ASIA
Live Mockba 09-X1-90
1991 - Cromwell/Essential/Warner
SANDRO PISTOLESI
03/08/2022
Introduzione Recensione
Nel 1990 gli Asia erano ben intenzionati a risollevare le sorti del gruppo, e dopo aver rilasciato la mini-raccolta "Then & Now" contenente ben quattro brani inediti, le intenzioni erano quelle di dar via ad un importante tour mondiale. Ma per farlo i nostri avevano bisogno di un chitarrista, con Steve Howe ormai fuori dai radar asiatici da molto tempo e Mandy Mayer, chitarrista svizzero che lo aveva sostituito, non convocato a causa dei suoi molteplici impegni o semplicemente per il fatto che non si era rilevato il profilo giusto che i nostri cercavano. Ignorando i motivi per cui non fu ricontattato l'ex Thin Lizzy Scott Gorham, il primo ad essere contattato da Wetton e Palmer fu Rik Emmett, poliedrico chitarrista canadese fondatore dei Triumph, ma per motivi a me oscuri, declinò gentilmente l'invito. La scelta ricadde allora su Pat Thrall. Patrick Thrall nasce ad Alameda, California il 26 agosto del 1953. Sin da piccolo dimostrò subito di aver talento per la musica e all'età di undici anni iniziò a studiare la batteria per passare due anni dopo allo studio della chitarra. A quindici anni forma il suo primo gruppo, i Cookin' Mama assieme al fratello Preston. Dopo anni di dura gavetta, nel 1972 pubblicarono l'album "New Day", chiaramente influenzato dal sound dei primissimi Yes. Dopo varie collaborazioni, nel 1978 entra a fr parte in pianta stabile nella band del musicista canadese Pat Travers, contribuendo alla scrittura di molti brani, fra i quali la celebre "Snortin' Whiskey", brano molto in voga nelle radio nel 1980, influenzato dalle acide sonorità di Jimi Hendrix. Le abilità chitarristiche di Pat non sfuggirono all'occhio di Glen Hughes e fra i due nacque una interessante collaborazione. Nel 1982 pubblicarono un disco sotto il moniker di Hughes/Thrall, proponendo un raffinato AOR. Dopo altre collaborazioni, viene ingaggiato dagli Asia. Tempo di assimilare la scaletta ed i nostri partono in tour. Alla fine degli anni '80 fare una tappa in Unione Sovietica era diventata una piacevole abitudine. Il primo invero fu Elton John nel 1979, ma il vero artista a portare il rock straniero in Russia fu Billy Joel nel 1987. Di seguito Scorpions, Ozzy, Black Sabbath seguirono l'esempio, facendo esplodere la passione per la musica rock nella patria di Michail Gorbaciov, tanto che nel 1989 venne organizzato lo storico "Moscow Music Peace Festival "un festival musicale heavy metal e hard rock tenutosi il 12 e 13 Agosto del 1989 a Mosca nello Stadio Lenin. Il bill prevedeva band del calibro di Skid Row, Cinderella, Bon Jovi, Mötley Crüe, Ozzy Osbourne, Scorpions e gli idoli locali Gorky Park. Anche gli Asia decisero di includere le gelide lande della Russia nel loro tour. Suonarono due date allo Olympijskiy Stadium di Mosca di fronte a oltre ventimila persone. La scaletta della data tenutasi il 9 Novembre del 1990 è stata riproposta nel primo live ufficiale della band, intitolato semplicemente "Live Mockba 09-X1-90". Oltre ai classici estrapolati dai primi tre album, i nostri inserirono nella track list alcune interessanti rivisitazioni di brani appartenenti al repertorio di King Crimson e UK relativi all'era Wetton, un interessante assolo di Geoff Downes che vedeva presenti alcuni passaggi estrapolati dal successo planetario dei The Buggles "Video Killed The Radio Star, una interessantissima versione ampliata della gemma "The Smile Has Left Your Eyes", vera punta di diamante del live, chiudendo il tutto con "Kari-Anne", uno stuzzicante brano inedito risalente al 1987 con l'effimera formazione comprendente Michael Sturgis e Scott Graham. Purtroppo, perlomeno nella versione in CD in mio possesso, la scaletta non viene riproposta in tutta la sua interezza, mancano incomprensibilmente la bellissima versione di "Rendez-vous 6:02" degli UK e "Days Like These". Non mi chiedete il perché, comunque in giro esistono svariate versioni del live dove potete trovare i suddetti brani, spesso in sostituzione di altri. Altra incomprensibile mossa è stata fatta con la pubblicazione di una VHS avvenuta nel 1992. Anche in questo caso la scaletta è differente. Rispetto al CD che ho fra le mani mancano "Time Again", Rock and Roll Dream", "Starless", "Don't Cry (?)" e l'assolo di Downes. ma ci sono "Prayin' 4 a Miracle, "Days Like These", "Rendez-vous 6:02" e "Cutting It Fine". Ritornando a noi, qualitativamente il sound del live è soddisfacente, anche se in giro abbiamo sentito di meglio. C'è curiosità nel vedere come interpreta i brani il nuovo arrivato Pat Thrall, nella fattispecie le complicate parti eseguite dal Maestro Howe, visto che i rispettivi stili dei due chitarristi possono considerarsi agli antipodi. Sicuramente il chitarrista a stelle e strisce, che vanta il primato di essere il primo membro americano del gruppo, saprà emergere nei brani più grintosi, come "Go" "Solo Survivor" o "Time Again", da vedere come riuscirà a disimpegnarsi nei momenti più soft della scaletta. Insomma, questo live si promette interessante, grazie anche alle chicche che i nostri hanno inserito in scaletta, e ovviamente al brano inedito che chiude il lotto. Andiamo dunque a fare un viaggio nelle gelide ed affascinanti lande della Russia.
Time Again
Fra il boato dei ventimila e passa dell'Olympijskiy Stadium di Mosca possiamo percepire il rumore degli strumenti durante le ultime accordature, poi un anchorman indigeno con il caratteristico accento russo, annuncia la prima e storica data degli Asia nella terra del Cremlino. Un po' a sorpresa i nostri iniziano con "Time Again (Ancora Tempo)", brano presente sul primo storico ed omonimo disco, dove emergono prepotentemente le origini progressive dei nostri. L'oscura introduzione ricca di fraseggi, corse sulle pelli e un devastante colpo di gong, non riesce a placare l'entusiasmo del pubblico russo. Pat Thrall riesce invece a replicare le evoluzione chitarristiche di Howe abbastanza fedelmente, il basso di Wetton è assai più pungente rispetto alla versione in studio ed emerge prepotentemente nella travolgente cavalcata dell'incontenibile sezione ritmica. Dal castello di tastiere di Mr. Downes piovono fulmini che insieme ai lamenti della chitarra (qui assai meno Howeiani) illuminano questa primo scorcio di brano che urla progressive. L'elevato numero dei bpm costringe Wetton a sforzare le sue corde vocali e ad andare più in alto rispetto ai suoi standard. Un tarantolato Carl Palmer dà il meglio di sé dietro al drum set, valorizzando uno dei brani più progressive dell'intero repertorio Asiatico. Con ricercate licenze poetiche, John Wetton ci parla di una relazione amorosa giunta sull'orlo del baratro. Insoddisfazioni e bugie sono i demoni che hanno rotto il fragile equilibrio di un rapporto amoroso ormai offuscato dalla menzogna. Come un treno arriva l'inciso, dove brillano armonie vocali, le evoluzioni di un incontenibile Mr. Palmer e i fraseggi di Pat Thrall, che prova a mettere del suo su questo brano già ricco di spunti brillanti. Subito dopo incontriamo un breve interludio strumentale che rivendica il glorioso passato dei nostri, dove con malizia vengono mixate nozioni di fusion e jazz al progressive rock del decennio precedente. Si va avanti con la trascinante strofa, e dopo il breve inciso ritroviamo il brillante stacco strumentale, seguito da una interminabile corsa sui denti d'avorio del pianoforte di Mr. Downes che viene braccata da un altrettanto infinita corsa sulle pelli che culmina con un caustico assolo di chitarra. L'assolo di Pat Thrall è lontano anni luce da quello del suo predecessore, ma non per questo inferiore. Il nuovo arrivato mixa nozioni hard'n'heavy al già ricco calderone di "Time Again" ipnotizzando la platea con funambolici passaggi in tapping, colorati da vetuste fiammate di organo. L'ultima strofa è tenuta in piedi dal grintoso drumming di Carl Palmer. Nel ritornello finale mancano gli accattivanti controcanti rispetto alla versione in studio, mentre rimane invariato l'oscuro e doommeggiante gran finale dove ritroviamo il colpo di gong e funambolici passaggi all'unisono che infiammano la platea. L'antipasto è servito.
Sole Survivor
Dopo un effimero ringraziamento da parte di Wetton, i nostri sparano una delle loro migliori cartucce, nonché il mio brano preferito del debut album, "Sole Survivor (Unico Sopravvissuto)". Nell'arcana introduzione fra i ruggiti della chitarra di uno scatenato Pat Thrall e le epiche tastiere di Downes, emerge Carl Palmer con raffinati passaggi di batteria che possiamo considerare dei veri e propri hook, di quelli che ti invogliano a suonare la mitica batteria immaginaria che da sempre accompagna ogni ascoltatore di musica rock. Anche in questo caso, rispetto alla versione in studio il basso di Wetton è molto più grintoso e pungente, con graffianti scale che emergono anche nella strofa come pinne minacciose di uno squalo in una marea di note partorite dall'organo. Con una linea vocale a dir poco magnetica, John Wetton ci parla di un ultimo sopravvissuto, forse ad una guerra o ad una catastrofe naturale, ma visto che nelle prime battute le liriche citano dei segugi infernali, ecco che si aprono anche affascinanti piste che portano al fantasy. Anche nell'inciso, le pungenti scale di basso colorano l'armonia vocale. Mi chiedo come mai la produzione all'epoca in studio abbia tenuto a freno le abilità strumentistiche dell'Ex King Crimson. Dopo un secondo passaggio di strofa e ritornello, al minuto 02:40 calano i bpm e troviamo un bellissimo intermezzo strumentale. Le paradisiache tastiere di Geoff Downes vengono contaminate dalla chitarra e dal basso che insieme danno il via ad un bellissimo crescendo Mozartiano che richiama all'appello tutti gli interpreti. Una interminabile corsa sulle pelli e funambolici fraseggi di chitarra e tastiera ci porta nuovamente verso la strofa, qui mi sarei aspettato una maggiore partecipazione del pubblico. Voci maligne narrano che all'epoca, i concerti rock erano presenziati da un massiccio dispiegamento delle forze dell'ordine militari russe, che tenevano a freno il pubblico nei momenti più concitati. Oppure, semplicemente il pubblico era ipnotizzato dalla magnificenza del brano, che torna con la travolgente strofa ben disegnata dall'organo e dalla chitarra. Nella versione in studio i nostri ci salutavano con il coinvolgente inciso riproposto in loop, mentre qui nel finale c'è ampio spazio per uno scatenato Pat Thrall, che girando attorno alla line melodica disegnata dal pianoforte incanta la platea con un rockeggiante assolo. I funambolici passaggi dai sentori hard'n'heavy si lasciano trasportare dal travolgente lavoro di una sezione ritmica in gran spolvero con scambi in controtempo e micidiali orde di sedicesime. Il nuovo arrivato ci tiene a presentarsi al pubblico e lo fa in maniera eclatante, mettendo del suo sul brano con un assolo che perdura ben oltre il minuto. L'Axman Americano massacra la sei corde passando da funambolici passaggi in tapping a strazianti fraseggi che fanno ululare la chitarra scaldando finalmente la platea. I nostri salutano con un ultimo passaggio dell'inciso, trasportato dal travolgente tappeto di doppia cassa di Mr. Palmer. Gran bella esecuzione che riesce a tener testa alla magnificenza della versione in studio.
Don't Cry
Il pubblico ha gradito, Wetton presenta "Don't Cry (Non Piangere)", singolo apripista del secondo lavoro in studio Asiatico. Siamo curiosi di vedere come il nuovo chitarrista si disimpegni di fronte a brani dal sound decisamente più soft. L'arcano pattern di pianoforte riecheggia all'interno dello stadio moscovita, facendo fatica ad emergere dal fragore di una folla letteralmente in delirio sin dalle prime note fuoriuscite dal castello di tastiere. Se pur abbastanza fedeli all'originale, i ricami chitarristici di Pat Thrall lasciano trasparire quell'anima rock'n'roll che dono grinta al brano. Il palco rende finalmente giustizia ai potenti fil di Carl Palmer, a mio avviso penalizzati nella versione in studio. La raffinata chitarra stoppata va a braccetto con il tagliente giro di basso nella strofa, dove l'Ex King Crimson ci presenta una ragazza che non ha avuto vita facile. Ha vissuto tempi duri, è stata maltrattata, imbrogliata, ma come nelle favole della Disney, è arrivato il principe azzurro, ci ha messo del tempo ma è riuscito a trovarla ed ora saprà darle la vita che merita. La linea vocale è un vero e proprio hook che si insinua prepotentemente nella mente e nel cuore del pubblico. Guidati dalle brillanti tastiere di Downes, gli strumenti crescono ed insieme ai vocalizzi di Wetton aprono i cancelli al contagioso ritornello. Il botta e risposta tra l'armonia vocale che recita "Don't Cry" e John Wetton è un amo ben innescato a cui è impossibile resistere. Il brano scorre fluidamente sfruttando la classica alternanza strofa ritornello tipica del pop rock, con in mezzo un fugace ritorno dell'ottimo intro, dove emergono i lamenti della sei corde. La versione in studio si concludeva con l'inciso che ci accompagnava lentamente verso il finale, ma qui siamo di fronte ad una versione extended version del brano con una appendice supplementare di quasi due minuti, dove i nostri danno ancora spazio a Pat Thrall, che improvvisa un bellissimo assolo, seguendo la strada disegnata dal pianoforte prima e dalle pompose tastiere poi. Nonostante il nuovo arrivato sia attenga al suo stile prettamente heavy di interpretare la sei corde, qui farcisce l'assolo con piacevoli passaggi melodici che sposano perfettamente il contesto della canzone. Il travolgente drumming di Palmer ci accompagna verso il gran finale, dove ritroviamo le arcane melodie di inizio brano. Abbiamo assaporato un interessantissimo arrangiamento live di un classicissimo Asiatico tratto da "Alpha" che ha mandato in estasi il pubblico.
Geoff Downes Solo Keyboards
Wetton ci dice che è il momento di cedere il palco a Mr. Geoffrey Downes, che per quasi cinque minuti e mezzo incanta la platea con un bellissimo assolo di tastiera, che nella track list è chiamato semplicemente "Geoff Downes Solo Keyboards". Il Tastierista di Stockport spara una delle sue migliori cartucce e ci ipnotizza con una struggente piano version del suo più importante cavallo di battaglia, la sempiterna "Video Killed The Radio Star", successo planetario dei The Buggles. Le prime inconfondibili note della celeberrima introduzione del brano eccitano il pubblico, possiamo percepire la sorpresa che hanno avuto gli oltre ventimila presenti a Mosca. Ma subito dopo la platea si zittisce, ipnotizzata ed estasiata dalla bellissima versione strumentale dell'intramontabile hit. Timidi applausi, quasi timorosi di rompere l'idilliaca atmosfera ricreata da Downes fanno capolino quando il nostro replica brillantemente con il pianoforte l'indimenticabile linea vocale che fu di Trevor Horn. Spinto dagli archi, il piano replica con una buona dose di brividi il memorabile ed inestinguibile "Oh-a oh-a I met your children Oh-a oh-a What did you tell them?", per poi sfociare in una versione classicheggiante dell'inciso, dove il pianoforte e gli struggenti pad orchestrali si fondono in un'unica entità magica. Geoff Downes va avanti con il vecchio brano dei The Buggles, ostentando estro, classe e tecnica che lo annoverano fra i migliori tastieristi di sempre. Troppo spesso offuscato dall'esuberanza di Emerson e Wakeman, il nostro se pur meno appariscente tecnicamente non ha niente da invidiare ai due king of keyboards. Dopo una manciata di secondi di pausa, dovuti ad un caloroso applauso di una folla entusiasta, Downes ci fa capire che non ha ancora finito il suo show. Al minuto 02:38 il pubblico viene ipnotizzato dalle avvolgenti ed algide note del Korg Wavestation, un innovativo sintetizzatore lanciato dalla multinazionale giapponese proprio nel 1990. L'incipit di forte atmosfera ricorda molto da vicino quello del brano "Blue Light" presente sull'album "Ride The Tiger" di Geoff Downes e Greg Lake. Dopo una quarantina di secondi Geoff fa centro con un ammaliante pattern di pianoforte, la melodia mi è familiare, mi suona come qualcosa di già sentito, ma chiedo venia non riesco ad individuare la fonte con esattezza. È comunque probabile che si tratti di una semplice improvvisazione del biondo Tastierista di Stockport, di un passaggio estrapolato dalla sua carriera solista o di un reprise di uno dei tanti jingle pubblicitari prodotti in passato dal nostro. Intorno al quarto minuto cambia nuovamente l'atmosfera. Annunciata da una suggestiva campionatura di percussioni, dal castello di tastiere scende un'oscura nebbia, subito diradata da un brillante fraseggio di tastiera dai sentori epici che poi lasciano il campo ad un travolgente pianoforte che ricorda molto da vicino le ammalianti melodie iniziali di "The Hit Goes On". Con un'ultima corsa sui denti d'avorio del pianoforte, il nostro si congeda, ricevendo una meritata buona dose di appalusi.
Only Time Will Tell
Dopo lo sciame di emozioni provocate dall'assolo di Geoff Downes, si continua con un master piece della discografia Asiatica, "Only Time Will Tell (Solo Il Tempo Lo Dirà)", brano appartenente al primo storico album e introdotto dal peculiare pattern di tastiera prettamente ottantiano, che qualche anno più avanti influenzerà gli Europe. Purtroppo, l'introduzione viene rovinata da un pasticcio dell'addetto al mixer, le note della tastiera partono forte, per poi subire una vistosa e sgradevole riduzione di volume, tanto da venir offuscate dal pubblico in delirio. Il basso ruggente di Wetton e il campanaccio di Mr. Palmer gettano le fondamenta ritmiche, rispetto alla versione in studio mancano aimè i sottili ricami della chitarra. Arriva la strofa, consegnata alle miracolose falangi di Mr. Downes, che colora una contagiosa linea vocale di cui è impossibile non innamorarsi. La romantica voce di John Wetton riecheggia all'interno dello stadio olimpico, trasportata dalla vellutate trame di tastiera, arrivandoci dritta al cuore, parlando di una delle prime cotte adolescenziali non andata a buon fine, relazione che ha lasciato una profonda cicatrice nel cuore dell'Ex King Crimson. La sezione ritmica ravviva la seconda strofa, dove la bellissima linea vocale continua ad ipnotizzarci. Rispetto alla versione originale, Pat Thrall ci mette del suo, e sostituisce i raffinati lamenti della chitarra di Howe con una articolata trama di chitarra priva di distorsore, personalmente ho molti dubbi su questa scelta e conferma la mia teoria che il nuovo arrivato dà il meglio sui brani più grintosi. Il ritornello risulta assai meno incisivo, a causa della mancanza delle ammalianti armonie vocali ben evidenti nella versione in studio e difficilmente replicabili in sede live. Qualcosa che non va riusciamo a percepirlo anche nell'intermezzo strumentale che tanto ci aveva entusiasmato nella studio version, dove i nostri rivendicavano il loro glorioso passato; senza gli arabeschi che furono di Steve Howe risulta piatto ed anonimo. Il brano scorre via fluido ma senza entusiasmarci come i precedenti. Sul finale troviamo un inciso a cappella, il coro si alterna a dei vocalizzi di Wetton, la cosa sembra scaldare timidamente il pubblico, che partecipa con un ritmato battito di mani accompagnando i nostri verso il finale. Senza ombra di dubbio fino ad ora è il brano dove si sente pesantemente la mancanza di Steve Howe. Amo tutto ciò che porta il moniker Asia, ma questa versione di "OTWT" non mi ha entusiasmato per niente.
Astra
Aspettavamo tutti un brano tratto da "Astra", che escludendo raccolte ed EP, è l'ultimo long playing in studio, se pur risalente al 1985. L'inconfondibile intro a cappella ci svela che i nostri ci propongono "Rock And Roll Dream (Sogno Rock E Roll)", brano dove riaffiorano quelle reminiscenze di progressive rock che sembravano ormai svanite definitivamente all'epoca di "Astra". Stranamente i nostri scorciano di quasi un minuto quello che all'epoca era il brano più lungo del repertorio Asiatico. Il pubblico gradisce, lo si percepisce dalle grida che tentano di farsi avanti nell'oscura nebbia che fuoriesce dal castello di tastiere, ritmata da un battito di mani campionato e da profonde pennate di basso. Fedeli alla versione in studio i tetri lamenti di chitarra di Pat Thrall, indubbiamente molto più a suo agio nelle partiture di chitarra di Mandy Mayer piuttosto che di Steve Howe. Con una linea vocale che trasuda mestizia, John Wetton ci dice che la vita delle rock star non è tutta rose e fiori come sembra dall'esterno. Bellissimo il bridge, dove le spettrali note del pianoforte di Downes colorano la struggente voce di Wetton, che si rivede nella folla di giovani fan che fremono in attesa del concerto. Dopo un altro passaggio di strofa e bridge come un treno arriva l'inciso, dove il martellante pianoforte di Geoff Downes suona come un fulmine a ciel sereno, spazzando via le tetre atmosfere che hanno caratterizzato il brano in questi primi minuti. "Rock and roll dream. Not what it seems. Who is the dreamer now? (Sogno rock and roll. Non è come sembra. Chi è il sognatore adesso?)", sono i versi con cui Wetton infiamma la folla, a sottolineando che la vita di una rock star ha i sui lati negativi, che ci crediate o no. Subito a seguire un sontuoso assolo di chitarra di sentori hard'n'heavy, molto fedele a quello originale di Mandy Mayers, solo che stavolta i funambolici passaggi di Pat Thrall sono sottolineati dalle grida di un pubblico in carne ed ossa. Le tastiere di Downes smorzano l'entusiasmo e portano nuovamente un'oscura nebbia sopra l'Olympijskiy Stadium di Mosca. Gli struggenti lamenti della sei corde ci accompagnano verso il bridge. Il sottile limbo delineato dal sogno rock and roll mette da una parte le rock star che vivono nel lusso ma bramano una vita normale, dall'altra i fan, logori dalla monotonia di una vita ordinaria e che sognano le luci del palco. Il grintoso "Tonight (Stanotte)" riecheggia a lungo sugli spalti dello stadio olimpico annunciando una versione speed dell'inciso. Pesa come un macigno l'assenza della The Royal Philharmonic Orchestra, che in studio colorava splendidamente il travolgente ritornello. Nel gran finale chitarra e basso danno vita ad un estenuante duello, cedendo poi il campo a Geoff Downes che improvvisando fa centro con un ammaliante pattern di tastiera. L'inconfondibile ritornello eseguita a cappella, saluta il pubblico entusiasta. Alcuni dubbi sulla riduzione della durata, ottenuta con qualche strofa in meno, mentre come era facile prevedere, rimpiazzare un'intera orchestra in sede live era praticamente impossibile. Più luci che ombre, comunque, su questa versione live di uno dei brani migliori di "Astra", sicuramente più convincente del brano che lo ha preceduto, come dimostra il fragore della folla a fine brano.
Starless
John Wetton si siede dietro al grand piano per deliziarsi con una struggente versione ridotta di "Starless (Senza Stelle)", brano dei King Crimson presente sull'album "Red" del 1974. Pat Thrall rivisita brillantemente in versione hard'n' heavy le inconfondibile ed oscure note iniziali che furono di Robert Fripp. Rispetto alla memorabile versione primordiale che vi ricordo andava ben oltre i dodici minuti, spaziando fra il progressive ed il jazz, il pianoforte e le tastiere cercano di sopperire alla mancanza delle algide note del mellotron di Fripp e i melanconici e soffusi aliti del sax di Mel Collins. La tristi note della chitarra si fondono a quelle del piano, generando un alone di malinconia e stupore che ammutolisce l'intero Stadio Olimpico di Mosca. La bellissima voce di Wetton interpreta in maniera struggente i primi versi, carichi di pessimismo e depressione, l'oscurità che portiamo dentro di noi, spesso è capace di spegnere il più luminoso dei tramonti. La solitudine è la protagonista assoluta delle prime strofe, oscurate dalla mestizia delle note del piano. L'inciso è interpretato magistralmente da Wetton, il suo straziante "Starless and Bible Black" riecheggia sugli spalti dello stadio, dove regna un innaturale silenzio. Il pubblico pare essere ipnotizzato dalla magnetica voce dell'Ex King Crimson. Le raffinate vibrazioni del set di piatti di Carl Palmer, accentuano la tensione, prima che il nostro ravvivi il brano con una serie di fill di grande effetto che richiamano Mr. Thrall con lo straziante tema di chitarra. Nella parte finale, Palmer si sforza per essere il più delicato possibile nell'accompagnare il brano, mentre un sognante pattern di tastiera ci dice che il brano termina qui, tralasciando la stupefacente coda strumentale della versione originale, che vedeva il basso di Wetton assoluto protagonista. In molti sostengono che questo brano insieme al successivo hanno tolto inutilmente spazio a canzoni del repertorio Asiatico. Per altri, me compreso, invece si tratta di una gradita sorpresa, una sorta di omaggio alla carriera di Wetton, che ha rivisitato in maniera del tutto originale ed intelligente uno dei brani più belli e fondamentali della storia del progressive rock, senza farci storcere la bocca.
Book Of Saturday
Si continua a transitare di fronte alla corte del Re Cremisi, John Wetton lasciato il pianoforte impugna la chitarra acustica e ci delizia con una emozionate rivisitazione di "Book Of Saturday (Libro Di Sabato)" tratta dal quinto album in studio dei King Crimson intitolato "Larks' Tongues in Aspic" risalante al 1973. Le note della sei corde acustica scendono giù come brillanti glitter, colorando le liriche scritte all'epoca dal paroliere Richard Palmer-James (ex Supertrump), liriche che con criptici versi ci illustrano un album dei ricordi contenenti i momenti migliori ma anche peggiori di una relazione amorosa che nonostante alcune complicazioni, perdura nel tempo. Durante i momenti più critici, sovente l'uomo ha minacciato di lasciare la compagna, ma lei non lo ha mai preso sul serio, perché secondo lei, dopo una relazione così duratura, nessuno ha il coraggio di dire basta. Le solenni tastiere di Geoff Downes sostituiscono le struggenti note del violino suonato nel 1973 da David Cross, mentre rimangono invariati i suggestivi "doo doo doo doo" di John Wetton, un ammaliante hook. Emanando aure di mestizia, il brano scorre piacevolmente verso l'epilogo, epilogo che invece non ha visto la relazione amorosa nonostante i problemi e gli ostacoli incontrati nel corso del tempo; l'amore risulta assai più potente di bugie ed incomprensioni che spesso hanno minacciato l'integrità del rapporto. Le tristi melodie del finale vengono oscurate dal fragore del pubblico, che pare abbia apprezzato particolarmente questo micidiale uno-due Crimsoniano.
The Smile Left Your Eyes (Parts I & II)
Siamo finalmente giunti a quello che chi scrive reputa il pezzo forte dell'album, una bellissima ed energica versione della perla che brillava su "Alpha", qui rinominata "The Smile Left Your Eyes (Parts I & II)". La novità sta proprio nella seconda parte. Si tratta di un vecchio arrangiamento del brano fatto da John Wetton ed il suo caro amico Rick Nelson, arrangiamento che non era mai venuto alla luce fino a poco tempo fa, quando un fan è riuscito a montare un bellissimo videoclip usando vecchie testimonianze in studio e immagini di repertorio, riuscendo a ricreare magicamente la bellissima versione ideata da Wetton e Nelson che prevede una prima parte solo pianoforte e voce ed una seconda parte assai più energica con la chitarra elettrica protagonista. Vista la cotanta bellezza della versione, mi suona strano che la medesima non sia mai stata inserita in nessuna ristampa, o perché non su "Then & Now". Accontentiamoci comunque di questa testimonianza live, sicuramente molto vicina alla versione originale arrangiata dai due musicisti albionici. La versione pianoforte voce riesce addirittura ad essere più emotiva di quella originale. Le prime melliflue note riescono ad emergere a fatica dal rumore della folla in delirio, andando poi a colorare la struggente linea vocale di John Wetton, che ci parla dello strazio provato da un uomo che ha visto sua moglie mano nella mano con un amante. In questa versione live, l'Ex King Crimson si permette alcune sensibili modifiche alla già pressoché perfetta linea vocale, riuscendo a trasmettere ulteriori forti emozioni all'ascoltatore. Sugli spalti riecheggia l'inciso con la sua frase hook "The Smile Has Left Your Eyes (Il Sorriso Ha lasciato I Tuoi Occhi)", ricamata dalle tristi note del piano. Nello special, Downes spinge in alto Wetton che con la sua romantica voce ha il potere di ammutolire gli oltre ventimila di Mosca. Il gesto fedifrago ha letteralmente spezzato la famiglia, l'uomo caccia via la moglie di casa, ma a farne le spese è la piccola Danielle, protagonista assoluta dello splendido videoclip che nel 1983 spinse la canzone ai vertici delle classifiche. L'interpretazione di Wetton è da oscar, il pubblico dimostra di aver apprezzato questa bellissima nuova veste del brano, soffocando le ultime note del pianoforte che ci lasciano presagire che il brano è giunto al capolinea. Ma la minuto 02.34 ecco la sorpresa. Pat Thrall irrompe con una manciata di potenti power chords, rafforzati dal basso e da ben assestati fil di batteria. Adagiandosi sopra un tappeto di organo, il Biondo Chitarrista Americano fa centro con un bellissimo assolo, melodico e potente allo stesso tempo che va a sostituire quello di tastiera presente sul vecchio riarrangiamento del brano. Poi una consistente corsa sulle pelli di Mr. Palmer annuncia l'energica coda del brano, caratterizzata da potenti fiammate all'unisono degli strumenti che danno vita alla versione cattiva della strofa. Brividi. Bellissima anche la versione hard dell'inciso, dove Wetton, oltre a fare un gran lavoro con le quattro corde, vola in alto spinto dall'energia della musica. Sicuramente il sorriso non ha lasciato gli occhi dei ventimila fortunati fan che hanno assistito allo spettacolo. Chapeau. Reputo addirittura superiore all'originale questa bellissima versione di uno dei brani più belli ed emozionati degli Asia, brano che da solo giustifica l'acquisto del primo e storico live ufficiale della band.
The Heat Goes On
Dopo essere stato presentato al pubblico, John Wetton presenta a sua volta un altro brano da "Alpha", tra i migliori del lotto, sicuramente fra i miei preferiti in assoluto di tutta la discografia Asiatica, in quanto anni orsono mi ha spalancato le porte dell'affascinate Asia World. Le inconfondibili e tenebrose note del pianoforte dell'introduzione di "The Heat Goes On" infiammano lo stadio olimpico. Come era facilmente prevedibile, Pat Thrall si sente a suo agio nei brani più energici, i suoi power chord potenziano ulteriormente i primi secondi del brano. Bellissimi i fraseggi all'unisono di basso e chitarra che precedono la strofa. Con Palmer che alza leggermente l'asticella dei bpm e la foga degli strumenti, Wetton è costretto ad interpretare con più grinta il brano, ma quello che colpisce è il gran lavoro che il nostro fa con il basso, lavoro oscurato all'epoca dalla dubbia produzione di "Alpha". Attraverso licenze poetiche facilmente assimilabili, il nostro ci canta di un uomo invaso dalla passione amorosa, con la testa fra le nuvole, un uomo che travolto dalla passione non sia accorge di pensare ad alta voce. Il basso e la chitarra pulsano e ci spingono verso l'inciso, dove il bellissimo giro di basso fa passare in secondo piano la piattezza delle armonie vocali, assai meno brillanti di quelle presenti sulla versione in studio. Si continua con la strofa, dove brillano le fiammate sparate da Mr. Downes, strofa chiaramente più veloce e travolgente della versione del 1983. Calano i bpm ed arriva il bridge. Le paradisiache tastiere di Geoff Downes vengono sporcate dai graffianti fraseggi del basso e dai delicati fil di Mr. Palmer, mentre Wetton canta con il cuore in mano. Una breve ma eccellente chiusura, dove brilla un pungente fraseggio di basso, ci riporta verso la strofa, rivendicando il glorioso passaggio dei nostri. Qui, i fraseggi di chitarra di Pat Thrall si avvicinano molto a quelli che furono di Howe. Dopo un altro passaggio di strofa e ritornello, dove brillano le improvvisazioni di tutti gli strumenti, la scena è tutta per Geoff Downes, che delizia la platea con un travolgente assolo di organo che odora di progressive e va a rispolverare i fasti di "Drama". Trascinato dalla potente sezione ritmica che ci fa capire cosa ci siamo persi nel 1983 grazie alla Geffen, Downes si prende molto più spazio rispetto alla versione in studio, prolungando il suo assolo e impreziosendolo con funambolici passaggi. Quando il brano sembra volgere al termine, nonostante l'alta velocità di esecuzione del brano, Carl Palmer non sembra per niente affaticato e si prende il suo meritatissimo momento di gloria con un esaltante assolo di batteria, dove brillano potenza, estro e tecnica, infiammando il caloroso pubblico dello stadio olimpico di Mosca, che sottolinea con appalusi e urla i passaggi di quello che possiamo definire uno dei migliori batteristi in assoluto della storia del rock, se non il migliore. Palmer pompa al massimo, Wetton con un coinvolgente "one, two, one, two, three, four" dice al drummer albionico che per ora può bastare e saluta il pubblico con un ultimo passaggio di ritornello, lasciando poi l'onere di suggellare il brano al solenne organo di Downes. I prolungati assolo di Downes e Palmer valorizzano ulteriormente un brano che già di per se poteva considerarsi perfetto.
Go
Gli appalusi del pubblico stentano a cessare, a fatica Wetton riesce a presentare un altro brano energico che in sede live può solo migliorare, la trascinate "Go (Vai)", dal terzo album in studio intitolato "Astra". Geoff Downes apre con una tetra trama di organo dai sentori clericali che infiamma la platea. A sorpresa, il riff di chitarra che fu di Mandy Mayer, viene sostituito da un'ottantiano pattern di tastiera. La chitarra di Pat Thrall esegue comunque fedelmente i taglienti ricami, per poi rubare la scena con il potente riffing dai sentori hard'n'heavy. Trasportato dalla cavalcata della chitarra, John Wetton ci lancia messaggi lordi di positività, puntualmente sottolineati da cristallini rintocchi di tastiera. Il nostro ci esorta ad andare avanti, a non abbattersi anche quando la situazione si fa tragica, ci invita a lottare duro per arrivare dritti fino alla vittoria, a scavare in profondità per cercare dove si nasconde l'oro. Il graduale ingresso di Carl Palmer fa crescere il brano fino all'effimero ma esplosivo ritornello. Fra le ruggenti note della chitarra riecheggiano i messaggi positivi di John Wetton che urla a squarcia gola "Get up and go (Alzati e vai)" Rispetto alla versione in studio, mancano i brillanti pattern di tastiera ottantiani, qui sostituiti da un oscuro tappeto d'organo, mentre rimangono invariati le sibilline note che evidenziano i momenti cruciali dell'inciso. La seconda strofa viene potenziata dal trascinate drumming di Palmer, che in sede live alza sempre di qualche punto il numero dei giri. Fra le cavalcate della chitarra emergono le liriche sempre positive, che sottolineano come spesso la dura strada della vita si piena di ostacoli, come spesso camminiamo sul filo del rasoio e basterebbe un'inerzia per farci perdere l'equilibrio e cadere nel baratro, ma se mai dovesse succedere, Wetton ci inviata a rialzarsi ed andare, come grida a squarciagola nel secondo trascinante inciso, impreziosito da funambolici fraseggi di chitarra che odorano di metal, supportati da un robusto giro di basso. Poco prima della metà del brano calano bruscamente i bpm, le tastiere disegnano trame fiabesche che poi lasciano il campo alla chitarra, sostenuta dai tom tom massacrati da Carl Palmer. Questo breve stacco prepara la strada al ritorno di Pat Thrall, che in completa solitudine mette in mostra il potente riffing portante, bombardato da un graffiante poker di note eseguito all'unisono dalla formidabile sezione ritmica. C'è tempo per un'ultima strofa, dove Wetton sottolinea che possiamo sconfiggere il fato se peschiamo la carta vincente. I nostri ci accompagnano verso la fine con l'inciso mandato in loop, colorato da funambolici fraseggi di chitarra ed un ciclico pattern di tastiera. Supportato dal graffiante riffing di chitarra, John Wetton si prende una meritata dose di applausi grazie ad un sontuoso assolo di basso, girando attorno alla linea melodica del graffiante riffing di chitarra. L'Ex King Crimson ci mostra di che pasta è fatto (e cosa ci siamo persi in studio grazie alla Geffen n.d.r.) . Le evoluzioni sullo strumento esaltano il pubblico, che si infiamma ulteriormente quando il nostro arriva a suonare sotto il dodicesimo capotasto. Nei passaggi cruciali e più esaltanti dell'assolo, possiamo percepire l'esaltazione del pubblico. Le pungenti note del basso lentamente vanno a formare un'unica entità con il riff di chitarra. Nella parte finale dell'assolo, è difficile descrivere cosa diavolo stia facendo Carl Palmer con il rullante, accompagnandoci verso un trascinante loop dell'inciso, impreziosito da efficienti vocalizzi di Wetton ed accolto in maniera particolarmente calorosa dal pubblico di casa. Nel fragore del gran finale, il potente "Get up and go" riecheggia a lungo sugli spalti, per poi essere letteralmente soffocato dal boato degli oltre ventimila di Mosca. Indubbiamente l'assolo di basso rende ammaliante questa potente versione live di "Go", che sostituisce la mancanza dei raffinati arrangiamenti in studio con l'energia che i nostri riescono a sprigionare sul palco.
Heat Of The Moment
Wetton presenta al pubblico il nuovo arrivato Pat Thrall, che senza timore spara il memorabile riff di "Heat Of The Moment" brano asiatico per eccellenza che rilasciato come singolo nell'Aprile del 1982, fu capace di rimanere per ben sei settimane al primo posto nella classifica statunitense Billboard Mainstream Rock. Con l'avvento della strofa, John Wetton cala un irrinunciabile hook con la bellissima linea vocale, alzi la mano chi non ha mai canticchiato o perlomeno fischiettato l'incipit del brano. Le liriche, scritte da Wetton, sono una sorta di redenzione per riparare al brutto comportamento che il nostro ha avuto in adolescenza agli inizi della relazione amorosa con Jill, che poi diventerà la sua prima moglie. Per la cronaca, i due divorzieranno dopo dieci anni di matrimonio. Palmer accompagna con semplici passaggi ma che funzionano alla grande, sostenuti dalle corpose note del basso che seguono in maniera omofona la chitarra, ben più evidenti rispetto alla versione originale. Come un treno arriva l'anthemico ritornello, pronto a stamparsi in maniera indelebile nella nostra mente e nel nostro cuore. Nella strofa successiva Wetton cala un magnetico hook: "You catch the pearl and ride the dragon's wings (Prendi la perla e cavalca le ali del drago)" è un lapalissiano omaggio alla memorabile copertina firmata Roger Dean. Al minuto 01:46, Geoff Downes domina dall'alto del suo castello di tastiere, creando un'atmosfera arcana contaminata dalle orientaleggianti note del koto che spezza in due il brano. Si respirano le affascinati atmosfere degli anni Ottanta, la folla gradisce, gli applausi si mescolano alle affascinati note della tastiera. La strofa successiva viene accompagnata dal caloroso battito di mani del pubblico, che impazzisce letteralmente con l'avvento del ritornello. Il vocalizzo di Wetton sembra portarci verso la fine, ma oscuri fraseggi di chitarra, evidenziati da un pasticcio dell'addetto al mix che alza troppo il canale della sei corde, ci dice che il brano non è ancora finito. Uno scatenato Pat Thrall improvvisa un assolo ricco di grinta e tecnica, appoggiandosi sopra un tappeto di organo e ingaggiando una dura battaglia con la sezione rimica, che nell'occasione fa dei numeri incredibili. Se uno spettatore entrasse in questo momento, difficilmente saprebbe indovinare di che brano si tratta, forse nemmeno il famigerato Uomo Tigre ci riuscirebbe. L'indovinello è fin troppo facile quando i nostri salutano il pubblico con un ultimo passaggio di ritornello, bissato poi con un trascinate "One more time" di Wetton, che impreziosisce il tutto con vocalizzi che ci trascinano verso il gran finale. Sopraffatto dal fragore della folla, John Wetton saluta il caloroso pubblico di Mosca.
Open Your Eyes
Fra il frastuono del pubblico in delirio, Wetton chiede se vogliono ancora un brano e regala un encore con i fiocchi, la bellissima "Open Your Eyes (Apri I Tuoi Occhi)", senza ombra di dubbio uno dei momenti migliori di "Alpha". Dal castello di tastiere si innalza una gelida nebbia dove però non troviamo gli spettrali "Open Your Eyes" sporcati dal vocoder che caratterizzavano la versione in studio. John Wetton, con una linea vocale carica di mistero ci presenta una bellissima ragazza orientale in cerca di sé stessa, smarrita e spaesata fra le tradizioni e gli usi del mondo occidentale. Come un fulmine a ciel sereno sopraggiunge Carl Palmer a spezzare le fragili ed algide atmosfere con un drumming travolgente ed ovviamente più veloce rispetto alla versione datata 1983. Spinto dalla batteria e dagli accordi distorti sparati da Mr. Thrall, il cantato dell'Ex King Crimson si fa più energico e ci porta verso il solare ritornello, dove a causa di un mixaggio infelice, non riescono a brillare i raffinati pattern di tastiera, mentre è assai più incisivo il basso. Nella seconda strofa calano improvvisamente i bpm, sezione ritmica e chitarra vanno momentaneamente in stand-by, lasciando solo il settantiano organo di Downes ad accompagnare Wetton. Il ritorno di Palmer riporta il brano su binari energici, coinvolgendo la platea con un altro passaggio di strofa e ritornello. Un vocalizzo a metà fra gli Yes e i Beach Boys annuncia lo special. Calano nuovamente i giri del motore, le tastiere avvolgono Wetton, Pat Thrall spara un power chord che dà il là ad un crescendo Mozartiano che culmina con un bellissimo assolo, dove gli autocelebratismi di Pat Thrall e Geoff Downes si intrecciano magicamente, rievocando le bellissime evoluzioni in aria di uno stormo di storni al calar del Sole. Nella strofa successiva, il Nuovo Chitarrista ricama splendidamente con fraseggi lordi di tecnica le dolci licenze poetiche che esaltano la bellezza della ragazza. Finalmente nel ritornello possiamo percepire gli ammalianti pattern di tastiera, a mio avviso il pezzo forte dell'inciso, dopo di ché l'ira degli strumenti si placa. Geoff Downes crea un magico limbo con le tastiere, fra lo sciame di appalusi, emergono i gorgheggi di Wetton, mentre in sottofondo, a piccoli passi si fa vivo il rullante di Carl Palmer che fa crescere molto lentamente il brano. Enigmatiche note di pianoforte si mischiano ai lamenti della chitarra e agli spettrali "Open Your Eyes" di Wetton. Il basso inizia a pompare minacciosamente. Rispetto alla versione in studio, questo bellissimo interludio viene prolungato. Anticipato dal riff portante di tastiera, Pat Thrall spara tre energici power chords che fanno esplodere definitivamente il crescendo. Palmer mette tutti in fila tutti con un trascinante tappeto di doppia cassa, massacrando tom e rullante; le spettrali tastiere di Downes vengono insidiata dalle evoluzioni chitarristiche di Pat Thrall che ci trascinano lentamente verso l'epilogo, il pubblico sottolinea calorosamente i funambolici fraseggi del Biondo Chitarrista Americano. I nostri violentano i rispettivi strumenti sulle ultime battute del gran finale, salutando poi il pubblico con il più classico degli inchini.
Kari-Anne
Terminato il live, siamo arrivati alla traccia inedita presente sull'album, "Kari-Anne", che in realtà non è un nuovo brano composto per l'occasione, ma si tratta di una canzone risalente al 1987, quando Wetton e Downes provarono a rivitalizzare gli Asia insieme a Michael Sturgis e Scott Gorham. Siamo di fronte ad un ammaliante brano AOR, lordo di hook ed accattivanti melodie, ma aimè lontano dal frizzante sound asiatico dei primi i tre album. Wetton e Downes hanno scritto il brano insieme alla vecchia amica Sue Shifrin, che già abbiamo conosciuto in occasione della precedente recensione di "Then & Now" dove ex moglie di David Cassidy aveva contribuito insieme all'allora marito alla composizione di "Prayin 4 A Miracle". Il sound non è cristallino come ci si aspetterebbe, il troppo reverbero dona oscurità alla musica che avrebbe meritato una timbrica assai più brillante, visto il contesto easy listening in cui si muove. Scott Gorham fa centro con un ammaliante refrain di chitarra, prontamente imitato dalla tastiera; Questo interessante intreccio melodico sarà la colonna portante del brano. Arriva la strofa, dove notiamo una sostanziale differenza fra il drumming raffinato di Sturgis e quello potente originale Asia targato Palmer. Il basso pompa, Wetton tira fuori dal cilindro una magnetica linea vocale, colorata dall'ottimo lavoro alla chitarra dell'Ex Thin Lizzy. Le liriche non sono certo il pezzo forte del brano, e vedono banali licenze poetiche illustrare un vero e proprio colpo di fulmine che ha stregato quel romanticone di John Wetton. Di spessore il bridge, che mette in mostra un fantastico intreccio fra basso, chitarra e tastiera che ci accompagna dritti all'anthemico ritornello, dove brilla l'armonia vocale "Oh Kari-Anne", dedicata alla ragazza che con uno sguardo sagittabondo ha ammaliato John Wetton. Dopo un fugace passaggio del magnetico tema portante sentito ad inizio brano, tornano strofa e ritornello, il mixaggio non rende giustizia a Michael Sturgis, ma se ascoltate con attenzione, potete percepire un raffinato controtempo sul charleston, sicuramente più interessante delle banali e sdolcinate liriche adolescenziali che caratterizzano tutto il brano. Il tema portante di chitarra precede un ulteriore inciso, prima di tornare in solitario e mettersi in bella mostra, colorato prima da graffianti note di basso e poi dalle paradisiache tastiere di Geoff Downes. Una versione semi-strumentale dell'inciso precede un interessante assolo di chitarra eseguito dalla guest star Francis Dunnery, che da poco aveva abbandonato gli It Bites a causa dello scioglimento della band. L'ospite si disimpegna egregiamente con un assolo lordo di melodia che sposa perfettamente la linea musicale del brano. Purtroppo, l'assolo, quando sembra prendere una piega molto interessante, sfuma precipitosamente in fader, lasciandoci con l'amaro in bocca.
Conclusioni
Definito da John Wetton come un concerto a cui anche i fan più irriducibili non possono partecipare facilmente, "Live In Moscow" è indubbiamente un buon live, con un suono accettabile, anche se secondo il mio modesto e sindacabile parere, al mix si poteva fare di meglio. Durante la scaletta alti e bassi si alternano, il nuovo arrivato Pat Thrall supera brillantemente l'esame sui brani più energici come "Go", Solo Survivor" e soprattutto "Time Again", ma lascia forti dubbi sui brani più soft, in particolare su "Only Time Will Tell", dove aleggia beffardamente il fantasma di Steve Howe. Sicuramente il suo stile hard'n'heavy lo spinge a dare il meglio di sé durante gli assolo, più che sufficiente su quelli riproposti in maniera più o meno fedele rispetto all'originale, devastante in quelli dove improvvisa aggiungendoci del suo. La cosa che più mi ha colpito in questo live è l'energia e la tecnica della granitica sezione ritmica, a mio avvisa tenuta troppo a freno dalla Geffen durante le registrazioni in studio, in particolar modo su "Alpha". Sovente il basso di John Wetton tiene in piedi il brano da solo, dimostrando che oltre ad essere un grandissimo vocalist, è anche un signor bassista, e credetemi, suonare il basso e cantare insieme, non è per niente facile, specie se come nel caso degli Asia, sia le linee vocali che i giri di basso non sono proprio dei più semplici. Su Carl Palmer c'è poco da aggiungere, un vero animale da palco che in sede live sprigiona tutta la sua energia, la sua classe e la sua tecnica. Top. Per Geoff Downes ho sempre avuto un debole, anche se in alcuni brani non è in grado di riprodurre fedelmente la miriade di sovraincisioni fatte in studio, il nostro domina dall'alto del suo castello di tastiere per tutto lo show. Il suo assolo (la traccia numero 4 n.d.r.) da solo vale il prezzo del biglietto. "Live Mockba 09-X1-90" registrato il 9 Novembre del 1990 allo Olympijskiy Stadium di Mosca in Russia è stato rilasciato nel 1991 dalla Rhino Records sotto la licenza della Cromwell Productions. La produzione è degli Asia, mentre il produttore esecutivo è Bob Carruthers, regista e conduttore televisivo scozzese con il vizio di dedicarsi alla musica rock. Dimenticatevi i fantastici artwork di Roger Dean, qui la copertina non è certo attraente ma è significativa, trattandosi di un live tenutosi nella città di Mosca. Si tratta di un avvolgente vessillo rosso, dove al centro spicca il logo originale made in Dean della band, stavolta in una preziosa versione gold. In alto, in un anonimo e minuscolo font bianco, i nomi dei quattro cavalieri, più in basso il titolo, sempre in bianco ma con un font più marcato. Nel back, sempre su sfondo rosso, scaletta logo e titolo sovrastano tre foto, una dei nostri infreddoliti che suonano in una Mosca coperta di neve, una del palco e una di un piatto di Carl Palmer ricoperto di neve, dove il drummer ha scritto simpaticamente "CCCP". All'interno del booklet troviamo bene in vista la scaletta, con in mezzo alcune note che riassumono l'emozionante show, mentre ai lati fanno da cornice delle minuscole ma suggestive foto in bianco e nero che ritraggono i nostri durante il soggiorno a Mosca. Sul back del libretto invece una bella foto a colori dei nostri di fronte alla bellezza unica della Piazza del Cremlino. Tirando le somme, si tratta del primo live ufficiale degli Asia, ergo ogni fan deve assolutamente possederlo. I momenti più deboli vengono subito cancellati da brani eseguiti con energia ed impreziositi da brillanti assolo improvvisati seduta stante. Le intelligenti rivisitazioni dei due brani Crimsoniani sono uno speciale omaggio che rende ancor più interessante il live, mentre la bellezza mozzafiato della nuova veste di "The Smile Has Left Your Eyes", da sola ne giustifica l'acquisto.
2) Sole Survivor
3) Don't Cry
4) Geoff Downes Solo Keyboards
5) Only Time Will Tell
6) Astra
7) Starless
8) Book Of Saturday
9) The Smile Left Your Eyes (Parts I & II)
10) The Heat Goes On
11) Go
12) Heat Of The Moment
13) Open Your Eyes
14) Kari-Anne