ASIA
Archiva 2
1996 - Resurgence
SANDRO PISTOLESI
28/12/2022
Introduzione Recensione
Ci eravamo lasciati con un gradito ritorno al progressive rock da parte degli Asia, ma purtroppo le affascinati sonorità contaminate dalla musica etnica non riuscirono a risollevare gli Asia come avrebbero meritato. Con la scena musicale in continua evoluzione, ormai i nostri si stavano lentamente tramutando in una sorta di gruppo di nicchia, seguito da pochi irriducibili fan, come il sottoscritto. Ma come recita un atavico proverbio, "al peggio non vi è fine". Alla fine dell'Inverno del 1995 un freddo innaturale si abbatté sulla città di Londra, dove era ubicato lo studio personale degli Asia, l'Electric Palace. Fu uno degli Inverni più rigidi della recente storia europea, causato da una gelida ondata di correnti glaciali provenienti dalla zona artica russa. In molti si ricorderanno l'eccezionale nevicata dell'Aprile del 1995 che imbiancò inaspettatamente gran parte dell'Italia. Ma torniamo nelle fredde lande della terra di Albione. Le bassissime temperature, ben al disotto dello zero, causarono prima il congelamento e poi la rottura di una tubatura dell'acqua al piano superiore dell'Electric Palace, con susseguente disastroso allagamento che causò tragicamente la quasi totale distruzione delle preziose e tecnologiche attrezzature. Il Primo Gennaio del 1996, John Payne e Geoff Downes, al rientro dalle vacanze invernali, decisero di recarsi allo studio per registrare del nuovo materiale. I due musicisti furono invasi da una sensazione di orrore ed impotenza quando una volta aperta la porta dello studio videro oggetti che galleggiavano in un a sorta di laghetto artificiale, e migliaia di sterline in attrezzatura andati in fumo, o meglio, in acqua. I due si rimboccarono le maniche ed una volta eliminata l'acqua, cercarono di salvare il salvabile. Fra le poche cose che non furono danneggiate, emerse una scatola contenenti vecchi nastri dove i due avevano archiviato canzoni e idee che non avevano trovato spazio nelle track list dei primi tre album dell'era Payne. Invero l'archivio conteneva anche vecchie registrazioni di Downes e di Payne extra Asiatiche. Con gran parte dell'attrezzatura distrutta, i due pensarono di recuperare qualche sterlina con l'unica cosa che era riuscita a sfuggire all'inesorabile forza distruttiva dell'acqua. Si misero alacremente al lavoro su quei vecchi nastri presso i Loco Studios ubicati nel Monmouthshire, affascinante contea del Galles, non lontano da dove vive Geoffrey Downes. Il lavoro portò alla luce ben ventiquattro tracce inedite che vennero racchiuse in due raccolte ben distinte e pubblicate l'una a pochi giorni di distanza dall'altra e denominate "Archiva1" e "Archiva 2". Chissà se senza lo spiacevolissimo incidente della tubatura, questi brani sarebbero venuti mai alla luce, forse tutto il male non vien per nuocere. Questa tipologia di antologia è il sogno di ogni fan, molto meglio dei tradizionali greatest hits rilasciati durante il periodo natalizio che offrono poco o nulla dal punto di vista delle novità. I cultori più accaniti della music rock vanno sempre a caccia di introvabili rarità e stavolta Downes e Payne ce le servono su un piatto d'argento, per di più in doppia dose. Cosa chiedere di meglio. È chiaro che prodotti del genere contenenti vecchie demo e canzoni scartate dalle track list degli album in studio non hanno la qualità con cui i nostri ci hanno abituato, ma si tratta pur sempre di brani inediti che stuzzicano la fantasia dei fan. I due "Archiva" non includono remix, versioni live o unplugged di brani già sentiti, fatta eccezione della già sentita b-side "Reality" e di qualche traccia che era precedentemente apparsa sul secondo album in studio di Downes risalente al 1992 ed intitolato "Vox Humana", canzoni che però all'epoca non erano state cantate da John Payne, che comunque dette il suo contributo su un paio di tracce. In questo affascinate percorso oltre che a musicisti che avevamo dimenticato e gradite ricomparse, incontreremo alcune canzoni destinate a finire nel dimenticatoio, ma raschiando a fondo il barile troveremo anche qualche piccolo gioiello che non ha affatto meritato di rimanere fuori da un album, rischiando di non venire mai alla luce. Avendo già ascoltato "Archiva 1", gran parte dell'arcano ci è stato svelato e bene o male siamo a conoscenza di cosa contengono queste fantastiche miscellanee composte da vecchie demo rimaste fin per troppo tempo a prender polvere. Andiamo dunque ad aprire il secondo forziere di tesori, intitolato "Archiva 2".
Obsession
Come in occasione della precedente raccolta, ad aprire le danze è uno dei pezzi più altisonanti dell'intero lotto. "Obsession (Ossessione)" è una brillante traccia scritta durante le sessioni di "Aqua" che di out takes ha ben poco, ha avuto solo la sfortuna di nascere in un fiorente e produttivo periodo della nuova coppia di compositori Downes-Payne, che in occasione del ritorno degli Asia sulla scena rock mondiale, misero su pentagramma una sovrabbondanza di composizioni tutte di altissimo livello, ed è questa l'unica e vera ragione per cui non è riuscita ad entrare nella track list finale del primo album dell'era Payne. Senza far nomi, secondo la mia sindacabile opinione, la canzone è superiore ad almeno un paio di tracce del pur ottimo "Aqua". Siamo di fronte ad un trascinante brano AOR che rievoca il brillante sound del decennio precedente, ricco di melodia, preziosi intarsi di chitarra e tastiera ed avvolgenti armonie vocali. Scritta da John Payne e Steve Rodford, figlio d'arte e futuro drummer del nuovo corso dei The Zombies, è stata registrata nel Novembre del 1991 presso gli Advision Studios di Brighton. Le danze vengono aperte da un'arcana introduzione, dove le chitarre di Al Pitrelli e Anthony Glynne si amalgamano perfettamente con le oscure tastiere di Downes ed il basso pulsante di John Payne, il quale nell'avvolgente strofa, attraverso profonde licenze poetiche ci parla delle fantastiche sensazioni provocate da una freccia sagittabonda. Nigel Glockler fa abilmente crescere il brano nell'effimero bridge, dove emerge il primo sussulto al cuore dovuto ad un irresistibile colpo di fulmine. Ma si tratta di un fuoco di paglia, tutti ci saremmo aspettati che il brano decollasse con l'inciso, ma ritroviamo le oscure atmosfere della strofa caratterizzata da tetri accordi di pianoforte riff di chitarra che sembrano provenire dal decennio precedente. Stavolta Payne interpreta il bridge con una buona dose di istrionismo, annunciando il brillante inciso, caratterizzato da una ammaliante armonia vocale che ci parla del sottilissimo limbo che divide l'amore dall'ossessione. Il brano prosegue spedito con l'alternanza delle oscure atmosfere della strofa e la brillantezza dell'inciso fino al minuto 02:42, dove troviamo il solito assolo perfetto di Al Pitrelli, poche note messe al posto giusto ed il gioco è fatto. I nostri ci salutano con l'ammaliante ritornello riproposto in loop, sul finale impreziosito dagli intarsi chitarristi di Al Pitrelli, che va a riprendere il precedente assolo che dopo una lenta metamorfosi indossa un leggiadro abito da sera metallico ed evapora lentamente in fader.
Moon Under the Water
Si continua con "Moon Under the Water (Luna Sotto Il Mare)", avvolgente ballata voce - tastiera di forte atmosfera con un finale trascinate che secondo il mio umile e sindacabile parere andava sfruttato meglio. Il brano è stato scritto da Geoff Downes e Johnny Warman e registrato presso gli Advision Studios di Londra nel Marzo del 1988. Fece la sua prima apparizione nel 1992 sull'album "Vox Humana" di Geoff Downes, dove fu ben interpretata da Steve Overland, brillante ugola degli FM. Devo dire che a differenza delle altre tracce già apparse sul secondo album solista del Tastierista di Stockport, John Payne interpreta alla grande la canzone, tanto da farmela preferire alla versione originale. Il brano fu preso in considerazione per la track list di "Aqua" ma non vi rientrò a causa di una sovrabbondanza di canzoni, tutte di pregevole fattura. Sono più che convinto che il tocco magico di Steve Howe e un assolo strappamutande di Al Pitrelli, avrebbero reso il brano una piccola perla. Ma accontentiamoci di questa versione primordiale, che vede duettare a lungo John Payne e le fantastiche tastiere di Geoffrey Downes. Il brano viene aperto da un pattern di tastiera che odora di eighties, subito circondato da pompose fanfare e lunari tappeti di tastiera, mentre le corpose note sparate dal basso determinano la scarna ritmica. Le liriche attraverso profonde licenze poetiche, ci trasportano in un'affascinante mondo sommerso, che fra le righe cela una focosa relazione amorosa. In questo mondo dai sentori fantasy , c'è pure una Luna, che illumina le infinite distese oceaniche dove il nostro annega nell'amore. Bellissima l'immagine di un sasso gettato in uno stagno, i numerosi cerchi che increspano l'acqua vengono paragonati agli anelli del tempo di una storia d'amore senza fine. Geoff Downes fa un grande lavoro con le tastiere, valorizzando al massimo la perfetta interpretazione di Payne. Al minuto 02:43 ha inizio una bellissima coda in crescendo, annunciata da un arcano refrain di tastiera che sfrutta un intelligente salto di tono. Uno struggente tappeto di organo annuncia e trasporta un bellissimo intreccio vocale. Entra poi in scena Trevor Thornton con un drumming raffinato, badando bene a non rompere l'idilliaca atmosfera ricreata dalle tastiere. Il brano cresce lentamente, peccato che quando arriva sul più bello, con tanto di passaggi di doppia cassa, inizia a sfumare anonimamente in fader, con le armonie vocali e le tastiere che tristemente ci abbandonano, lasciandoci con una sensazione di disagio. Qui c'erano tutti i presupposti per un gran finale, magari con un assolo di chitarra che lentamente ci accompagnava verso l'epilogo.
Love Like The Video
La successiva "Love Like The Video (Amore Come Il Video)" è un vivace rock anthemico che a tratti rievoca i Kiss, Rolling Stones e i Boston, ma che di Asiatico ha poco o nulla. È stato scritto nel Marzo del 1987 da John Payne e Andy Nye e registrato negli studi casalinghi del medesimo. Nel settembre del 1987, Geoff Downes si recò al Borderline, un locale dove si esibivano i The Passion, la band di Payne, Nye e dell'ex Iron Maiden Clive Burr. Il buon Geoff, che fu colpito favorevolmente dall'esibizione e dal brano in questione, qualche settimana dopo contattò Payne e i due registrarono nuovamente il brano, con l'intenzione di usarlo come punto di partenza dei nuovi Asia, che in quel periodo stavano navigando in torbide acque. Questa notizia ci conferma che la scelta di Downes di affidare il ruolo di frontman a John Payne non fu una scelta avventata dell'ultimo minuto, ma che era già da qualche anno che l'idea balenava nella mente dell'estroso tastierista, che proprio non ne voleva sapere di chiudere il progetto Asia. Ma veniamo al brano, aperto da una scolastica combinazione di schitarrate a la Keith Richards e un vetusto tappeto di organo. Il basso pulsante tenta di dar vita alla drum machine programmata da Andy Nye, che nel brano suona le tastiere aggiuntive. Ricamato da armonie vocali d'altri tempi, Payne con delle liriche avanti di qualche lustro in stile Nostradamus, ci parla di un amore a distanza, con i due amanti che sfruttano un'immagine video, senza avere il piacere di un contatto carnale; dare un bacio ad un video con il fermo immagine non come baciare realmente una ragazza. Possiamo asserire che in qualche maniera il testo è precursore dell'amore virtuale. Il bridge, con i suoi sentori retrò ci porta dritti al ritornello, caratterizzato da una progressione di accordi che ricorda fin troppo da vicino quella di "More Than a Feeling" dei Boston. Dopo un breve interludio, dove domina l'organo, punzecchiato da striduli fraseggi di chitarra sparati da Payne, il brano continua con la scolastica alternanza strofa-bridge-ritornello fino al minuto 02:38, dove troviamo un rockeggiante assolo di chitarra di John Payne. I nostri ci salutano con l'inciso in loop, aggiungendo qualche scontatissima variazione. Meglio passare oltre.
Don't Come to Me
Non che ci volesse molto, ma per fortuna si alza notevolmente il livello con la successiva "Don't Come to Me (Non Venire da Me)", una delle mie canzoni preferite dell'intera Operazione Archiva. I nostri sono stati impeccabili nel rendere Asiatica una canzone che in vero non è loro. Che ci crediate o no, si tratta infatti di una cover. Il brano è stato scritto dal musicista canadese Eddie Schwartz in collaborazione con il collega e produttore David Tyson nel 1984 per l'album "Public Life", per la precisione il terzo del cantautore originario di Toronto, che proponeva un pop rock molto soft a la Christopher Cross. Non si dovrebbe dire, ma l'estro e la tecnica di Downes e Payne hanno reso indubbiamente più interessante la canzone, che era già stata rivisitata intorno al 1988 da John Payne e poi ripresa in considerazione nel 1995 con l'intento di inserirla sull'ottimo "Arena". La sovrabbondanza di brani ha poi causato l'estromissione della canzone dalla track list del terzo album in studio dell'era Payne. Un vero peccato, visto l'eccellente risultato ottenuto con una drum machine programmata impeccabilmente da Downes e le parti di chitarra suonate da John Payne. Chissà cosa sarebbe venuto fuori con l'estroso Mike Sturgis dietro al drum set ed un chitarrista sopraffino come Mr. Elliott Randall. Si tratta di una canzone che emana tristezza da tutti i pori, una tristezza dovuta alla rottura di un rapporto amoroso in seguito ad una serie di menzogne e tradimenti. Ancora soggiogato dalla forza dell'amore, l'uomo vede l'ex ragazza ovunque, sente la sua dolce voce in qualsiasi luogo. Ma nonostante la forte delusione, non è disposto a tornare insieme a lei, che le ha trasformato il cuor in pietra. Il brano si apre con un mesto pattern di tastiera che mantiene intatte le caratteristiche atmosfere delle love ballads degli eighties. L'ottimo giro di basso con glissati e scale riesce a donare un tocco di umanità ai gelidi colpi della batteria elettronica. La triste linea vocale di John Payne viene trasportata dal bellissimo tappeto orchestrale steso da Downes. Il salto di tono del bridge rievoca passaggi già sentiti molti lustri fa e ci catapulta dritti verso l'inciso, interpretato magistralmente da John Payne, che ci arriva dritto al cuore con uno straziante "Don't Come To Me (Non Venire Da Me)". Il brano scorre liscio come l'olio grazie al grande lavoro del Tastierista di Stockport e alla prestazione sugli scudi di Payne, che a tratti provoca una buona dose di brividi. Al minuto 03.11, Payne fa centro con un assolo di chitarra; le tristi note, ben supportate dal basso, sposano perfettamente le melanconiche atmosfere che perdurano per tutto il brano e ci accompagnano per mano verso l'epilogo, dove ritroviamo il bellissimo inciso che evapora lentamente in fader. Il brano è stato registrato nel Maggio del 1995 presso gli Electric Palace Studios di Londra.
The Smoke That Thunders
Come nella precedente antologia di inediti, alla posizione numero cinque troviamo un brano strumentale. "The Smoke That Thunders (Il Fumo Che Tuona)" ha una storia molto curiosa. Si tratta della prima canzone buttata giù per "Arena" e gli Asia volevano coinvolgere Carl Palmer; la presenza di un padre fondatore del super gruppo albionico ha sempre il suo affetto. Ma il buon Carletto aveva l'agenda piena di impegni in seguito alla rinascita degli ELP ed il suo apporto si limitò ad un primo ed unico incontro nel Marzo del 1995 presso gli Electric Palace Studios, dove partecipò alla scrittura della canzone. Purtroppo, però il Drummer Di Birmingham non riuscì a trovare il tempo per incidere le parti della batteria; il problema fu ovviato da Geoff Downes, che campionò il suono del drumming di Palmer dal brano "The Voice Of Reason" presente su "Aqua", programmando poi in maniera impeccabile come solo lui sa fare la drum machine, riproducendo perfettamente l'inconfondibile stile di Palmer, che nelle note viene accredito alla batteria nella traccia numero cinque, pur non essendo realmente lui a suonare. Invero, la canzone inizialmente era stata concepita per essere cantata, poi a causa delle innumerevoli complicazioni logistiche, i nostri decisero di lasciarla strumentale. Il brano viene aperto da un potente drumming da stadio a la "We Will Rock You", ammorbidito poi da un evocativo pad di tastiera. Forse influenzato dagli impegni di Palmer con il famoso power trio, dopo circa trenta secondi Downes spara una trionfale fanfara che odora di ELP. Il nostro poi esegue preziosi intarsi tastieristici che ronzano intorno al pomposo main theme. Al minuto 01.18 incontriamo quello che possiamo considerare l'inciso, un tetro refrain di tastiera che sembra uscito dalla colonna sonora di "Dawn Of The Dead", seguito poi da una solare coda dove brillano le tastiere di Downes. Il brano continua piacevolmente ad andare avanti trascinato dall'incessante drumming, alternando le solari fanfare all'oscuro inciso di Gobliniane memorie, spegnendosi poi lentamente in fader. Trovo giusto che la canzone non abbia trovato spazio su "Arena", in quanto è in netto contrasto con le calde sonorità etniche dell'album.
Satellite Blues
"Satellite Blues" è un altro brano che di Asia non ha niente, già apparso sull'album di Downes "Vox Humana". Si tratta di un trascinante rock blues a la ZZ Top risalente al Settembre del 1988, scritto da Geoff Downes e Johnny Warman, che nella versione originale si è occupato anche delle parti vocali. La leggenda narra che successivamente sia stata rielaborata agli Advision Studios di Brighton insieme agli If Only, brillante meteora AOR che nel 1992 irruppe sulla scena hard rock con l'ottimo "No Bed Of Roses". Rispetto alla versione originale registrata presso gli Advision Studios di Londra, questa rivisitazione Asiatica, forte della chitarra e della energica prestazione vocale di John Payne, è assai più accattivante. Alla batteria troviamo il richiestissimo drummer britannico Preston Hayman, che durante la sua importante carriera ha collaborato con le più grandi stelle del rock e del pop (Kate Bush, Peter Gabriel e Atomic Rooster solo per citarne alcuni). Il suo drumming trascinante viene colorato da un martellante giro di basso e un acido riffing di chitarra. John Payne scimmiotta l'inconfondibile stile di David Lee Roth per interpretare il brano, parlandoci dei mali della società, si va dagli spacciatori che vendono droga ai bambini al Dio Denaro che fa oziare nel lusso i magnati, mentre nello stesso momento, da qualche parte del Mondo, qualche povero bambino sta morendo di fame. C'è spazio anche per i reietti che popolano la metropolitana, descritta come una medicina che tiene pulita la città, ospitando di fatto la feccia. Mali tenuti a bada dalla televisione, che troppo spesso ci tiene all'oscuro di situazioni tragiche considerate inverosimilmente meno importanti di altre. Liriche aspre che un po'stonano con la spensieratezza di questo brillante rock blues che scorre liscio come l'olio, senza infamia e senza lode e rispettando tutti i cliché del genere che per chi scrive fanno rima con monotonia. La strofa potrebbe anche funzionare, ma il grigiore dell'inciso non riesce a far spiccare il volo al brano. Non che sia una bruttissima canzone, ma il suo inesorabile destino è di finire ben presto nel dimenticatoio per rimanerci a lungo. Dopo circa due minuti e mezzo, la piatta noiosità del brano (non me ne vogliate, ma non sono mai andato d'accordo con il blues n.d.r.) troviamo un lancinante assolo di chitarra di John Payne, che va ad esplorare le più classiche sonorità della musica nata sulle rive del Mississippi. Nel finale, i funambolici e caotici fraseggi di chitarra di Mr. Payne si sovrappongono all'inciso, sicuramente fra i meno attraenti sentiti su un album Asiatico.
Showdown
"Showdown (Resa Dei Conti)" è la rivisitazione Asiatica di un vecchio successo degli E.L.O. scritto e prodotto da Jeff Lynne. Curiosamente, il brano era presente solamente sulla versione americana dell'album "On the Third Day" del 1973. Visto il successo del brano dopo essere stato lanciato come singolo, un anno dopo gli E.L.O. pubblicarono una raccolta per il solo mercato inglese contenente il brano, che per ironia della sorte dava anche il titolo al primo florilegio pubblicato dalla band, diventato poi una rarità ricercatissima dai collezionisti del vinile. Downes e Payne registrarono una demo del brano nel Giugno del 1995 agli Electric Palace Studios di Londra, con l'intenzione di inserirlo poi sull'album "Arena", ma poi a causa di divergenze musicali con il resto della band, il brano rimase rinchiuso in una cassetta a prender polvere. Rispetto alla versione originale, un blues rock dove dominavano gli inconfondibili violini, la chitarra di John Payne e l'organo spostano il brano verso il rock mantenendo però inalterate quelle irresistibili vibrazioni che invitano al ballo. Il basso ed il riffing di chitarra tentano di umanizzare la scialba drum machine, diciamocelo, abbiamo sentito di meglio in fatto di drum programming da parte di Geoff. Nel brano emerge prepotentemente l'ottima prestazione canora di Payne, che interpreta con grinta le liriche scritte da Jeff Lynne. La resa dei conti è il peggior momento da affrontare dopo una cocente delusione amorosa. E questo momento arriva in una lunghissima e scura notte piovosa. La rottura del rapporto amoroso ha ridotto il cuore dell'uomo in pietra, è come se avesse pitturato di grigio tutto il Mondo, tormentato da una incessante pioggia, come canta il nostro nel triste ritornello dove emerge un articolato refrain di chitarra elettrica. Siamo arrivati al giorno della resa dei conti, l'uomo deve decidere se farsi sopraffare dal dolore e morire, o trovare l'energia per un ultimo sussulto e tornare a vivere con orgoglio, mettendosi tutto dietro le spalle. Al minuto 02.16 troviamo un soddisfacente assolo di chitarra. John Payne replica con successo il melanconico assolo che fu di Jeff Lynne. Successivamente, Downes crea un effimero limbo con le tastiere, spazzato quasi subito via dal prepotente ritorno dell'inciso che ci accompagna verso la coda finale, dove i pad orchestrali di Downes scimmiottano i peculiari violini del trio Edwards, Gibson e Walker. Graffianti fraseggi di chitarra ci salutano, evaporando molto lentamente in fader.
That Season
Siamo arrivati alla mia traccia preferita dell'intera "Operazione Archiva"; "That Season (Quella Stagione)" è l'ennesima out takes delle sessioni di "Arena" risalente al Giugno del 1995 e registrata agli Electric Palace Studios londinesi. Fra i vari brani scartati, è quello che più di tutti avrebbe meritato di far parte della track list finale di "Arena". Stando alle note di copertina, solamente il fattore tempo è stato determinate per la sua esclusione. A colorare l'ottima drum machine programmata da Downes troviamo le esotiche percussioni di Luis Jardim. Il brano si apre con un paradisiaco limbo ricreato dalle tastiere, atto ad aprire le porte ad Elliott Randall che ci incanta con un mellifluo arpeggio carico di effetti con il quale accompagna John Payne, che attraverso una delle sue migliori prestazioni canore ci parla di una stagione d'amore, paragonando un freddo Inverno ai momenti più cupi, superati non con poca fatica, scacciando gli oscuri demoni che tentavano intromettersi fra i due innamorati. Poi è arrivata la Primavera, con i suoi colori e i suoi profumi, il momento più focoso e caloroso della storia d'amore, che ha lasciato ricordi indelebili nel cuore dei due amanti. Le tastiere diffondono una calorosa atmosfera dai sentori natalizi fino al bridge, dove un importante salto di tono fa crescere il brano vertiginosamente, spalancando i cancelli all'emozionate ritornello. Trascinato dalla batteria elettronica ben programmata, Payne crea un emozionante mix fra linea vocale e liriche, arrivando dritto al cuore dell'ascoltatore. Non cambierei mai un solo giorno di quella fantastica stagione, canta con il cuore in mano il nostro. Un sinuoso fraseggio di basso ci riporta alla strofa, resa più convincete dalla batteria elettronica e dal basso. Al secondo passaggio, il magnetico ritornello si stampa prepotentemente nella nostra mente (e nel nostro cuore), impossibile non canticchiarlo. A seguire troviamo un bellissimo assolo di chitarra, ben supportato dalle esotiche percussioni di Luis Jardim. Con classe sopraffina Elliott Randall tocca le corde giuste; spruzzando un velato sentore di jazz, le note della chitarra sposano in pieno le dolci atmosfere che pervadono per tutto il brano. Il successivo bridge stavolta annuncia una struggente versione voce-tastiera dell'inciso, che poi ci accompagna verso l'epilogo nella sua veste tradizionale. Da brividi l'effimero finale, un emozionante duetto pianoforte-voce che a mio avviso avrebbe meritato più spazio, ma che purtroppo evapora precocemente in fader.
Can't Tell These Walls
"Can't Tell These Walls (Non Posso Dirlo A Queste Mura)" è una delle tante composizioni nate dalla collaborazione fra John Payne e Andy Nye e registrata presso gli studi casalinghi di quest'ultimo. Nel 1994 gli Asia l'hanno rispolverata, prendendo in considerazione l'ipotesi di inserirla su "Arena", poi la sovrabbondanza di composizioni ha fatto sì che ne rimanesse fuori. Si tratta di una piacevole escursione nei vellutati meandri del soul. Le tastiere di Downes donano al brano l'inconfondibile fascino ottantiano, in effetti più che ad una canzone degli Asia, sembra di esser di fronte ad un brano di Marvin Gaye, capace di emanare calorose vibrazioni dai sentori natalizi. Nonostante la canzone non sia male, trovo giusto che sia stata esclusa dalla track list finale di "Arena", a causa di una evidente incompatibilità di genere. Downes stende un soffice tappeto di tastiera, calpestato dai freddi passi della drum machine programmata da Andy Nye e colorata dal basso. Cristallini pattern di tastiera svolazzano leggiadri come fiocchi di neve illuminati dal Sole. Il brano non avrebbe certo sfigurato nella colonna sonora di una pellicola della Disney a tema natalizio. John Payne interpreta con una delicatezza inusuale il brano, parlandoci della voglia di redenzione che invade un uomo dopo una furiosa liste con la compagna. Sovente, invasi dall'ira si dicono cose che nemmeno si pensano e che sono in grado di ferire profondamente l'altra parte. È forte il desiderio di poter tornare indietro e cancellare quei brutti momenti dettati dalla rabbia. Il brano scorre piacevolmente, di tanto in tanto impreziosito da raffinati intarsi di tastiera. Nell'inciso brilla la calorosa armonia vocale che sconfina piacevolmente nel soul. Se qualcuno cercava una canzone atta a musicare una pubblicità di prodotti natalizi, eccovela servita su un piatto d'argento. La seconda strofa viene impreziosita da un'interessante pattern di tastiera che cosparge una spruzzata di Asia sul brano. I nostri ci salutano con l'inciso in loop, Payne confessa di sentirsi solo e di essere stufo di dire a quelle tristi quattro mura quanto gli manchi la sua compagna. Le dolci note dai sentori natalizi se ne vanno lentamente in dissolvenza senza lasciare il segno.
The Highter You Climb
Registrata presso gli Advision Studios di Londra nel luglio 1988, "The Highter You Climb (Sali Più In Alto)" è un brano firmato dal triumvirato Geoffrey Downes - Johnny Warman - Jane Woolfenden che già aveva dato alla luce la bellissima "Who Will Stop the Rain?", nata pressappoco nello stesso periodo. Il brano, infatti, mantiene le oscure sonorità di "Aqua". Alla chitarra ritroviamo una vecchia conoscenza, Scott Gorham, mentre dietro alla batteria il nostro benamato Mike Sturgis, praticamente, tolto Wetton, l'effimera formazione transitiva degli Asia che ebbe breve vita nel 1987. Ma la versione originale non è quella che ci apprestiamo ad ascoltare. Appena nata, la canzone fu ben interpretata da Max Bacon, e la potete trovare anche sul primo album del medesimo datato 1995 e che porta proprio il titolo del brano. Nonostante gli strumentisti siano i medesimi, fatta eccezione della voce ovviamente, la versione Baconiana è molto più brillante e trascinate rispetto a questa rivisitazione Asiatica. La cristallina voce di Max Bacon faceva sì che il cantato seguisse alla lettera il titolo del brano, volando più in alto possibile, raggiungendo altezze che per forza di cose John Payne non è in grado di raggiungere, neanche abusando del falsetto. Stranamente anche il nuovo mixaggio è più cupo ed anche per questo la nuova versione Asiatica non riesce a trasmettere le medesime emozioni di quella interpretata in maniera impeccabile dall'ex ugola dei GTR, risultando meno potente. Privo di una introduzione strumentale, il brano è aperto da un'avvolgente pattern di tastiera che accompagna la melanconica interpretazione di John Payne, il quale, interrogandosi su cosa ci aspetta dopo la vita eterna, ci invita a vivere al meglio ogni singolo istante della nostra vita, facendo però attenzione quando tentiamo di spiccare il volo, perché più in alto voleremo e più forte sarà l'impatto quando cadremo nuovamente a terra. Il cammino della vita di un essere umano viene visto come un viaggio. L'uomo, senza nessun tipo di indicazione stradale, sceglie fra i vari percorsi che gli si prospettano davanti, sta a lui scegliere con saggezza la strada più lunga e meno tortuosa in modo da allungare il più possibile la sua vita terrena. I sottili ricami chitarristici di Scott Gorham sono tenuti fin troppo a bada da una stavolta per me infelice produzione. Nell'inciso emergono le classiche fanfare Asiatiche, che vanamente tentano di spingere il più in alto possibile John Payne, che si aiuta con un'armonia vocale in falsetto a dar manforte. Nella seconda strofa la sezione ritmica entra a peno regime, Mike Sturgis mette il suo inconfondibile marchio di fabbrica con quei fantastici controtempi sul charleston che a me fanno impazzire. Dopo il secondo ritornello troviamo un breve interludio strumentale che non fa urlare al miracolo, gli Asia ci hanno abituato a sentire di meglio. L'inciso ci accompagna verso l'epilogo, impreziosito da controcanti e fraseggi di chitarra dal sapore funky tenuti fin troppo in secondo piano. Se comunque la canzone vi stuzzica, vi consiglio caldamente di dare un'ascoltata veloce alla versione cantata da Max Bacon.
Right To Cry
Se non ho contato male, "Right To Cry (Diritto Di Piangere)" è l'ultima delle sette outtakes di "Arena" presenti sui due "Archiva". Come sottolineato nelle note di copertina, siamo di fronte ad una melensa ballata ottantiana che a tratti rievoca le inconfondibili sonorità dei The Cars. Registrata nel Maggio del 1995 presso gli Electric Palace Studios di Londra, si tratta pur sempre di una demo che non è stata sviluppata al cento per cento con la formazione di "Arena". Sturgis è stato sostituito dalla drum machine programmata da Mr. Downes, mentre aimè, le note se pur esaustive, forse per un piccolo errore non ci forniscono informazioni su chi si è occupato di suonare la chitarra, ma tutti gli indizi ci portano verso John Payne. L'introduzione di tastiera ci catapulta nel bel mezzo dei favolosi Eighties, Payne interpreta con dolcezza i primi versi. Il nostro, attraverso profonde licenze poetiche, rivendica il diritto di piangere che ognuno di noi ha dopo una delusione amorosa. Piangere è un diritto anche per chi si ritiene un duro dal cuore di pietra. Tenersi tutto dentro fa male a chiunque e può lasciare profonde cicatrici difficili da rimarginare. Versare delle lacrime è sinonimo di non arrendersi e di risollevarsi quanto prima, buttandosi le brutte situazioni dietro le spalle. Nel bridge la drum machine si fa più energica ed insieme ad un cristallino arpeggio di chitarra acustica fa crescere vistosamente il brano, spalancando le porte al mellifluo ritornello tipicamente ottantiano guidato dalle tastiere e dal pianoforte. Cala l'intensità con il ritorno della strofa, dove troviamo vetuste armonie vocali dai sentori natalizi. Dopo un secondo passaggio di bridge e ritornello, spoglio di un interludio strumentale o di una parvenza di assolo, il brano si avvia anonimamente verso l'epilogo, sfumando fin troppo velocemente in fader. Messa così come l'abbiamo sentita, trovo giusto che sia stata estromessa dalla track list di "Arena", le note dicono a causa di una somiglianza con altre tracce, io invece dico che fatta eccezione dell'inutile traccia strumentale che conclude l'album, non riesco ad individuare una canzone che si possa minimamente considerare inferiore a questa e trovo giusto che si sia ritagliata il suo piccolo spazio su questa crestomazia di inediti e demo.
Armenia
Anche in questo caso, questa antologia di tesori perduti viene suggellata da una canzone strumentale. Come si può facilmente evincere dal titolo, "Armenia" è una canzone scritta da Geoff Downes e John Payne in occasione della stratosferica operazione a scopo benefico indetta dalle più grandi stelle del rock per aiutare il popolo armeno colpito da un devastante terremoto il 7 Dicembre del 1988. Il progetto, guidato dall'attivista Jon Dee fu denominato Rock Aid Armenia e coinvolse i maggiori esponenti della musica rock, metal e progressive. Nacque così una strepitosa raccolta intitolata "The Earthquake Album" contenete i brani più significativi delle band che avevano aderito al progetto, i nostri ovviamente erano presenti con "Heat Of The Moment", a fare compagnia alla sempiterna canzone Asiatica per eccellenza, altre pietre miliari della musica rock, si va da " Owner of a Lonely Heart" degli Yes a "Turn It On Again" dei Genesis e "Spirit Of Radio dei Rush. "Run To The Hills" degli Iron Maiden, Black Night dei Deep Purple e "Since You Be Gone" dei Rainbow appesantivano una scaletta che racchiudeva con quattordici tracce l'essenza della musica rock. Ma il pezzo forte dell'album era la strepitosa versione del classicissimo Purpleiano "Smoke On The Water" interpretata con una formazione allargata che possiamo tranquillamente definire il dream team della musica rock. Dietro al microfono si alternavano Ian Gillan, Bruce Dickinson, Paul Rodgers e Bryan Adams. Il granitico riff di chitarra era eseguito dalla creme della sei corde: Brian May, Davide Gilmour, Tony Iommi, Ritchie Blackmore, Alex Lifeson. Al basso il compianto gigante buono, Chris Squire. Alle tastiere un altro musicista che purtroppo non è più con noi, Keith Emerson, coadiuvato dal nostro Geoffrey Downes, che si è occupato anche della produzione. Dietro al drum set, giganteggiava Roger Taylor dei Queen. Abbiamo parlato a lungo di questo progetto, ma alla fin fine il brano "Armenia", scritto appositamente per l'occasione, rimase fuori dalla track list. Si tratta di un a canzone di forte atmosfera, che parte con una introduzione dai sentori new age per sfociare poi in una deriva chitarristica di Floydiane memorie. Geoff Downes ci ipnotizza con atmosfere marine e lunari per oltre un minuto e mezzo; se chiudiamo gli occhi, la musica ha il potere di trasportarci su una spiaggia deserta in una luminosa notte di mezza Estate. Poi le tastiere iniziano ad esplorare il lato oscuro della Luna, aprendo i cancelli ad una bellissima trama di chitarra che a tratti rievoca il magico tocco di David Gilmour. Purtroppo, tra i crediti del disco non compare il nome di colui che suona la chitarra sulla traccia numero dodici. Il magico tocco vellutato sulla sei corde mi ha fatto escludere a priori che si tratti di John Payne. Mi son messo a cercare in rete ed in zona cesarini, su un sito che ritengo molto affidabile, ho trovato una bella sorpresa: pare che alla chitarra ci sia nientepopodimeno che Steve Howe. Se pur mi suona strano che un ospite del genere non sia stato menzionato, ascoltando con attenzione i fantastici fraseggi di chitarra che istintivamente possono essere attribuiti a Gilmour, è probabile che si tratti proprio del nostro amatissimo chitarrista. Gli emozionanti fraseggi della chitarra sia adagiano su un vellutato pad di tastiera. La musica è di gran classe, ha il potere di farci sognare e di trasportarci nei meandri più nascosti dello spazio profondo. Ascoltandolo in cuffia, ci sentiamo in pace con noi stessi. Una drum machine programmata in maniera impeccabile da Geoff Downes e colorata dalle precise e corpose note del basso esalta i momenti cruciali dell'assolo, che nella parte finale lascia il campo alle fantastiche tastiere di Downes che lentamente si estinguono in fader.
Conclusioni
Rilasci come "Archiva 1 e 2" sono il genere di operazioni che fanno letteralmente impazzire i fan. Noi stiamo parlando di una band ormai di nicchia, uscita ingiustamente fin troppo presto dai palchi più prestigiosi della musica rock, ma pensate se un'operazione del genere fosse lanciata da band con un seguito planetario come Iron Maiden o Metallica, giusto per fare un esempio. Dare ai fan l'opportunità di poter ascoltare vecchie registrazioni con Paul Di Anno o Dennis Stratton mai venute alla luce prima d'ora, o vecchie composizioni di Cliff Burton rimaste per chissà quale motivo rinchiuse in una vecchia scatola. Per quanto mi riguarda un affascinante florilegio di inediti di Iron Maiden o Metallica sarebbe un successo planetario, basta pensare al clamore che ha suscitato la pubblicazione di "Face It Alone" da parte dei Queen, un vecchio inedito cantato dall'indimenticabile ed unico Freddie Mercury. Fatta questa premessa, per il sottoscritto i due "Archiva" non sono una mera operazione per racimolare qualche sterlina, ma il più grande regalo che Geoff Downes potesse fare ai fan degli Asia. Artisticamente parlando non siamo di fronte ad un prodotto eccellente, vecchie demo prive di arrangiamenti, versioni primordiali con la drum machine non possono avere la perfezione con cui ci hanno abituato ultimamente i nostri. Ma qui stiamo parlando del fascino che queste tracce possono emanare. Ascoltandole possiamo fantasticare, è come se i nostri ci avessero aperto le porte della sala prove dandoci l'opportunità di poter vedere in che maniera nascono i brani degli Asia. Quindi, se dovessi valutare "Archiva" sotto il punto di vista affettivo, non potrei esimermi da affibbiargli un'alta valutazione. Ricordo che acquistai i due "Archiva" durante un affascinante itinerario dell'Est Europa. Mi trovavo a Budapest, era il 1996 molti in Italia consideravano l'Ungheria un paese retrogrado, ma si sbagliavano. Perlomeno sotto il punto di vista della cultura musicale. I negozi di dischi erano fornitissimi, special modo nel campo del progressive rock. Se non rammento male, durante quella vacanza tornai a casa con oltre quaranta CD, fra i quali questi due preziosi "Archiva", dei quali non ero nemmeno a conoscenza dell'uscita. In quegli anni, per avere notizie attendibili sui nostri beniamini, dovevamo aspettare l'uscita di fanzine di culto come l'indimenticabile Paperlate, che conservo ancora gelosamente. Ricordo come se fosse ora che mi brillavano gli occhi appena inserii i CD nel mio stereo, leggendo con attenzione le poche ma esaustive note che i nostri hanno inserito nel booklet alla fine di ogni brano, dandoci notizie su come ogni singola traccia è nata e gli artisti che hanno contribuito. I maligni ritengono che "Archiva 2" sia una sorta di raccolta contenente gli scarti degli scarti, beh, io non sono d'accordo. Come il suo predecessore, contiene almeno quattro - cinque tracce di pregevole fattura, che mischiate alle varie demo più o meno appetibili mantengono l'album in perfetta linea con il suo predecessore. Anzi, vi dirò, vado controcorrente e se dovessi dire quale delle due antologie di inediti preferisco, voto per "Archiva 2". "That Season", Don't Come To Me" e la trascinate opener sono canzoni che mi hanno colpito sin dal primo ascolto. Ritenete che i nostri potevano pubblicare una sola antologia che racchiudesse il meglio dei due "Archiva"? È un infinito dibattito senza né vinti né vincitori già vissuto ed affrontato in occasione del rilascio dei due "Use Your Illusion" da parte dei Guns'n'Roses. "Archiva 2" è stato rilasciato dalla divisione austriaca della label Resurgence Records il 17 Settembre del 1996, ovvero circa due settimane dopo il suo omonimo predecessore. Registrata nei vari studi dettagliatamente menzionati in fase di track by track, la produzione è opera dell'affiatato duo Downes-Payne. Essendo una crestomazia che racchiude brani di varie epoche, gli ingegneri del suono che hanno contribuito sono diversi: Greg Jackman (tracce 2,10), Spike "Mike" Drake (traccia 6), Pete Craigie (traccia 1), Andy Nye (tracce 3, 9,) e John Payne (tracce 4,5,7,8,11,12). L'album è stato masterizzato da Chris Thorpe presso i Loco Studios ubicati nel Galles. Per l'artwork i nostri si sono rivolti nuovamente a Rodney Matthews. Stavolta l'illustratore britannico è riuscito a catturare perfettamente l'essenza dell'album, mettendo al centro della copertina un mostruoso ragno gigante dalla livrea azzurrognola a guardia dei vecchi nastri contenenti le preziose registrazioni degli Asia. Sul dorso, che replica una mappa del globo terrestre, spicca il simbolo del nucleare che già avevamo incontrato sulla copertina del precedente "Arena". Non so se Matthews si sia ispirato alla celebre saga di John Ronald Reuel Tolkien, ma la terribile creatura che domina nell'artwork, ricorda molto da vicino Shelob, la gigantesca aracnide che vive negli oscuri cunicoli di Cirith Ungol, a Mordor. In alto campeggia in rosso il logo storico made in Dean. Sotto la terribile creatura, in un tetro font in stile black metal, troviamo il titolo. Nel back di copertina, oltre alla track list in un simil comic sans azzurro, troviamo alcune note che ci mettono al corrente dello spiacevole incidente che ha dato il via a questa fantastica operazione. Interessante il booklet interno, dove troviamo poche ma esaustive e dettagliate notizie per ogni singolo brano. Come di consueto, nel 2005 la Inside Out Record ha rilasciato la sua versione, ma qui, trattandosi già di una miscellanea di inediti, si poteva aggiungere poco o nulla. Ci sono comunque due tracce in più, la single version di "Little Rich Boys" ed un ethnic mix di "Turn It Around" che rende il brano assai più soft, mantenendo però più o meno la medesima struttura. La stessa Inside Out Record, sempre nel 2005 ha rilasciato una doppia antologia che raccoglie tutti i brani delle due crestomazie di inediti, comprese le quattro bonus track. In conclusione, come il suo predecessore, "Archiva 2" è un album consigliatissimo solo ai cultori compulsivi del monicher Asia. Se come me amate alla follia la band, questo lavoro vi farà brillare gli occhi come ad un bambino che scarta il suo regalo di Natale.
2) Moon Under the Water
3) Love Like The Video
4) Don't Come to Me
5) The Smoke That Thunders
6) Satellite Blues
7) Showdown
8) That Season
9) Can't Tell These Walls
10) The Highter You Climb
11) Right To Cry
12) Armenia