Def Leppard

Hysteria

1987 - Mercury Records

A CURA DI:
Andrea Cerasi & Fabrizio Iorio

DOPPIATORI:
Alfonso Zarbo
Michele Alluigi
MUSICA DI SOTTOFONDO:
Hysteria, musica originale

DATA RECENSIONE:
14/02/2020

TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

31 dicembre 1984. Una Chevrolet Corvette sfreccia lungo una strada di campagna della città di Shaffield, a bordo ci sono il batterista Rick Allen e la compagna Miriam. La coppia si sta recando da un loro amico per festeggiare il capodanno, quando un Alfa Romeo, non concedendo il sorpasso, ingaggia imprudentemente una gara. Preso dall'istinto goliardico, il giovane batterista accelera per superare proprio quando la carreggiata curva pericolosamente a destra. L'auto perde il controllo ed esce di strada, andandosi a schiantare contro un muro di pietre per poi ribaltarsi nel campo accanto. Miriam è stordita ma sta bene, Rick Allen, invece, è adagiato sul terreno, privo di sensi. Il colpo lo ha sbalzato via ma il suo braccio è rimasto all'interno del veicolo, incastrato dalla cintura di sicurezza difettosa che lo ha tranciato di netto. Si dice che l'esperienza, e talvolta persino la tragedia, fortifichi lo spirito. Se esiste una formazione dallo spirito solido come il cemento che gli ha permesso di non sfaldarsi e di proseguire imperterrita il proprio cammino, questa porta il nome di Def Leppard. Se il destino, magari nella figura di un leopardo famelico e dagli artigli affilati, ha deciso di accanirsi con ira nefasta su questi ragazzi inglesi, bè, allora ha trovato pane per i suoi denti, dato l'attaccamento alla vita e la fame di successo che i nostri hanno dimostrato negli anni. Quella raccontata è soltanto una delle tragedie che hanno costellato la carriera dei Def Leppard e che sono, guarda caso, quasi tutte concentrate in un preciso lasso di tempo, scandite durante i tre lunghissimi anni serviti per la realizzazione di uno dei dischi più venduti, popolari e venerati della storia della musica. "Hysteria", titolo suggerito proprio dal povero batterista, è un lavoro frutto di indecisioni, di drammi, di crisi esistenziali che hanno sconvolto la band inglese sin dalla sua origine, al tramonto degli anni 70, attraverso un percorso segnato da risse, accoltellamenti, lanci di urina sul palco, minacce per tradimento e tanto altro ancora che hanno reso leggenda non solo i Def Leppard, ma tutti i protagonisti dell'epopea rock di quella decade. "Hysteria" è lo specchio di una Shaffield industrializzata, degradata e violenta, abitata da operai frustrati e stanchi e da giovani in cerca di riscatto, stufi della politica Tatcheriana e costantemente in rivolta contro un mondo che non vogliono. Sin dagli inizi, i Def Leppard dimostrano di essere tra i rappresentanti più genuini e viziati di questa insoddisfazione, incarnando il senso di rivalsa giovanile che impera in quegli anni. La storia della band, scandita da incredibili disavventure funeste, è alla base della costruzione dei loro album e del loro percorso artistico. Il successo di "High 'N' Dry" e maggiormente quello di "Pyromania", sulla bocca di tutti e dominatore delle classifiche della neonata MTV, garantisce sicurezze economiche, armonia tra i componenti e popolarità in Europa, ma adesso manca solo una missione per completare l'ascesa: conquistare definitivamente gli Stati Uniti d'America. Più volte i ragazzi ci sono andati vicino, ma mai sono riusciti nell'impresa, probabilmente per via di un'indole fin troppo britannica e selvaggia, fatta di istinti e di eccessi, di rabbia e di ribellione. Serve una svolta in piena regola, un piccolo ma eclatante cambiamento che proprio tra il 1984 e il 1987 giunge a compimento grazie al rientro, dopo una pausa di un anno e mezzo, di Robert Lange, lo stesso produttore che segue i ragazzi dall'esordio e che garantisce fedeltà, professionalità e anche vezzi perfezionistici che non molti gradiscono ma che i Def Leppard esigono, ora più che mai, per tentare la scalata del mondo. Dopo la breve e inconcludente parentesi di Jim Steinman, già produttore e compositore del pluripremiato "Bat Out Of Hell" di Meat Loaf, terminata con il suo licenziamento a causa della troppa elasticità mentale che dona troppa libertà alla band come se gli importasse ben poco del risultato finale, il rientro di Lange regala un sospiro di sollievo, tanto che il personaggio viene inteso, dai ragazzi, come il salvatore di un lavoro dai tratti confusi, indecisi e pasticciati, capace di riprendere tutto il grezzo materiale realizzato fino a quel punto dalla band, assemblarlo e rimodellarlo secondo uno stile di registrazione totalmente differente, più moderno e pensato per le classifiche, in grado di sfidare addirittura Michael Jackson, l'unico artista in grado di restare al primo posto per mesi. I brani di questo album vengono scritti con l'intento di lanciare singoli a profusione, sfruttando le migliori tecnologie disponibili al momento e poggiando su particolari armonie vocali, stratificandone i cori in sottofondo e ammorbidendo il suono generale delle chitarre, passando dall'hard rock robusto dei precedenti lavori a un AOR sprizzante melodie zuccherose e riff semplici ma coinvolgenti. Inoltre, proprio per studiare i suoni di ogni singolo strumento, Lange decide di concentrarsi singolarmente su ogni musicista, registrandone uno per uno in studi separati. Le intuizioni del produttore si rivelano sin da subito vincenti, tanto che l'album, a partire dall'agosto 1987, si piazza in testa alle classifiche col singolo "Animal", cui ne seguiranno altri sei, rivaleggiando con un colosso come "Bad" di Michael Jackson, uscito lo stesso periodo, e vendendo, solo dopo pochi mesi, ben venti milioni di copie nel mondo. Ma il successo di un album come "Hysteria", che inizialmente avrebbe dovuto intitolarsi "Animal Instinct", data la sua natura istintiva e famelica, sono frutto dell'alchimia di cinque musicisti, affiatati e uniti di fronte alle avversità, capaci di superare indenni momenti critici come la grave peritonite che colpisce il vocalist Joe Elliott o l'incidente automobilistico dello stesso Lange che gli procura alcune fratture alle gambe, per poi risalire al terribile capodanno 1984, quando il batterista Rick Allen perde il braccio sinistro. Il tutto in nome di un'amicizia vera e robusta come il loro spirito. I Def Leppard sono una famiglia, lo dimostra il rientro immediato di Allen, la cui sorte è affidata ai produttori di batterie Simmons e alla visione di alcuni ingegneri italiani, dato che lo strumento viene fabbricato a Milano, tramite la costruzione di una batteria personalizzata che permette al musicista di continuare a suonare con un solo braccio grazie a un drum set ibrido, composto da elementi acustici, elettronici e da uno speciale pedale da utilizzare col piede sinistro, in sostituzione dei colpi con la bacchetta. Il ritorno in scena risale al 1986, al "Monster Of Rock" di Donington, di fronte a 60.000 spettatori urlanti. È un ritorno in scena ancora più eclatante ed emozionante, una sorta di rinascita spirituale che dà ai componenti la spinta di andare avanti, di combattere nonostante le avversità, suggerendo che quella è la strada giusta da seguire. "Hysteria" è dunque la risposta orgogliosa e trionfale alla cattiva sorte, un'opera che brilla di una cura maniacale e di un sentimento profondo, nonostante le angherie inflitte dal fato che si stagliano in cielo come una fitta coltre nera, la stessa di cui la band si nutre e nella quale ritrova se stessa, il suo animo turbolento e la sua indole smaccatamente britannica.

Women

Le chitarre di Stave Clarke e Phil Collen svettano alte generando un suono cupo, magnetico, quasi futuristico. Subentrano basso e batteria e Women (Donne) comincia a prendere forma, evolvendosi in una ritmica sinuosa che non lascia scampo. Le tastiere di Philip Nicholas emergono timidamente creando un'atmosfera sognante, senza mai essere invadenti, dunque Rick Savage si prende la scena con un bellissimo giro di basso. Un sentimento profondo fuoriesce dalle note e allora Joe Elliott si delinea come grande narratore, decantando l'importanza e la meraviglia del gentil sesso. Immaginate una terra desolata, dominata dalla notte e dal silenzio; bene, Dio, grande burattinaio e creatore di vita, genera gli elementi del mondo: l'acqua, il fuoco, l'aria e la terra. Infine le creature destinate a popolare il mondo. Tutte, comprese l'uomo. L'oscura divinità dona a quest'ultimo l'ingegno, la passione, l'amore e l'odio, emozioni gemelle sempre in contrasto, e così come ogni emozione, derivata dal suo opposto, Dio si accorge che manca ancora qualcosa per completare l'opera. Il ritmo si gonfia, le tastiere pungono gelide per alcuni istanti, quando sta prendendo forma l'arioso refrain, Rick Allen picchia duro, sovrastando basso e chitarre, per poi lanciarsi nella biblica melodia che cattura al primo ascolto, lasciandoci a bocca aperta nonostante l'essenzialità del testo narrato. Ecco cosa manca per rendere la vita perfetta: donne! "In parte selvagge, in parte amorevoli, in parte bambine, in parte festaiole" grida Elliot nel delizioso pre-chorus. Dio ha generato le donne per rendere il mondo un posto migliore. Le chitarre graffiano come artigli di felino, i controcori risaltano nel buio, scanditi da una produzione cristallina e ultramoderna. La favola biblica prosegue imperterrita, l'andamento generale si quieta, restano le pulsazioni del basso a cullarci nel giardino dell'Eden dove tutto è iniziato. Ma, nonostante la raffinatezza e la magia diffuse dal tocco delle sapienti mani di Dio, sono presenti strani sentori nell'aria: lussuria, istinti animali, desideri lascivi che bruciano l'etere, riempiendolo di una fame atavica che alimenta l'appetito maschile. L'uomo è barbaro, schiavo dell'istinto, dominato da un'indole selvaggia; egli annusa il profumo di carne fresca, l'odore della pelle femminile; desidera quelle curve pericolose, le vuole ardentemente tra le sue grinfie. Steve Clarke prende le redini e si inerpica in un solo sinistro ma sensuale, districandosi tra i colpi inferti da Allen alla sua batteria e dagli accordi di un Savage in grande spolvero. Nell'aria ci sono fuoco e ghiaccio, ci sono gambe, cosce, pelli profumate, capelli al vento e un desiderio profondo e mai sopito, sintomo di natura umana. La coda finale è dominata da un secondo assolo, poi le asce di Clarke e di Collen si intrecciano annientandosi nel nulla. "Women" è stato il primo singolo lanciato negli U.S.A., dotato di spirito metallico e scelto appositamente per riconciliare la band con quei fans legati ai suoni duri dei primi album, anche se il brano si rivela un mezzo passo falso, confermando la difficoltà della band di sfondare in America. Il relativo videoclip si concentra su un giovane skater che gioca fuori da un capannone e che, tra una pattinata e l'altra, si dedica alla lettura di un fumetto fantascientifico, incentrato sulla lotta tra robot. I Def Leppard, invece, suonano all'interno del capannone, tra scatoloni e vecchi utensili.

Rocket

La sofistica produzione futuristica elaborata da Lange, che anticipa moltissimi suoni che saranno utilizzati negli anni a venire, e l'effetto stratificato sia della costruzione sonora sia di un testo celebrativo, sono alla base della rocambolesca Rocket (Razzo), un brano molto particolare e dall'attitudine fresca e moderna. Scandito da un rumore sinistro, udiamo le voci lontane degli astronauti dell'Apollo 11, coloro che portarono a termine l'allunaggio nel 1969. L'ultimo singolo dell'album, il settimo, uscito a distanza di due anni e mezzo dall'uscita ufficiale di "Hysteria", dimostra il successo miracoloso di questo lavoro, ma non solo, perché "Rocket" risulta essere uno dei pezzi più sperimentali della sua epoca, grazie all'intuizione del solito Lange, che ha l'idea stratificare le armonie vocali utilizzando la tecnica del backmasking, ovvero la registrazione in sottofondo di alcune parole o frasi, mescolate tra loro per creare un effetto straniante che fa da contorno al testo cantato. In questo modo, l'effetto va a sostituire i cori, simulando il suono di un razzo in partenza. Ed ecco spiegato l'inserimento delle parole pronunciate da Armostrong durante la fatidica missione lunare. Allen comanda un ritmo solare, dominato da coretti e da melodie zuccherose, poi interviene Elliott con voce ruvida, intonando questa specie di tributo ai loro miti musicali. Il testo, infatti, è scandito da continue citazioni, ben rappresentate dai televisori inseriti nel videoclip che contornano la band all'interno di una sala, la stessa utilizzata anche per il video di "Women". Le stratificazioni sonore accompagnano l'andamento vocale e i singoli strumenti, quasi a rappresentare la partenza di un razzo, che svetta sempre più veloce nel cosmo. Elliott ci racconta di una città impazzita, sommersa da calde luci bianche e da una leggiadra musica che si diffonde per le strade. La gente impazzisce di gioia, si odono frammenti di brani dei Rolling Stones e dei Beatles, di David Bowie e di Elton John, canzoni divenute immortali e che hanno accompagnato generazioni di ragazzi. La musica è gioia, la musica è follia, fa svettare la fantasia umana oltre l'infinito. I Def Leppard ci prendono per mano, cinque ragazzi irrequieti che camminano per le strade di una città immaginaria, ci fanno cenno di seguirli, intonando canti d'amore e di armonia; noi ci aggiustiamo il colletto della giacca per combattere una folata di vento trasportata dagli effetti corali in sottofondo, pungenti come lastre di ghiaccio ed effervescenti come aspirine, che ci ottenebrano la mente e ci stordiscono. Nel buio i cuori collidono generando scintille, un uomo si avvicina a una donna, dedicandole un verso d'amore: "Sarò il tuo razzo, satellite d'amore", citando la leggendaria canzone di Lou Reed nel possente ritornello, costruito da chitarre incaute e colpi sgraziati inferti ai tamburi. L'animo glam rock anni 70 fuoriesce nelle strofe, ma è la storia della musica quella viene raccontata per le strade della città, e così si passa dal rock 'n' roll di Elvis al sacro blues di Johnny Lee Hooker, dal glam rock di Queen e T-Rex al folk rock di Thin Lizzy e Ram Jam. Uno scenario da fiaba, da musical anni 30, interrotto nell'interessante interludio, dove Allen colpisce la batteria contornato da stranissimi effetti sonori e una voce che dice di prepararci al decollo. Basso e chitarre riprendono la corsa portandoci alla meta, oltre la volta celeste.


Animal

Primo singolo lanciato per inaugurare "Hysteria" e successo clamoroso, Animal (Animale) è uno dei brani più popolari e venduti di tutti gli anni 80, grazie al suo appeal moderno e alla melodia furba e brillante che si incolla sulla pelle e non va più via. Apparentemente semplice e d'impatto, questo pezzo, in realtà, ha avuto una gestazione lunghissima; dapprima incisa con una carica totalmente differente, e anche più grezza, poi rimodellata costantemente dalla band e dal produttore, per poi uscire in tutto il suo splendore anticipando il disco. Dato il contenuto trattato, i Def Leppard vengono filmati mentre suonano all'interno di un circo, alternandosi con le immagini di animali e circensi, in un susseguirsi palpitante di frame montati velocemente per ricalcare il ritmo della canzone. Ma non c'è frenesia nell'andamento, tanto che "Animal" si figura come una semi-ballad calda e sentita, scandita dalla voce di un Elliott dominatore della scena. Clarke e Collen, quest'ultimo ripreso mentre suona una chitarra con l'effige di Bela Lugosi, il mitico Dracula degli anni 30, collaborano per costruire una serie di fraseggi ipnotici e dal sentore nostalgico, per poi acuire il velo di malinconia nell'ottimo e popolare refrain, dalla base strumentale che rievoca il sound spirituale degli U2 e della chitarra di The Edge. La delicatezza della musica e la melodia sbarazzina che si memorizza all'istante colpendo al cuore, ci cullano in questa dimensione onirica, dove un fiume scorre leggiadro davanti ai nostri occhi, costeggiando un terreno roccioso e arido, suggerendo una certa bramosia di vita, ovvero l'acqua, fonte primaria di ogni esistenza, che inonda la terra, insinuandosi tra le crepe, affondando fino alla radice. L'essere umano è un animale dominato da istinti, desideroso di vita, un edonista che arde di piacere. L'acqua sta al fiume così come il fuoco sta alla fiamma, entrambi elementi terreni, umani. L'andamento, simile a una danza, aumenta d'intensità, un inchino suggerito dal cambio di tempo diretto dalla batteria di Allen ed ecco che il chorus si palesa davanti a noi. "Sento che mi scorre nel sangue. Voglio il tuo amore, voglio il tuo tocco", suggerisce il vocalist, paragonando l'essere umano ad un fiume in piena, sommerso dal desiderio di possessione e di lussuria. Ma il fiume, come il sangue nelle vene, rappresenta anche lo scorrere del tempo e dunque la vita stessa, scandita da gioie e dolori, da momenti felici e da rimpianti, tutto in nome dell'irrazionalità più pura, quell'irrazionalità che ci definisce "animali". Un lupo che ulula al vento, che corre tra i campi, il cui manto risplende al sole, proiettando un'ombra cosparsa di polvere. La prestazione dei singoli musicisti è sentita, personale, vincente, ogni strumento gode di un suono perfetto frutto di più di due anni di studio, registrazioni e sovraincisioni che hanno reso "Animal" una hit planetaria. Prima del buon assolo di Clarke, i Def Leppard ci forniscono l'ennesima citazione musicale: "Come pioggia battente, una ruggine irrequieta, non riesco a dormire", omaggiando l'album "Rust Never Sleeps" di Neil Young. Intanto Elliott gorgheggia come preso da impulsi ossessivi e allora capiamo che la caccia sta per incominciare. L'uomo predatore si lancerà contro la preda, prendendole l'amore, saccheggiando ogni emozione.

Love Bites

In questa discesa vertiginosa scandita da ritmiche sempre più delicate, partendo da un brano tipicamente hard rock, evolvendosi in un gustoso AOR e poi in una semi-ballad, arriva il momento di Love Bites (L'Amore Morde), ballata in piena regola. Ricca di pathos e costruita su una melodia straordinaria, questa hit è il quinto singolo estratto dall'album, e mostra i Def Leppard in tutta la loro sensuale maestria. Un uomo si specchia nella penombra del suo appartamento, il suo riflesso è cupo, amareggiato, la sofferenza deriva da un amore non corrisposto. Questi si pone alcune domande: "A cosa pensi quando fai l'amore? Lui assomiglia a me?", mentre le chitarre rintoccano come campane, accompagnando la nenia elaborata dai leggeri colpi di Allen. L'atmosfera è catastrofica, densa di delusione, contornata dal buio dell'animo. La donna è una traditrice, una bugiarda sfruttatrice che ha lacerato il cuore del nostro giovane protagonista, lo ha prelevato e lo ha divorato in un sol boccone. Ma, in un impeto di goliardia, lo conforto viene sostituito dal coraggio: gli strumenti si gonfiano, le chitarre graffiano, la batteria si potenzia e allora subentra il basso robusto di Rick Savage ad anticipare lo splendido ritornello, lungo e articolato in due momenti. La donna è stata una bugiarda, ma forse ha pensato che il suo fosse amore vero, lo stesso amore collassato poco dopo l'inizio della relazione. Impossibile toccare il suo corpo, la sua pelle è una lama di rasoio che taglia e procura dolori allucinanti. Meglio non avvicinarsi, meglio non cercarla più, perché l'amore si è trasformato in un serpente che apre le fauci e addenta la vittima. L'amore morde, l'amore sanguina, l'amore vive e l'amore muore, facendo inginocchiare pur di rispettare i suoi comandi. L'amore assomiglia tanto a un'elemosina, a un'eterna supplica. I fraseggi di chitarra, come sospiri che riecheggiano in casa, sono gelidi e pungenti, fanno male come le parole adirate della donna, fuggita per gettarsi tra le braccia di un altro uomo. Il giovane, ancora davanti allo specchio, ripercorre la sua relazione, dai primi momenti nei quali lei sembrava felice ma forse, con la mente, era da un'altra parte, fino agli ultimi istanti, quando ha deciso di troncare il rapporto, gettando tutto in malora. Clarke e Collen eseguono riff pregni di dolore e di rancore, la basso di Savage ricorda a tutti un cuore pulsante sangue, stritolato dalla delusione, e la voce di Elliott è l'emblema della nostalgia, un timbro fatto di polvere, di lacrime, di romanticismo.


Pour Some Sugar On Me

Se la conquista degli Stati Uniti si è fatta attendere, a causa del rilascio di una serie di singoli di discreto successo che non hanno fatto breccia nei cuori degli americani, Pour Some Sugar On Me (Versa Un Po' Di Zucchero Su Di Me) è la hit spaccaossa che i Def Leppard attendevano da anni. Originata da una semplicissima intuizione di Elliott, il quale aveva covato in mente, per diverso tempo, il riff portante, si concretizza grazie a Lange che sprona il vocalist a lavorarci su ancora qualche giorno perché sente che il pezzo ha buone possibilità di successo. Tale brano viene concepito in sole due settimane e a sessioni terminate, inserito nell'album giusto alla fine perché avente un potenziale di orecchiabilità illimitato. Certo è che la band non si sarebbe mai aspettata un successo così enorme, tanto che oggi "Pour Some Sugar On Me" è da considerarsi una delle canzoni più famose della decade, ma anche della storia del rock. Un successo senza precedenti che ha fatto decollare le vendite di "Hysteria", fino a quel momento bloccate a poche milioni di copie. I cori in eccesso, messi subito in apertura, trasmettono adrenalina garantendo una traccia diretta e dalla spiccata melodia, soprattutto nel ruffiano refrain, costruito su un magico riff di chitarra. Le strofe, invece, poggiano su basso e batteria, oltre che sulla bella voce di Elliott, il quale ci porta con sé a questo party selvaggio. Le liriche sono dirette, vanno dritte al punto, evolvendosi in una neppure troppo velata metafora sessuale, come si evince dallo stesso titolo. L'amore è una bomba innescata, bisogna vivere come un amante col radar sempre acceso per individuare la vittima da assalire e da conquistare; ma l'amore è anche incarnazione di un vagabondo o di una prostituta, abbagliati dalle luci della ribalta, accecati dai riflessi alla tv di un film per adulti. C'è una bottiglia sul tavolo, dentro c'è dello zucchero, l'uomo invita la sua partner occasionale a scuotere la bottiglia, a spaccarla rovesciando lo zucchero. "Nel nome dell'amore, versa un po' di zucchero su di me", intona un Elliott smaliziato, atteggiandosi a un felino affamato di carne. I chitarristi duellano attraverso una serie di riff tanto semplici quanto efficaci, che richiamano gli artigli e le fauci del felino stesso, e allora il nostro protagonista è caldo, sta sudando dalla testa ai piedi perché arde di desiderio. Lo zucchero lo attira come cocaina, ne è assuefatto; l'amore è un semaforo che passa dal giallo all'arancio e infine al verde. Adesso si può andare dritti alla meta, abbandonandosi in questo sogno di carne e di sangue. Invita la donna a stuzzicarlo, a scuotere quella dannata bottiglia in procinto di scoppiare, evidenziando una simbologia fallica. Decisamente un pezzo breve, dall'indole selvaggia e dal ritmo frenetico, incarnazione degli istinti più scabrosi e di folli dipendenze, "Pour Some Sugar On Me" deve il suo successo alla semplicità di base: un ottimo riffing portante, cambi di tempo poco rilevanti e una strepitosa melodia in prossimità del ritornello. La magia, molto spesso, è nelle cose semplici. Nel primissimo videoclip, la band suona all'interno di una casa abbandonata di Dublino, mentre una donna in sella a una ruspa demolisce le pareti con la palla demolitrice. È tutto un'allusione al sesso, ben escogitata dal regista, ed è interessante sapere che nel video, tra la folla accorsa ad osservare la demolizione, figurano i membri di un'altra grande hard rock band: i Tesla.

Armageddon It

Armageddon It (Ce La Faccio) è un po' la rappresentazione musicale del periodo antecedente al rilascio dell'album, poiché il titolo è un gioco di parole derivato dalla pronuncia "I'm A Gettin' It", motto intonato dalla formazione inglese durante le faticose, e farcite di problemi vari, registrazioni di "Hysteria", simili a un vero e proprio armageddon, il caos totale. L'urgenza di non essere spodestati dalle classifiche, costringe i Def Leppard a lanciare il sesto videoclip estratto, che altro non è che un collage di riprese live e di dietro le quinte di un concerto tenuto a Denver, che garantisce altre settimane ai vertici delle classifiche mondiali. L'essenzialità del video rispecchia anche quella della musica proposta: un richiamo al glam rock anni 70, in particolare ai T-Rex, da sempre idoli di Joe Elliott, ma anche un passo indietro che ricorda i due album precedenti, "Pyromania" e "High N' Dry", a causa di un'attitudine puramente hard rock composta da rasoiate chitarristiche e frenetici cambi di tempo. Il brano è suddiviso in tre blocchi e prende dinamicità via via che ci addentriamo nelle sue trame sonore. Il testo è frutto delle difficoltà incontrate lungo il tragitto da parte dei nostri ragazzi, e così ci viene suggerito che se e quando siamo pronti, possiamo entrare in sala e ballare senza esitazione. Forse per sala è intesa quella di registrazione nella quale i nostri provano dalla mattina alla sera. Non sappiamo se ce la faremo a tenere il ritmo, ma dobbiamo tentare. "Ce la fate?" chiede Elliott rivolto al suo pubblico, preparandoci a una sfida faccia a faccia con noi stessi. Come sfidanti dalla pistola carica e dal grilletto pronto ad essere premuto, avanziamo impavidi per completare la missione. "Siete pronti?" continua a urlare il vocalist nella seconda strofa, mentre le chitarre ululano e scalpitano come fossero molestate. Ma c'è ancora un cambio di tempo diretto da Allen, e allora entriamo nel favoloso refrain dove si dichiara amore incondizionato, emozione profonda, nei confronti della musica e del proprio lavoro. "Dammi tutto ciò che hai, ogni battito del tuo cuore, non smettere mai". Il ritornello è un tripudio di coretti in stile glam rock che indicano un'attenzione particolare alle melodie vocali e alla loro stratificazione condotta meticolosamente dal produttore Lange, che ha seguito Elliott passo dopo passo, facendogli cantare il testo numerosissime volte fino allo sfinimento. Siamo al centro di un duello tra pistoleri, incarnazione di fato, forse di fatica quotidiana, ma anche di duro lavoro e di amore incondizionato per ciò che si sta facendo. La band ci sprona a seguire i sogni, a non demordere nonostante una pistola puntata alle tempie. Clarke e Collen ci dilettano con fraseggi affilati, poi giunge l'assolo di Steve Clarke, incitato dallo stesso Elliott che pronuncia "Come on, Steve", versetto sostituito, dopo la morte del chitarrista, in "Come on, guys" durante i concerti e in alcune riproposizioni all'interno delle più recenti raccolte.


Gods Of War

Un suono inizialmente lontano si avvicina prepotentemente risultando piacevole, pacato e rilassante. Delle voci, un coro di protesta si manifesta in mezzo ad una strada dove l'asfalto inizia a farsi incandescente. "Gods of War (Dei della Guerra)" si presenta così, con quella sfacciataggine acuta ed impulsiva. Basso e batteria fanno la loro comparsa permettendo un riff iniziale dato dal grandissimo Steve Clark, di far suscitare immediatamente emozioni bellissime. Un'esplosione di suoni cristallini che vorremmo non finisse mai. Il tutto è affascinante ed emozionante e, quando arriva il momento delle vocals di Joe Elliott veniamo trasportati direttamente sul campo di battaglia di una guerra di cui non ne sappiamo nemmeno il motivo. In quei momenti l'amore inteso come sentimento di gioia e felicità sembra scomparire tra le polveri che inondano i nostri occhi e la nostra anima, in modo da non darci il tempo di realizzare quello che sta accadendo intorno. Siamo in una situazione in cui tutto sembra sia destinato a finire da un momento all'altro, e la speranza di trovare un qualche motivo per poter recuperare un minimo di fiducia diventa un mero miraggio. Il ritornello si presenta quasi subito ed ha una struttura molto semplice, anche un po' smielata se vogliamo, ma carico di momenti intensi che ci fanno capire che non ci saranno eroi in questa guerra, come non ci sarà nulla di tutto quello che ci è stato promesso. Siamo in attesa che cali la notte per scatenare l'inferno, contiamo i minuti, i secondi che ci separano da quell'attacco che potrebbe cambiare la nostra vita. Un coro bellissimo prende il sopravvento e tiene con il fiato sospeso fino ad arrivare ad un momento in cui siamo in marcia con i nostri compagni e guardiamo attoniti nascondendo le terribili sensazioni che iniziano a pervadere il nostro corpo, i corpi dei nostri fratelli cadere uno ad uno. "Quando ci arrendiamo alla violenza, il danno è fatto" è il sunto di tutto ciò. Come disse il famoso scrittore e letterario britannico Anthony Burgess: "la violenza genera violenza"; quando ci facciamo sopraffare da essa, allora ci abbassiamo allo stesso livello di chi vuole sfruttare giovani soldati solamente per i propri sporchi scopi. Una presa di coscienza forte ad un certo punto prende il sopravvento, ed anche con un pizzico di paura urliamo a squarciagola che noi non vogliamo essere lì, non vogliamo essere da nessuna parte se non vicino ai nostri cari e soprattutto alla nostra vita. Una vita che vediamo sfuggirci di mano per colpa di gente senza scrupoli. Torna quel magnifico fraseggio di chitarra che abbiamo potuto ascoltare ad inizio brano, con l'aggiunta di un ottimo assolo accompagnato perfettamente da una sezione ritmica "dura" quanto basta. La domanda che ci attanaglia però è questa: ma per che cosa diavolo stiamo combattendo? Lo stiamo facendo per i cosiddetti dei della guerra, che non sono altro che coloro che vogliono arricchirsi, aumentare il loro potere finché possono, noncuranti delle sofferenze arrecate a queste persone che vanno al macero senza saperne nemmeno il motivo. È una crudeltà, ma d'altronde l'essere umano è sempre stato così: incline alla violenza, alle guerre e al provocare sofferenza altrui. In maniera decisa il vocalist dice chiaramente che siamo dei ribelli, che qualcuno finalmente è intenzionato a girare le spalle a questi individui e no, non combatteremo più. È ora di dire basta; basta combattere per gli dei della guerra, basta andare in bocca al nemico come fossimo la sua cena. Le voci si sovrappongono, i suoni si riversano in maniera irreversibile su di noi per poi trovare quella giusta melodia che dona un senso di pace e pacatezza nonostante le esplosioni di sottofondo che vanno ad accompagnare un degno finale per una song molto ben strutturata ed accattivante. Gods of War è anche l'unico brano di denuncia verso una politica totalmente sbagliata che non si cura di tutelare le persone, ma che al contrario, le usa per raggiungere i propri scopi.


Don't Shoot Shotgun

Una prima frase cantata dalla band al completo dà inizio a "Don't Shoot Shotgun (Non Sparare con il Fucile)". Una breve pausa precede charleston e pedale il quale, a sua volta, anticipa una voce piuttosto profonda che dà il via vero e proprio a questo brano. L'andamento è deciso, con un buon riff di chitarra ed una altrettanto buona sezione ritmica. In questo brano viene fatto un paragone anche piuttosto inusuale se vogliamo, tra le armi da fuoco ed il sesso. Sì, avete capito bene. Che sia una pistola o un fucile, è facile inizialmente rimanere ammaliati dalla bellezza anche estetica, ma soprattutto esplosiva, di tali strumenti. Eppure, sotto questa apparente bellezza si cela un pericolo mortale, il quale una volta attivato rischia di portare ingenti conseguenze. Paradossalmente, se andiamo ad analizzare l'amore inteso come sentimento preponderante, ci accorgiamo che anch'esso, seppur in maniera diversa, è tanto affascinante quanto pericoloso. È facile perdere la testa per una donna anche solamente vedendola di sfuggita. Nello specifico stiamo parlando di quelle donne che sono costrette a prostituirsi in mezzo ad una strada e che, seppur di bella presenza, possono nascondere trappole da cui non si può sfuggire. Il brano rallenta vistosamente a favore di una ritmica atta a tenere momentaneamente in sospeso l'ascoltatore per poi riprendere tramite un mid-tempo ben impostato, proseguendo con il racconto. Di amore vero e proprio non si può certamente parlare e quindi il discorso va a virare verso il piacere sessuale dell'uomo. Una toccata e fuga, a volte, può essere sufficiente per appagare i nostri sensi, ma purtroppo non ci curiamo minimamente di ciò che sta dietro. "Lei è schiava dell'amore" è una frase che vuol dire molto in termini di sfruttamento e a volte si ha la sensazione che anche queste ragazze abbiano in qualche modo una pistola puntata alla tempia in maniera tale da fare tutto ciò che un qualcuno vuole. Ti fa divertire, ti seduce, ti fa eccitare mordendoti le labbra, ma attenzione perché da un momento all'altro è pronta a sparare. Un pericolo che troppo spesso viene sottovalutato ma che è dannatamente reale. Di buona fattura è anche il coro che accompagna il ritornello, e anche se può risultare un po' stucchevole, è comunque orecchiabile e forse anche fin troppo accessibile. Il lavoro svolto dai due chitarristi è come sempre molto interessante, e anche la voce di Elliott si rivela sempre pulita e priva di qualsiasi tipo di sbavatura. Immaginiamo di essere in dolce compagnia, facciamo finta di fare una piccola pazzia di mezzanotte. Il rapporto inizia a diventare selvaggio, e con fare dolce ed indiscreto non è ha mai abbastanza. Il senso di potere aumenta esponenzialmente, i corpi si muovono sinuosi e violenti creando un'antica danza. Una danza che viene sottolineata da un ottimo assolo di chitarra che però ne prelude un risvolto assai inaspettato. Il gioco inizia a diventare pericoloso e la cosa inizia a spaventare non poco. Si avverte del dolore dritto ai fianchi, un qualcosa che inizia a turbarci mentalmente ma che ad un certo punto questo dolore si tramuta in piacere. Andando avanti con la pratica si ha la sensazione di trovarsi in un pericolo che lentamente inizia a prendere forma, ma che, una volta raggiunto, non è possibile più tornare indietro. Allora diamo sfogo a tutta la nostra passione fino a voler essere proprio noi stessi a cercare quel dolore fisico che tanto atroce non deve essere. Il coinvolgimento tramite le backing vocals da parte di tutta la band è interessante, ma la traccia in questione è forse fin troppo lineare e "leggera" rispetto gli altri brani presenti in questo disco. È comunque un pezzo scanzonato, senza troppi fronzoli, destinato a concludersi in maniera prevedibile ma chissà perché viene voglia di riascoltarlo ancora.


Run Riot

Tre colpi di batteria ed una splendida introduzione data dalle due chitarre fa decollare immediatamente "Run Riot (Corre la Ribellione)". Si nota immediatamente l'impostazione più heavy grazie ad un sound più massiccio e alle vocals decisamente più grintose. Come il titolo suggerisce, andiamo a parlare di ribellione. Quante volte ci siamo sentiti obbligati a non fare qualcosa perché la legge ce lo impone? Tante volte, forse troppe. Una vita vissuta seguendo sempre le regole è di una noia mortale, diciamo la verità. Una legge dice che non fare quello, quella regola dice di non fare quell'altro, ma che importa, in fin dei conti, se andiamo a infrangere uno o due di questi obblighi? Pensiamoci bene: ogni mattina ci alziamo ed iniziamo a fare la vita di tutti i giorni nel rispetto e senza rischiare di provocare alcun tipo di malumore. Così facendo però si finisce per diventare degli automi, degli esseri guidati da chissà chi o cosa senza più nessuna libertà di pensiero. Poi un giorno succede qualcosa. Una voce dentro di noi ci urla nella testa dicendo: "Alzati, esplodi, non essere strano". Ed è proprio allora che qualcosa inizia a farci sentire vivi e pronti a rivoltarci da questa situazione. Sentiamo che il corpo finalmente ci appartiene, la mente viene indirizzata dove noi vogliamo, e tutto questo è dannatamente affascinante, vero, vivo. Il ritornello che si presenta è davvero di ottima fattura, tanto ruvido da maltrattarci, dandoci una scossa definitiva per poter finalmente farci fare ciò che veramente sentiamo. Il drumming è intenso mentre gli strumenti a corda emettono distorsioni sempre più accattivanti che non ci lasciano stare fermi nemmeno per un secondo. Stanotte è il momento giusto per dare sfogo ad una prigionia durata probabilmente troppo, e non importa il danno che arrecheremo, ma siamo sicuri che una volta eseguito il nostro compito dovremmo correre a più non posso per non farci beccare. Combatteremo per quello che veramente crediamo, e giusto o sbagliato che sia nessuno ci dovrà imporre quello che dobbiamo fare. Lotteremo fino alla fine, finché avremo forza in corpo. Dobbiamo sempre stare in silenzio, dobbiamo sempre comportarci in un certo modo perché altrimenti ci saranno delle conseguenze per aver trasgredito le regole. No, è ora di dire basta a tutto ciò. È ora di essere noi stessi. Rick Allen è bravissimo nell'essere così marziale a tal punto da guidare lui stesso questa rivolta, e se i compagni danno un ulteriore incentivo, è Elliott, con la sua splendida voce, ad innescare la miccia per dare il via all'anarchia. L'assolo che ne segue è veramente piacevole da ascoltare, ed anch'esso ha quella vena decisamente heavy che risulta essere perfetta per completare un brano veramente ben riuscito. Siamo nel pieno del conflitto, gli scontri con la polizia si fanno più violenti ma noi non demordiamo. Andiamo avanti per la nostra strada e non importa se ci rinchiuderanno perché un giorno usciremo e continueremo a combattere per la nostra libertà. Non solo, cercheremo individui che per un motivo o per l'altro hanno perso la speranza, soggiogati da una società corrotta che ha tolto loro qualsiasi futuro. Lo raccoglieremo dalla strada, lo allontaneremo dalla miseria, e lo convinceremo a seguirci per sentirci liberi di vivere senza alcun obbligo. Run Riot sorprende, è una canzone diretta che non lascia spazio all'immaginazione, ma che trasporta nel bel mezzo della rivolta, in mezzo al caos.

Hysteria

Arriviamo dunque al momento della title track, ovvero "Hysteria (Isteria)". Il titolo di questa song, e dell'intero lavoro, venne dato dal batterista Rick Allen dopo il tragico incidente. L'introduzione è affidata a un arpeggio magico regalatoci da Phil Collen, accompagnato da un drumming semplice e da un basso sempre ben presente e bilanciato. Quando sentiamo per la prima volta la voce di Joe, la prima cosa che salta all'orecchio è proprio uno stato di sofferenza che va a descrivere quei momenti terribili che sono seguiti dopo lo schianto della vettura guidata da Allen. Il giovane si rivolge alla sua compagna chiedendole di stargli vicino il più possibile perché capisce che qualcosa non va. In quei momenti rimane ipnotizzato, inerme davanti a tutto ciò con le ginocchia tremanti che gli impediscono di alzarsi e di fare qualsiasi movimento. Lo shock è tremendo, inizia a chiedersi se la sua dolce metà questa notte rimarrà sola, perché si rende conto della gravità della situazione, e allora tanti pensieri malsani iniziano a prendere il sopravvento. Il sentimento che prova è forte, ed è forse proprio questo a dargli la forza per riprendere coscienza e per cercare di reagire. In quei momenti subentra un'instabilità emotiva, chiamata appunto isteria, che può essere davvero pericolosa. Davanti a tragedie di questa portata, se non si è forti quanto basta, e se non si ha qualcuno accanto che ti possa dare quella voglia di ricominciare, bè, è molto dura e ci vuole veramente poco per mollare tutto e arrendersi. Il refrain è bellissimo, elegante, suonato magistralmente grazie al lavoro chitarristico del duo Collen/Clark, i quali ricamano un emozionante quanto toccante melodia che penetra nella mente. La voce di Elliott è spettacolare, il livello interpretativo è alle stelle, tanto che viene voglia di ascoltare il chorus più e più volte fino allo sfinimento. I momenti successivi all'incidente sono anche quelli in cui viene da riflettere sull'accaduto, ma soprattutto sulla fortuna avuta nell'essere ancora in vita. È un miracolo, "Un magico mistero" che non vuole essere rivelato. Forse è meglio così, forse è meglio non sapere quale mano sia stata tesa per aver avuto una seconda occasione di vita. La batteria tenta di farsi più minacciosa, così come le atmosfere imposte, ma il tutto torna ad essere così melodiosamente armonico e rilassante, prima grazie ad un assolo leggero ma immediato, poi grazie al ritornello che si ripresenta in tutta la sua bellezza e la sua armoniosa emozione. Chiaramente anche l'impatto mediatico ha avuto a suo modo delle conseguenze, le quali hanno dato per vie traverse una visibilità alla band che, dato le circostanze, probabilmente ne avrebbe fatto volentieri anche a meno. Malgrado la drammatica disavventura vissuta dal batterista, l'incidente ha lasciato impressa, nella mente di Allen, la convinzione che vi sia una forza superiore, una qualche divinità che gli ha voluto concedere una seconda occasione. Ecco quindi la volontà di non abbandonare la vita, di non lasciare la band e di raccogliere le proprie forze per riprendere a fare quello che è sempre stato il suo mestiere. Hysteria è stato il terzo singolo rilasciato dalla band, una semi-ballad fantastica ed emozionante, dove i Def Leppard riescono ad incastonare un testo molto personale e tragico in una traccia capace di rilassare e di far sognare.


Exitable

Una voce a tratti inquietante che si velocizza sensibilmente ripetendo la frase "Are you Excitable", con tanto di gemiti femminili che sfociano con un urlo. Così inizia l'undicesima e penultima traccia presente in questo disco. "Excitable (Eccitabile)" si presenta senza pudore e senza ritegno. Il pedale di Clark detta il tempo, mentre le chitarre iniziano a farsi sentire senza però far decollare immediatamente la canzone. È grazie ad un urlo di Elliott che si parte seriamente con tanto di buona sezione ritmica che si impone immediatamente ad accompagnare una chitarra allegra e scanzonata. Con un titolo così, di cosa ci parleranno i Def Leppard? Esatto, parliamo di sesso. Un piacere quello dell'atto sessuale, che può diventare anche un'ossessione. Andiamo ad impersonare un individuo alle prese con una donna che lo fa eccitare in maniera spropositata. Si trovano l'uno davanti all'altra, la situazione inizia a scaldarsi, il respiro affannoso ed il cuore inizia a pompare all'impazzata. Tutto questo ha un sapore erotico e dannatamente invitante e gli animi iniziano a farsi bollenti. Ora lui è al culmine dell'emozione e vuole trasmettere questa sensazione anche alla propria donna. Il ritornello è alquanto "divertente", decisamente hair metal, nel quale la band sembra essere a proprio agio. Il nostro uomo, dunque, invita la partner a consumare una danza a luci rosse che non conosce limiti; il rifiuto non è contemplato e la complicità deve essere totale. La tentazione è fortissima, scandalosa, la voglia di afferrarla e farla sentire donna, possederla in ogni maniera al fine di raggiungere l'apice del piacere. Questa è una di quelle occasioni in cui il contagio carnale è una cosa bellissima e sensuale. Torniamo a sentire quella voce di inizio brano accompagnata da un drumming più violento, dove le due chitarre tessono una tela armonica di spessore. I cori sono molto leggeri ed orecchiabili e la voce del singer è sempre molto interpretativa, con picchi acuti di pregevole fattura. Il nostro uomo riesce ad un certo punto a controllare la frenesia iniziale, e non vuole più agire di impulso come un animale, ma vuole assaporare l'eccitazione tipiche di chi fa le cose in grande. La guarda, è bellissima, ha la pelle vellutata, morbida e profumata. È alta e magra con un fisico eccezionale, e questo lo fa eccitare fino a condurlo alla pazzia. L'intimo in pizzo gli fa girare la testa, il suo rossetto gli fa venire mente certi giochetti scabrosi che lo mandano in visibilio. È arrivato il momento di fare l'amore e l'uomo non sta più nella pelle. Lei è consapevole che il partner sta impazzendo e allora ingaggia con lui un gioco mentale per vedere fino a quando questi potrà resisterle. Un gioco malsano ma dannatamente eccitante. Talmente esagerato che inizia a tremare ed avere i brividi, ma finalmente il momento è arrivato e così inizia al rituale. Dopo un momento in cui la ritmica viaggia su livelli discretamente più sostenuti, si ritorna in carreggiata fino alla sua conclusione, dove troviamo un cantato molto efficace con le solite asce che rallegrano la mente con il loro andamento festaiolo. Diciamo che siamo di fronte a un brano leggerissimo, dove il divertimento, sia a livello lirico che a livello strumentale, la fa da padrone. Se dovessimo fare un paragone con gli altri pezzi presenti, questo è molto probabilmente quello meno riuscito, ma non per il fatto che Excitable sia una brutta canzone, tutt'altro, è che regge poco il confronto con le altre. In fin dei conti ci può stare un episodio che liberi la mente, magari sarebbe stato meglio porlo a metà album giusto per spezzare un po', ma tutto sommato va bene così.


Love And Affection

Siamo arrivati dunque alla fine del nostro percorso attraverso Hysteria, presentando l'ultima traccia. Stiamo parlando di "Love and Affection (Amore e Affetto)". L'inizio è melodioso e morbido; Clark e Collen ci deliziano il palato grazie a soluzioni emozionanti e nitide. Il mid-tempo proposto è di sicuro effetto, così come l'attacco vocale che si presenta soffice ed emotivo. L'amore, quello vero tra due persone, è un qualcosa di meraviglioso. È fatto di alti e bassi e di compromessi, ma se è quello vero serve a completarsi a vicenda. Perfetta è la frase iniziale "Tu hai il fuoco, io il calore. Sei in grado di gestirlo? Io ho tutto il tempo", metafore inequivocabili di due metà che si sono trovate e che devono avere il tempo e la pazienza di capirsi per diventare una cosa sola. Si trovano una notte, lei è solamente una ragazza come tante e lui è un ragazzo come molti altri. Tra i due sboccia la passione, ma non pretendono immediatamente amore ed affetto. Questi due sentimenti sono tanto vitali quanto pericolosi ed il rischio di rimanere delusi è veramente alto. Eppure tra i due sembra nascere qualcosa. Tornano metafore importanti per sottolineare quanto amore ci possa essere all'interno di una coppia: "Io ho il cuore baby, tu il battito". Ora sembra che l'uno dipenda dall'altra, la vita in questo momento è appesa ad un filo, e solo la metà mancante può correre in suo soccorso. L'uomo vuole un'opportunità di dimostrare quanto veramente tenga a lei, senza la quale non potrà più vivere. I giovani hanno avuto tutta la notte per toccarsi, hanno sognato insieme, sono stati abbracciati ed ora il ragazzo non accetta una separazione. Non vuole soffrire perché ha capito che il suo cuore smetterà di battere una volta allontanata l'amata. La donna è linfa vitale, e senza di essa, egli si ritroverà incompleto. La voce di Elliott aumenta di volume, dimostrando di essere un vocalist dalle grandi doti canore. L'emozione e la tensione che riesce a trasmettere si possono toccare con mano, la sua delicata voce fa sognare trasportandoci in una dimensione dove l'amore è l'unica ragione di vita. Con mente lucida cerca di analizzare il rapporto appena concluso, dunque si isola, lontano da tutti e tutto. È solo un momento di passione e niente più, domani dimenticherà tutto e sarà pronto ad iniziare una nuova avventura. L'uomo è talmente sconfortato e deluso che non desidera più alcun affetto, nessun legame sentimentale. Non vuole più il cuore della ragazza, non vuole più le sue attenzioni; il suo pensiero, adesso, è solo quello di passare una notte come tante altre. L'assolo che il buon Clark ci regala è emozionante ed intimo, la perfetta colonna sonora tra due innamorati che stanno per unirsi per tutta la vita. Allen e Savage sono molto bravi nel dare profondità al sound, così come il frontman è altrettanto maestro nell'elevarsi largitore d'amore. Eravamo al punto in cui l'uomo sembra voler rifiutare ogni bene del mondo, ma un'ultima frase va a ribaltare totalmente quello che è stato detto: "Non darmi amore, non mi serve. Dammi quello che hai". Tutto il contrario di tutto dunque, ed il rifiuto iniziale soffoca definitivamente perché egli capisce l'importanza di avere qualcuno accanto che possa riflettere l'immagine della felicità attraverso gli occhi lucenti. Le sonorità sono sempre più personali ed intime, l'atmosfera creata dalla band è magnifica e ci fa immaginare di essere in compagnia della persona amata, magari seduti a guardare il fuoco che arde in un camino, abbracciati come se ci si conoscesse da una vita. Ci fa stare bene, in pace e in armonia con noi stessi, con la voglia di coccolare la persona che ha deciso di accompagnarci per il resto della nostra vita. Che dire di questa traccia conclusiva? Sicuramente è un brano in linea con tutto il disco proposto, e si tratta decisamente di una degna conclusione per un lavoro maestoso costato tanta fatica. Possiamo tranquillamente affermare che Love and Affection è il sunto di quello che abbiamo ascoltato durante tutto Hysteria. Ottima chiusura ed un plauso al songwriting decisamente sognante.


Conclusioni

Siamo purtroppo giunti alla conclusione di questo viaggio attraverso Hysteria, ed è stato un viaggio veramente emozionante. Una di quelle esperienze che rimangono per sempre. Cambiare non è mai facile ed il pericolo è sempre dietro l'angolo. Già il precedente album, Pyromania, segnava una svolta rispetto alle tradizionali sonorità della band, decisamente più metal oriented, svolta che il disco da noi analizzato ha definitivamente consolidato. Di certo non è stato semplice per i Def Leppard riuscire a pubblicare questo disco, ma il risultato è andato oltre ogni rosea aspettativa. Ci sono voluti tre anni, ma piazzare così tanti singoli, impresa in cui riuscì solamente Michael Jackson grazie agli album Thriller, del 1982, e "Bad", del 1987, è un fatto che ha del clamoroso. All'epoca, Il disco fece letteralmente impazzire pubblico e critica, tanto da riuscire a vendere la bellezza di ben venticinque milioni di copie in tutto il mondo (quattrocentocinquantamila solamente il giorno di uscita), permettendo alla band di vincere numerosi riconoscimenti con tanto di dischi d'oro, di platino e di diamante. Una notorietà forse inaspettata, per il gruppo, il quale vide crescere la propria popolarità a livelli fino ad allora impensabili. Un tale clamore non poteva passare certo inosservato anche qui in Italia, ed ecco che nel 1988 sono invitati come ospiti nientemeno che al festival di San Remo. Come il precedente anno, infatti, oltre alla consueta edizione, vengono invitati i maggiori artisti internazionali al vicino Palarock; una sorta di spettacolo di contorno dove si esibiscono, tra gli altri: Paul McCartney, Joe Cocker, Bon Jovi, George Harrison e chiaramente i Def Leppard. Per i più curiosi, esiste in rete il video di quel periodo dove i Nostri propongono proprio il brano Hysteria, facendosi conoscere definitivamente, e fortunatamente, anche nel nostro paese. Ascoltando questo lavoro non si può rimanere indifferenti, dinanzi a tanta bellezza musicale. Tutto sembra essere perfetto: l'enigmatica e colorata copertina, i suoni cristallini, le armonie, la prova individuale dei musicisti coinvolti e soprattutto la bellissima voce di Elliott. Certo è che nessuno si sarebbe mai aspettato un risultato del genere dopo la tragedia che aveva colpito il batterista Allen, e se la fortuna in qualche modo ci aveva messo lo zampino, ci è voluto comunque più di un anno prima che lo stesso batterista imparasse a suonare con uno strumento modificato su misura. I Def Leppard non solo ci regalano un disco indimenticabile, ma ci forniscono persino una preziosissima lezione: il forte legame d'amicizia tra i membri della band è stato un fattore determinante a evitare che tutto si sgretolasse in un meccanismo che allora sembrava perfetto, e lo stesso discorso vale per lo stesso Rick, il quale non si era arreso dinanzi a un incidente che avrebbe annientato psicologicamente chiunque. Le canzoni, poi, trasudano chiaramente passione e amore; è obiettivamente impossibile stabilire quali brani siano migliori rispetto ad altri, semplicemente perché ognuno di essi ha quel qualcosa di magico che lo rende diverso e particolare. Credo che ognuno di noi abbia una sua traccia preferita, ed è forse questo, il miglior pregio di Hysteria: riesce a catturare semplicemente con un brano, quale che sia sta a voi deciderlo. Se la pubblicazione è stata minata da spiacevoli eventi, non crediate che successivamente alla sua uscita le cose siano andate meglio, anzi. Seppur vero che la gloria ricevuta è stata meritata sul campo, dobbiamo segnalare che nel 1991, ovvero l'anno precedente alla pubblicazione del tanto atteso successore di Hysteria, Adrenalize, il chitarrista Steve Clark viene trovato privo di vita a causa di una overdose di eroina. Anche in questo caso la band non si perde d'animo nonostante il terribile momento, tanto che decide, nonostante l'ennesima tragedia, di andare avanti per la propria strada. Nel 2013 Hysteria viene riproposto per intero a Las Vegas, dove la band è immortalata sul live-dvd dal titolo Viva Hysteria. Una testimonianza importante questa, perché a volte basta poco per ricordare uno degli album che ha segnato la storia della musica. Non è un caso, infatti, che nel 2004 la prestigiosa rivista Rolling Stone inserisca l'album tra i cinquecento migliori lavori della storia. Cosa si può dire di più di quello che non sia stato già detto? Un album da amare a prescindere dai vostri gusti musicali, e se ancora non lo conoscete, correte immediatamente ai ripari e sarete felici.


1) Women
2) Rocket
3) Animal
4) Love Bites
5) Pour Some Sugar On Me
6) Armageddon It
7) Gods Of War
8) Don't Shoot Shotgun
9) Run Riot
10) Hysteria
11) Exitable
12) Love And Affection
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