Asia
Aria
1994 - Bullet Proof
SANDRO PISTOLESI
06/10/2022
Introduzione Recensione
Il terremoto mediatico che ha caratterizzato l'intera scena rock ha influito anche sul destino degli Asia, ma se per molte band della scena hard'n heavy il grunge è stato sinonimo di decadenza, non lo possiamo dire per gli Asia che con intelligenza e maestria hanno saputo sfruttare il momento e hanno dato una impensabile sterzata alla loro carriera data da molti ormai per finita. Il micidiale uno-due degli eighties fa ormai parte della storia del rock, dopo di che il supergruppo albionico ha risentito molto della spiacevole acredine che si era creata fra le due prime donne Wetton e Howe, crisi culminata con l'uscita dal gruppo del Chitarrista Di Holloway. Da qui in poi, fatta eccezione per il discreto "Astra", è iniziato il periodo nero degli Asia, caratterizzato da formazioni instabili, dubbie scelte aziendali da parte della Geffen che rilasciava raccolte contenenti brani inediti carini sì, ma non certo all'altezza dei sempiterni cavalli di battaglia. Con il passare del tempo, gli Asia stavano perdendo un pezzo dopo l'altro e con il clamoroso abbandono di John Wetton, Geoff Downes si ritrovò ad essere l'unico membro ufficiale del gruppo a poter portare avanti il moniker Asia, che in molti ritenevano ormai obsoleto e decaduto. Ma il buon Geoff non ne volle sapere e per riaccendere il progetto, scommise sul semisconosciuto John Payne, al quale consegnò le chiavi della casella lasciata vuota dall'ingombrante figura di John Wetton. Trovato finalmente in Al Pitrelli un chitarrista affidabile e ben preparato tecnicamente, Howe e Palmer fiutarono l'affare e rientrarono se pur part time all'interno del gruppo. Con i loro nomi il nuovo corso degli Asia era senza ombra di dubbio molto più affascinate ed allettante. "Aqua" il primo lavoro degli Asia targati Payne si rivelò un ottimo disco e se pur distribuito da due diverse case indipendenti è riuscito a raccogliere un consenso più che soddisfacente ai botteghini (posizione numero venti in Giappone), ma soprattutto fu ben accolto dalla critica. Dimenticatevi le frizzanti sonorità degli anni '80, "Aqua" punta deciso verso l'AOR e l'hard rock melodico, lasciando riaffiorare flebilmente qualche venatura progressive, specie nelle tracce ivi è presente Steve Howe. Diciamo che è l'album di transizione perfetto per fare da ponte fra gli Asia dei tempi d'oro e quelli del nuovo corso targato Payne. A causa del blasone che ormai era sfumato, il tour di supporto ad "Aqua" era caratterizzato da palchi modesti non all'altezza della band, ma i nostri dovettero fare buon viso a cattivo gioco, anche questo faceva parte della rinascita. La formazione durante il tour non era la medesima del disco (purtroppo). Carl Palmer era impegnatissimo con gli ELP e lasciò il posto a Trevor Thornton, turnista che aveva suonato sul secondo album in studio solista di Geoff Downes "Vox Humana" uscito nel 1992. Al Pitrelli aveva le mani in pasta su più fronti e fu sostituito da Vinny Burns, chitarrista inglese nato ad Oldham il 4 Aprile del 1965, cofondatore del gruppo AOR Dare assieme a Darren Wharton. Pur rifiutandosi di suonare brani appartenenti ad "Astra" e "Then & Now", anche Steve Howe dette il suo contributo sul palco. Il duo compositivo Payne-Downes nonostante la breve convivenza, si era dimostrato affiatatissimo e i nostri iniziarono a buttare giù del materiale per un nuovo album. Dopo la temporanea assenza in sede live, Al Pitrelli rientrò alla base, mentre Steve Howe, che sentiva odore di una clamorosa reunion con i membri storici degli Yes, non se la sentì di prendere l'impegno e si fece da parte. Purtroppo, Carl Palmer era impegnatissimo con gli ELP, oltre al tour di supporto al recente "Black Moon", obblighi contrattuali forzarono il più famoso power trio della storia del rock a lavorare su un nuovo album e il potente drummer decise che era giunto il momento di uscire in maniera definitiva (per ora) dagli Asia. Al suo posto fu ingaggiata una vecchia conoscenza del popolo Asiatico, Mike Sturgis, presente in un'effimera formazione del 1987 e su alcune tracce di "Aqua" se pur non accreditato ufficialmente. Michael Sturgis nasce il primo gennaio del 1953 a Onalaska nel Wisconsin. Cresciuto a pane, Deep Purple, Uriah Heep ed Alice Cooper, inizia a strimpellare la batteria alla tenera età di dieci anni. Nonostante straveda per la musica rock, ben presto si accorge che il suo stile naturale propende verso il jazz e decide di approfondire gli studi sullo strumento. Fra il 1982 e il 1986 studia presso la University of Miami ed ottiene una laurea in Studio Music and Jazz. Nel 1986, tramite un compagno di studi, entra a far parte degli A-Ah, dove oltre a suonare dal vivo durante il tour, dà il suo contributo in studio su tre tracce nell'album "Scoundrel Days". Sempre in quel periodo, viene coinvolto nel galattico progetto Phenomena e partecipa al mitico album "Dream Runner" insieme a svariate stelle del rock come Max Bacon, Glenn Hughes, Don Airey, Brian May e molti altri. Qui conosce anche John Wetton e Scott Gorham, e nel 1987, insieme a Geoff Downes, i quattro cercano di dar nuova linfa agli Asia, ma sarà un'esperienza effimera, destinata a finire ben presto nel dimenticatoio. Agli inizi degli anni Novanta, insieme a Scott Gorham forma i 21 Guns. Altre illustri collaborazioni arricchiscono il suo curriculum e nel 1994 riesce finalmente ad entrare come membro ufficiale negli Asia. Con un bel po' di materiale pronto e la formazione riassestata, i nostri si mettono al lavoro e danno vita ad "Aria", quinto album in studio e secondo dell'era Payne. Stavolta non vengono coinvolti ospiti, dando un senso di vera e propria band agli Asia. Fatta eccezione per la traccia numero tre e della title track scritte insieme ad Andy Nye, il duo compositivo Payne-Downes firma l'intera track list. Il grunge stava ormai imperversando su tutti i fronti, molte band, per restare al passo modificarono le proprie sonorità, altre iniziarono una vertiginosa discesa, ma voi ce li vedete gli Asia a suonare "Black Hole Sun", "Heaven Flow" o "Smells Like Teen Spirit"? Certo che no, infatti i nostri decisero di spostarsi in maniera definitiva verso un AOR di gran classe, puntando su ammalianti ritornelli e strofe ricche di melodia. Comunque, anche se in maniera meno evidente rispetto al precedente "Aqua", di tanto in tanto qualche flebile venatura progressive riesce timidamente a riaffiorare, impreziosendo il cristallino nuovo sound Asiatico, che spesso e volentieri strizza l'occhio all'Hard Rock. In quegli anni l'AOR non era di certo la scelta giusta, ma spostare il sound verso lidi più orecchiabili poteva essere sinonimo di accaparrarsi nuovi fan. Comunque sia, indipendentemente dal responso dei botteghini "Aria" è un album piacevole che si lascia sentire tranquillamente e capace di emanare forti emozioni. Con il tempo si è ritagliato uno spazio importante nel cuore del popolo Asiatico. Ricordo con affetto che uscì un paio di mesi prima di una mia vacanza in Norvegia e grazie al mio inseparabile walkman, fu la colonna sonora di quella indimenticabile esperienza fra gli affascinati fiordi e bellissime ragazze. È giunto il momento di dare un approfondito ascolto a questo attesissimo "Aria", il cui sound ha virato prepotentemente verso l'ammaliante ma pur sempre vincente sound dell'album-oriented rock, intriso per l'occasione di piacevoli atmosfere oscure. Non si vive di solo progressive, quando brillano classe e talento, una band riesce sempre a sfornare buona musica, indipendentemente dalle noiose etichettature affibbiate dagli addetti ai lavori; chi apprezza la musica fatta come si deve, sa apprezzarla indipendentemente dal genere.
Anytime
Ad aprire le danze è il primo singolo estratto dall'album, "Anytime (Ogni Volta), pubblicato nel 1994. Oltre ad una versione ridotta del brano, più adatta al passaggio in radio, il singolo comprende la versione presente sull'album e l'inedito "Reality", brano che analizzeremo più avanti insieme ad altri inediti comparsi su singoli e ristampe e racchiusi nelle due raccolte "Archiva". Il brano ci fa capire in maniera cristallina la direzione sonora intrapresa dai nostri, che vira decisa verso un ammaliante AOR esaltato da una produzione pressoché perfetta. Geoff Downes fa esalare un'arcana nebbia di suoni dal suo castello di tastiere, schiamazzi, oscure atmosfere e altri suoni thrilling si muovono su una azzeccata progressione di accordi per quasi un minuto (questa introduzione è stata tagliata nella versione singolo) tenendoci sulle spine prima che il brano decolli in maniera definitiva. La produzione esalta al massimo il brillante drumming di Mike Sturgis, che senza timore si scrolla di dosso l'ingombrante fantasma di Carl Palmer. La strofa è ben delineata, il riff ruffiano di Al Pitrelli si amalgama perfettamente con le tastiere, creando l'habitat naturale per la calda voce di John Payne, che ci parla del profondo ed insolubile legame dell'amicizia. Tutti da bambini abbiamo giocato alla guerra, ma una volta finito il gioco tornavano a regnare la pace e l'amore. Il bridge sale ti un tono e fa crescere il brano mettendo in mostra grintosi vocalizzi colorati dalle tastiere, preparandoci all'esplosivo ritornello, dove riecheggia più volte la parola "Anytime" trasportata da un funambolico pattern di organo, ricamato sapientemente dalla chitarra. Nell'inciso viene a galla il vero senso dell'amicizia che possiamo riassumere in quella che può sembrare una frase fatta ma che è pura e semplice verità: gli amici, quelli veri, si vedono nel momento del bisogno. Strofa e ritornello si fanno piacevolmente ascoltare, musicando profonde licenze poetiche che sugellano il valore dell'amicizia. Dopo circa tre minuti, seguendo il classico schema della musica AOR arriva lo special. L'importante salto di tono fa brillare il grande lavoro di chitarra e tastiera, ma ad emergere sono gli scintillanti piatti ed i colpi sulle pelli di Mike Sturgis, che poi si mette in stand-by per una versione soft dell'inciso, dove Payne viene accompagnato solo da avvolgenti pad di tastiera. Al Pitrelli mette poi in bella vista il riff portante, bombardato dai tamburi. I nostri ci salutano con l'anthemico ritornello, impreziosito da epiche tastiere e controcanti. Esiste anche un videoclip, di cui sono a conoscenza solo i fan più incalliti della band, a causa di una bassissima se non nulla rotazione da parte di MTV.
Are You Big Enough?
"Are You Big Enough? (Sei Abbastanza Grande?)" è un pomposo hard rock melodico che punta forte su un ammaliante ritornello che ti entra subito in testa ed una strofa dalla linea vocale accattivante, brano che avrebbe sicuramente funzionato di più nel decennio precedente. Si parte con una fugace apparizione del inciso a cappella, seguito da un fastoso pattern di tastiera ben miscelato con le chitarre. Nella strofa il basso di Payne pulsa e le evoluzioni sul charleston di Mr. Sturgis vengono esaltate dalla cristallina produzione. Le martellanti tastiere di Downes vengono rafforzate dai power chords sparati di Al Pitrelli, abile poi a ricamare con ammalianti arpeggi l'arcana linea vocale di John Payne, che ci parla della sindrome di Peter Pan. Tutti noi rocker ci rivediamo nel protagonista delle liriche, un adulto che non accetta l'idea di dover crescere e che si rifiuta di abbandonare le proprie abitudini, mostrando con fierezza le cicatrici lasciate dall'adolescenza, nonostante "sia abbastanza grande", come gridano a squarciagola i nostri nel coinvolgente ritornello, che si chiude con l'hook "ch-ch - change" replicato da un simpatico controcanto in falsetto. Il brano va avanti in scioltezza, mostrando di tanto in tanto brillanti intarsi di chitarra che impreziosiscono ulteriormente la strofa. Al secondo passaggio il ritornello entra prepotentemente nella nostra testa. Successivamente i nostri si divertono ad arricchire l'inciso con cori, intermezzi Purpleiani, pompose tastiere e fraseggi di chitarra, dimostrando un disarmante songwriting ed una fantasia fuori dal comune. Questo brano toglie tutti i dubbi, se mai ci fossero stati, sull'efficacia e la classe del nuovo drummer Mike Sturgis.
Desire
Si alza notevolmente il livello con "Desire (Desiderio)", il mio brano preferito dell'intero lotto. Invero non si tratta di un inedito vero e proprio, ma della rivisitazione in chiave asiatica di un vecchio brano risalente ad una collaborazione fra John Payne e Andy Nye (qui accreditato come co-autore insieme a Payne e Downes). Per la cronaca, il brano insieme ad altri undici è stato pubblicato nel 2009 con il titolo "The Passion", album che raccoglie tutto il materiale relativo all'omonimo progetto di fine anni Ottanta che oltre ai due musicisti albionici vedeva coinvolto l'ex Iron Maiden Clive Burr alla batteria. Inutile dire che gli Asia, in special modo le tastiere di Downes, hanno donato uno splendente abito da sera al brano, tanto da farlo diventare di gran lunga superiore all'originale. Inizialmente si paventano cantilene tribali che ricordano quelle dei nativi americani, accompagnate da inquietanti "Desire" appena sussurrati. La strofa è caratterizzata da un oscuro pattern di tastiera che viene colorato da uno scintillante arpeggio di chitarra e dalle profonde note sparate dal freetless bass di John Payne. Si respirano avvolgenti e tenebrose atmosfere che emanano una piacevole sensazione di tristezza. Le liriche, risalenti al decennio precedente, risultano più acerbe rispetto agli standard dell'album, Payne mette insieme una serie di frasi hook per descriversi le profonde emozioni dovute al desiderio carnale, il risultato sono delle liriche forse banali ma che hanno il potere di funzionare a meraviglia grazie ad uno studio accurato della metrica e alla ricerca di parole e frasi facilmente assimilabili. L'ingresso in scena di Mike Sturgis fa crescere il brano che decolla con il bellissimo bridge. Da brividi il ritornello, la coinvolgente armonia vocale "Desire" viene spinta dai power chord sparati da Al Pitrelli; le tastiere colorano i versi che esaltano la passione dovuta ad un irrefrenabile ed animalesco desiderio d'amore. Geniale la sibillina chiusura dell'inciso che fa da bridge con la strofa successiva, dove ritroviamo licenze poetiche che scavano a fondo alla ricerca del desiderio carnale, portandoci fino al peccato originale. Dopo un secondo passaggio dell'inciso arriva Al Pitrelli, che fa centro con un assolo strappamutande come sempre ben costruito; le tristi note sparate dalla chitarra si sposano perfettamente con le melanconiche atmosfere del brano. A seguire troviamo una extended version del bridge, colorata da melanconici lamenti tribali, il bridge ci tiene sulle spine e ne ha ben donde, visto che precede uno dei momenti migliori del platter, se non il migliore in assoluto. Geoff Downes ci cattura con un fantastico assolo di tastiera. Le magiche sinfonie sfiorano la musica classica e ci fanno sognare ad occhi aperti. Brividi. I nostri ci salutano con il vincente ritornello, senza ombra di dubbio fra i migliori scritti dal creativo duo Downes-Payne. Chapeau.
Summer
"L'Estate sta finendo" cantavano i Righeira nel 1985, brano che nonostante i toni festosi, metteva in luce lo stato di malinconia che proviamo durante la fine dell'Estate, che solitamente coincide con il termine delle vacanze e con il triste ritorno alla normalità. Gli Asia, con "Summer (Estate)", usano lo stato di malinconia lasciato dalla fine dell'Estate come metafora per sottolineare i danni irreparabili che l'uomo ha commesso nei confronti di Madre Natura, abusi e soprusi commessi nel nome del progresso ma soprattutto nel nome del Dio Denaro. Si tratta di un brano dai toni piacevolmente melanconici dove la chitarra acustica valorizza al massimo l'ennesima linea vocale vincente tirata fuori dal cilindro da John Payne. I tristi colori dell'Autunno si sostituiscono ai brillanti colori estivi, così come nel corso del tempo, il grigio del progresso ha fagocitato immense porzioni di verde. Ma il ciclo della vita va avanti in maniera ineluttabile, l'Estate delle generazioni precedenti è terminata, sta a noi andare avanti, affrontare il grigiore dell'Inverno, sobbarcandosi di tutti i problemi e gli stralci lasciati da chi ci ha preceduto. Il bridge, lordo di speranza, fa salire il brano, preparandoci all'inciso, dove emergono angeliche armonie vocali che duettano con Payne, l'Estate è finita, piogge acide e venti impetuosi sono la risposta di Madre Natura ai troppi torti subiti da parte dell'uomo. Ci sono parole al vetriolo per i governatori dei nostri tempi, che hanno costruito un'Inverno perenne al posto di verdi e soleggiate praterie estive. C'è voglia di rivalsa e di rinascita, Payne ci invita a rialzarci, perché nessuno ha il diritto di essere padrone del nostro destino. Il brano scorre piacevolmente fino al minuto 02:32 quando le pompose tastiere di Downes irrompono sull'idilliaca atmosfera. Infinite corse sulle pelli e pungenti scale di basso aprono i cancelli a Mr. Pitrelli, che fa centro con l'ennesimo assolo praticamente perfetto. Le tristi note della chitarra fanno pendant con la sensazione di malinconia che caratterizza gli ultimi giorni dell'Estate. I nostri ci salutano con l'inciso, impreziosito da controcanti e da epici pattern di tastiera che salutano il termine della stagione estiva.
Sad Situation
Come si evince dal titolo, aloni di tristezza permangono anche sulla successiva, "Sad Situation (Situazione Triste)" altra traccia che mette in forma le ottime capacità vocali di John Payne. Dal castello di tastiere esala una babele di suoni che vanno a colorare la linea vocale di Payne lorda di mestizia, mentre ci parla attraverso strofe importanti di una relazione amorosa finita male. In passato, sovente le canzoni degli Asia hanno affrontato situazioni sentimentali, cadendo però sovente nel banale, ma Payne dimostra di essere esaustivo anche con la penna, andando alla ricerca di frasi profonde e significative che rendono interessante anche un argomento ormai trito e ritrito. Nel nostro caso, il nostro si sofferma sulla spiacevole sensazione di solitudine susseguente alla rottura di un rapporto. Notevole il bridge, Mike Sturgis che fino ad ora si era limitato a giocherellare brillantemente con il charleston e a qualche colpo di gran cassa entra a pieno regime. Il delicato riffing di chitarra ed un ciclico pattern di tastiera colorano la brillante armonia vocale che profuma di Yes. Con importanti licenze poetiche, Payne ci fa intuire che fra i due c'è stato qualcuno che ha tentato di tenere in piedi la baracca fino all'ultimo istante della storia d'amore. Il brano decolla in maniera definitiva con l'inciso, i power chords della chitarra e malinconici tappeti di tastiera supportano un coinvolgente botta e risposta fra Payne e l'armonia vocale "Sad Situation", arricchita da un suggestivo controcanto. Nonostante la triste situazione, non si piange sul latte versato e viene lasciato aperto uno spiraglio per una futura riappacificazione. Nel breve stacco strumentale, Al Pitrelli ci tiene a farci sapere che il suo background non è fatto di solo metal. Le tristi note della chitarra esplorano nuovi orizzonti che vanno dal blues alla fusion emanando forti vibrazioni emotive. Da qui in poi il brano scorre liscio come l'olio, mettendo in evidenza un bel giro di basso nella strofa. Dopo il bridge i nostri vanno avanti con l'inciso fino al brusco finale che ci lascia spiazzati.
Don't Cut The Wire (Brother)
Siamo arrivati ad uno dei momenti più altisonanti del platter, "Don't Cut The Wire (Brother) [Non Tagliare Il Filo (Fratello)]" con i suoi 5:20 condivide il primato di brano più lungo assieme a "Desire". Si tratta di un energico brano hard rock colorato dalle fantastiche tastiere di Downes, brano che mi ha folgorato sin dal primo ascolto, emergendo prepotentemente sul resto della pur sempre ottima track list. Le liriche ci parlano di due fratelli, che dopo un'infanzia tormentata dalla gelosia, prendono due strade agli opposti schierandosi in maniera Kinghiana uno dalla parte del bene, l'altro dalla parte del male; ma c'è una linea di sangue che in qualche maniera li tiene ancora uniti, un filo che non deve essere assolutamente spezzato. L'intro è senza ombra di dubbio fra i più interessanti scritti dal duo Payne-Downes. Un articolato arpeggio di chitarra si adagia sopra un vellutato tappeto di tastiera, corpose note di basso evidenziano le toniche prima che sopraggiunga un bellissimo pattern di pianoforte che va ad intrecciarsi perfettamente con le cristalline note della chitarra. Decisi colpi di gran cassa e pungenti note di basso annunciano la strofa. Pochi accordi colorano i colpi della sezione ritmica, a cui viene affidato il compito di sorreggere la prima strofa, dove apprendiamo che l'infanzia di un ragazzo è stata disturbata dall'arrivo di un fratellino, che in qualche maniera è riuscito a rubargli la scena. Spettrali note di tastiera colorano il bridge, il nastro della vita scorre veloce, i due sono ormai adolescenti. A sorpresa non troviamo il ritornello, ma si continua con la strofa assai più completa e ben delineata con un ridondante pattern di organo a tracciare la linea melodica, e power chord in versione soft atti a far crescere lentamente il brano. Ormai adulti, i due ragazzi prendono strade separate, il più giovane, che da piccolo sembrava il più promettente, prende quella sbagliata e finisce nel pericoloso vortice della malavita. Stavolta il bridge, complice di una rocambolesca corsa sulle pelli di Mr. Sturgis, spalanca le porte all'energico ritornello. Trascinata dalle vetuste trame dell'organo, un'enfatica armonia vocale implora che non venga tagliato il filo che tiene ancora uniti i due fratelli, nonostante il fato gli abbia portati su due strade opposte. Il bellissimo tema iniziale ci riporta alla strofa, dove il pianoforte si fa più presente. Il minore dei fratelli, nonostante la brutta strada intrapresa, non ha mai smesso di pensare a suo fratello e decide che è giunto il momento di smettere di fuggire e tornare sulla retta via; l'indistruttibile legame di sangue che unisce due fratelli, riesce sempre ad avere la meglio, anche di fronte a demoni che possono apparentemente sembrare indistruttibili. Dopo un secondo passaggio di bridge e ritornello, il brano si toglie l'elegante abito da sera ed indossa chiodo, anfibi, jeans strappati e borchie. Mike Sturgis rievoca i fasti della band con una trascinante marcia dai sentori militari tipicamente Palmeriana. Un sibillino pattern di pianoforte, colorato da fraseggi all'unisono di basso e chitarra di Maideniane memorie ci lascia presagire che la bomba sta per esplodere. Dopo un istrionico "Brother Don't Cut The Wire" Michael Sturgis alza vistosamente l'asticella dei bpm; strazianti vocalizzi si lasciano trasportare dal treno di note sparate dal pianoforte e dall'arcano arpeggio di chitarra. Al minuto 04:11 arriva finalmente il momento di gloria per Al Pitelli. Trasportato dall'energico drumming, l'Axeman Americano libera tutti i suoi demoni metallici e si esibisce in un travolgente assolo dove brillano funambolici passaggi in tapping e caustici fraseggi affilati come rasoi. È uno dei momenti più duri dell'intero repertorio Asiatico, che purtroppo inizia a sfumare lentamente in fader fin troppo presto, proprio sul più bello.
Feels Like Love
Inizialmente "Feels Like Love (Sembra Amore)" si sposta su lidi decisamente più soft, una suggestiva ballad semi acustica che deflagra nell'energico ritornello, altra brillante composizione che sottolinea quanto i nostri fossero ispirati. Gelidi venti spirano dal castello di tastiere, anticipando un'avvolgente atmosfera decisamente fantasy. Le cristalline note arpeggiate della chitarra si amalgamano perfettamente con gli oscuri accordi di pianoforte e le fiabesche trame del flauto, confezionando l'habitat ideale per John Payne che nelle prime righe si supera in quanto ad emotività interpretativa, sottolineando con profonde licenze poetiche come tutte le forti emozioni provate dall'uomo riconducano sempre all'amore. Che si combatta per un'ideale, che si lotti per raggiungere un obbiettivo, che si faccia una qualsiasi cosa per le persone che amiamo, facciamo tutto sfruttando l'energia prodotta dall'amore. Liriche che potremmo riassumere semplicemente in cinquanta sfumature dell'amore. Da brividi il bridge, dove i nostri ci esortano ad essere forti e determinati. Si continua con la poetica strofa e l'emozionante bridge, lasciando momentaneamente la batteria ferma ai box. Una fiabesca trama di pianoforte irrompe solitaria, aggraziate note di tastiera gli svolazzano attorno come leggiadre rondini. Mike Sturgis inizia a stuzzicare il charleston, dando un senso di ritmo alla strofa, dove emerge un'epica armonia vocale che emana positività da tutti i pori. Spinti dalla forza dell'amore, per raggiungere i nostri obbiettivi possiamo trovare l'energia per avanzare contro un vento impetuoso, possiamo respingere l'impeto di un mare in tempesta. Uno scolastico ed energico fil di batteria annuncia l'arrivo del ritornello, con il quale il brano esplode definitivamente, abbandonando le dolci ed avvolgenti atmosfere della prima metà. Sfruttando l'energia dell'organo e della chitarra, Payne urla ai quattro venti "Feels Like Love? (Sembra Amore?)" ripetendolo più volte, prima che per qualche istante ritorni la calma. Le note arpeggiate della chitarra e gli accordi del pianoforte colorano una bellissima poesia che Payne dedica alla Statua della Libertà, simbolo di New York e dell'interi Stati Uniti D'America; uno dei monumenti più famosi al mondo, lordo di piccoli dettagli che raccolgono la storia dell'intera umanità, non a caso, il regista Franklin J. Schaffner, nel 1968 scelse proprio i ruderi della Statua della Libertà per l'apocalittico finale della splendida pellicola fantascientifica "Il Pianeta Delle Scimmie" lanciando messaggi significativi con un solo fotogramma. Il drumming in crescendo di Mike Sturgis annuncia che è arrivato il momento per Al Pitrelli, il nostro mette la ciliegina sulla torta con l'ennesimo assolo praticamente perfetto. Delicate note legate fra loro magistralmente sfruttano il trascinante lavoro della sezione ritmica, confezionando un sound prettamente AOR. Torna la calma dopo la tempesta, le paradisiache tastiere di Downes ci mettono in pace con noi stessi. Spettrali pad di tastiera accompagnano gli strazianti "Feels Like Love" di Payne, il brano sembra sfumare delicatamente verso l'epilogo, ma una forsennata corsa sulle pelli di Michael Sturgis dice che c'è tempo per un ultimo passaggio dell'energico ritornello.
Remembrance Day
Ci eravamo lasciati con versi poetici nei confronti della Statua della Libertà e rimaniamo in America con la successiva "Remembrance Day (Giorno Della Memoria)"; mai gli Asia si erano avvicinati al Metal come in questa circostanza. Ogni paese ha il suo Giorno della Memoria, da noi in Italia è il 27 gennaio, giorno in cui commemoriamo le vittime dell'Olocausto. Per la tradizione britannica invece è l'11 novembre, giorno in cui vengono ricordati tutti i membri delle forze armate che hanno perso la vita durante il servizio militare e anche la fine delle ostilità della Prima Guerra Mondiale. Negli Stati Uniti invece il Giorno della Memoria si celebra l'ultimo lunedì' del mese di maggio, ricordando tutti i militari che hanno perso la vita mentre combattevano in onore dello Zio Sam. In quel giorno, nei cimiteri nazionali, le tombe dei militari caduti in battaglia vengono decorate con fiori e vessilli a stelle e strisce. Visto il periodo in cui cade, il Remembrance Day celebra anche con un bel po' di anticipo l'avvento della stagione estiva per gli americani. Il brano si apre con i vetusti suoni di una battaglia d'altri tempi, trombe, cavalli, colpi di cannone e grida strazianti anticipano l'esplosiva introduzione. Potenti power chords armonizzano i cattivissimi fil di Mike Sturgis che annunciano il tagliente riffing metallico di Mr. Pitrelli, un chitarrista duttile e versatile sì, ma che si sente perfettamente a suo agio con le sonorità più heavy. Il brano poi si calma improvvisamente, colpi all'unisono si abbattono su un leggiadro pattern di pianoforte. Dopo la violenta introduzione, il brano inaspettatamente imbocca una strada decisamente più soft, le tastiere e il delicato riff stoppato di chitarra colorano un quadretto disegnato da John Payne, che ci illustra perfettamente uno dei tanti scenari bellici che in passato hanno colorato di rosso le verdi praterie statunitensi. Una volta che il fumo dei cannoni si dirada, mette in vista uno straziante scenario. Il bridge vivacizza il brano, il trascinante drumming quasi copre il bel mix di chitarre e controcanti. L'energico ritornello è caratterizzato da un repentino botta e risposta fra Payne e un teatrale "And will you remember? (E ti ricorderai?)". Corposi power chords, un impercettibile tappeto di organo e successivamente le epiche fanfare di Downes che odorano di eighties colorano le belle licenze poetiche di Payne, che ci fa riflettere su quanto le guerre ci portino via, sottolineando infine che lo spirito dei caduti in battaglia non morirà mai. Ritorna il riffing dai sentori metal che ci ha sorpreso ad inizio brano, sicuramente il più duro dell'intero repertorio Asiatico. Nella strofa successiva viene sottolineato come troppo spesso i conflitti bellici vengono alimentati da una marea di bugie, bugie che vedono soldati ed eroi cadere sui campi di battaglia, mentre lo Zio Sam guarda impassibile. Riascoltando il teatrale inciso, possiamo dire che in qualche maniera si avvicina al sound del precedente "Aqua". I nostri chiudono con il tagliente riffing portante che dà il via ad una babele sonora dove i caustici assoli di Pitrelli fanno fatica ad emergere. Sul finire Mike Sturgis sposa il contesto metal e ci accompagna verso il finale con un robusto tappeto di doppia cassa. Secondo il mio modesto e sindacabile parere, questo finale andava sfruttato meglio, dando più spazio alle tastiere ed alla chitarra; invece, i nostri hanno optato per una brusca e prolungata evaporazione in fader che lascia molti dubbi, come se i nostri non vedessero l'ora di chiudere il brano quanto prima.
Enough's Enugh
Si ritorna in ambito AOR con "Enough's Enugh (Quando è Troppo è Troppo)", brano raffinato, coinvolgente ed accattivante, con una spruzzata di Eighties da parte di Downes nella parte finale. Di gran classe la breve introduzione, i cupi accordi di pianoforte vengono accerchiati da raffinati lamenti della chitarra, potenti fill di batteria colorati dal basso rendono il tutto più corposo. Nella strofa gli accordi del piano determinano la linea melodica, ma è il brillante ed incisivo lavoro della sezione ritmica a tenere in piedi la canzone. John Payne dedica le liriche alla dura vita fatta dal padre per far sì che la famiglia avesse una vita più che dignitosa. Il nostro lancia, comunque, messaggi positivi rivolti a tutti, messaggi che ci invitano a trovare la forza per superare i momenti più critici della nostra vita, ma anche a smorzare la monotonia delle giornate che deve affrontare quotidianamente un lavoratore medio. La sveglia che suona alla medesima ora ogni santissimo giorno, l'operazione meccanica di obliterare il cartellino, gli stress giornalieri che ognuno lavoratore deve affrontare nelle fabbriche, pregando di arrivare alla sera quanto prima possibile. Lo scintillante arpeggio di chitarra di Mr. Pitrelli illumina il bridge, dove Payne sfiora in maniera ammaliante il falsetto. Tetri accordi di chitarra ed inquietanti effetti di tastiera riempiono la seconda strofa. La pungente scala di basso che conclude il bridge, ci annuncia che è giunto il momento di assaporare il ritornello. Spinto dai power chords e dalle epiche tastiere Payne urla ai quattro venti "Enough' s Enough (Quando è Troppo è Troppo)", inseguito da avvolgenti cori dai sentori gospel, mentre in sottofondo un per me inopportuno battito di mani cerca di dare la carica. La strofa successiva è un vero e proprio tributo nei confronti del padre, la fabbrica ha trasformato la sua pelle in ossa, per portare avanti la famiglia ha lavorato duramente per anni ed anni, ma ora è giunta l'ora di dire basta, come canta con verve John Payne nell'inciso. Geoff Downes spruzza una buona dose di sound Asiatico vintage con un pomposo assolo di tastiera, ben sostenuto dal resto della banda. Il sibillino bridge stavolta annuncia una nuova versione dell'inciso che va a concludere il brano. Payne sostituisce le liriche con pomposi vocalizzi dai sentori lirici colmi di tristezza ma che allo stesso tempo hanno il potere di farci trovare le forze per tirare avanti.
Military Man
"Military Man (Militare)" è un altro dei momenti brillanti del platter. Il brano è nato negli ultimi momenti relativi alle sessioni di "Aqua", ma poi i nostri per rispettare le scadenze, non hanno avuto tempo utile per portarlo a termine ed è rimasto fuori dalla track list. È per questo che la canzone si avvicina molto al sound dell'album precedente, forse è stato un bene che non sia stata completata per "Aqua"; con più tempo a disposizione e un maggiore affiatamento, i nostri hanno reso praticamente perfetta questa composizione che non ha faticato ad entrare nel cuore dei fan e spesso presente nelle scalette live. Un altro punto fermo del brano sono le liriche, sicuramente fra le più interessanti del platter, liriche che vanno a scavare in maniera introspettiva all'interno delle umide trincee dove i militari rischiano la vita ogni giorno. Le epiche tastiere di Downes, che rievocano gli esordi del gruppo, vengono letteralmente bombardate (tanto per rimanere in tema) dai potentissimi power chord sparati da Al Pitrelli, che successivamente colora la parte finale dell'intro con un solenne inno chitarristico. Nella strofa la violenza degli strumenti si placa, lasciando il compito alle melanconiche tastiere di Mr. Downes di colorare le liriche che ci portano nei meandri della mente di un militare, attanagliato dal terrore e circondato da demoni nefasti, costretto a combattere con la coscienza mentre le munizioni si stanno esaurendo. La marcia militare di Palmeriane memorie di Sturgis viene armonizzata dalle pulsanti note del basso e ci porta piacevolmente verso l'emozionante ritornello, dove Geoff Downes fa un grande lavoro con le tastiere, coadiuvato dai potenti accordi distorti della chitarra. La linea vocale di Payne trasuda paura e tristezza quando in maniera esplicita riassume la vita dei militari con un cinico ma significativo "And as I spin this wheel of fortune (E mentre giro questa ruota della fortuna)", sottolineando come un soldato quando è sul campo di battaglia rischi la vita ogni istante e senza fine di continuità. Un potente interludio strumentale dove chitarra e tastiera si danno battaglia ci separa dalla strofa, dove ritorna quella calma surreale creata da un ispiratissimo Geoffrey Downes. Glaciali accordi di chitarra priva di distorsore armonizzano la linea vocale di Payne, che continua a scavare all'interno della mente dei soldati, spesso mandati al fronte nel nome di una causa in cui nemmeno credono, costretti a spezzare i legami d'amore che gli legano ai propri cari, con l'atroce dubbio di non poterli più riabbracciare. Il ritornello torna ad emanare forti emozioni, prima che al minuto 02:57 l'anima progressive della band riaffiori timidamente. L'ira degli strumenti si placa, il palco è tutto per un emozionante duetto pianoforte - voce, attorno al quale svolazzano gli spettrali sussurri del vocoder. Il rullante marziale di Michael Sturgis fa crescere repentinamente il brano annunciando il travolgente assolo di Mr. Al Pitrelli, che dà sfogo a tutta la sua indole metallica, sprigionando taglienti note e funambolici passaggi in tapping che duellano con ataviche armonie vocali accompagnandoci verso il mesto finale pianistico. Chapeau. Nella ristampa dell'album rilasciata dalla Inside Out Music nel 2005, troviamo un'emozionante versione acustica del brano. Le tristi note del pianoforte e i melanconici pattern di tastiera supportano magicamente per tutto il brano la straziante interpretazione di John Payne, mentre la chitarra elettrica spruzza un po' di energia ove richiesto.
Aria
Il secondo album in studio dell'era Payne si conclude con "Aria" breve ma intensa title track capace di emanare forti emozioni e di procurarci una buona dose di brividi. I melanconici ed oscuri accordi del pianoforte avvolgono la suadente voce di John Payne, che mette sotto esame il suo ingresso negli Asia, guardandosi da dietro le spalle fino a dove è arrivato. Ha lottato con le unghie per raggiungere un traguardo importante, riuscendo a coronare il suo sogno di entrare in una importante rock band. Il nostro è sicuro di aver dato più del massimo per poter soddisfare i fan, ben conscio dell'ardua impresa che aveva, visto il suo illustre predecessore; sicuro e fiero di sé, lo sottolinea con una bellissima frase che possiamo considerare un piccolo hook nascosto fra le avvolgenti note del pianoforte: "Far beyond the call of duty (Molto oltre il proprio dovere)", dimostrando di non sentire affatto il peso del ruolo che gli è stato affidato. Dopo quarantacinque secondi, le tastiere di Downes iniziano a prendere il sopravvento addentrandosi negli affascinanti meandri della musica classica. Le toccanti trame orchestrali danno il via ad un crescendo Mozartiano che culmina con una piacevole sorpresa, andando a riprendere in maniera operistica le emozionanti trame che ci hanno stregato durante l'assolo di "Desire". Brividi. Torna anche il suggestivo inciso della traccia numero tre, colorato da squillanti tastiere, campane che suonano a festa e da una delicata marcia sul rullante dai sentori militari che ci accompagna verso il fiabesco finale, dove troviamo una dolcissima trama di pianoforte in solitario che si estingue lentamente in fader.
Conclusioni
"Aria" ci consegna una band ispiratissima ed in gran forma, con un Geoff Downes sugli scudi, un vero e proprio dispensatore di atmosfere, stratosferico su "Desire" e sulla title track. John Payne si conferma una scelta vincente, se ci aveva favorevolmente impressionato su "Aqua", qui le sue prestazione canore sono addirittura superiori, il nostro ci convince abusando di linee vocali vincenti e si disimpegna in maniera soddisfacente sia con le quattro corde che nella stesura delle liriche. Con un Michael Sturgis assunto a tempo indeterminato gli Asia hanno trovato un signor batterista, degno erede del suo illustre predecessore, forse meno potente ma il suo raffinato drumming leggermente jazzato impreziosisce il nuovo sound Asiatico. Su Al Pitrelli c'è poco da dire, è un grande chitarrista capace di spaziare fra più generi, i suoi assolo emanano sempre forti vibrazioni, dà il meglio di sé quando il gioco si fa duro. Non per nulla, una volta uscito dagli Asia, dopo esser passato dai Savatage, finirà alla corte di Re Mustaine. Tornati di nuovo ad essere un quartetto e senza ospiti illustri, gli Asia fanno trasparire fra i solchi dell'album la sensazione di essere una band compatta e coesa e non un progetto musicale allargato. Purtroppo, "Aria" è stato pubblicato in un contesto temporale sbagliato, con il grunge in piena esplosione l'AOR non andava più per la maggiore e all'epoca l'album fu accolto tiepidamente passando un po'in sordina e fatta eccezione per il mercato giapponese, dove raggiunse una dignitosa ventesima posizione, il responso ai botteghini non fu soddisfacente. Ma a noi che ce ne importa? Riascoltandolo adesso, con il grunge passato finalmente a miglior vita, possiamo assaporarne tutte le essenze e rivalutarlo come merita. Si tratta forse di uno dei migliori album AOR usciti nella prima metà degli anni '90. Tra i solchi prevale si l'AOR, ma talvolta i nostri sconfinano verso l'hard rock e tralasciano riaffiorare di tanto in tanto flebili venature progressive, che non guastano mai, mentre oscure atmosfere e piacevoli note di malinconia pervadono per tutto il platter. Un album raffinato esaltato dall'eccellente produzione del duo Payne-Downes, coadiuvati al mixer dagli ingegneri del suono Andy Reilly e Gary Stevenson. Registrato fra il novembre del 1993 e il Marzo dell'anno successivo presso i Pargate Studios ubicati nel Sussex ed i prestigiosi Mason Rouge Studios di Londra, l'album è stato rilasciato dalla label Bullet Proof Records il 31 Maggio del 1994 in tutta Europa, nel Regno Unito ed in Giappone. Incomprensibilmente, negli Stati Uniti fu rilasciato quasi un anno dopo, precisamente il 15 maggio del 1995. Nel 1998 la Snapper Music lo ha ristampato inserendo come bonus track il brano "Reality", b-side del singolo "Anytime" che potete trovare anche sulla raccolta "Archiva 1". Nel 2005 anche la Inside Out Music ha rilasciato la sua ristampa, come sempre più allettante, infatti, oltre all'inedito "Reality" troviamo una stuzzicante versione acustica di "Military Man" e il video multimediale di "Anytime". A colorare la musica degli Asia torna Roger Dean. L'Artista di Ashford dipinge uno dei suoi fantastici paesaggi che mixano il fantasy con la fantascienza. Perfettamente in linea con le melanconiche oscure atmosfere dell'album, la copertina ci dà la sensazione di affacciarsi su una tenebrosa caverna incavata nelle ormai classiche rocce aliene made in Dean, all'orizzonte, dove prevale l'azzurro in tutte le sue sfumature, sul mare si erge una fantascientifica struttura arciforme che sovrasta il titolo dell'album, proposto nel medesimo font dell'inconfondibile logo originale, il quale brilla in alto nel firmamento assieme agli astri. All'interno del booklet, oltre ai testi e le varie informazioni di rito, troviamo le foto dei nostri, immortalati dal fotografo Paul Rider. Nel back sotto la foto che ritrae gli Asia nella nuova formazione a quattro, campeggia la track list in un simpatico ma inopportuno font molto simile al comic sans in color giallo, che a mio avviso stona un po' con il contesto tenebroso dell'opera. Tirando le somme, visto il mio affetto verso la band non posso esimermi dal dare un'alta valutazione a questo album, il più oscuro del repertorio Asiatico, che non può assolutamente mancare negli scafali dei fan, compresi quelli di vecchia data. Consigliatissimo ai cultori compulsivi dell'AOR, se mai all'epoca gli fosse sfuggito.
2) Are You Big Enough?
3) Desire
4) Summer
5) Sad Situation
6) Don't Cut The Wire (Brother)
7) Feels Like Love
8) Remembrance Day
9) Enough's Enugh
10) Military Man
11) Aria