ASIA

Astra

1985 - Geffen Records

A CURA DI
SANDRO PISTOLESI
23/06/2022
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Prendendo come parametro principale il successo ottenuto dal primo ed omonimo album degli Asia, la Geffen considerò fallimentare (se oltre tre milioni di copie vendute in tutto il mondo sono un fallimento?n.d.r.) il secondo album intitolato "Alpha", a mio avviso un ottimo lavoro penalizzato dalle dubbie scelte fatte in produzione, con le chitarre e la batteria spesso in secondo piano, ma soprattutto a mio avviso ha pesato molto la scelta della casa discografica che pretese l'estromissione di Steve Howe durante la fase di composizione. Senza l'apporto compositivo del chitarrista ex Yes, per forza di cose il sound degli Asia imboccò lidi più commerciali, ma questo non bastò per eguagliare il successo planetario del suo predecessore. Nacque un dualismo fra Wetton e Howe, ma comunque i nostri iniziarono il tour americano nonostante i rapporti tesi fra i due signori del progressive rock. La situazione iniziò a farsi pesante, alcune dubbie prestazioni live da parte di John Wetton inasprirono ulteriormente la crisi, provocando malumori non solo con Howe ma con tutta la truppa e con i vertici della Geffen. Il tour fu sospeso, ufficiosamente a causa di pochi tagliandi venduti. Nell'Ottobre del 1983, John Wetton lasciò clamorosamente la band, la Geffen disse che si era auto licenziato, lui sosteneva di essere stato licenziato telefonicamente; dove sta la verità è difficile da stabilire, il problema principale era che le prevendite per la data di Tokio andarono a gonfie vele nonostante tutti i problemi. Wetton, che pensava ad una carriera solista, su consiglio di Carl Palmer fu sostituito ad interim da Gregory Stuart Lake, bassista e cantante nato a Poole il 10 Novembre del 1947 che aveva scritto pagine indelebili della storia del rock con i King Crimson e con il power trio Emerson, Lake e Palmer. Aveva il vantaggio di aver già suonato con Palmer, e sinceramente era la figura che più si avvicinava a John Wetton, visto che era anche un ottimo bassista. Tempo di assimilare la set list ed il 6 Dicembre 1983 gli Asia con Greg Lake alla voce suonarono alla gremitissima Budokan Hall di Tokyo, in Giappone. Denominato "Asia In Asia" è stato il primo concerto ad essere stato trasmesso via satellite da MTV negli Stati Uniti e successivamente messo sul mercato in formato VHS. Nonostante alcune canzoni dovettero inevitabilmente essere riadattate alla voce di Greg Lake, che si muoveva su registri più bassi rispetto a Wetton, il concerto si rivelò un successo. Terminato il tour asiatico, la band si prese una pausa per le vacanze di Natale, ma al rientro Greg Lake non si presentò, lasciando nuovamente gli Asia privi di un frontman. La Geffen spingeva per un terzo disco e provò a richiamare John Wetton, che accettò incredibilmente l'offerta. Gli Asia si misero subito a lavorare su nuove canzoni, sfruttando anche un paio di composizioni che Wetton aveva steso per un suo eventuale album solista. Ma proprio in fase di songwriting riaffiorarono i problemi fra Wetton e Steve Howe, le cui parti chitarristiche erano lontane anni luce dai desideri dell'ex King Crimson, che gelò la Geffen dicendo che sarebbe rimasto solo a patto che Steve Howe lasciasse la band. L'ex Yes se ne andò in maniera pacifica e dopo poco tempo contattato dal manager Brian Lane dette vita ad un alto super gruppo insieme al chitarrista dei Genesis Steve Hackett. Il nuovo progetto prese il nome di GTR, un'abbreviazione della parola chitarra, visti i due axeman presenti. Alla batteria fu ingaggiato Jonathan Mover, reduce da una fugace apparizione nei Marillion, affiancato dal turnista Phil Spalding al basso. L'ugola cristallina di Max Bacon completò la formazione. Ma torniamo agli Asia, che avevano ritrovato sì il loro cantante bassista ma avevano perso il chitarrista, e che chitarrista. Inizialmente la Geffen aveva pensato di ridurre a tre membri la formazione, affidando poi le parti di chitarra a vari ospiti del calibro di Jeff Beck, David Gilmour e Brian May (e la cosa sarebbe stata molto affascinante ed interessante? n.d.r.). Poi, pensando anche ai futuri concerti, John Kalodner spinse per un chitarrista in pianta stabile e fece eseguire un provino al carneade Mandy Mayer Fu amore a prima vista, il nuovo chitarrista, nonostante lo stile hard'n'heavy lontano anni luce da quello di Howe, entrò subito in sintonia con tutti i componenti della band e fu assunto. Mandy Mayer nasce il 29 Agosto del 1960 a Saskatchewan in Canada da padre svizzero e madre canadese. Dopo il divorzio dei genitori, alla tenera età di tre anni seguì il padre in Svizzera, precisamente a Küssnacht, dove vivevano i nonni paterni. Innamorato del rock, ben presto si dedica allo studio della chitarra elettrica. Nel 1981, entra a far parte dei Krokus, popolare heavy metal band della Svizzera, suonando per tutto il tour di "Hardware" senza però incidere nessun disco. Il nostro vi ritornerà comunque prima nel 2005, rimanendovi per tre anni, per poi ritornarvi definitivamente nel 2013 fino ad oggi. Dopo l'effimera esperienza con i Krokus, nel 1982 Mandy fonda i Cobra, che comunque si scioglieranno dopo il primo disco intitolato "First Strike" a causa della dipartita di Jimi Jamison (R.I.P.), ingaggiato dai Survivor. Il nostro, comunque, nonostante la breve carriera riesce a farsi notare e nel 1985 viene ingaggiato dagli Asia. Per la cronaca, dopo l'esperienza Asiatica, Mayer entra a far parte dei Gotthard, per poi tornare nei Krokus e dar vita nel 2009 al progetto power metal Unisonic, insieme agli ex Helloween Michael Kiske e Kai Hansen. Attualmente è tornato in piazza stabile anche nei Krokus. Con la strabiliante coppia di compositori Wetton-Downes ricostituita ed un nuovo chitarrista, gli Asia si misero a lavorare alacremente sul nuovo disco, che avrebbe dovuto intitolarsi "Arcadia", una regione storica dell'antica Grecia. Nella letteratura Arcadia è sempre stata identificata come una sorta di paradiso terrestre, dove uomini e natura vivono in perfetta armonia. Ma questa ipotesi fu immediatamente scartata a causa dello spin-off dei Duran Duran (momentaneamente in stand-by) messo in piedi proprio in quel periodo da Simon Le Bon, Nick Rhodes e Roger Taylor denominato proprio Arcadia. I nostri allora ripiegarono su "Astra", rimanendo fedeli alla tradizione che vede gli album asiatici iniziare e terminare con la lettera "A". In quel periodo la scena musicale era in gran fermento, basti pensare ai capolavori tirati fuori dal cilindro dalle band hard'n'heavy Iron Maiden, Scorpions e Def Leppard, mentre i Marillion erano riusciti a riportare in auge il progressive rock. Per quanto riguarda il lato pop del rock, comunque le varie band si difendevano più che bene, con band del calibro di Tears For Fears, U2, Dire Straits, Madonna, Prince, Simple Minds e Michael Jackson a darsi battaglia per accaparrarsi la vetta delle Hit Parade. Ergo, nonostante il blasone, per gli Asia si prospettava una durissima vetta da scalare per far sì che il nuovo album raggiungesse i risultati dei suoi due predecessori. Con Mandy Mayer alla sei corde, inevitabilmente il sound di "Astra" si allontana dal progressive rock degli esordi, anche se alcune reminiscenze le ritroviamo su "Rock And Roll Dream" e sulla conclusiva "After The War", senza ombra di dubbio i punti più alti del platter insieme al trascinante singolo "Go", alla power ballad "Voice Of America" e alla piccola perla "Whishing".  Dopo un lato A più che soddisfacente dove possiamo trovare brani che possono considerarsi essenziali per la band, il lato B si fa meno interessante, ed escludendo la traccia conclusiva i nostri spaziano fra l'AOR ed il pop rock dell'epoca senza farci urlare al miracolo, rimanendo comunque su standard che superano abbondantemente la sufficienza. Indubbiamente riscontriamo un sostanziale progresso sul lato lirico, dove si affrontano svariati argomenti ed il sentimentalismo viene comunque affrontato in maniera più profonda e ricercata. Andiamo dunque ad ascoltarci questo album, la cui copertina futuristica ci preannuncia sostanziosi cambiamenti del sound Asiatico.

Go

I nostri si mantengono attaccati alla tradizione ed aprono l'album con "Go (Vai)", ultimo brano composto e primo singolo lanciato a metà Novembre del 1985. Geoff Downes apre con un clericale e tetro organo, affiancato poi da raffinate trame di chitarra e spaziali fiammate di tastiera che spalancano i cancelli al nuovo arrivato Mandy Mayer. Il nostro ci bombarda con una potente cavalcata dai sentori hard'n'heavy che accompagna John Wetton per quasi tutta la prima strofa. Le liriche, sottolineate da cristallini rintocchi di tastiera, lanciano messaggi positivi che ci invitano ad andare avanti, a non abbattersi anche quando la situazione si fa tragica, ci invitano a lottare duro per arrivare fino alla vittoria, a scavare in profondità per cercare dove si nasconde l'oro. L'ingresso di Carl Palmer fa crescere il brano fino all'esplosivo e breve ritornello. Fra le ruggenti note della chitarra e le epiche tastiere riecheggiano i messaggi positivi di John Wetton che urla a squarcia gola "Get up and go (Alzati e vai)". La seconda strofa viene potenziata dal trascinate drumming di Palmer, fra le cavalcate della chitarra emergono le liriche sempre positive, che sottolineano come spesso la dura strada della vita si piena di ostacoli, come spesso camminiamo sul filo del rasoio e basterebbe un'inerzia per farci perdere l'equilibrio e cadere nel baratro, ma se mai dovesse succedere, Wetton ci inviata a rialzarsi ed andare, come grida nel secondo trascinante inciso, impreziosito da funambolici fraseggi di chitarra che odorano di metal. Circa a metà brano calano i bpm, le tastiere disegnano trame fiabesche che poi lasciano il campo alla chitarra, sostenuta dai tom tom massacrati da Carl Palmer. Questo breve stacco prepara la strada al ritorno di Mr. Mayer, che in completa solitudine mette in mostra il potente riffing portante, bombardato da un graffiante poker di note eseguito all'unisono dalla formidabile sezione ritmica. C'è tempo per un'ultima strofa, dove Wetton sottolinea che possiamo sconfiggere il fato se peschiamo la carta vincente. I nostri ci accompagnano verso la fine con l'inciso mandato in loop, colorato da funambolici fraseggi di chitarra ed un ciclico pattern di tastiera che si installa prepotentemente nella nostra mente prima di evaporare in fader. Come i precedenti singoli, anche "Go" è stato corredato di un videoclip mandato costantemente in onda da MTV per due mesi interi, cosa che purtroppo non è servita a spingerlo oltre la quarantesima posizione. Il video, diretto da Peter Christopherson, inizia con una avvenente ragazza mora che indossando una muta da supereroe prende le sembianze di "Aza", la creatura robotica che troviamo in copertina. Mentre scorrono le immagini dei nostri che suonano, Aza con uno strano cilindro in mano, si aggira furtivamente in una struttura fortificata da fantascientifici sistemi d'allarme e sorvegliata da una futuristica versione degli untori medievali, che una volta scoperta l'intrusione, si mettono a darle la caccia. La bella ragazza, ostentando un bel lato B, riesce comunque a raggiungere una botola ed intrufolarsi nella struttura. Dopo una rinfrescante doccia che pudicamente mette in mostra tutte le sue grazie, riesce a consegnare il misterioso cilindro fluorescente a John Wetton, come se una Eva proveniente dal futuro consegnasse all'uomo il frutto del peccato. Una volta indossata la sua muta da supereroe, la ragazza viene catturata dai suoi aguzzini.

Voice Of America

"Voice Of America (Voce Dell'America)" è una emozionante power ballad che Wetton aveva composto per l'album solista che aveva in mente di pubblicare. La sorprendente chiamata della Geffen fece naufragare l'idea e la canzone è stata rielaborata insieme a Geoff Downes per gli Asia. Un mellifluo pattern di pianoforte apre il brano. Vellutati passaggi di basso e struggenti pad orchestrali colorano la prima strofa, dove Wetton omaggia la musica americana che lo ha influenzato. Che siano sati i Beach Boys o qualche altra rock band americana, una canzone si è installata nel cuore di John Wetton sin dalla prima volta che l'ha ascoltata in radio, diventando la sua migliore amica e aiutandolo a creare il suo percorso musicale fino a diventare ciò che è diventato, una leggenda del rock. Risentendola ad anni di distanza, la canzone continua a emanare forti emozioni, quelle emozioni che solo la musica sa dare. Mandy Mayer spinto dalla batteria, spara tre accordi che spalancano le porte al solare ed emozionante ritornello, dove emerge una magnetica armonia vocale. Con un funzionante fill sui tom, Palmer ci porta verso la seconda strofa dove brillano i virtuosi passaggi di chitarra e tastiera. Wetton va a ritroso nel tempo e ci dice come la sua canzone preferita sia immortale e sempiterna. Dopo i primi passaggi alla radio, ha continuato ad emozionarlo prima attraverso il suo stereo e poi corredata di immagini video sulla MTV. La musica, quella buona, è inossidabile, è una delle poche cose capaci di resistere all'ineluttabilità del tempo. Dopo un secondo passaggio dell'inciso, Downes spruzza un po' di anni settanta sul brano, colorando con il clavicembalo lo special, dove emergono dolci armonie vocali che ci svelano quale sia la band che ha stregato Wetton, i Beach Boys. Un bel crescendo degli strumenti, guidato dall'incisivo drumming di Carl Palmer richiama l'inciso, seguito da un perfetto assolo strappa mutande di Mr. Mayer. I tom tom di Palmer ed un profondo glissato di basso annunciano il gran finale, dove ritroviamo in loop l'inciso, impreziosito dai bellissimi controcanti di Wetton.

Hard On Me

Con "Hard On Me (Duro Con Me)" i nostri vanno ad esplorare quel pop rock americano un po'ruffiano a la Bryan Adams. Siamo di fronte ad un brano essenziale della discografia Asiatica? No, tant'è che non è mai stato eseguito dal vivo, ma si tratta comunque di un brano prettamente ottantiano, ricco di magnetiche melodie che lo rendono piacevole da ascoltare, diverso da tutto quello che i nostri ci avevano proposto fino ad ora. È una delle ultime composizioni relative ad "Astra", un tentativo di tirar fuori quel singolo richiesto dalla Geffen che ancora mancava, rimpiazzato poi dalla trascinante "Go", che con tutto rispetto, sta su un altro pianeta. Per la cronaca è uno dei due brani dove Carl Palmer viene accreditato insieme alla fantastica coppia di compositori Wetton-Downes. Un festoso pattern di tastiera, bombardato da grintosi colpi all'unisono apre il brano. Wetton canta con grinta la prima strofa, dome emerge la sua pulsante linea di basso, imitata da una sobria chitarra distorta, sempre in secondo piano rispetto alle brillanti tastiere di Geoff. Le liriche tornano a trattare argomenti sentimentali, un amore sbocciato in seguito ad un magnetico sorriso segreto di una ragazza che fa sognare Wetton che si immagina quello che i due potrebbero fare insieme. Il bridge, che gioca intorno alla frase "Could it be the same (Potrebbe essere la stessa cosa)" con suggestivi contro canti, sprizza gioia da tutti i pori, grazie alle brillanti tastiere che fanno il verso agli ottoni e sembrano uscite da un album di Phil Collins. Arriva l'inciso annunciato da una interminabile rullata caratterizzato da solari armonie vocali colorate dagli ottoni; per John è davvero dura rimaner lontano dalla ragazza. Con la strofa continuano le dolci e profonde parole d'amore nei confronti della ragazza. Le tastiere brillano ancora nel bridge e nell'inciso, poi incontriamo un'interessante special. Downes crea una sorta di limbo con le tastiere, dove aleggiano vetusti cori a la Beach Boys, ricamati dolcemente dalla chitarra di Mandy Mayer. Qualche schitarrata e pennate di basso ci riportano sulla Terra, il brano da qui in poi non ci dice nulla di nuovo, sfruttando al massimo il gioioso inciso. Martellanti tastiere che sfumano lentamente in fader hanno il compito di accompagnarci verso la fine, dove come spettri aleggiano delle antiche cornamuse che suonano a festa.

Wishing

È impossibile non innamorarsi di "Wishing (Desiderando)", altra composizione che Wetton aveva buttato giù per il suo album solista e rivisitata per l'occasione, dove troviamo forse le più belle melodie partorite dalla geniale coppia Wetton-Downes, e sinceramente mi sorprende assai il fatto che il brano non sia stato sfruttato a dovere come singolo e non sia mai stato eseguito dal vivo. Invero, nel Febbraio del 1986 la Geffen lo lanciò come singolo promozionale per il solo mercato americano, per poi ritirarlo a causa di un lento decollo. Geoff apre con un pattern orientaleggiante, ricamato da una fiabesca trama di flauto, interrotti poi bruscamente da un glissato all'unisono di basso e chitarra che ci catapulta immediatamente alla prima strofa, dove la pulsante linea di basso si trascina dietro i dorati arpeggi della chitarra. La linea melodica della strofa è fra le più belle partorite dalla mente di Wetton, che comunque più avanti saprà superarsi nell'inciso. Il nostro ci porta nuovamente di fronte ad una relazione amorosa interrotta, lui non riesce ad andare avanti senza la donna e si augura di riaverla ancora tra le sue braccia, liriche semplici che passano in secondo piano di fronte alla bellezza della musica. Da brividi il ritornello, caratterizzato da una ammaliante linea vocale dove brillano gli hook "Sad, so sad (Triste, così triste)" e "Mad, so mad (Pazzo, così pazzo)", colorati dalle melanconiche tastiere di Downes. La tristezza attanaglia Wetton, le lacrime scendono giù copiose senza lasciare traccia, è stato un pazzo a lasciar andar via la ragazza, è questo il succo del ritornello che trasparisce malinconia ad ogni singola nota. Nella strofa successiva, il nostro rimarca come la ragazza gli manchi e quanto sia grande il desiderio di riaverla nuovamente a casa. Di seguito troviamo un dolcissimo assolo. Mandy Mayer accarezza la chitarra; guidato dalle tastiere insegue la linea melodica della strofa, per poi aprire le porte al ritorno dell'inciso, che si installa in maniera indelebile nella nostra mente e nel nostro cuore. Chapeau. Nello special dei "Whishing" da brividi svolazzano fra le note come farfalle in Primavera, ogni singola nota è al posto giusto. La strofa finale riproposta in loop è colorata da cori e contro canti ed impreziosita da dei "na-na-na" dal sapore natalizio che riprendono la melodia del precedente assolo di chitarra e traportati dalla bellissima melodia vanno ad estinguersi lentamente in fader.

Rock And Roll Dream

E siamo arrivati a "Rock And Roll Dream (Sogno Rock E Roll)", indubbiamente fra le cose migliori e più interessanti del platter, un brano che non avrebbe sfigurato sul debut album e che in qualche maniera fa riaffiorare quelle reminiscenze di progressive rock che sembravano ormai svanite definitivamente. Con i suoi quasi sette minuti è il brano più lungo di questo primo micidiale trittico di album Asiatici. Si tratta di un brano ricco di cambi di tempo e sbalzi atmosferici, brano che ha un che di opera e teatralità grazie anche al consistente supporto della The Royal Philharmonic Orchestra, le cui trame sono state dirette ed arrangiate da Louis Clark, estroso musicista britannico che in passato aveva collaborato a lungo con Electric Light Orchestra ma anche con Ozzy Osbourne, America e Juan Martin giusto per citare alcune delle sue numerosi collaborazioni che lo vedevano saltare da un genere all'altro. Si parte con un fugace passaggio del magnetico ritornello eseguito a cappella, che in maniera esplicita recita: "Rock and roll dream. Not what it seems. Who is the dreamer now? (Sogno rock and roll. Non è come sembra. Chi è il sognatore adesso?)", a sottolineare che la vita di una rock star non sia tutta rose e fiore come può sembrare da chi la vede esternamente. Arriva la strofa, oscura, caratterizzata da un'arcana nebbia che esala dal castello di tastiere e da una insolita ritmica campionata che si avvicina ad un sonoro battito di mani, sostenuto da profonde pennate del basso. Tetri e raffinatissimi fraseggi di chitarra anticipano l'ingresso in scena dell'ex vocalist dei King Crimson, le rock star viaggiano a bordo di fiammanti Limousine, insieme alle loro body guard e ad una schiera di forze dell'ordine che proteggono il loro ingresso. Bellissimo il bridge, dove le spettrali tastiere di Downes colorano la struggente voce di Wetton, che si rivede nella folla di giovani fan che fremono in attesa del concerto. Il bridge è forviante e non ci porta al ritornello ma ad una nuova strofa annunciata da un grintoso fraseggio di chitarra. Sono sempre le tastiere ad emanare forti vibrazioni emotive insieme alla stupenda voce di Wetton.  Fill di batteria seguiti dal basso e dalla chitarra spezzano i lamenti delle tastiere, facendoci intuire che il brano sta per esplodere. Le rock star possono avere quasi tutto quello che vogliono, ma molto spesso bramano una vita normale, dove si lavora dal lunedì al venerdì, dove possono dedicare il week end alla loro famiglia, godersi un film sul divano o una giornata al maro o in montagna, cose che per i fan sono ordinarie e noiose, ma che una rock star durante gli stressanti tour non può avere. A fine bridge, Wetton crea la giusta tensione preparando la strada all'inciso. Il martellante pianoforte di Geoff Downes suona come un fulmine a ciel sereno, spazzando via le tetre atmosfere che hanno caratterizzato il brano in questi primi due minuti. Prepotenti colpi sul rullante e grintosi power chords colorano il solare inciso, seguito da un trionfale assolo di chitarra dai sentori hard'n'heavy. Carl Palmer colora l'assolo di Mandy Mayer con interminabili fill, mentre il rumore di una folla in delirio rende il tutto più teatrale, esaltando i passaggi cruciali della chitarra. Sibillini e solitari pattern di tastiera ci riportano alla strofa, calano nuovamente le tenebre, gli struggenti lamenti della sei corde ci accompagnano verso il bridge. Il sottile limbo delineato dal sogno rock and roll mette da una parte le rock star che vivono nel lusso ma bramano una vita normale, dall'altra i fan, logori dalla monotonia di una vita ordinaria e che sognano le luci del palco. Come recita l'atavico proverbio, l'erba del vicino è sempre più verde, ma soprattutto spesso l'essere umano non è capace di apprezzare i tesori che si trova fra le mani, a prescindere dal valore che gli attribuisce. Il grintoso "Tonight (Stanotte)" riecheggia a lungo annunciando il travolgente pianoforte dell'inciso. Entra in scena la The Royal Philharmonic Orchestra, gli archi, sapientemente diretti da Louis Clark emergono come un delfino in mezzo al mare e colorano il travolgente ritornello. Brividi. Carl Palmer ci va giù duro, per poi prendere la scena in un insolita versione drum and voice dell'inciso. Le trionfanti voci degli ottoni si mixano perfettamente con i caustici fraseggi di chitarra elettrica che poi va a riprendere la linea melodica del ritornello. Inno. Enfatizzato dalle luciferine trame orchestrali l'inciso in loop ci accompagna verso l'epilogo dissolvendosi lentamente in fader.

Countdown To Zero

È "Countdown To Zero (Conto Alla Rovescia Per Zero)" ad aprire quello che per il vinile era il lato B. Il brano si apre con la celeberrima "Deep Note" creata da James A. Moorer, un innovativo tecnico del suono che con i suoi brevetti ha rivoluzionato il mondo della musica e del cinema. La "Deep Note" è il marchio di fabbrica della THX Ltd., una società americana fondata nel 1983 da George Lucas. Si tratta di un familiare crescendo di frequenze che ognuno di noi ha sentito nei trailer di film, in alcuni videogiochi, nelle home video e tutto ciò che porta una certificazione THX. La "Deep Note" fece il suo esordio nel 1983 durante la premiere a Los Angeles del celeberrimo film di George Lucas "Il Ritorno Dello Jedi". Ma dopo questa doverosa dilungazione, veniamo al brano, che va ad esplorare il pop rock tanto caro ai Duran Duran, con tanto di basso sleppato e chitarra priva di distorsore nella strofa. Dopo la deep note, il minaccioso rombo di un jet ci porta verso la canzone vera e propria. A metà degli anni '80 la Guerra Fredda tornò dopo molto tempo a far tremare il Mondo. La paura dell'uso di armi nucleari da parte delle due super potenze che erano in conflitto ormai dagli anni Cinquanta metteva in apprensione tutto il Pianeta Terra, nella fattispecie i paesi legati dal Patto di Varsavia all'Unione Sovietica che seguivano idealismi social comunisti, e la fazione filoamericana dei paesi appartenenti alla Nato, propensi ad una democrazia capitalista. A far da spettatore vi era il consistente blocco del Movimento dei paesi non allineati, ovvero tutti quegli stati che si consideravano non allineati con, o contro, le due principali potenze mondiali. Un arcano pattern di tastiera riecheggia, i profondi colpi della gran cassa vengono colorati da un corposo giro di basso sleppato. Con una ammaliante e sibillina linea vocale a la Simon Le Bon, John Wetton esterna tutte le sue preoccupazioni inerenti ai risvolti della guerra fredda, che potrebbe far scendere sulla Terra un funereo clima apocalittico. La situazione è drastica, è troppo tardi per piangere sul latte versato. Mandy Mayer preme il suo distorsore per spruzzare energia sull'inciso, il conto alla rovescia è iniziato, bisogna darsela a gambe e cercare un rifugio sicuro, dice Wetton. Un assolo di chitarra iper-carico di effetti ci riporta verso la strofa, dove la situazione si fa sempre più tragica, città fantasma al buio e piogge acide sono il risultato che potremmo avere dopo un conflitto nucleare. Anche il secondo inciso è seguito da un assolo di chitarra, Mandy Mayer si disimpegna con il tapping, abusando della pedaliera degli effetti. A seguire un oscuro interludio dove galleggiando in un mare di elettronica John Wetton ci terrorizza con un inquietante parlato, è convinto che l'Europa occidentale sarà la prima ad essere colpita, una volta che il conto alla rovescia avrà raggiunto lo zero e quel maledetto pulsante verrà premuto. Dopo un ultimo passaggio di ritornello, il brano sia avvia verso l'epilogo, seguendo la strada disegnata dalle tastiere di Downes, che sul finale accentua la tensione con un sinistro pattern di pianoforte, sottolineando tutte le preoccupazioni di John Wetton, che con un funereo parlato si augura che il conto alla rovescia non venga mai avviato, supplicando l'esecutore di togliere il dito da quel maledetto pulsante. Anche questo brano non è mai stato eseguito dal vivo, forse a causa del massiccio uso di elettronica che in sede live non riuscirebbe a replicare l'ottimo risultato ottenuto in studio. Nonostante il brano venga considerato fra i cosiddetti minori, per il sottoscritto ha il suo fascino.

Love Now Till Eternity

I nostri si spostano da tutt'altra parte con "Love Now Till Eternity (Amore Ora Fino All'Eternità)", un brano che sin dai primi secondi rievoca i fasti di "Alpha". È molto probabile che si tratti di una composizione risalente a quel periodo, dove ancora aleggia il fantasma di Steve Howe e tornano le sdolcinate liriche sentimentali. Downes apre con un fiabesco tema di tastiera che sembra uscito da un film della Disney. Molto semplice la prima strofa, che vede Wetton duettare con il pianoforte. Una festa tra amici è appena terminata, gli ospiti se ne vanno, rimane solo la coppia che ha organizzato tutto. Di grande effetto è il bridge, che arriva come un fulmine a ciel sereno. Una solare armonia vocale viene bombardata dai potenti colpi di Carl Palmer e da corposi power chord, Wetton si domanda dove volerà adesso l'aquila, come se non vedesse l'ora che la festa volgesse al termine per rimanere in completa solitudine con la sua dolce metà. Una cinematografica trama orchestrale annuncia l'inciso, dove brillano le melliflue tastiere di Downes che colorano le profonde licenze poetiche che sostengono l'amore eterno. La strofa successiva viene potenziata dal basso e dalla batteria, ma sono sempre le dolcissime note del pianoforte ad accompagnare per mano le profonde parole che Wetton ha nei confronti della sua amata. Il nostro canta con il cuore in mano, la donna è la sua vita e lui è disposto a dare tutto sé stesso per far sì che la bellissima storia d'amore duri in eterno, come canta nel successivo ritornello. Al minuto 02:23 tornano le fiabesche tastiere sentite all'inizio, ricamate delicatamente da Mandy Mayer. Proprio quando il brano sembra finire, arriva una lieta sorpresa, una bellissima coda dove respiriamo le spensierate atmosfere progressive degli anni Settanta. Un solare strumming con la sei corde viene ricamato da quello che ad un primo ascolto sembra un mandolino, ma nei crediti non troviamo nessuna nota a riguardo. Comunque sia, o mandolino o una magia uscita dal campionatore di Downes, le gioiose note svolazzano intorno alla linea melodica dell'inciso come uno sciame d'api in un campo fiorito. Quando ho parlato del fantasma di Steve Howe, mi riferivo proprio a questa sezione del brano, che da lontano strizza l'occhio ai primi Yes. La dolce armonia riesce a cullarci e a farci sognare ad occhi aperti. Un bellissimo fill di Carl Palmer suona la carica e spinge la paradisiaca melodia verso l'inciso, destinato ad una lentissima estinzione in fader. Non mi risulta che il brano sia stato riproposto in sede live, peccato, perché la parte finale potrebbe essere stata un'occasione per coinvolger il pubblico.

Too Late

Si cambia nuovamente stile con la successiva "Too Late (Troppo Tardi)", un brano che dopo una oscura introduzione dai sentori clericali, esplode in un trascinante hard rock melodico che ricorda molto da vicino i primissimi Bon Jovi. Ad emergere è il pattern di pianoforte di Downes, prettamente AOR, bombardato da potenti power chords che rafforzano l'incisivo lavoro della sezione ritmica, con Carl Palmer (accreditato come compositore insieme a Wetton e Downes) in evidenzia con un ammaliante lavoro di doppia cassa. Con un brano molto orecchiabile tornano le liriche a sfondo sentimentale, pochi versi che hanno il potere di entrarti subito in testa. Le note del pianoforte accompagnano John Wetton, che ci parla di una relazione amorosa, finita male. Qualcuno ha superato la sottile linea che tiene unita una coppia, bugie e lacrime hanno portato la relazione amorosa sull'orlo del baratro. Nell'inciso una bella linea di basso, seguita come un'ombra dalla chitarra elettrica, determina la linea melodica. Il sole è ormai tramontato dice Wetton, ormai è troppo per tornare indietro. Mandy Mayer costruisce un piccolo bridge con delle fiammanti schitarrate dai sentori funky e ci riporta alla strofa, guidata nuovamente dall'ammaliante pattern di pianoforte e dal geniale lavoro della doppia cassa. La storia d'amore ha avuto due lati, come un disco. Sul lato A troviamo le belle giornate trascorse dai due novelli innamorati e le focose notti amorose. Sul lato B invece le grigie giornate caratterizzate da litigi, incomprensioni, menefreghismo e bugie che hanno portato i due al tragico epilogo della separazione. A seguire una doppia dose di ritornello, dove il botta e risposta fra il coretto "Too Late" e John Wetton ci entra prepotentemente nella testa. Al minuto 02.18 calano improvvisamente i bpm, Geoff Downes crea un fragile limbo dove brillano le paradisiache tastiere. Dei melliflui vocalizzi e controcanti si intrecciano alle sognanti note delle tastiere, che poi con un crescendo rossiniano spalancano i cancelli a Mr. Mandy Mayer. Sfruttando la bellissima strofa, il nostro la bombarda prima con un paio di taglienti schitarrate cariche di effetti ce poi sfociano in un tagliente assolo dai sentori hard'n'heavy dove però non manca la melodia. I nostri ci salutano con l'inciso in loop, impreziosito da refrain di chitarra e controcanti che sfumano lentamente in fader. A Gennaio del 1986, il brano fu lanciato come singolo promozionale per le radio, ma per uno strano gioco del destino, come recita il titolo, ormai era troppo tardi, gli Asia erano prossimi ad un clamoroso scioglimento, e dopo l'annullamento del tour, anche la stessa Geffen aveva smesso di credere (ingiustamente n.d.r..) nell'album.

Suspicion

Calano le tenebre con la successiva "Suspicion (Sospetto)". Le tastiere di Geoff Downes ed il graffiante basso plettrato di Wetton generano un'oscura atmosfera. Carl Palmer suona con la stecca e si limita a pochi colpi di gran cassa, quasi timoroso di rompere la fragile atmosfera ricreata dai due compagni. Stessa cosa per Mandy Mayer, che nella prima parte si limita a pochi ma raffinati passaggi di chitarra. Le liriche sono stranamente criptiche, c'è un sospetto che, come un tarlo, rosica la mente di Wetton, forse alimentato dalla gelosia. Nella prima strofa, dove Downes si conferma un grande tastierista, magari meno appariscente di qualche illustre collega ma con un gusto fuori dal normale, Wetton ci esterna tutta la sua preoccupazione causata da una serie di telefonate senza risposta. Nel trascinate ritornello Palmer e Mayer si svegliano dal torpore e spruzzano una buona dose di energia sul brano. Wetton segue le sinuose trame della chitarra, nella sua voce traspare la disperazione, non riesce ad andare avanti, vede il semaforo rosso anche quando è verde, talvolta è convinto che qualcuno gli stia puntando una pistola alla testa. Tutto è dovuto a quel maledetto sospetto che, come un demone, lo divora interiormente. I power chords sparati da Mayer e la batteria ravvivano la strofa successiva, dove Wetton ci confessa di aver avuto una visione premonitrice durante una solitaria passeggiata nel parco. Una faccia amica con lo sguardo preoccupato lo metteva in guardia di fronte ad un imminente pericolo; istintivamente lo ha scambiato per un estraneo e non ha dato peso al messaggio. Nel successivo ritornello il nostro ci confessa che comunque sta combattendo, se pur conscio di non poter vincere contro quel maledetto demone che lo sta divorando dall'interno. Al minuto 02.22 Geoff Downes sale in cattedra e ci ipnotizza con un pomposo assolo di tastiera. Le epiche trame della tastiera vengono seguite dalla chitarra e ci portano verso un ultimo ritornello, stavolta molto più grintoso ed interpretato energicamente da Wetton, che sale in alto, cercando di sfuggire a quel maledetto sospetto che lo segue come un'ombra. Il brano si conclude come era iniziato, lasciando un oscuro alone di mistero.

After The War

I nostri chiudono con il botto, salutandoci con il brano migliore del platter. "After The War (Dopo La Guerra)", un brano che ha la brillantezza e gli spunti del debut album, ricco di cambi di tempo, sbalzi atmosferici e preziosi intarsi da parte di tutti gli strumentisti, che qui raggiungono il loro massimo splendore, facendo felici anche i progger più diffidenti verso il super gruppo albionico. Siamo di fronte senza ombra di dubbio ad un delle migliori composizioni del repertorio Asiatico, le cui liriche, purtroppo attuali, sparano a zero sui signori della guerra. La lunga introduzione, un minuto tondo tondo, è indubbiamente la migliore mai scritta da Wetton e Downes, il quale parte in sordina con una melanconica trama di pianoforte, ben presto bombardata da micidiali colpi della sezione ritmica e da acidi fraseggi di chitarra. Il brano cresce lentamente, dal castello di tastiere si innalzano trame epiche, ricamate sapientemente dalla chitarra di Mandy Mayer, che in questo brano si avvicinerà molto al modo di interpretare la sei corde del maestro Howe. I fraseggi della chitarra e le epiche tastiere crescono in maniera impeccabile, aprendo la strada a Mr. Palmer, che si supera con una marcia sul rullante dai sentori militari. Le trionfanti tastiere di Downes spalancano i cancelli alla strofa, letteralmente travolgente, con un Palmer incontenibile supportato dal pulsante basso di Wetton, che spara a zero sui signori della guerra, ricamato da un inquietante pattern di organo e caustici fraseggi di chitarra simili al ruggito di una terribile fiera. I missili viaggiano alla velocità del suono, minacciando anche i più fortunati che possono rifugiarsi in bunker sotterranei. Quando il missile sta per colpire il bersaglio, tutti gli essere viventi sono indifesi, e quel perdente che obbedendo ad un ordine ha premuto il pulsante, avrà il suo giorno di gloria, parole al vetriolo quelle di Wetton. I ricami chitarristici di Mayer si avvicinano molto a quelli di Howe e sottolineano magistralmente le aspre liriche. Nel bridge calano bruscamente i bpm, le tristi note del pianoforte si fanno largo fra i pochi colpi dispari della sezione ritmica, Wetton piange i morti che aumentano giorno dopo giorno, mentre i più fortunati, baciati dalla Dea Bendata, vengono spediti in una sorta di purgatorio, poco distante dall'Inferno scatenato dalla guerra. Il boato di una bomba annuncia l'inciso, che si limitano ad un paio di "After The War" che emergono dal fragore di una esplosione atomica, ricamati splendidamente dalle tristi note della chitarra. Un bel fill di batteria ci riporta verso la strofa. La cavalcata ritmica è di quelle mozzafiato, caustici refrain di chitarra e un pungente fraseggio di basso sottolineano le aspre liriche che mettono nel mirino la persona addetta a premere il pulsante, che lo fa senza sapere il perché, seguendo degli ordini atti a scatenare l'Inferno sulla Terra. Mentre il cielo è illuminato dai missili, Wetton cerca di capire cosa sta passando nella testa dell'uomo che ha lanciato il missile, le cui dita hanno il potere di decidere la vita e la morte di milioni di persone innocenti. Nel bridge, le note del pianoforte piangono di fronte alla stupidità dell'uomo. Dopo una tripla dose di ritornello, fa una apparizione fugace l'epica introduzione, poi con un raffinato fill, Palmer fa calare vistosamente i bpm, stendendo un tappeto rosso per Mr. Mandy Mayer. Il chitarrista svizzero ostenta tutta la sua tecnica e ci incanta con un assolo lordo di tristezza e melodia. I suoi passaggi da brividi rievocano le inconfondibili chitarre della Vergine Di Ferro, accompagnandoci verso il bellissimo finale. Poche note messe al posto giusto creano un atmosfera da brividi. Successivamente la sezione ritmica e le tastiere si limitano al minimo indispensabile, valorizzando la splendida escursione sulla chitarra acustica di Mandy Mayer. Con una struggente interpretazione, Wetton ha un pensiero per i reduci della guerra, che sono partiti per il conflitto tatuandosi i loro figli, con il timore di non poterli più riabbracciare e che ostentano le loro terribili cicatrici perché tutti possano vedere cosa significa andare in guerra. Le struggenti tastiere trasportano le melanconiche note della sei corde acustica verso l'ultimo straziante inciso, seguito da un sinistro e fragoroso unisono degli strumenti, che riecheggia a lungo nelle nostre orecchie, facendoci pensare quanto sia stupida ed inutile la guerra. Chapeau.

Conclusioni

Riascoltando con attenzione questo album, ancora mi domando come a suo tempo non abbia avuto il successo che avrebbe meritato. Premettendo che adoro ogni singola nota di tutto il repertorio Asiatico, è incomprensibile che "Astra" sia stato ingiustamente stroncato dalla critica e non abbia ottenuto il giusto responso dai botteghini. Che cosa può essere accaduto? Forse è uscito nel momento sbagliato? Proprio in quel periodo la Geffen stava stavano cambiando la loro distribuzione in Europa e l'album non fu adeguatamente promosso e supportato dalla casa discografica. Questa potrebbe essere l'unica plausibile motivazione. Che non sia tratti di un pessimo album lo dimostra il fatto che con il tempo, il terzo lavoro del supergruppo albionico è entrato prepotentemente nel cuore dei fan, alcuni dei quali lo ritengono addirittura il migliore. Ben al di sotto della sessantesima posizione degli album più venduti in patria, Stati Uniti e Canada ed un misera quarantottesima posizione in Germania, per soddisfare i voleri della Geffen ad "Astra" non è bastata la soddisfacente posizione numero dieci ottenuta in Svizzera, dove forse si è fatto sentire il senso di patriottismo nei confronti di Mandy Mayer. Fatto sta che la major a stelle e strisce decise di interrompere il tour e altre operazioni promozionali, a causa delle scarse vendite dell'album. Comunque sia, se pur in mancanza di una comunicazione ufficiale, gli Asia si trovavano di fronte ad un clamoroso scioglimento. Rilasciato dalla Geffen il 15 Novembre del 1985, "Astra" è stato registrato fra il Settembre del 1984 ed il Luglio dell'anno successivo facendo spola nella affascinante città di Londra fra i Westside Studios, i Townhouse Studio e i Sarm Occidentale Studios. Visti i dubbi risultati relativi al sound e al mixaggio di "Alpha", Mike Stone dopo circa sei mesi di lavoro è stato sostituito da Geoff Downes, che affiancato dal tecnico del suono Alan Douglas, si è occupato di portare a termine il lavoro di produzione, facendo un enorme passo avanti rispetto all'album precedente, qualitativamente parlando. Su "Astra", infatti, nonostante i geniali pattern di tastiera di Geoff Downes siano predominanti, l'ottimo lavoro del nuovo chitarrista Mandy Mayer è sempre in evidenza, spostando inevitabilmente il sound verso un piacevole hard rock orecchiabile con riff taglienti ed assoli da brividi. Per non parlare del drumming di Carl Palmer, tornato ad essere incisivo e travolgente come agli esordi. La splendida voce di John Wetton rimane pressoché invariata, trasmettendoci forti emozioni come sui due precedenti lavori, come del resto le sue linee di basso. Come da tradizione, l'artwork è stato affidato alle sapienti mani di Roger Dean. Stavolta le brillanti tonalità di verde ed azzurro sono state sostituite dal lilla e dal viola, che mischiati perfettamente si spostano gradualmente verso il nero del firmamento. In sottofondo troviamo il fantastico paesaggio di "Arcadia" con le caratteristiche strane rocce Deaniane, una strana struttura che sembra un'astronave e una piramide che si vede a malapena. Ma la protagonista principale è "Aza", una misteriosa ed affascinante donna robotica che pare essere appena atterrata sul suolo. Un angelo piovuto dallo spazio che secondo i nostri è paragonabile alla "Eva" tentatrice, che mangiando il frutto proibito ha portato l'umanità nel peccato. In alto, l'immancabile combo di logo (in rosa sfumato) e titolo dell'album (in cinquanta sfumature di grigio) va a formare una perfetta forma piramidale. Ma veniamo al dunque. Sicuramente il cambio stilistico ha allontanato definitivamente dagli Asia gli accoliti del progressive rock, che comunque in un paio di tracce torna a far capolino. La musica in quel periodo stava cambiando, e gli Asia, non supportati in maniera adeguata dalla loro casa discografica, ne hanno pagato un caro prezzo. Mentre riecheggiavano ancora i successi di "Like a Virgin", "The Unforgettable Fire" e "Thriller", il 1985 ha visto nascere capolavori sempiterni della musica rock, basta citare "Misplaced Childhood", "Songs From the Big Chair", "Brothers in Arms" per farvi rendere l'idea, ergo per emergere oltre a brani ben funzionanti c'era bisogno di una forte spinta per restare a galla, spinta che i nostri purtroppo non hanno avuto. Tirando le somme, per chi scrive "Astra" è un album più che sottovalutato, una album che merita di essere rivalutato e spero che questa mia recensione possa dare una mano, un album che ad anni di distanza sa dare ancora forti emozioni, le cui sonorità hanno il potere di catapultarci nelle magiche atmosfere degli anni '80 tanto care ai fan di Stranger Things.

1) Go
2) Voice Of America
3) Hard On Me
4) Wishing
5) Rock And Roll Dream
6) Countdown To Zero
7) Love Now Till Eternity
8) Too Late
9) Suspicion
10) After The War
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