso tempo, come sa unire due mondi musicali diversi, è in grado di farlo anche con le anime distinte dei due ragazzi, assorti completamente dal clima dell'album. Il confine della città è superato e i ragazzi sono quasi arrivati a destinazione, pronti a scatenarsi nel locale affollato da centinaia di cuori ribelli, ma loro sono sereni, rilassati, lucidi, immersi nelle linee sinuose di "5" di Lenny Kravitz. Il guidatore rallenta, come un prestigiatore dalle mani velocissime si appresta a cambiare lato della cassetta, poi preme di nuovo sul gas e affronta gli ultimi chilometri. "Hei, rallenta, cazzo!" suggerisce il metallaro "Godiamoci la musica, la serata può attendere, freghiamocene". C'è ancora tempo per il delirio notturno, i due vogliono prima terminare l'ascolto, il metallaro contempla il suo amico, alza il volume dello stereo e la musica di Kravitz si spande nell'aria, aleggiando nella notte, ondeggiando tra le gocce di pioggia. "Sai che c'è? Ce lo spariamo anche al ritorno. Ce lo spariamo per tutta l'estate e per tutto l'autunno", "Ci sto, non so perché ma questo album mi fa stare bene. Dannatamente bene!", "È stata una sorpresa, vero?", "Oh, puoi sommetterci l'uccello". Giungono alla meta quando "5" sta per sfumare, anch'esso diventato una specie di amico animato, compagno di viaggi e di avventure notturne, colonna sonora dell'intero 1998 e simbolo della loro amicizia.

Live

"Siamo già arrivati al 1998" annuncia Kravitz con un timido sussurro, quasi fosse incredulo al tempo trascorso davanti ai suoi occhi. Ma il 1998 è un fattore di poco conto, perché a sentire Live (Vivi), si percepisce un'aria diversa, e il clima che si respira è quello degli anni 70. La chitarra del sex-symbol americano non ruggisce con toni rock, ma si stende su fraseggi pungenti tipici della musica funk. La cultura black, con James Brown sempre nel cuore, emerge sin dalle prime note del brano, adagiandosi su un ritmo che affonda le radici nella musica nera, che odora di vecchie cattedrali riempite da canti gospel e di inni alla vita, ed è lo stesso Kravitz, con voce filtrata e robotica, ad affermare di essere stanco delle malelingue, della negatività che impera in città e degli abbattimenti e fallimenti che infliggono dolore alla comunità. Siamo sospesi nel tempo, negli anni 60 o 70, altro che 1998, ma al tempo stesso gli effetti cibernetici della voce e i drum-bit computerizzati ci ricordano che siamo in un'altra era. Tradizione e modernità si scontrano nel ritornello funky, sommerso da cori e dall'ingresso del sax, dall'aria pungente e diretta, nel quale il musicista invita tutti ad unirsi e a cantare di gioia, con gli sguardi diretti alla luce del sole, simbolo di felicità e di rinascita. "Vivete, tutti quanti noi dobbiamo vivere", suggerisce in tono perentorio un Kravitz in grande spolvero. La vita è il dono più prezioso della natura, Lenny ringrazia il Signore per la sua, e spera che anche per il prossimo sia lo stesso: "La scelta è vostra, combattete per il vostro destino. Fate bene a impegnarsi a vivere piuttosto che pensare alla morte". Le parole dell'artista americano incidono profondamente nel cuore dell'ascoltatore, in un tripudio di positività religiosa che ci riporta ai temi gospel delle comunità americane, proprio le stesse che hanno visto crescere il piccolo Kravitz. Gli effetti vocali si scontrano con la tradizione funk, le chitarre lasciano molto spazio al sax e ai cori e soprattutto al basso, in questo caso muscoloso e dirompente. Il sassofono si prende la scena, ci conduce nei bassifondi newyorkesi, in uno dei quei piccoli club inghiottiti dal fumo dei sigari e dall'odore del whiskey, dove un artista solitario si sta esibendo per pochi intimi. Il refrain torna a farsi sentire, ripetendosi come una spirale fino alla chiusura del brano.

Supersoulfighter

Il rumore di una specie di aereo invade le casse dello stereo, il velivolo atterra in pochi secondi facendo stridere le ruote al suolo. Uno sportello si apre all'improvviso e quello che ne esce fuori è una sorta di supereroe, un lottatore venuto chissà da quale terra lontana. Kravitz sostituisce la voce a pieni polmoni, quasi sempre gridata, dei primi lavori, con nuove sfumature maggiormente delicate, come falsetti e gridolini androgini, oppure con sospiri e gemiti. Il ritmo R&B fa la sua comparsa in Supersoulfighter (Combattente Dal Forte Animo), pezzaccio molto particolare che vede la contrapposizione di elettronica alla tipica canzone black vecchio stile. Le tematiche fantascientifiche sono presenti in un testo conciso che parla di un eroe venuto dallo spazio e che atterra sul pianeta terra per combattere il nemico. Il tema futuristico è innestato dallo sporco giro di basso, stordente e zanzaroso, che fa a duello con le tastiere spaziali, dipingendo uno scenario sci-fi davvero godereccio. L'eroe è atterrato dopo aver volato in cielo, ha combattuto innumerevoli battaglie per difenderci, e ha diffuso amore e vibrazioni positive verso tutti gli indifesi. Le vibrazioni elettroniche sono rese dalle tastiere, che si compongono di un tappeto gelido e annichilente, dannatamente moderne. Il chorus si distingue per una struttura a specchio, suddivisa in due blocchi identici, il primo tutto in falsetto e invaso da coretti, il secondo che vede un Kravitz più protagonista e virile. L'anima soul e gospel di Lenny Kravitz emerge prepotente, diffondendo vibrazioni positive e intonando una marcia trionfale per la vita, schiacciando i nemici al suono black degli strumenti, in particolare dai passi pesanti del basso e della batteria. Ma a dominare ci pensano le tastiere, che si dilungano in curiosi effetti sonori modernisti, facendo poi da trampolino di lancio per un lunghissimo e ipnotico fraseggio di chitarra che tenta di riprodurre la rincorsa della navicella spaziale pronta al lancio. Una nuova battaglia attende l'eroe, nuovi nemici da sottomettere e da convertire al bene, con la protezione divina e con l'entusiasmo di un sognatore la cui missione porterà alla pace e all'unione fra popoli. I cori gospel assomigliano a canti di speranza, auguri al guerriero che sta per ripartire alla volta dell'universo.

I Belong To You

Si cambia di nuovo pelle e ai ritmi black di aggiunge la calda aria reggae. I Belong To You (Io Appartengo A Te) è uno dei pezzi più quieti e vellutati dell'album, una distesa nostalgica nei meandri dell'animo umano, giostrata tutta sui rintocchi delle tastiere e sul giro di un basso pompatissimo. Il vocalist è delicato, declama in falsetto, per poi trasmettere diverse sfumature con il suo timbro, mentre i colori di cui è costituita questa canzone si amalgamano in una bellissima storia d'amore. È la dedica d'amore di un uomo nei confronti della propria donna, una dedica sentita, profonda e aulica: "Sei la fiamma del mio cuore, la luce tra le tenebre, sei una stella che si illumina in cielo e mi mostra il paradiso", recita il primo verso, sussurrato, cullato da una morbida atmosfera, fino a quando la chitarra non erge dal torpore, si ridesta, toglie lo strato di polvere dalle sue ossa e riprende vita, districandosi in un riff dall'antico sapore. "Appartengo a te, tu appartiene ame. Mi rendi la vita completa, così dolce e beata", e allora possiamo addirittura vedere le forme sinuose della donna corteggiata, che si muove nell'ombra e danza nel buio con scatti felini, gestiti dai giri di basso e dai campanelli celestiali di contorno. I toni si stemperano subito, nel secondo verso, rendendo l'aria fumosa e astratta, l'uomo, prima di conoscere la sua amata, aveva la mente chiusa e gli occhi vitrei, ma un raggio di sole è penetrato nel su cuore, accendendo il suo spiriti, facendolo rinascere. Il pre-chorus si fa largo attraverso un riffing caloroso, ed è qui che Kravitz alza il tono della voce per farsi sentire, sovrastando le tastiere e gli strumenti a corda, dove annuncia che la sua battaglia adesso è terminata, perché ha conquistato ciò che desiderava, e adesso è in pace con se stesso, sereno e lucido, lontano dalla frustrazione e dal peccato. Il refrain rafforza il concetto, la coppia si completa a vicenda, l'uno estensione dell'altro, uniti nel sacro vincolo dell'amore. Il fatidico abbraccio è racchiuso nel fraseggio che si impone sul resto della sezione ritmica, e la chitarra, in questo caso, è espressione di amore divino, di rapporto duraturo, di eternità. L'assolo è leggiadro e consolatorio, sostenuto da coretti angelici che emergono dal basso e che decorano questo intimo ritratto. La seconda fase del brano è dominata dalla ripetizione del ritornello, che si stende come un'eco fino alla fine, per poi dissolversi al rintocco delle tastiere, così come è iniziato, quietando gli animi concitati, rallentando i battiti di due cuori in preda alla frenesia carnale.

Black Velveteen

Sesto ed ultimo singolo lanciato per promuovere l'album, Black Velveteen (Vellutino Nero) si presenta come un pezzo elettronico che fa suoi gli effetti sonori più disparati, come l'aspirapolvere, il motore di un'auto, un trapano e molti altri strumenti che utilizziamo quotidianamente. Come un'onda magnetica veniamo investiti da un tappeto sonoro trascinante e dalla voce robotica di un Lenny Kravitz logorroico e che non si pone freni, proiettandoci in questo mondo cibernetico fatto di ombre nere e azzurre, come le immagini che vediamo nel bel videoclip. La canzone non possiede un vero e proprio refrain, ma ha una suddivisione in terzine che citano quasi sempre il titolo che racconta di una tecnologia che ci rende schiavi dello schermo, che ci ipnotizza e che ci brucia il cervello. Il velluto nero sarebbe lo schermo del computer e della tv, mondi alternativi nel quale perdersi rischiando relazioni fisiche e rapporti col mondo reale. Il velluto nero è pulito, semplice e malleabile, ma nasconde insidie e lati oscuri. Così come si fa zapping cambiando continuamente canale alla tv, oppure navigando su mille siti internet, così il testo di questa interessante canzone vomita frasi che contengono immagini e concetti differenti, come se tutti noi stessimo osservando lo schermo di un pc nel quale interferiscono tantissimi siti. Il drumming è sempre più pressante, aumenta d'intensità mano a mano che si procede nell'ascolto, mentre l'effetto robotico si impossessa letteralmente del timbro di Kravitz. È il sogno dell'uomo del ventunesimo secolo, divoratore di immagini e di pensieri, ma che non riesce a stabilire una connessione con la realtà che lo circonda, isolandosi da un mondo che ripudia. Il trip è iniziato, costituito da allucinazioni indotte e da punte di surrealismo, poi la chitarra del vocalist svetta alta imponendosi con un fraseggio dal retrogusto funky, in quello che potrebbe assomigliare al vero ritornello, dove la linea melodica cambia improvvisamente e l'impostazione vocale assume connotati più umani. "Non importa se lei laverà i piatti stasera, non importa se la lettiera del gatto odora di fragole, o delle pubblicità che ci sono in Francia o se lei danza di continuo", declama con toni arcigni l'americano, preso dalla foga della sua immancabile chitarra elettrica. Ecco il break centrale, una miriade di rumori irrompono per alienare la mente dell'ascoltatore, cip elettronici, trapani, aspirapolveri, motori di vari strumenti, a simboleggiare la materia artificiale che stiamo modellando e che, probabilmente, tra non molto tempo, influenzerà il nostro modo di vivere, tra relazioni usa e getta, amori materiali da riporre nell'armadio quando non occorrono più o da tirare fuori in caso di necessità. Diventiamo tutti divinità che si divertono a creare, a plasmare e a distruggere.

If You Can't Say No

Con If You Can't Say No (Se Non Puoi Dire No) siamo trasportati in una futuristica stanza blu ipertecnologica, dove un Lenny Kravitz dai lunghi capelli arricciati si muove da un angolo all'altro assieme all'attrice Milla Jovovich. Le luci dei fari al neon illuminano fiocamente gli spazi, dando questa sensazione di malinconia e quiete, ma anche serenità, quasi a trovarci all'interno di una navicella spaziale. L'arrangiamento R&B è una fredda ritmica che richiama la luce azzurra della stanza, le tastiere cullano come una ninna nanna la voce di un Kravitz sensuale che descrive la sua amata, descrive il fascino che trasmette agli uomini che le girano attorno, le sue mosse feline, i suoi atteggiamenti magnetici. Il chorus non è altro che un loop di suoni sui quali svetta un frizzante riff, anche se il timbro del vocalist rimane costantemente annichilente e ipnotico: "Se non puoi dire no, pensa a me", ripete più volte, cullandoci tutti in questa nenia notturna di grande effetto. Kravitz si fa avanti, si pone davanti alla donna fatale, e allora prende forza per intonare la seconda strofa, dicendole di amarla, di vederla nei suoi sogni, e che lo stesso succede a lei, tenebrosa creatura per chiunque ma limpida ai suoi occhi. Nel secondo chorus, oltre la chitarra funk subentra il basso, pressante quanto basta per simulare, con i suoi giri ondeggianti, le forme della donna. L'assolo di chitarra è sofferto e trasmette dolore, nel ricordare il tradimento da parte di lei e il pianto dell'uomo, dal cuore spezzato in due a seguito della lettura di una lettera lasciata dalla ragazza e con la quale annunciava la separazione. L'anima sofferta viene identificata non solo nello stridente riffing, ma anche da una coda soul fatta di cori e contro-cori che sembrano provenire direttamente dal cuore. Il primo singolo estrapolato da "5" è un pezzo che spiazza, in queste note non c'è il Lenny Kravitz rocker dei primi album, non ci sono i suoi iconici riff di chitarra o le profonde linee di basso, ma lo spirito è di tutt'altro sapore: notturno, intimo, sepolcrale. Si respira sofferenza in questo testo, ma anche amore incondizionato, il tutto racchiuso in poche note di grande fascino e, se vediamo il videoclip, in una scenografia scarna ma molto particolare, dove a dominare sono le immancabili luci blu, che tra l'altro è il colore della malinconia, della notte e della solitudine, elemento portante di tutto il disco.

Thinking Of You

Un Lenny Kravitz riflessivo e adulto, che si concede ai ricordi, che scava dentro se stesso, nelle profondità del suo animo, per raccogliere pensieri e parole sulla sua esistenza, e così non può mancare l'accorato appello alla mamma Roxie, scomparsa nel 1995, in Thinking Of You (Pensando A Te), delicata semi-ballata nella quale il musicista interroga direttamente la donna, ascesa in Paradiso. Si tratta sicuramente del brano più sofferto dell'album, qui Lenny si mette a nudo, e tra le lacrime implora la benedizione. Le note del piano sono leggiadre e timide, scandiscono i ricordi impressi sul proiettore nel toccante videoclip, dove l'artista canta e suona davanti a un telo sul quale sono proiettate le immagini di sua madre. Intanto, dei vaghi ritmi tribali si impossessano del sound, accompagnando la chitarra e la voce di Kravitz. L'uomo interroga la mamma, le chiede se adesso è felice, se la sua vita è cambiata in meglio o se è rimasta la stessa; le chiede di come sia fatta la libertà. Egli pensa a lei, ripercorre tutta la sua vita, in balia dei ricordi, e la rincuora dicendo che sta provando a realizzare tutto ciò per cui lei ha combattuto, cercando di essere la persona che lei ha sempre voluto che fosse. L'arpeggio della chitarra si scontra con le suadenti note delle tastiere nella seconda parte della canzone, dove il musicista si chiede se su in Paradiso ci siano grandi balaustre di ottone o se il sole brilli notte e giorno. Non resta che dormire, adesso, non resta che asciugare le lacrime, adesso. Tutto è passato, il ricordo fa sempre male ma il tempo ha portato via con sé ogni rimorso e una nuova consapevolezza. L'artista ha accettato il destino, anche se la donna le manca da morire. Il mood di tutto il disco è racchiuso in queste linee strumentali, nei gridolini sofferti lanciati dopo ogni refrain e nelle parole profuse. Il basso entra in scena a metà, trasformando la ballata in una eterea canzone funk, dando inizio, più tardi, all'ultima fase, una bellissima e cullante coda gospel farcita di cori, sussurri e da un maggiore intervento strumentale.

Taking Time

Una batteria lenta ma decisa sostiene un ritmo possente e a tratti sensuale, imitando le movenze di una pantera che nel buio della giungla lentamente si avvicina all'ignara preda. Taking Time (Prendendo Tempo) prende forma seguendo passo dopo passo l'incauta escursione, adagiato su un mood decisamente calmo nel suo incedere, con tanto di melodie inquietanti dettate da synth mai invadenti, ben cesellati all'interno di questo silenzioso assalto. Suoni degni del buio, dell'occulto, del proibito: i celebranti del mistero e dell'ambiguo si radunano fuori le porte di un locale esclusivo quanto noto. Scambiandosi cenni d'intesa, mostrando alla fauna locale la propria stravaganza, i celebranti di questo bizzarro rito si radunano nel cuore di questa giungla d'asfalto. Kravitz canta in maniera calda e a tratta lasciva, lasciando che il calore del mistero pervada le ossa. Come uno sciamano voodoo, Lenny invita i suoi adepti al sabba, coadiuvato dal pompare incessante della grancassa, dallo sfarfallare di una tastiera a tratti psichedelica, inquietante e sensuale. Un vero e proprio diamante nero, presentatoci in tutta la sua sfavillante bellezza e crudeltà. "Dovremmo prenderci del tempo, per ciò che realmente amiamo", cita il testo, consigliando di abbandonare l'incessante e caotico ritmo della realtà, del lavoro, della pesante società. Via la maschera d'ogni giorno, in favore della pura e sincera essenza del nostro essere. È in queste occasioni, in questo strano sottobosco, che l'Io prende la sua forma definitiva. "Dovremmo prenderci del tempo, per capire chi realmente siamo", ripete Kravitz, continuando con il suo fare sciamanico, donandoci la possibilità di assumere il nostro vero aspetto, almeno per una sera. Un club esclusivo in cui l'ordinarietà e la scontatezza sono bandite come peste: colori sgargianti, luci colorate, abiti sgargianti, l'importante è distinguersi, mostrare originalità e personalità, senza timore di venir additati come strambi o pazzoidi. Una festa dei folli in cui il timorato, il mediocre, non sono ben accetti. "Non pensi che nella vita ci sia qualcosa di sbagliato? Non odi il fatto che tutto sia così finto?"; parole ripetute in loop, che descrivono la voglia scatenata di abbandonare le proprie paure dietro chitarre serpeggianti e calde black voices. Proprio verso la fine, Kravitz viene aiutato da un altro sciamano, intento a ripetere le sue stesse parole. Un'ugola avvolgente, persa nella nebbia, proveniente dai sobborghi e giunta sino alle nostre orecchie per trasportarci in una dimensione assai diversa da quella che conosciamo. Non certo il pub dietro casa, non certo la solita birra in compagnia dei soliti amici, niente di tutto ciò a cui siamo abituati: siamo persi nella giungla, sentendoci ciò che veramente siamo. "Tutto quel che ci propinano son solo menzogne"; smettiamo dunque di mentire a noi stessi, calandoci nei panni che vorremmo, dismettendo quelli che siamo costretti a indossare quotidianamente.

Fly Away

Con Fly Away (Voliamo Via) prendiamo coraggio e saltiamo dall'orlo del precipizio. Impariamo a volare precipitando, abbandonando la calda sensualità del brano precedente per tuffarci in un contesto sicuramente più dinamico e scandito da ritmi più movimentati, senza tralasciare la sostanziale orecchiabilità di questa hit radiofonica. Il più clamoroso successo di "5", ossia il pezzo che lanciò il nome di Lenny Kravitz nell'Olimpo, nel Gotha degli artisti intoccabili, un brano che di fatto mise d'accordo più compagini, fino ad allora inconciliabili. Una chitarra semplice e incredibilmente seducente disegna un riff dal piglio accattivante, in grado di stamparsi nelle nostre menti, spingendoci a ballare seguendo il ritmo impartito dalla voce di un Lenny sempre molto ammiccante e mai troppo ruggente. Una situazione non proprio d'assalto, piuttosto placida, che ha più la volontà di stuzzicare che travolgere, spingendo al movimento danzereccio senza nemmeno dare il tempo di capire cosa stia succedendo. "Vorrei poter volare in alto nel cielo, sì, in alto, come una libellula", suggerisce un testo che simboleggia voglia d'evadere e di slegarsi da ogni catena, tipica di chiunque abbracci uno stile di vita alternativo, che sia Metal o Rock, che sia Punk o Disco. Le piccole differenze crollano dinnanzi alle grandi analogie, dinnanzi alla voglia di celebrare la propria sacrosanta libertà, il proprio essere. Dopo aver tastato palmo a palmo la giungla, ci ritroviamo nel suo cuore, entrando in contatto con ogni suo abitante. Siamo arrivati fino in fondo. La voce da pifferaio magico udita in "Taking Time" ci ha condotti sino alla splendida "Fly Away", che fa della ripetitività e della semplicità i suoi punti di forza. Un brano smaccatamente pop con alla base un messaggio chiaro: evadere dall'ordinario, dal monotono, dallo scontato. "Andiamo via, visitiamo la via lattea, le stelle, arriviamo addirittura verso Marte!". Le premesse sono quelle di un baccanale, di una serata memorabile, iniziata al ritmo di ali che sbattono libere e fiere. "Sento il bisogno di andare via, sento il bisogno di volare via!". Che tu sia un metallaro o un amante dell'house music, è questo quel che cerchi dalla musica, ovvero un trampolino di lancio verso l'ignoto, un interruttore in grado di spegnere il mondo reale per accenderne un altro, decisamente più interessante, variopinto, stravagante. "Arriviamo sin dentro il sole, ove il tuo spirito è realmente vivo, divertiamoci, saremo un tutt'uno!", una piccola porzione di mondo solo ed esclusivamente per chi sappia divertirsi in maniera libera e spensierata. Siamo nella giungla urbana, fatta di colori, di luci, di suoni, di fumi di liquore e di densa nebbia. La leggerezza di "Fly Away" ci catapulta dritti nel cuore del divertimento, rendendoci spiriti liberi.

It's Your Life

La trionfale musica funky, so black and so wild, apre le danze presentando It's your life (È La Tua Vita). È la nostra vita, la nostra esistenza narrata a ritmo black, facendo in modo che il tutto prenda una piega incredibilmente accattivante. Il calore nero riecheggia nelle casse dello stereo, quasi tramutandoci in dei novelli Shaft alla guida di una cadillac che sfreccia nei sobborghi di Detroit. Un brano che avrebbe meritato la parte del fiero leone, in un'eventuale colonna sonora tipicamente blaxploitation. Lenny continua con il suo andamento dolce ed affascinante, prediligendo uno stile vocale più accomodante, di sicura ispirazione per quel che sarebbe stato il proliferare delle boy band anni '90. Un modo di cantare che i vari Justin Timberlake, Five, Take That e NSYNC avranno studiato più che bene, spalmato lungo arrangiamenti certamente più ricercati di un normale pop da classifica. L'elemento più catchy è infatti giocato proprio dalla voce di Kravitz, mentre il sottofondo rimane stabile su terreni funk ben arati, pronti a regalarci frutti succosi. "Dicono che il nostro amore sia sbagliato, che non dovremmo andare avanti.. io dico che sbagliano, io ti voglio!"; recita Kravitz in quel che sembra, in apparenza, un normale dramma adolescenziale, mentre continua imperterrito a scandire il senso di una serata all'insegna del divertimento. Fiero e determinato, il brano sembra voler dipingere e indicare il timore di una giovane ragazza, impaurita dalle menzogne di un mondo fasullo. "Dillo a tua madre, a tuo padre, al prete!", figure autoritarie, che impongono un modello apparentemente impossibile da scardinare ma che, lottando, si riesce a superare. Il divertimento, la libertà, la voglia di essere se stessi, a prescindere da ogni tipo di etichetta o forzatura, è proprio dietro l'angolo. Cosa siamo, chi siamo, perché la vita è così ingiusta? Dietro un amore difficile si cela in realtà una mano tesa verso noi stessi. Abbiamo forse paura di vivere la vita per quel che realmente siamo? Il mondo ci reclama, il mondo ci vuole. Saremo capaci di vincere ogni tipo di paura per concederci ad esso, ribellandoci una volta per tutte? Intanto ci abbandoniamo all'aura seducente di un brano incredibilmente sugli scudi. "Tutto quel che voglio è fare ogni cosa assieme. È la tua vita, è la tua vita!". Riusciremo ad accettare questo richiamo di sincerità e di piena accettazione e libertà individuale? Dobbiamo solo tirare fuori il coraggio e proseguire l'avventura nel cuore di questa giungla nera e pericolosa.

Straight Cold Player

Il Funk continua a scorrere prepotente dalle casse dello stereo, soprattutto quando Straight Cold Player decide di fare la sua sfrontata comparsa. Un brano che si presenta in maniera decisa, rivelandosi prepotente e borioso, insopportabilmente sicuro di sé ma di certo vincente. È tempo che emerga il vero giocatore, colui che non deve chiedere mai. Con quest'aria da tronfi pavoni tutti noi ci facciamo largo in un mondo che forse non ci compete ma che riesce, al contempo, a schiacciare chiunque si riveli debole ed indifeso. Farsi vedere timorosi o timorati sarebbe la fine, poiché la giungla metropolitana non perdona, ed eccoci decisi più che mai a trattare chiunque come fosse un nostro pari, indipendentemente dal suo rango o dal suo reddito, ignorando le gerarchie sociali. Salutiamo e stingiamo mani, non perdendo mai il nostro sguardo da consumati uomini di mondo. Giochiamo senza paura di perdere, puntiamo tutto sulla roulette della vita, ricevendo in cambio il doppio di quanto scommesso. "Sono un vero giocatore, tesoro!", è la frase che pronunciamo ogni qual volta una persona incroci il nostro sguardo, e in questo caso la pronunciamo con la voce di Kravitz. Nessuno ha modo di chiedersi chi siamo e perché ci troviamo lì, nessuno si pone domande, nessuno dubita del nostro carattere. La gente rispetta che vero giocatore, l'impavido. Il trionfo del Funk nella sua più totale essenza, un brano dalle liriche risicate e quasi totalmente assenti, che lascia spazio a fiati e a un'andatura tosta e maschia. Angeli con le trombe e diavoli con i tromboni, nulla ci spaventa ed eccoci intenti a sfoggiare una camminata solida ed impettita. Vigorose strette di mano, ammiccamenti, voglia d'esser sicuri di sé con chiunque, senza sensi di colpa e senza timori. Senza rimpianti o rimorsi, prendiamo di petto la vita stessa. Un brano semplicissimo che fa del loop e di pochi squilli solisti la propria ossatura, eppure, nonostante il minimalismo sonoro e vocale, è così dannatamente efficace, catchy ed allo stesso tempo impegnato, caldo, vibrante.

Little Girl's Eyes

Il rullante introduce la ballad più famosa di "5", la dolce e nebbiosa Little Girl's Eyes. Gli occhi di una ragazza, timida e fragile, che appartengono al nostro unico e vero amore. Prendiamo per mano la nostra bella, accarezzando i suoi palmi ed avvicinando le labbra al suo orecchio. Synth docili e chitarre melodiche, dunque la voce di Lenny fa il suo ingresso con estrema morbidezza. Come fossimo lui stringiamo la nostra bella, sussurrandole parole d'amore. "Tutto quel che ho, tutto quel che faccio, nulla è comparabile all'amore che provo per te". Lei arrossisce e sorride, il nostro cuore si colma di gioia, invitandoci a continuare. Sfoghiamo finalmente i nostri sentimenti, sentendoci liberi, anche questa volta. Amare al massimo delle proprie facoltà, senza timore, senza paura. "Il tuo cuore è la mia casa. Sei il regalo più grande, così bella, così intelligente. Vedo in te la madre dei miei figli". Un sentimento reale, puro come luce, candido come neve. La forza incontrastabile di un fiume in piena, mista al dolce tocco d'una carezza. Armonia, complicità, morbida e solenne danza di anime. "Tutto quel che voglio è tornare a casa e guardarti negli occhi.. quei tuoi occhi da ragazzina". Un brano mediamente lungo che fa della sua semplice struttura un vero e proprio punto di forza. Ottimo il lavoro chitarristico, soprattutto in fase di assoli: sembrerebbe quasi di udire uno splendido connubio fra il Santana più delicato e lo Steve Vai più romantico, il tutto sapientemente impastato con dei synth caldi e in un certo senso ammiccanti. L'Amore non è solo sentimento, dopo tutto; il comparto elettronico riesce con la sua sensualità a farci percepire quel tepore carnale che è degna coronazione di un sentimento esteso oltre ogni confine. La complicità del sesso non è vista come un atto bestiale fine a se stesso, ma come un qualcosa di più profondo e intimo. Il sottofondo giusto per una densa notte di passione, una calda folata di scirocco fra i capelli. Lei, la nostra bella, fra le nostre braccia: sospiro dopo sospiro, innocente ansimare, comunione di corpi avvinghiati. Ecco l'impero dei sensi, il trionfo d'ogni voglia.

You're my Flavour

Giungiamo a un qualcosa di più superficiale, per così dire. Lenny cambia ancora una volta le carte in tavola, rendendo il passaggio fra vero amore ad avventura estiva appena percettibile, eppure, al contempo, particolarmente marcato. In You're my Flavour (Tu sei la mia Essenza) potremmo pensare ad un ulteriore eccesso di romanticismo; potrebbe dopo tutto esser così, se non fosse che parole apparentemente candide e poetiche vengano messe al servizio di una voglia di conquista, di bramosia. "Quel modo che hai di amarmi è come un ago che buca la mia pelle. Quando non sei qui non è la stessa cosa! Sei quel sapore d'amore, quel sapore che cercavo da tanto tempo!" Un Kravitz senza dubbio più concreto e dedito alla conquista facile, al rimorchio in stile Playboy. Un brano difficile da inquadrare, a livello di significato. Dal punto di vista musicale, lo sviluppo pare di contro molto più chiaro: l'andatura è letale, implacabile, lenta come un ghepardo nella savana pronto a ghermire la preda, sfavillante come il suo bel mantello maculato, a macchie nere e dorate. A differenza di quanto accadeva nella precedente ballad, questa volta si cerca di andare dritti al sodo, optando per parole più semplici e di sicuro impatto. Una poesia certamente meno ispirata eppure adatta allo scopo, convincere una dolce fanciulla a scongelare il suo cuore di ghiaccio. Nessuna donna resisterebbe ad una dedica del genere. Stringendo una carezza in un pugno, Kravitz cosparge la sua musica di miele, pur volendo risultare oltremodo provocante, virile e al tempo stesso sensibile, per un mix letale per qualsiasi donna. "Il modo in cui mi tocchi, oh, annulla ogni tipo di dolore! Mi rendi folle, comincio a girare in tondo senza meta". Questo è il messaggio, chiaro e semplice: un brano piuttosto debole nella sua struttura di base, non certo complesso o comunque denso di particolarismi. Sembrerebbe quasi creato da una costola di "Little Girl's Eyes", risultando un piccolo prolungamento, un qualcosa da inserirsi perfettamente nel contesto già trattato, sebbene il brano precedente risulti più ispirato, anche in virtù di una lunghezza estremamente più importante e prolungata.

Can We Find a Reason?

Arriviamo a Can We Find a Reason? (Possiamo Trovare Una Ragione?). Domande esistenziali da porsi alla fine di una serata all'insegna del divertimento, quando le luci ormai spente lasciano il posto all'oscurità d'una strada deserta. Siamo in macchina, giusto il tempo di radunare la nostra compagnia e di sistemare tutti sui sedili. C'è chi dorme della grossa, chi stravolto dai bagordi e a malapena riesce a trovare una posizione comoda per sonnecchiare. La strada è lunga, le luci dei lampioni si stagliano sul parabrezza, e ci chiediamo che senso abbia andare avanti. "Possiamo trovarla, una ragione?". Accompagnato da un'acustica e da un organo Hammond, con fare da predicatore, il nostro Lenny ci invita alla riflessione finale. Quasi imitando i suoi antenati nei campi di cotone, dediti al canto nonostante la schiavitù, decisi a cercare un perché, una risposta anche sotto gli schiocchi delle fruste, Kravitz diventa la voce della nostra coscienza, in un brano delicato e soffice come una nuvola. "Troveremo mai un motivo per vivere almeno un'altra stagione? Stiamo combattendo così tante battaglie, sopravviviamo giorno dopo giorno". Il fare messianico del frontman continua, in uno svilupparsi che strizza l'occhio al gospel, soprattutto in sede di refrain, quando dei cori squisitamente black contornano la voce del musicista, rendendo il suo messaggio ancor più diretto e lampante. "Dovremmo saper reagire, invece ci perdiamo in pianti. Il mondo è così inquinato, potresti credere che non vediamo e non sentiamo". Il divertimento non cancella quel che ci circonda. L'edonismo più sfrenato lascia il passo al rumore della vita, la quale torna prepotente a bussare alla nostra porta. Gli pneumatici mordono l'asfalto e, dalla radio, Lenny ci trasporta in questo vortice d'esistenzialismo attraverso domande semplici quanto impossibili da soddisfare. "È il nuovo millennio, troveremo mai un motivo per andare avanti?". Il duemila incombe, cosa sarà della nostra esistenza? Cosa ci riserverà il futuro? Un'altra notte è ormai alle spalle, altre ci attenderanno, ancora e ancora. Il gospel malinconico sfuma danzando nel vuoto dei quartieri assonnati, nei palazzi privi di vita e nelle strade deserte. Nebbia e gelo ghermiscono la nostra vettura. Persi nel sonno, i nostri pensieri risaltano in maniera prepotente, e si riescono quasi a sentire.

American Woman

Catturati dall'indimenticabile ritornello di American Woman che tutt'oggi riecheggia nelle orecchie di tanti appassionati di musica, veniamo immersi in uno dei brani più aggressivi del lotto. "Americana, ti ho detto vai via! Lasciami perdere, non bussare alla mia porta, non voglio più vederti!". Riff di chiara matrice Rock ed un'interpretazione decisamente ruggente di un Kravitz in grande forma. Un brano proposto come bonus track di "5" e al contempo uno dei più importanti a livello d'iconografia: ci troviamo dinnanzi ad uno dei pezzi simbolo di un artista carismatico ed energico, che grazie alle sue interpretazioni così vibranti e trascinanti è riuscito a collocarsi prepotentemente nell'immaginario collettivo. Una performance che ha posto Lenny Kravitz non solo come cantautore di spicco ma anche e soprattutto come sex symbol della scena pop rock americana, facendo impazzire il pubblico femminile. Curiosamente, "American Woman" non è un inno all'amore né una canzone d'amore, né tanto meno un brano di Lenny Kravitz! "American Woman" è, infatti, un brano del 1970, titolo stesso del settimo album della band canadese The Guess Who. Il brano in questione narra di una situazione sociale abbastanza delicata: l'emancipazione delle donne negli Stati Uniti degli anni 60 e quel processo di liberazione dai gioghi imposti dalla società avvenuto proprio in quegli anni. La definitiva presa di posizione all'interno di un sistema che vedeva le donne ai margini e il movimento femminista all'apice della sua diffusione. Sin dalla prima frase del testo, che recita "Stai lontana da me!", si indica un affronto simbolico, una specie di frecciatina che sottolinea quanto la donna sia fondamentale all'interno della società. La stessa donna, e tutto ciò che rappresenta, viene qui affrontata, a muso duro, da un Lenny Kravitz intento, attraverso l'energia di riff possenti e di una voce aspra, a tenere alla larga le numerose ammiratrici. "Ho cose più importanti da fare che diventare vecchio assieme a te. Americana, stammi lontano! Vattene, ora!", grida a più non posso, imponendosi sulla massa come simbolo di maschio dominante che non deve chiedere mai.

Without You

I timidi arpeggi di un'acustica, sormontata da synth gentili e pacati, introducono una ballata delicata ed educata, perfettamente in linea con le altre già udite nel corso dell'album. Without You (Senza Di Te) si fa largo con i suoi sparuti effetti elettronici di gusto "space", misti a note meste e quiete intonate dalla voce di un Kravitz dolce e desideroso dell'abbraccio e delle parole di una bella fanciulla, vista come un angelo consolatrice, o forse un diavolo fuggito via all'improvviso. "Sono così stanco di questo posto, voglio udire la tua voce, voglio guardare i tuoi occhi, non posso fuggire dai sentimenti che provo per te". Adagio e triste, Lenny abbandona la sua folta criniera da leone in favore di una tenuta da cucciolo smarrito. Una turba quasi adolescenziale, un motivo abbastanza scontato dal dipanarsi prevedibile, nel quale il musicista americano si strugge per la perdita di una ragazza, finita chissà dove, lontana dal suo amore e dalle sue braccia. "Non voglio passare un altro giorno senza te, cercami, ti supplico, perché non posso starti lontano"; qui viene evidenziato il lato più struggente di un uomo che, nel giro di un paio di brani, è passato da sex symbol a ragazzo introverso. Un cambio di prospettiva abbastanza spiazzante, all'interno di un brano che comunque segna un ulteriore passo avanti nella scalata alle classifiche. Una ballad che ha fatto fortuna soprattutto fra il pubblico femminile, conquistato da cotanta sensibilità a buon mercato. Un po' come era stato per "Beth" dei KISS, il romanticismo fine a se stesso ha spinto in avanti un disco comunque già pieno di hits meritevoli. Avremmo potuto forse fare a meno di una storia d'amore così scontata: le pene di un innamorato perduto dietro i giochi sadici della sua bella, allontanatasi senza pietà. "Alcune volte non mi sento vivo, non posso scappare lontano dalla verità. La vedo chiaramente, capisco, e mi chiedo dove sia la felicità di un tempo". Il tutto è abbastanza scontato e leggero, salvo per gli sparuti effetti spaziali dati dal contesto elettronico, vera e propria sorpresa di un brano altrimenti un po' troppo piatto ed esile nella struttura.

Conclusioni

Lo sentite? Eh sì, quello è il rumore del motore che mangia la strada, il metallaro volta lo sguardo indietro sui sedili posteriori, osservando chi, in quel preciso istante, anima il microcosmo della sua vettura. Da un solo amico ad altri due aggiunti, bisognosi di un passaggio. I chilometri son tanti, e il rischio di addormentarsi è concreto, prepotentemente dietro l'angolo. Ecco, dunque, "5" ad animare quello strano torpore, a diradare in maniera breve e intensa la coltre dei bagordi notturni. Tutti smaltiscono gli effetti del sabato, chiunque a modo suo. Crollati con il capo malamente adagiato sui poggiatesta, tirando capocciate al finestrino per la sonnolenza che incombe maledetta. Solo lui, quel ragazzo vestito alla Dave Mustaine, rimane vigile ed attento. Non deve crollare! Anche perché - bella responsabilità! -  ha il compito di riportare a casa i suoi amici, sani e salvi, ognuno nelle proprie dimore. In ogni nido c'è una famiglia, un caro che li aspetta. Le ruote, allora, fendono la notte, lo stereo lo aiuta a rimanere sveglio, assorto nelle sensazioni e nelle emozioni che un disco come "5" riesce a donare. Di certo non siamo dinnanzi ad un qualcosa di prepotente ed affilato, il capellone lo sa bene. Così come i suoi amici housettari, benché in dormiveglia o proprio travolti dalla stanchezza. Tutti risultano accomunati da un mix di stupore e forse di delusione: Lenny Kravitz ha in qualche modo compiuto una virata significativa, spostando la sua arte verso lidi più morbidi e fruibili, tralasciando in parte le velleità più aggressive e ruggenti del passato. Stupore e delusione che, a lungo andare, lasciano spazio ad un crescente senso di appagamento, di accettazione, di rilassatezza. Proprio perché, quando ben capito, "5" risulta un disco incredibilmente valido, sotto tanti punti di vista. Si parte dal principio: innanzitutto è un album dotato di una carica sensuale esageratamente smaccata. Un Kravitz che rieasce a far girare la testa, a sedurci con la sua musica, rendendoci a nostra volta dei predoni affamati di sesso, d'amore. Il disco perfetto per far centro, penserebbe un qualsaisi rockettaro invaghito d'una ragazza distante anni luce dalle magliette nere e dai jeans strappati. Il sottofondo perfetto per una serata in compagnia, per qualsiasi housettaro volenteroso di un background rilassato ed accattivante, lontano dal pestare incessante dei battiti elettronici. Tutti concordano, in quella vettura: "5" è certamente un album commerciale, da classifica si direbbe. Eppure riesce ad estendersi, lanciando i suoi tentacoli verso chiunque, aggrappandosi saldamente ai nostri cuori, trascinandoli via. Un mix letale di R&B, Soul, Funk, Black Music e reminiscenze Rock, un'amalgama perfetta, la fusione totale. Non fu un caso che il buon Kravitz riuscì proprio grazie a questo disco nella tanto agognata salita verso le vette più alte dell'Olimpo, divenendo un artista intoccabile, riconosciuto addirittura dalla vittoria di due Grammy Awards. Incoronazione, apoteosi, chiamatela pure come volete. Un disco che vince e convince, che culla il metallaro alla guida e lo mantiene vigile, facendolo riuscire nella sua missione. Pian piano, la macchina si svuota. Ognuno torna nelle proprie casa, i due amici si ritrovano improvvisamente al punto di partenza. "Ben svegliato caro!", esclama il capellone. "In verità non ho dormito poi così tanto", risponde prontamente l'altro, stiracchiandosi e stronfinandosi gli occhi. "Avevo detto che avremmo ascoltato "5" anche al ritorno ed ho mantenuto la mia promessa. Mi stavo semplicemente rilassando, godendomi la musica". I due scoppiano a ridere, scambiandosi una vigorosa stretta di mano in stile braccio di ferro, a mo' di saluto, sapete, strattonandosi per un istante quasi stesse per partire una sfida all'ultimo bicipite. "Be', allora alla prossima!". Un cenno di saluto e via, persi nella nebbia del primo mattino. Il sole, in lontananza sta sorgendo,  e quella placida Domenica sta per fare la sua comparsa, rilevando il posto del chiassoso fratello Sabato. Quali e quanti album riuscirebbero a creare un simile sottofondo adatto a tutti? Quanti dischi riuscirebbero ad animare l'inizio e la fine di una serata a tutto gas? Ben pochi, davvero ben pochi. Una domanda retorica forse inutile, eppure doverosa da porsi. La risposta, la conosciamo: "5" è tra i pochissimi lavori a metter d'accordo davvero i più diversi fra i diversi. Ed è proprio per questo che non possiamo sottovalutare il contenuto di questi solchi. Limitarsi ad analizzare in maniera fredda e scientifica una struttura musicale potrebbe fuorviarci e mandare in malora quel che Lenny Kravitz riesce a costruire in questa precisa occasione. Canzone dopo canzone, testo dopo testo. Melodie sognanti ed incalzanti in grado di animare ogni nostro pensiero, ogni nostra fantasia. Un giaciglio per le nostre menti e per i nostri cuori, tenuti al caldo e sempre, sempre cullati. Brani semplici, d'accordo... eppure, quanto densi? Quanto vibranti e colorati? Quanto... vivi?

1) Live
2) Supersoulfighter
3) I Belong To You
4) Black Velveteen
5) If You Can't Say No
6) Thinking Of You
7) Taking Time
8) Fly Away
9) It's Your Life
10) Straight Cold Player
11) Little Girl's Eyes
12) You're my Flavour
13) Can We Find a Reason?
14) American Woman
15) Without You