ASIA
Aurora
1986 - Geffen Records
SANDRO PISTOLESI
04/07/2022
Introduzione Recensione
Il 1985, anno d'oro per il rock e tutte le sue diramazioni, che vedeva nascere un capolavoro dopo l'altro, non è stato un anno esaltante per gli Asia, nonostante l'importante cambio di formazione che vide il carneade elvetico Mandy Mayer sostituire una leggenda del calibro di Steve Howe, cambio che inevitabilmente aveva influito sulle sonorità asiatiche, sempre più lontane dal progressive rock e assai più vicine all'hard rock melodico e l'AOR. Invero, il precedente "Astra", come sottolineato più volte nel mio articolo relativo al suddetto album, non è un disco da buttare, anzi. Solo che per una serie di sfortunati eventi non ha riscosso il successo auspicato dai piani alti della Geffen, che non era più tanto convinta di avere fra le mani una gallina dalle uova d'oro. Spettrali voci di un clamoroso scioglimento degli Asia iniziavano a manifestarsi intorno al super gruppo albionico, gettando nello sconforto i fan, se pur non ci fossa stata alcuna comunicazione ufficiale a riguardo né da parte di alcun membro della band, né da parte della casa discografica a stelle e strisce. Per riuscire a racimolare altri dollari provenienti dagli Asia, la Geffen decise a sorpresa di pubblicare Aurora, un EP con tre succulenti inediti, incomprensibilmente rilasciato in vinile esclusivamente per il mercato giapponese e da non confondere con l'omonimo triplo best of live rilasciato nel 2021 dalla major Secret Records. Oltre al brano "To Late", estrapolato da "Astra" e rilasciato timidamente come singolo promozionale nelle radio americane, l'EP conteneva tre stuzzicanti B-side, che prima di allora non erano mai apparse su un vinile a 33 giri. Ben presto "Aurora" è diventato una rarissima chimera da reperire, e ad oggi, se lo cercate in rete per acquistarlo, la ricerca purtroppo non da esiti positivi. Per fortuna, i tre brani inediti sono stati inseriti nella essenziale antologia "The Very Best Of Asia - Heat Of The Moment (1982-1990)" rilasciata dalla Geffen nel 2000, diciotto tracce che raccoglievano i momenti migliori dei primi tre album, impreziosite dai tre inediti che ritroviamo sul nostro introvabile "Aurora", che suona più come una sorta di contentino atto a racimolare più soldi possibile prima di una probabilissima estinzione del super gruppo albionico. Senza ombra di dubbio, la curiosità di ascoltare brani che prima di allora erano stati pubblicati solo come retro di singoli era molta, ma già dall'assenza della magica penna di Roger Dean dalla copertina, si presagiva che la band e la major americana non erano poi del tutto convinte della pubblicazione, che vi ricordo avvenne dopo il clamoroso annullamento del tour di supporto ad "Astra". Difficile stabilire se pubblicato anche nel resto del Mondo, il prezioso EP avrebbe superato la sconfortante posizione numero sessantasei ottenuta nella terra del sol levante. Io stesso, che fra album, live, bootleg raccolte, ristampe e chi più ne ha più ne metta posseggo oltre trenta CD degli Asia, purtroppo non sono riuscito ad accaparrarmi una copia di "Aurora", e se prima alcuni come me titubavano sull'acquisto a causa di un prezzo troppo elevato per sole quattro canzoni, adesso come me si mangeranno le mani perché è diventato praticamente introvabile. Per fortuna i tre inediti abbiamo potuto gustarceli grazie alla raccolta pubblicata nel 2000. In questo oscuro periodo degli Asia purtroppo non c'è molto da scrivere, ergo bando alle ciance e andiamo ad analizzare questo rarissimo EP, all'epoca uscito per il solo mercato giapponese.
Too Late
Ad aprire le danze è "Too Late (Troppo Tardi)", un brano Bonjoviniano che già conosciamo perché presente sul precedente album "Astra" e che fu rilasciato come singolo promozionale per le radio a Gennaio del 1986, ma per uno strano gioco del destino, come recita il titolo, ormai era troppo tardi, gli Asia erano prossimi ad un clamoroso scioglimento, e dopo l'annullamento del tour, anche la stessa Geffen aveva ingiustamente smesso di credere nell'album e nella band. Geoff Downes apre con una tetra introduzione di organo che emana sentori clericali, spazzata poi bruscamente via da un trascinante hard rock melodico che ricorda molto da vicino i primissimi Bon Jovi. Ad emergere è il pattern di pianoforte di Downes, prettamente AOR, bombardato da potenti power chords che rafforzano l'incisivo lavoro della sezione ritmica, con Carl Palmer (accreditato come compositore insieme a Wetton e Downes) in evidenzia con un ammaliante lavoro di doppia cassa. Con un brano molto orecchiabile tornano le liriche a sfondo sentimentale, pochi versi che hanno il potere di entrarti subito in testa. Le note del pianoforte accompagnano John Wetton, che ci parla di una relazione amorosa, finita male. Qualcuno ha superato la sottile linea che tiene unita una coppia, bugie e lacrime hanno portato la relazione amorosa sull'orlo del baratro. Nell'inciso una bella linea di basso, seguita come un'ombra dalla chitarra elettrica, determina la linea melodica. Il sole è ormai tramontato dice Wetton, ormai è troppo tardi per poter tornare indietro. Mandy Mayer costruisce un piccolo bridge con delle fiammanti schitarrate dai sentori funky e ci riporta alla strofa, guidata nuovamente dall'ammaliante pattern di pianoforte e dal geniale lavoro della doppia cassa. La storia d'amore ha avuto due lati, come un disco. Sul lato A troviamo le belle giornate trascorse dai due novelli innamorati e le focose notti amorose. Sul lato B invece le grigie giornate caratterizzate da litigi, incomprensioni, menefreghismo e bugie che hanno portato i due al tragico epilogo della separazione. A seguire una doppia dose di ritornello, dove il botta e risposta fra il coretto "Too Late" e John Wetton ci entra prepotentemente nella testa. Al minuto 02.18 calano improvvisamente i bpm, Geoff Downes crea un fragile limbo dove brillano le sue paradisiache tastiere. Alcuni melliflui vocalizzi e controcanti si intrecciano alle sognanti note delle tastiere, che poi con un crescendo rossiniano spalancano i cancelli a Mr. Mandy Mayer. Sfruttando la bellissima strofa, il nostro la bombarda prima con un paio di taglienti schitarrate cariche di effetti che poi sfociano in un travolgente assolo dai sentori hard'n'heavy dove però non manca la melodia. I nostri ci salutano con l'inciso in loop, impreziosito da refrain di chitarra e controcanti che sfumano lentamente in fader. Ritenuto dalla Geffen come brano atto a conquistare il mercato giapponese, è doveroso sottolineare che non si tratta del punto più alto dell'album "Astra".
Aurora
E passiamo a quelli che sono il pezzo forte di "Aurora", gli inediti. Si comincia con "Ride Easy", una delle primissime canzoni che Howe e Wetton hanno composto insieme per la band e presente sul lato B del successo planetario "Heat Of The Moment". Il titolo rievoca le fantastiche atmosfere della sempiterna pellicola "Easy Rider" di Dannis Hopper. Le rock star, durante gli estenuanti tour mondiali, si ritrovano a viaggiare di continuo, passando da una città all'altra spesso nel breve spazio di qualche ora. Si tratta di una brano a cui John Wetton è particolarmente affezionato, uno dei suoi preferiti di tutto il repertorio Asiatico e vista la qualità, rimane ancora un mistero il perché sia stata estromessa dalla track list finale del debut album. Forse per la Geffen nel brano si respiravano troppe atmosfere anni Settanta, evidenziate dal prezioso lavoro chitarristico di Steve Howe, qui molto vicino al sound degli Yes e dal vetusto suono del clavicembalo con cui Geoff Downes apre il brano. Potenti colpi all'unisono di basso chitarra e batteria bombardano le affascinati note del clavicembalo, vecchio antenato del pianoforte nato intorno al XVII secolo. Steve Howe si mette in evidenza con preziosi ricami che sin dai primi anni della carriera hanno caratterizzato il suo inconfondibile stile di suonare la chitarra. Nella strofa, un vellutato pad di tastiera avvolge Wetton come un chimono di seta, il nostro ci parla della sua vita on the road, che lo vedeva spesso lontano da casa a causa degli stressanti tour mondiali. Ha viaggiato molto senza rendersi conto di dove stava andando, perdendosi, incontrando strani personaggi, passando dalle calde e piccanti terre del Messico alla affascinate città di Parigi. Melanconici lamenti di chitarra ed arcani accordi di pianoforte colorano questa prima strofa, che diventa più energica con l'ingresso in campo di Carl Palmer, sostenuto dalle ruggenti pennate del basso. Come spesso accade per gli Asia, l'inciso è ammaliante, i solari "Ride Easy My Friend" di Wetton entrano prepotentemente nella nostra mente. Un sontuoso lavoro di chitarra ci riporta alla strofa, dove il nostro evidenzia tutta la pesantezza della vita di una rock star durante un tour, paragonabile ad un interminabile rigido inverno in stile Game Of Thrones. Familiarizzando con il bel ritornello, possiamo apprezzare le finezze di Carl Palmer sul ride, prima che dei vocalizzi ci accompagnino verso lo special, dove tornano le affascianti note del clavicembalo, ricamate magistralmente dal maestro Howe. C'è tempo per un'ultima strofa, dove Wetton ci descrive gli squallidi bar che occasionalmente ha frequentato durante i tour, lordi di strani personaggi che bevevano senza prestare attenzione a chi gli stava davanti. Il finale è tutto per Steve Howe, che ci incanta con un bellissimo e articolato assolo che rievoca i fasti degli Yes e che purtroppo sfuma fin troppo presto lentamente in fader. Dimostrazione di quanto i nostri tenessero alla canzone, dopo la reunion del 2006, il brano è stato proposto sovente dal vivo in una suggestiva versione acustica, dove le chitarre di Howe e Wetton si intrecciano magicamente, supportate dalle tristi note del pianoforte e dalle esotiche percussioni di Mr. Palmer.
Daylight
Si continua con "Daylight (Luce Del Giorno)" apparsa per la prima volta come retro del singolo apripista "Don't Cry" e comunque presentata dal vivo per ben sei volte durante il tour di "Alpha" a discapito di canzoni del calibro di "True Colors", Never In A Million Years" e My Own Time", a confermare l'eccelsa qualità di questo brano che incredibilmente è rimasto fuori dalla track list del secondo album Asiatico. Si tratta di un brano trascinate e ritmato, dove rispetto alle altre tracce di "Alpha" la batteria e le chitarre sono ben in evidenza e brillanti. Geoff Downes apre con una tetra trama di organo dai sentori clericali, spazzata subito via senza mezzi termini da un paio di power chords potenziati dalla sezione ritmica che annunciano il brusco ingresso in scena di John Wetton, che ricamato da un paradisiaco pattern di tastiera invoca la calda luce del giorno per dissolvere tutta l'oscurità che lo circonda. La canzone prende quota grazie al potente drumming di Palmer, sostenuto dalle micidiali sedicesime sparate dal basso. Steve Howe ricama magicamente la triste linea vocale di Wetton, la sua mente è lorda di demoni e fantasmi che colorano di grigio i suoi pensieri e i suoi ricordi, ma lui vuole rivederli a colori, vuole allontanare tutte le ombre che lo stanno circondando. Il brano è molto conciso e tirato, il ritornello arriva come un treno, la gran cassa ed il pianoforte sembrano voler fermare il tempo, aspettando che la luce del giorno torni a spazzar via le ombre e a colorare i grigi pensieri. I power chord ci riportano alla strofa, Carl Palmer pare indemoniato, questa canzone per lui è paragonabile all'ora di aria concessa ai carcerati, la produzione lo ha tenuto a freno per tutto "Alpha" e il nostro si sfoga in questo prog rock mozzafiato, dove le chitarre e le tastiere rievocano le sonorità Yessane di "Drama", mentre oscuri demoni continuano a divorare la mente di Wetton, salvato solo dall'onnipotenza della luce del giorno, che torna con il solare ritornello. Superati i due minuti, Geoff Downes si mette in evidenza con le sue tastiere, le note spettrali vengono ricamate magicamente dalla chitarra ipercarica di effetti che assume toni acquatici. I nostri ci salutano con il ritornello in loop, impreziosito dai voli pindarici di Howe e Downes che ci trasportano verso il gran finale.
Lying To Yourself
La successiva "Lying To Yourself (Mentire A Te stesso)" è l'unica fantomatica canzone risalente ad "Alpha" che Wetton ha composto insieme a Steve Howe, brano interessantissimo che è rimasto fuori dalla track list del secondo album solo ed esclusivamente a causa dell'incomprensibile politica adottata dai vertici della Geffen, che voleva allontanare le nuove composizioni Steve Howe e quel progressive rock che qui torna a far capolino. Il brano era stato però inserito come b-side del singolo "The Smile Has Left Your Eyes". Se vi fate un'accurata ricerca in rete potete trovare una primordiale versione demo del brano di Steve Howe, con un controcanto nella strofa che recita "The Order Of The Universe", scartato dagli Asia ma che il nostro ha recuperato qualche anno dopo con gli Anderson Bruford Wakeman Howe. La canzone viene aperto da un arcano tema orchestrale che crea una buona dose di tensione, colorato dai lamenti della chitarra di Steve Howe che chiama all'ordine tutta la banda. La strofa, molto settantiana emana tranquillità e sentori di pace, le cristalline note della sei corde si intrecciano con melanconiche trame di pianoforte, il tutto guidato da una sobria ritmica che mette in risalto la bellissima voce di John Wetton il quale ci parla di uno dei peggiori vizi dell'essere umano, la menzogna, che spesso per chi ne abusa può addirittura trasformarsi in una pericolosa patologia denominata mitomania, dove chi ne è affetto distorce la verità con lo scopo di ottenere un'esaltazione psicologica di sé, arrivando addirittura a credere lui stesso alle menzogne ricreate. Una pungente nota sparata dal basso ed un caustico fraseggio di chitarra annunciano l'inciso. Trasportato dai sobri pattern di tastiera, Wetton si limita a ripetere il titolo del brano salendo di volta in volta di tono, ma il vero hook del ritornello sono i preziosi ricami del maestro Howe, che sembra far piangere la sua Gibson di fronte a tante menzogne. Di difficile interpretazione è la seconda strofa, anche le liriche quindi si distolgono dalla politica di "Alpha", criptiche licenze poetiche fanno intuire che chi mentiva ha rovinato tramite una serie di menzogne una storia d'amore, le cui cicatrici continuano a bruciare anche a distanza di anni. Dopo il secondo inciso incontriamo un breve interludio strumentale dove torna finalmente a galla il vecchio progressive rock. Steve Howe duetta magicamente con Geoff Downes, rievocando gli epici duelli del periodo Yes con Rick Wakeman. Successivamente Carl Palmer tiene il tempo con la gran cassa, dei power chord trasportano una inquietante babele di "Lying To Yourself" che ci riporta alla strofa, dove il dolore torna a farsi sentire. Dopo un ultimo passaggio dell'inciso, le suggestive note del pianoforte spalancano la strada Steve Howe che ci ipnotizza con un bellissimo assolo di chitarra che purtroppo sfuma fin troppo presto in fader, lasciandoci con l'amaro in bocca.
Conclusioni + Bonus
Questa pubblicazione sembrava essere stata l'ultima testimonianza degli Asia, che praticamente si erano sciolti nel 1987. Ma come per magia ecco che spunta una nuova canzone, che non ha niente a che vedere con il nostro "Aurora" ma che mi fa piacere analizzare, vista che non è mai apparsa su nessuna raccolta o nessun live, ma stata suonata dal vivo e presente solamente sulla colonna sonora della pellicola di Menahem Golan "Over The Top", con il mitico Sylvester Stallone e datata 1987. La colonna sonora fu affidata alle sapienti mani di Giovanni Giorgio Moroder, affermato compositore e produttore discografico nato a Ortisei il 26 Aprile del 1940. Durante la sua brillante carriera Moroder ha lavorato per le colonne sonore di film cult come Scarface, La Storia Infinita, Top Gun e Flashdance. Ha vinto tre Premi Oscar: uno nel 1979 per la migliore colonna sonora col film "Fuga Di Mezzanotte" e altri due alla migliore canzone con "Flashdance?What a Feeling" interpretato dall'attrice e cantante statunitense Irene Cara e per "Take My Breath Away" interpretata dai Berlin per la colonna sonora di Top Gun. Numerose anche le sue collaborazioni con le più illustri stelle del rock e del pop, si va da Elton John a Freddy Mercury, passando per David Bowie, Cher, Eurythmics e Coldplay solo per citare i più significativi. Ma torniamo a noi, la splendida colonna sonora firmata da Moroder spaziava fra più generi, dalle ballate strappa mutande, al graffiante rock e al classico pop ottantiano e fu affidata a vari interpreti, dove spiccano Kenny Loggins, Sammy Hagar, Frank Stallone (fratello minore di Sylvester) ed appunto i nostri Asia. Invero John Wetton è l'unico membro degli Asia presente sul brano e rimane un mistero il perché sia stato usato il moniker Asia, forse per sottolineare che il super gruppo albionico non era ancora defunto come molti pensavano e aggiungerei per rendere più appetibile l'original soundtrack, che con un brano inedito degli Asia in scaletta avrebbe garantito qualche copia venduta in più, attirando l'attenzione degli accoliti asiatici. Inizialmente Wetton cantò l'opener "Winner Takes It All", ma la produzione non era convinta, voleva una voce più graffiante ed il brano fu affidato all'ugola di Sammy Hagar. Comunque, mio modestissimo parere, se vi andate ad ascoltare il brano, era più che adatto alla voce del nostro. Si optò allora per "Gypsy Soul (Anima Gitana)", un graffiante brano rock in pieno stile anni Ottanta che di Asia ha ben poco, dove Giorgio Moroder suona le tastiere e si è occupato del drum programming, mentre le parti di chitarra sono state affidate all'acclamato turnista Dann Huff, che in quegli anni aveva collaborato in studio con la crema del pop rock, Madonna, Michael Jackson e Bob Seger solo per citarne alcuni, non dimenticando i Whitesnake. Successivamente formò un suo gruppo, i Giant, per poi dedicarsi all'attività di produttore. Ma veniamo al brano in questione, che parte a mille con il graffiante riffing di Dann Huff, ricamato da lancinanti fraseggi di chitarra e imitato dalle tastiere. Ben presto giunge il nostro amato John Wetton, che con la sua splendida voce colora le musiche firmate Moroder, che devo dire ha fatto un ottimo lavoro con la batteria campionata. La colonna sonora è stata concepita sotto forma di concept album e le liriche ripercorrono la trama del film. Nel nostro caso, l'anima zingara è quella del protagonista Lincoln Hawk, interpretato da Sylvester Stallone. Considerato un poco di buono dal ricco suocero, col potenza dei suoi soldi riuscì ad allontanarlo dalla moglie Christina e dal figlio Michael, che praticamente è dovuto crescere senza la confortante figura paterna. Nel frattempo, Lincoln Hawk ha girato in largo e lungo le strade degli Stati Uniti a bordo del suo camion. Andando contro i voleri del padre, la moglie Christina però non ha mai smesso di amare Lincoln, e giunta in fin di vita a causa di un male incurabile contatta Lincoln chiedendo di portarle il figlio Michael, che intanto stava studiando in una prestigiosa scuola militare. L'incontro fra padre e figlio non è fra i più semplici, il ragazzo prova odio e rancore nei confronti del padre, descritto come un approfittatore poco di buono dal nonno materno. Ma durante il lunghissimo viaggio a bordo del camion, padre e figlio riusciranno a ricucire il loro rapporto, giungendo però troppo tardi a destinazione, quando Christina era già morta in seguito ad una delicata operazione al cuore. La potenza del suocero riesce nuovamente a dividere i due, Lincoln finisce anche in carcere dopo un tentativo poco ortodosso di riappropriarsi del figlio. Una volta uscito, vende il suo amato camion e si dedica al campionato del mondo di braccio di ferro. Nel frattempo, Michael, rovistando fra i vecchi documenti della madre trova tutte le lettere d'amore scritte dal padre occultate dal nonno e capisce che il poco di buono era il nonno e fugge via, cercando di raggiungere Las Vegas, dove suo padre disputerà una importante finale. La pellicola ha un lieto fine, oltre a vincere la finale, Lincoln riesce a ricongiunsi con il figlio, con il quale costituisce una società di trasporti denominata Hawk &Figlio. La chitarra di Huff predomina anche nell'ammaliante inciso, ma il pezzo forte sono i preziosi ricami che il chitarrista statunitense effettua nella strofa. Notevole è l'assolo centrale di chitarra dove Dann Huff sfoggia estro e tecnica non tralasciando la melodia. Al minuto 02.38 incontriamo un interludio strumentale che vede protagonista il basso di John Wetton. Le graffianti note plettrate replicano il riff portante e ci portano verso il finale del brano, dove troviamo l'inciso riprodotto in loop, arricchito da fill di batteria e vocalizzi che lentamente sfumano in fader.
Quando tutti credevano che gli Asia fossero giunti al termine della loro breve carriera, la Geffen tirò fuori dagli archivi "Aurora", precisamente il 2 Aprile del 1986, rispolverando tre vecchi brani che erano rimasti fuori dalle track listi dei due primi fantastici album. Ma già dalla triste copertina che non era stata affidata ai pennelli di Roger Dean si capiva che era un fuoco di paglia. Ovviamente il logo storico made in Dean c'è, anche se riproposto in un anonimo grigio ardesia, che riprende in tonalità più scure la dubbia opera dell'artista nipponico Yasutaka Kato, il quale si limita a proporci una oscura roccia incrinata, dalla quale emerge un antico fossile di ammonite, sovrastato dall'oscuro logo Asiatico, mentre sul retro sempre su uno scuro suolo roccioso troviamo una calzatura dalle fatture moderne logorata dal tempo e coperta di detriti, che mantiene ancora intatto l'interno di colore azzurro, di fianco alla quale troviamo la breve track list. È difficile dare una giusta valutazione a questo rarissimo "Aurora", bisogna fare una media fra il secco 3 da attribuire alla Geffen per aver stampato poche copie in vinile destinate al solo mercato del Sol Levante, impedendo di fatto ai fan del resto del Mondo di accaparrarselo, visto che in poco tempo è diventato un rarissimo oggetto di culto. Un 8 per la curiosità che stuzzicano i tre inediti ed un sette per la qualità dei brani, che pur essendo canzoni scartate dalle maestose track list dei primi due album, hanno il suo perché e dimostrano l'ispirazione e l'estro che i nostri avevano nei primi due anni di vita del super gruppo Asia. Tirando le somme, senza ombra di dubbio l'EP con i suoi sedici minuti abbondanti supera abbondantemente la sufficienza, purtroppo sono i pochi i fortunati ad averlo, potete comunque rifarvi come me, con l'antologia datata 2000, che include i suddetti inediti. Per quanto riguarda "Gypsy Soul", è ancora più difficile dare un giudizio, si tratta di un brano che di Asia ha ben poco, per non dire nulla; la sola voce di John Wetton non basta a giustificare l'attribuzione della canzone al super gruppo albionico, sarebbe stato più giusto pubblicarla sotto il nome di Wetton stesso. Senza togliere nessun merito a Giorgio Moroder, le composizioni di Wetton e Downes sono di un altro pianeta rispetto alle pur sempre fantastiche canzoni da colonna sonora del compositore della Val Gardena. Fatevene una ragione, se siete malati di Asia come me e volete avere anche questa pseudo traccia Asiatica, dovete procurarvi l'original soundtrack del film "Over The Top". Tornando ad "Aurora", in conclusione, non siamo di fronte ad un tassello fondamentale della discografia degli Asia, se volete conoscere il gruppo, meglio andare indietro di quattro anni. Quali fossero le intenzioni della Geffen al momento del rilascio rimane un arcano mistero. Di sicuro una pubblicazione di un EP per il solo mercato giapponese non era atta a risollevare le sorti del gruppo, più plausibile il tentativo di racimolare qualche ultimo dollaro prima che la band si sciogliesse, ma perché non rilasciarlo allora a livello mondiale? Un disco adatto ai fanatici collezionisti degli Asia ed ai cultori delle rarità in vinile, comunque, se mai la dea bendata decidesse di farvelo trovare di fronte non fatevelo sfuggire!
2) Aurora
3) Daylight
4) Lying To Yourself
5) Conclusioni + Bonus