ASIA
Aqua
1992 - Musidisc
SANDRO PISTOLESI
12/09/2022
Introduzione Recensione
Dopo l'uscita del controverso "Then & Now", Wetton e Downes cercarono di dar nuova linfa alla band ed una volta ingaggiato il chitarrista Pat Thrall, dettero il via ad un tour mondiale, dal quale fu estratto anche il primo live ufficiale della band che riproponeva la prima e storica data degli Asia nelle gelide lande della Russia. Ma il tour non dette i frutti sperati, in special modo negli Usa, da sempre terra di conquista degli Asia, forse a causa della inconcepibile scelta di affiancare gli Asia ai Beach Boys, che erano sì una delle band preferite da Wetton, ma lontani anni luce dal sound del super gruppo albionico. Deluso dal poco calore ricevuto durante i concerti sul suolo americano, John Wetton decise di lasciare clamorosamente il gruppo e dedicarsi alla carriera solista. Per la cronaca, il nostro nel 1994 pubblicherà "Battle Lines", per chi scrive l'apice della sua carriera, un album da dieci e lode con ospiti illustri, fra i quali brillano Robert Fripp e Steve Lukather. Dopo anni di silenzio, gli ELP dettero vita ad una clamorosa reunion proprio nel 1991, pubblicando l'album "Black Moon" un anno dopo. Carl Palmer comunque non dette nessuna comunicazione ufficiale riguardante la sua uscita dal gruppo. Pat Thrall invece fu ingaggiato da Meat Loaf, che pubblicò un altro capolavoro della musica hard'n heavy, "Bat Out of Hell II: Back into Hell". Nel giro di poco tempo, quindi Geoff Downes aveva visto sgretolare il progetto Asia sotto i suoi occhi, e di fatto rimase l'unico membro ufficiale della band. Per niente scoraggiato, il biondo Tastierista di Stockport si mise alla ricerca di nuovi elementi per portare avanti gli Asia anche negli anni '90, nonostante il terremoto mediatico che aveva da poco sconvolto l'intero panorama della musica rock. Tutti si aspettavano una chiamata per Max Bacon, vocalist dei GTR che aveva più volte collaborato con Downes, ma a Geoff venne a mente un musicista con il quale aveva registrato alcune demo tape in passato, John Payne e lo fece contattare dal manager Harry Cowel, che fissò un appuntamento ai Nomis Studios di Londra, dove spesso Downes registrava demo e idee, talvolta insieme ad altri musicisti. Sorpreso e spaesato, John, che proprio in quei giorni era ad un passo dall'entrare a far parte del progetto capitanato da Bev Bevan denominato ELO Part II, si presentò comunque all'appuntamento, insieme al suo fido gatto siamese Eric, che lo seguiva ovunque. Geoff Downes senza girare intorno alla questione fu diretto e chiese a John se fosse interessato ad entrare a far parte degli Asia. Incredulo, Payne non poteva certo esimersi dall'accettare l'offerta, se pur momentaneamente finito nell'ombra, il moniker Asia aveva pur sempre fatto la storia. Ma i problemi insorsero quando John fu informato che avrebbe dovuto suonare anche il basso. Lui era un cantante e chitarrista, all'occorrenza aveva suonato il basso in qualche demo, ma mai si era cimentato nel cantare e suonare le quattro corde insieme, compito non facile, specie se le linee vocali e i giri di basso sono tutt'altro che semplici. Comunque, il nostro accettò ugualmente e mettendosi alacremente al lavoro, dopo mesi e mesi di pratica, riuscì finalmente a disimpegnarsi egregiamente nel doppio ruolo di cantante bassista. Ma veniamo ad alcuni cenni storici riguardanti il nuovo arrivato in famiglia. John Payne nasce a Luton il 29 Settembre del 1958. La sua prima band furono i Moonstone, di cui purtroppo non è facile reperire notizie. Nel 1986 incise un disco con i CCCP, band albionica da non confondere con gli omonimi punkrockers italiani. La band, che comprendeva anche due ragazze (una delle quali era Carlene Carter, figliastra di Johnny Cash), proponeva una anthemico glam rock che riuscì a portare a casa un disco d'argento ottenuto in Scandinavia. Dopo varie collaborazioni, fra le quali spicca quella con Roger Daltrey, John Payne formò i The Passion, insieme all'ex Maiden Clive Burr, a completare la line-up vi erano il tastierista Andy Nye dei MSG, il bassista Mel Gabbitas e l'ex chitarrista di Mike Oldfield Ant Glynne. I The Passion proponevano un piacevole mix fra l'hard rock e l'AOR. Nel 1991 fu cercato dal batterista degli ELO Bev Bevan, ma la lunga ed estenuante diatriba ricca di acredine relativa al nome del gruppo, fece perdere la pazienza a John Payne che fu ben lieto di accettare l'offerta quasi contemporanea di Downes ed entrare a far parte degli Asia. Fu una scelta coraggiosa quella di Downes, sostituire una leggenda come John Wetton con un carneade che non aveva un importante curriculum alle spalle come il suo predecessore, non era la mossa più adatta per cercare di rivitalizzare gli Asia, ma per fortuna il tempo ci dirà che la scelta si rivelerà più che azzeccata, scelta che mi ha ricordato molto da vicino quella fatta dai Marillion, quando sostituirono Fish con lo sconosciuto Steve Hogarth. La casella lasciata libera da Pat Thrall fu occupata da Al Pitrelli. Il nuovo chitarrista nasce a New York il 29 Settembre del 1962. Agli inizi degli anni '80 frequentò il Berklee College Of Music di Boston, dove il tastierista Derek Sherinian era il suo compagno di stanza. Dopo aver strimpellato insieme ad alcuni compagni di classe, fra i quali il futuro Venom Mike Hickey, ha la sua prima importante esperienza a fianco di Michael Bolton. Dopo una breve parentesi insieme a Randy Coven finisce alla corte di Alice Cooper, suonando per tutto il fortunato tour "Trashes The World" e ritrovando il vecchio compagno di stanza Derek Sherinian. Nel 1992 entra a far parte degli Asia. Per il ruolo di batterista, Carl Palmer che era di nuovo impegnato con gli ELP, dette la sua disponibilità a rientrare nel gruppo ufficialmente, ma gli impegni lo porteranno a dare solo un piccolo contributo, suonando di fatto solamente tre brani sul nuovo album intitolato "Aqua". Le sue assenze saranno comunque supportate da illustri colleghi come il metronomo dei Saxon Nigel Glockler ed il monumentale Simon Philips che non ha certo bisogno di presentazioni, mentre alle chitarre aggiuntive vengono accreditati John Payne e Anthony Glynne, ma non chiedetemi in quali brani e quando, perché nonostante un'estenuante ed approfondita ricerca non sono riuscito ad ottenere notizie ben precise inerenti agli apporti musicali dei musicisti coinvolti. Se pur non accreditato ufficialmente come musicista aggiuntivo, ma presente nei ringraziamenti al pari di Scott Gorham e molti altri, è molto probabile che nel disco dia il suo supporto anche il bravo Michael Sturgis, già presente in un'effimera formazione degli Asia datata 1987. Quando ormai la formazione era praticamente fatta a sorpresa rientrò in squadra anche Steve Howe, dando un notevole contributo alle nuove composizione con la chitarra acustica e delineando per la prima volta la line-up ufficiale a cinque elementi. L'Ex Yes parteciperà anche al tour di supporto al nuovo album, rifiutandosi però di suonare brani appartenenti ad "Astra" e "Then & Now" Durante il tour, la formazione non sarà la medesima, Carl Palmer e Al Pitrelli verranno sostituiti rispettivamente dal batterista Trevor Thornton e da Vinny Burns alla chitarra. Visti i nuovi interpreti e la locazione temporale in cui è venuto alla luce "Aqua", inevitabilmente il sound degli Asia 2.0 si è allontanando dal frizzante pop prog degli esordi, avvicinandosi sempre di più all'AOR, ma anche all'hard rock ed esplorando timidamente nuovi orizzonti che si avvicinano alle torride lande del delta del Mississippi. Comunque, se pur in maniera flebile, di tanto in tanto emergono piacevoli venature progressive. Con il blasone degli Asia che era sfumato con il passare degli anni, il nuovo disco fu distribuito da due case discografiche indipendenti. Per il mercato europeo la distribuzione fu affidata alla Musidisc, mentre per il mercato americano se ne occupò la Great Pyramid Records, pubblicando incomprensibilmente ben tre mesi dopo l'uscita europea. Curiosamente, oltre all'artwork e l'ordine della tracklist sensibilmente diversi, la versione rilasciata in Europa presentava una traccia in più rispetto a quella americana, nella fattispecie "Little Rich Boy". Il cambio di vocalist da sempre ha generato scompiglio fra i fan, risultando talvolta disastroso, vedi Queen, talvolta sorprendente, vedi Marillion, talvolta addirittura migliore, vedi Iron Maiden. Quindi, essendo tutti curiosi, è giunto di inserire nel nostro lettore l'attesissimo nuovo CD degli Asia, dall'affascinate titolo "Aqua" e vedere come si disimpegnerà il nuovo arrivato John Payne nell'ardua impresa di rimpiazzare la leggenda John Wetton, con il quale in comune ha solo il nome di battesimo, visto che le due timbriche vocali possono considerarsi diametralmente opposte; romantica ed avvolgente quella dell'Ex King Crimson, calda, accattivante e piacevolmente sporca quella del nuovo frontman.
Aqua Part 1
Per la prima volta nella loro carriera gli Asia aprono un disco con un brano strumentale, nella fattispecie firmato dal trio Howe-Payne-Downes. Il rilassante rumore delle onde che si infrangono sulla battigia apre "Aqua Part 1". Gli effetti acquatici di Downes si mischiano al rilassante rumore che possiamo assaporare in riva al mare e all'inconfondibile canto del gabbiano. Si respirano aria salmastra e atmosfere new age. L'avvolgente pad di tastiera ci catapulta in un mondo sommerso circondando con un'aura le scintillanti note della chitarra acustica del figliol prodigo Steve Howe. Il Chitarrista di Holloway di perle acustiche ne ha composte molte in carriera, sia con gli Yes che da solista, per non parlare dello spagnoleggiante cameo da brividi su "Innuendo" dei Queen. Ma le sue escursioni sulla chitarra acustica hanno quasi sempre emanato sentori barocchi che ci catapultavano indietro nel tempo, qui invece il nostro esce dai binari, le gelide e cristalline note generano una melodia lorda di tristezza che ci avvolge e ci accompagna in un fantastico mondo sommerso. Dal castello di tastiere fuoriescono spettrali note che si fondono perfettamente con quelle della chitarra acustica, valorizzandone ulteriormente la bellezza. Steve Howe ci fa letteralmente sognare ad occhi aperti; in poco più di due minuti è riuscito a farci capire quanto sia mancato a noi, ma soprattutto agli Asia. Bentornato!
Who Will Stop The Rain?
Gli Asia ci tenevano a presentare il nuovo frontman al pubblico e lo fanno con il brano migliore del lotto, dall'evocativo titolo "Who Will Stop The Rain? (Chi Fermerà La Pioggia?)", dove i nostri mixano perfettamente nozioni di progressive all'hard rock, miscelate perfettamente grazie a certosini arrangiamenti ed una produzione praticamente perfetta. Le origini del brano sono ben più lontane del 1992 e risalgono alla fine degli anni '80, quando Geoff Downes era intenzionato a dar vita ad un progetto musicale denominato "Rain", dove fra i tanti musicisti coinvolti vi erano Michael Sturgis, John Payne e Max Bacon. Infatti, potete trovare una versione alternativa del brano intitolata "Who Can Stop The Rain" sull'album "From The Banks Of The River Irwell" di Max Bacon. Downes ha scritto il brano insieme al cantautore britannico Johnny Warman che nel 1981 raggiunse l'apice del successo con l'album "Walking Into Mirrors" e a Jane Woolfenden, compositrice moglie del celebre compositore e direttore d'orchestra Guy Woolfenden. Dopo un avvolgente introduzione di tastiera, il brano esplode grazie al ridondante pattern di tastiera, bombardato dai taglienti riff sparati da Al Pitrelli. Purtroppo, nel bellissimo booklet di "Aqua", fra le tante informazione manca quella che ci svela chi suoni la batteria sui vari brani, visto che oltre a Palmer troviamo altri batteristi ospiti. Sta a noi riuscire ad individuare chi sia l'interprete, basandoci su notizie più o meno attendibili captate in qua e là attraverso vecchi articoli su riviste ingiallite o interviste trovate a fatica in rete. In questo caso, viste le origini del brano ed il raffinato drumming dal quale ogni tanto emerge il caratteristico controtempo sul charleston, gli indizi porterebbero verso Michael Sturgis, il problema è che il drummer americano però non viene citato nei crediti ma solo ringraziato assieme ad altri colleghi. Ben consci che non siamo in grado di risolvere questo arcano mistero, torniamo al brano in questione, che dopo un ritornello strumentale mette in mostra il nuovo frontman. John Payne si presenta ai nuovi fan senza timore con una linea vocale aggressiva e vincente, con intelligenti liriche ambientaliste caratterizzate da licenze poetiche che non cadono mai nel banale. Non siamo di fronte ad un ritornello facilmente assimilabile ma comunque di grande effetto, dove vengono affrontati in maniera intelligente questioni ambientali. Nella strofa, un leggiadro pattern di tastiera trasporta le scintillanti note della chitarra acustica di Howe, Payne ci dice che non dobbiamo biasimare Madre Natura, se di tanto in tanto si ribella con le potenti armi che ha a disposizione, come precisa nel travolgente inciso, "Who tells the wind which way to blow? I wonder who will stop the rain (Chi dice al vento da che parte soffiare? Mi chiedo chi fermerà la pioggia)" sono significativi versi che evidenziano l'impotenza dell'uomo di fronte ad una Natura incazzata, dove solo i vecchi saggi hanno l'umiltà di alzare le mani e chiedere perdono. Un breve stacco strumentale vede protagonista le tastiere e il brillante drumming, le cui raffinate evoluzioni sul charleston ci portano nuovamente dritti verso Michael Sturgis. Familiarizzando con la strofa, possiamo apprezzare il grande lavoro che Geoff Downes ha fatto in fase di produzione. La chitarra acustica di Howe e quella elettrica di Pitrelli vanno perfettamente a braccetto come una coppia di novelli sposi. Un altro passaggio dell'inciso e poi al minuto 02:23 Steve Howe sale sul trono e ci delizia con un incredibile assolo con la chitarra acustica. Dopo la solare interpretazione dell'Ex Yes, sul brano piomba l'oscurità. Basso e batteria fanno il minimo indispensabile, le tastiere avvolgono i raffinati intarsi dei due chitarristi. Significativi i versi dell'ultimo ritornello, dove il ciclico pattern di tastiera colora parole di stima nei confronti di chi da anni combatte per il bene del Pianeta portando avanti ideali ambientalisti. A seguire uno straziante assolo di Al Pitrelli. La chitarra sembra piangere di fronte allo scempio dell'uomo nei confronti della Natura. Nel finale, lo strumming acustico di Howe apre i cancelli ad un inquietante canto tribale. Solitamente i pellerossa erano soliti invocare la piaggia con le colorate e caratteristiche danze, qui invece invocano la Natura di farla cessare. Come diceva qualcuno, non può piovere per sempre. Tanto di cappello ai nuovi Asia, che si presentano al pubblico con una brillante nuova veste che per ora non tradisce le origini del gruppo e le aspettative dei fan. Nell'Agosto del 1992 il brano fu lanciato come singolo, ma il poco supporto da parte della casa discografica, che non finanziò neanche il videoclip, lo fece far passare nel dimenticatoio dopo qualche mese.
Back in Town
Si continua con "Back in Town (Tornato In Città)", brano firmato Downes-Payne il cui titolo rievoca un classicissimo dei Thin Lizzy. Si tratta indubbiamente del brano meno Asia dell'intero lotto, in quanto i nostri si avvicinano timidamente alle calde sonorità del Delta del Mississippi, con un rock blues che sembra fatto apposta per la calda voce di John Payne. Nonostante la mia allergia verso le sonorità blues, il brano comunque non mi dispiace, anche se è doveroso sottolineare che la traccia precedente era di un altro pianeta. Avrei preferito incontrarla più avanti, giustamente nella versione americana, questa traccia la troviamo alla posizione numero otto. Steve Howe apre con un classicissimo fraseggio blues eseguito con la tecnica dello slide su chitarra acustica, sporcato dal rombo di una moto, probabilmente una Harley Davidson, visto il contesto musicale del brano e le prime righe delle liriche che descrivono una moto rombante diretta verso il centro della città, trasportate dal blueseggiante riffing di Al Pitrelli e dal brillante drumming si Simon Philips. Downes riempie gli spazi con un azzeccato tappeto d'organo. Attraverso una grintosa linea vocale, la voce piacevolmente sporca di Payne ci presenta un ragazzo che sta tornando verso le luci della città, a bordo della sua moto, con il suo inseparabile casco della Steel Birds, un ragazzo che era fuggito dal frenetico e stressante ritmo di vita metropolitano, cercando di trovare la pace in qualche aperta campagna, come svelano gli indizi della seconda strofa, quando Payne cita una vecchia pellicola cinematografica muta risalente al 1923 intitolata "Main Street", diretta dal regista britannico Harry Beaumont, pellicola che vede appunto protagonista una ragazza di città pieni di interessi culturali e artistici che va a vivere in provincia, Ben presto, delusa e annoiata dalla vita sociale retrograda della piccola cittadina cerca di coinvolgere gli abitanti con qualche iniziativa volta ad alzarne il livello intellettuale e culturale, incontrando, però, la resistenza di tutti gli abitanti. Un articolato fil di batteria apre le porte all'inciso, che si muove sempre attorno al classico giro rock blues, con il caldo riffing di chitarra che scozza con il vetusto organo Hammond. Il cattivo ragazzo è tornato in città, recita John Payne, ma è rimasto deluso da ciò che ha trovato, in città regna ancora la menzogna, e l'amore si identifica negli squallidi locali caratterizzati dei fluorescenti neon rosa come ci dice il nostro nella strofa successiva. Dopo un secondo passaggio dell'inciso troviamo un rocambolesco interludio strumentale, dove gli strumenti seguono in maniera omofona le evoluzioni ritmiche di Simon Philips. È l'apripista al caustico assolo di chitarra che rievoca il blues rock degli ZZ Top. Le acide note della sei corde di Al Pitrelli seguono lo scolastico giro pulsante di basso tipicamente blues. I solari fiati sparati da Geoff Downes evidenziano i taglienti e rivoluzionari versi che recitano "If there's escape from your illusion, you gotta break the whole constitution.( Se c'è via di fuga dalla tua illusione, devi infrangere l'intera costituzione)", versi che sottolineano che per l'umo è assai difficile trovare il Paradiso in maniera ortodossa. I nostri ci accompagnano verso l'epilogo con il trascinante ritornello, salutandoci con un breve ma rocambolesco passaggio all'unisono.
Love Under Fire
"Love Under Fire (Amore Sotto Il Fuoco)" è un elegantissima ballata di forte atmosfera risalente al 1989, nata dalla collaborazione di Geoff Downes e Greg Lake. Purtroppo, all'epoca, i due non riuscirono stranamente a firmare un contratto discografico con nessuna etichetta. Alcuni brani, come questo, li ritroveremo riarrangiati in qua e là sulla discografia Asiatica, mentre "Affairs of the Heart'" troverà giustizia sempre nel 1992 sull'album "Black Moon" degli ELP. Per fortuna, nel 2015, la Manticore pubblicherà finalmente la preziosa collaborazione fra Lake e Downes con il titolo che all'epoca era previsto dai due, "Ride The Tiger", dove ritroviamo le sei tracce originali più una versione alternativa di "Love Under Fire", dove l'ex King Crimson Michael Giles suona la batteria, sostituendo con successo le fredde sonorità della drum machine, presente tra l'altro su tutto il resto dell'album. Senza ombra di dubbio, rispetto alla versione originale, la chitarra di Al Pitrelli ed il raffinato drumming di Simon Philips donano una nuovo elegante abito da sera alla canzone, rendendola ancor più bella ed emozionante. Le orientaleggianti tastiere di Downes aprono la strada a John Payne, che pur mettendoci del suo, non stravolge l'interpretazione originale che fu di Greg Lake. Da brividi il pattern di pianoforte che fa salire il brano, evidenziando l'hook "C'est la vie". Avevo già notato una evidente maturazione del songwriting asiatico con la travolgente "Who Will Stop The Rain?". Da sempre gli Asia ci avevano abituato alla classica alternanza prettamente pop strofa-bridge-ritornello, specie nei brani più soft. Ora invece la scrittura si fa più interessante, le nuove composizioni mixano perfettamente la strofa con il ritornello discostandosi sovente da uno schema ricorrente. Le accattivanti melodie scorrono in maniera fluida, sovente non è facile individuare l'inciso, se non dalle liriche. Sicuramente questa caratteristica è dovuta in primis dall'apporto compositivo del nuovo arrivato in casa Asia, ma anche dalle minore dittatura della casa discografica, una etichetta indipendente non riesce ad esercitare la medesima pressione sull'artista che aveva la Geffen di turno. Dopo circa un minuto dove siamo stati incantati dalle avvolgenti atmosfere delle tastiera, un grintosa corsa sulle pelli di Simon Philips fa esplodere il brano. Le fanfare di Downes anticipano la strofa, dove brillano gli oscuri accordi di pianoforte che delineano la linea melodica. Nell'avvolgente marea di note che fuoriesce dal castello di tastiere, possiamo individuare raffinati intarsi di chitarra, difficile stabilire se siano di Howe o di Pitrelli. Le liriche, per chi scrive l'unico punto debole della canzone, continuano ad evidenziare la potenza dell'amore attraverso licenze poetiche assai meno profonde ed interessanti rispetto ai brani precedenti, una passione focosa che neanche una fortissima e gelida pioggia è in grado di spegnere. Circa a metà brano troviamo una stupenda versione dell'inciso, dove le tastiere trasportano le suggestive armonie vocali che recitano "Love Under Fire", prima che Al Pitrelli ci provochi una buona dose di brividi con un assolo strappa mutande. Se pur breve, melodico ed emozionante l'assolo è da manuale del chitarrista perfetto. Il brano scorre via piacevolmente, trascinato dalle evoluzioni ritmiche di Mr. Philips, colorate dal basso di Payne, che ben si disimpegna con profondi glissati e pungenti fraseggi. Downes dà il meglio di sé, le sue tastiere emanano forti vibrazioni inondandoci con quelle emozioni che solo la musica di gran classe sa dare. Un suadente "C'est la vie" ci fa intuire che dopo circa quattro minuti il brano è giunto all'epilogo, ma un sontuoso fil di batteria riaccende il brano, Payne urla ai quattro venti "Love Under Fire" e fa risorgere il brano come una fenice. Emozionati armonie e controcanti vengono magicamente trasportati dalla magia della musica. Le bellissime note del pianoforte di Downes ci prendono per mano e lentamente ci accompagnano verso l'epilogo, sfumando molto lentamente in fader. Bravi.
Someday
Passiamo a "Someday (Un Giorno) altro brano firmato Geoff Downes-Johnny Warman risalente alle sessioni demo di "Rain", e guarda caso presente anche sul già citato disco di Max Bacon. Nella prima parte del brano siamo lontani dal classico sound Asiatico e vicini a quell'hard rock melodico che imperversava alla fine degli anni Ottanta, come si evince dal riff portante di basso e chitarra che si muovono all'unisono, poi con il passare dei minuti, le tastiere di Downes e la chitarra acustica di Howe imprimono il marchio Asia in maniera indelebile. Sicuramente siamo di fronte al brano più hard mai composto dai nostri, il fatto che inizialmente si allontani dalle vecchie sonorità della band non significa affatto che siamo di fronte ad un brano scadente, anzi, la canzone ha ottime potenzialità e le ostenta senza indugi, lo dimostra anche il fatto che in futuro sarà spesso presente nelle scalette live. Dopo aver familiarizzato con il riffing portante, vagamente Sabbathiano, le tastiere di Downes addolciscono l'atmosfera ed accolgono la calda voce di John Payne, irreparabilmente ammaliato da una ragazza, tanto da non sognare nessun'altra donna e da non immaginare un Mondo privo di lei. Le registrazioni embrionali del brano vedevano Michael Sturgis dietro al drum set, è molto probabile che siano state usate le medesime incisioni. Escludo a priori Palmer e Philips, al massimo potrebbe trattarsi di Nigel Glockler ma opto per la prima ipotesi. Arriva l'inciso, tastiere e chitarra colorano una pomposa armonia vocale che grida "Someday", John Payne ostenta tutti i suoi timori di perdere la ragazza in un giorno futuro. Breve stacco strumentale con un paradisiaco pattern di tastiera ricamato da strazianti fraseggi di chitarra e poi ritorna la strofa, caratterizzata da power chords che riprendono il potente riff portante. Dopo un secondo passaggio dell'inciso, calano i bpm, tastiera e chitarra si intrecciano magicamente annunciando lo special, dove si sale di qualche tono e dove brillano le pompose tastiere di Downes. Payne con i sogni si è costruito un mondo tutto suo, dove ha sempre la sua amata al proprio fianco. Al minuto 02.32 fa il suo ritorno il riff portante, inseguito da oscuri ruggiti di tastiera che sembrano usciti dalle fauci di una mostruosa creatura Lovecraftiana. Fiammate di tastiera ed un bel fraseggio di basso fanno calare nuovamente la quiete, si respirano atmosfere rilassanti grazie alle paradisiache tastiere e alle delicate trame della sei corde acustica di Steve Howe. Geoff Downes fa un grande lavoro con le tastiere, luccicanti suoni svolazzano leggiadri, mentre pompose trame rievocano il glorioso passato della band. Spettrali "Someday" aleggiano come fuochi fatui, poi con un grintoso vocalizzo Payne apre i cancelli ad Al Pitrelli, che ci incanta con un sontuoso assolo lordo di tecnica, melodia e mestizia lasciando poi il campo all'inciso, che colorato da epiche trame di tastiera ci accompagna verso il finale, dove troviamo Steve Howe che ci delizia con una dolcissima trama con la sua inseparabile chitarra acustica, trama che purtroppo evapora fin troppo presto in fader, lasciandoci con l'amaro in bocca.
Little Rich Boy
La successiva "Little Rich Boy (Ragazzino Ricco)" è il brano che la Great Pyramid aveva volutamente escluso dalla track list della versione rilasciata per il mercato a stelle e strisce, il che non è sinonimo di brutta canzone. È probabile che i vertici della Great Pyramid abbiano trovato inopportuno il riferimento Marxista "Don't read Marx ( Non leggere Marx)" con cui inizia John Payne, ma questa è solo una mia umile ipotesi, suggerita dal fatto che musicalmente parlando è il brano più "americano" dell'intero lotto, brano che ostenta un pomposo e potente sound AOR che sembrava fatto apposta per il mercato degli Stati Uniti. Geoff Downes apre con un sibillino pattern di tastiera che sembra uscito dalla colonna sonora di uno slasher movie, poi con il potente drumming di Simon Philips il brano decolla, spinto dall'aggressivo riff portante sparato da Al Pitrelli. La strofa è ben strutturata, gli accordi della chitarra seguono la strada ben delineata dal pulsante giro di basso, Payne ci parla di un ricco figlio di papà, che crede di avere il Mondo ai suoi piedi, grazie alla forza economica che ha dietro le spalle. L'atteggiamento spavaldo e spocchioso irrita John Payne, che lo avverte dicendo che si può perdere una mano quando diamo da mangiare ad uno squalo. Gli avvertimenti continuano nel travolgente ritornello, dove in un mare di power chords e pungenti scale di basso, le sibilline note della tastiera brillano come lame scintillanti nel buio. Il cantato si fa più aggressivo nella strofa successiva, Payne vomita tutto il suo disprezzo verso gli spocchiosi ragazzini benestanti, nelle loro vene scorre quel sangue che gli ha permesso di avere un potere economico che gli mette ai vertici più alti della piramide, ma ricercate licenze poetiche mettono in guardia i classici figli di papà, talvolta persino un diamante può rompersi. Dopo un altro passaggio dell'inciso cala l'intensità. Le vetuste trame dell'organo e oscuri fraseggi di basso sollevano le pompose tastiere di Downes che sembrano giungere direttamente dai primi anni Ottanta. A seguire Al Pitrelli ci sorprende con un riff di Angussiane memorie, ma ad emergere è il raffinato lavoro di Mr. Simon Philips che con classe dà il via ad un crescendo Mozartiano che culmina con Al Pitrelli che spara il metallico riff portante in solitario. Si continua con l'inciso, che lentamente ci accompagna verso l'epilogo, impreziosito da cori, graffianti fraseggi di chitarra e da un grande lavoro alle quattro corde da parte di Payne. Il brano sfuma lentamente in fader, ma come se ne era andato, ritorna gradualmente, risorgendo in fader come una fenice. Simon Philips trascina tutti dietro con un micidiale tappeto di doppia cassa. Downes si sostituisce alla chitarra, perché Al Pitrelli è impegnato in un travolgente assolo. Mai gli Asia si erano avvicinati all'Heavy Metal come in questi ultimi frangenti di brano. In chiusura Al Pitrelli colora il suo assolo con il Talk Box, effetto reso famoso da Richie Sambora con i Bon Jovi a metà degli anni '80 ma che ha origini ben più lontane che risalgono al 1969. I primi ad usarlo furono Peter Frampton nel 1973 sul brano "Do You Feel Like We Do" successivamente poi l'innovativo effetto fu utilizzato da Pete Townshend degli Who e da Joe Perry degli Aerosmith, fino ad arrivare ai Bon Jovi, che ne hanno fatto un loro marchio di fabbrica. Se pur ricevendo una tiepida accoglienza, nel 1993 "Little Rich Boys" fu rilasciato come singolo per il solo mercato tedesco (?), accompagnato dalle versioni live della medesima e di "Love Under Fire", registrate al Town & Country Club di Londra il 10 Novembre del 1992.
The Voice of Reason
Se cercavate un brano che si ricongiungesse alle sonorità progressive degli esordi, eccovi accontentati. "The Voice of Reason (La Voce Della Ragione)" è un'intensa ballata che vede insieme a John Payne i tre moschettieri originali Howe, Downes e Palmer, e questo dovrebbe essere un buon indizio che ci porta dritti ad uno dei migliori brani del platter. Steve Howe apre il brano con un affascinate mix di chitarra acustica, mandolino e dobro, la caratteristica chitarra ideata dai fratelli Dopyera con la loro azienda "Dobro Manufacturing Company". Si tratta di una chitarra resofonica dal suono particolare, simile a quella che troviamo nella celebre copertina di "Brothers In Arms" dei Dire Straits. Le atmosfere barocche riescono a portarci indietro nel tempo come solo Steve Howe sa fare, accogliendo ben presto la calda voce di John Payne che ci parla di una complicata relazione sentimentale attraverso profonde licenze poetiche di gran classe. Come spesso accade, nessuno riesce a guadagnare qualcosa da una lite, che potrebbe perdurare a lungo se uno dei due non inizia a ragionare e a tornare sui propri passi, come canta Payne nell'inciso, colorato dagli struggenti lamenti della steel guitar. "So how did I, Oh I Give you reason? (Come ho fatto, Oh io, ti ho dato ragione?)". Le leggiadre e cristalline trame acustiche continuano ad incantarci accompagnando il nuovo frontman che si dimostra abile anche con la penna, cantando versi che sembrano usciti da un libro di prose per sottolineare che oltre alle liti, la coppia ha vissuto momenti felici. Le solari trame del mandolino spingono Payne in alto nello special, dove le liriche si fanno molto profonde, prima che l'inciso chiuda questi intensi primi tre minuti totalmente acustici. Un pad angelico di tastiera sembra scendere giù dritto dal Paradiso e con un crescendo rossiniano fa decollare il brano. Il drumming incisivo di Palmer ben colorato dal basso si miscela splendidamente alle avvolgenti tastiere di Downes. Spinto dall'energia della musica, il cantato si fa più incisivo, tra le righe traspare rassegnazione e redenzione, si cerca di salvare la situazione prima che la relazione amorosa vada perduta per sempre. Da brividi il ritornello nella sua nuova veste, dove brilla un ammaliante pattern di tastiera che si fonde perfettamente con le spettrali armonie vocali. Dopo un altro passaggio di strofa e ritornello arriva quella che per chi scrive e la parte migliore del brano, una coda strumentale che rivendica i fasti degli esordi, dove Downes domina dall'alto del suo castello di tastiere e che a mio avviso andava sfruttata molto meglio, ma che aimè sfuma fin troppo presto. Abbiamo ascoltato il brano "più Asia" di "Aqua".
Lay Down Your Arms
Si cambia decisamente atmosfera con "Lay Down Your Arms (Metti Giù Le Tue Armi)", un raffinato brano AOR che grazie al suo ritornello vincente poteva anche essere sfruttato come singolo. Downes e Payne firmano la canzone insieme a Greg Hart, chitarrista inglese co-fondatore del gruppo pop rock britannico Cats in Space. La canzone, comunque, la sua gloria è riuscita a trovarla, finendo nella colonna sonora del film d'animazione "Freddie as F.R.O.7", noto anche come "Freddie The Frog", che vede come protagonista un simpatico ranocchietto verde nelle vesti del James Bond di turno. Purtroppo, la pellicola scritta, prodotta e diretta da Jon Acevski che si preannunciava come la più colossale produzione cinematografica d'animazione britannica, è passata alla storia come il film d'animazione con il minor incasso ai botteghini dell'intera storia del cinema. La leggenda narra che Jon Acevski chiese agli Asia di modificare appositamente per la pellicola il ritornello, aggiungendo il nome "Freddie", ma John Payne per fortuna declinò gentilmente l'invito. Downes apre le danze con un avvolgente pad di tastiera che accogli una bella trama di pianoforte, ricamata da pungenti fraseggi di basso. Le liriche mixano l'ambientalismo ai problemi sociali dell'essere umano, che con il tempo ha deturpato quello che in origine era un vero e proprio paradiso, mettendo a repentaglio l'esistenza di tutta la razza umana. Industrializzazione, rispetto per l'ambiente e le guerre finiscono nel mirino di John Payne quando il brano decolla, grazie all'ingresso in scena di Nigel Glockler, drummer preso in prestito dai Saxon. Al Pitrelli tira fuori dal cilindro un magnetico riff di chitarra che ricorda vagamente quello di "Money For Nothing" e qualche storico fraseggio di Eddie Van Halen. Arriva l'esplosivo ritornello dove tastiera e chitarra colorano l'invito a gettare le armi ed alzare bandiera bianca, prima che Madre Natura si arrabbi per davvero. Al secondo passaggio possiamo apprezzare la brillantezza della strofa, dove vengono evidenziati tutti i peccati dell'umanità che oscurano l'aria che respiriamo, mentre ai piani alti i guerrafondai cercano di nascondere guerre nel nome del dio denaro. Il ritornello funziona, i nostri lo sanno e lo sfruttano a dovere, prima di arrivare allo special, dove organo e chitarra colorano versi semplici ma significativi che meritano di essere citati per esteso "Too many promises. Too may tears. Where does the future lie. If we burn away the years (Troppe promesse. Troppe lacrime. Dove sta il futuro se bruciamo gli anni)" versi che poeticamente raccolgono in un solo colpo tutti i mali dell'umanità. A seguire un pomposo ed ottantiano assolo di tastiera rivendica il glorioso passato della band. Con un ultimo passaggio di strofa e ritornello, gli Asia ci invitano ad impegnarsi a rendere il Mondo migliore, così come era nato prima che l'uomo lo rovinasse. Una breve coda strumentale dove emergono vocalizzi e brillanti fraseggi di pianoforte ci accompagna verso l'epilogo.
Crime of the Heart
"Crime of the Heart (Il Crimine del Cuore)" è un'altra passionale power ballads strappamutande firmata da Geoff Downes e Johnny Warman, dove John Payne dà il meglio di sé dietro al microfono. Una triste e piagnucolante trama di violino che sembra provenire dal passato apre il brano, purtroppo, nei crediti non viene menzionato il musicista che per quattordici secondi ha avuto il suo momento di gloria. I melensi accordi di pianoforte, trasportati da un angelico pad di tastiera, ci lasciano intuire ben presto che tipo di brano ci attende, un brano che è lontano dal tipico sound asiatico, ma che grazie alla certosina e pomposa produzione, riesce a far breccia nel cuore dell'ascoltatore. John Payne segue le impronte lasciate da Geoff Downes, la sua suadente linea vocale strappalacrime abusando di profonde licenze poetiche ci parla di quanto sia dolorosa una delusione amorosa, i colorati sogni d'amore vengono tramutati in gelide statue di ghiaccio. Pianoforte e voce danno vita ad un crescendo rossiniano, Carl Palmer (presumo dallo stile) con un potente fil di batteria, evidenziato da una esasperata produzione, annuncia l'inciso, potenziato dai power chords sparati da Al Pitrelli, inseguiti da luccicanti note di tastiera che ricordano falene mentre svolazzano intorno ad una fonte di luce artificiale. Una sua ex, è stata ripagata con la stessa moneta dal nuovo amante, che l'ha tradita, abusando della fiducia a tutto tondo della ragazza. Ma Payne non porta rancore nei confronti della ragazza, anzi soffre a vederla distrutta, perché come dice nel pomposo ritornello, niente colpisce più duramente di un crimine del cuore. Nella strofa successiva, colorata dal basso, la grancassa pulsa come un cuore ferito che galleggia sulle melanconiche trame della tastiera. Payne interpreta magistralmente ogni singolo secondo del brano, come se le profonde righe del testo provengano da un angolo remoto del cuore. Raffinati lamenti della chitarra fanno crescere il brano, stavolta Palmer si contiene ed il suo fil è assai più blando del precedente. I nostri sembrano credere nelle potenzialità del ritornello dopo un passaggio ce lo propongono in una nuova veste, impreziosita da fraseggi di chitarra, ancestrali armonie vocali, fil di batteria e strazianti vocalizzi di Payne, il cui ultimo "Crime Of The Heart" si fonde magicamente con le note dell'assolo di Mr. Pitrelli, sempre perfetto quando si tratta di assoli che prevedono un massiccio uso di melodia. Il nostro tira fuori dal cilindro una esecuzione praticamente perfetta, arrivandoci dritto al cuore. Le tristi note della chitarra se pur in maniera più pacata, continuano nella parte finale del brano, svolazzando intorno alle avvolgenti armonie vocali, che lentamente ci accompagnano verso gli ultimi istanti del brano, dove a salutarci sono le melanconiche note del pianoforte.
A Far Cry
La successiva "A Far Cry (Ben Lontano)" è uno dei miei brani preferiti dell'album, dove i nostri hanno disseminato piccoli hook musicali e lirici in qua e là che insieme alla certosina produzione rendono incredibilmente magnetica la canzone, dove anche se in maniera più attuale per l'epoca, riusciamo a respirare il frizzante sound degli esordi. Downes e Payne firmano il brano insieme a Greg Hart e Bob Mitchell, produttore discografico, compositore ed arrangiatore italiano, meglio conosciuto alla anagrafe come Augusto Martelli. Il rilassante rumore delle acque del mare anticipa le epiche tastiere di Downes, ricamate solennemente in maniera quasi omofona dalla chitarra di Al Pitrelli. Il brano cresce in maniera esponenziale, la gran cassa pulsa e spinge i tetri accordi del pianoforte fino all'esplosione della strofa, dove troviamo subito l'hook "In the dead of the night On the wings of the wind, i hear the ocean bell (Nel cuore della notte. Sulle ali del vento, sento la campana dell'oceano)", frasi facilmente assimilabili anche da chi non mastica bene la lingua di Albione. La linea vocale è di quelle che ti entrano subito in testa, e le taglienti sottolineature che fa Al Pitrelli con la sei corde, possono considerarsi altrettanti succulenti hook. Le ambigue righe partorite dalla penna di Payne, prive di indizi cristallini ci aprono due strade, una è quella amorosa, ma sinceramente ne abbiamo fin sopra i capelli. L'altra potrebbe essere quella che porta verso un uomo che nutre una profonda nostalgia dopo aver lasciato la sua terra natale per chissà quale ragione. Il magnetico richiamo della natura la sta richiamando prepotentemente. La strofa scorre bene, trascinata dallo spensierato drumming che presumo sia opera di Nigel Glockler. La chitarra fa crescere il brano con l'avvento del bridge, dove John Payne esagera rasentando l'istrionismo. Nell'inciso pianoforte tastiera e chitarra vengono ben amalgamate dalla puntigliosa produzione, ma a brillare è una corale armonia vocale che recita "A Far Cry" a cui fa eco Payne esternando tutta la nostalgia provocato dall'irresistibile richiamo della madre patria. Taglienti fraseggi di chitarra ci riportano verso la strofa, che stranamente mi attrae più dell'inciso. Dopo un altro passaggio di bridge e ritornello, il brano si spegne improvvisamente. Un vellutato tappeto di tastiera accoglie Steve Howe, che ci incanta con un bellissimo assolo con la chitarra acustica. Le tristi note ci provocano una buona dose di brividi, grazie all'incredibile esecuzione che ostenta classe e tecnica da tutti i pori. Chapeau. Chitarra e batteria iniziano a pompare facendo crescere il brano in maniera vertiginosa riportandoci al grintoso bridge. Dopo un ultimo passaggio del ritornello arriva una stupefacente coda strumentale che possiamo considerare fra le cose più interessanti dell'intero lotto. Geoff Downes rivendica prepotentemente il passato del super gruppo albionico con un epico assolo di tastiera, colorato da spettrali armonie vocali. Arriva Al Pitrelli che si unisce alle tastiere dando vita ad un vero e proprio inno che ci accompagna in maniera trionfale verso l'epilogo. Brividi. Strano che il brano non sia stato sfruttato come singolo perché ne aveva tutte le potenzialità.
Don't Call Me
La successiva "Don't Call Me (Non Chiamarmi)" è un brano firmato Downes-Warman, ma non fatevi ingannare, nonostante nelle note non venga specificato, non si tratta di una composizione inedita, bensì di una rivisitazione in chiave Asiatica di un vecchio brano dello stesso Johnny Warman datato 1984 e presente come b-side del singolo "Beat Patrol". La versione originale sposava in pieno il pop ottantiano contaminato dalla new wave, un brano in stile Alphaville per intendersi, con molta elettronica e ammalianti linee vocali, caratterizzato da una strofa mid tempo e da un ritornello assai più ritmato. La rivisitazione Asiatica ideata da Geoff Downes invece punta dritta verso una ballata di forte atmosfera che sfrutta al massimo le capacità vocali di John Payne. I nostri sono riusciti con una disarmante facilità a rendere loro un vecchio brano pop rock degli anni '80, confezionando un ottimo prodotto capace di ingannare l'ascoltatore meno attento che facilmente può scambiarlo per l'ennesimo ottimo brano made in Asia. Il classico brusio di una stazione ferroviaria o di un aeroporto apre il brano, qualcuno sta componendo un numero ad un telefono pubblico, e i suoni in sequenza dei tasti premuti scimmiottano simpaticamente la sempiterna linea melodica di "Heat of The Moment". Un'arcana nebbia s'innalza dal castello di tastiere e va avvolgere la calda e suadente voce di John Payne, che ci parla di una storia d'amore finita male a causa di tradimenti ed inganni. L'uomo non ha preso affatto bene la rottura del rapporto, tanto da imbarcarsi su un volo e fuggire il più lontano possibile, cercando di dimenticare la forte delusione che ha lacerato profondamente il suo cuore. La linea vocale è di quelle vincenti e colorata dalle tastiere di Downes ci trasporta piacevolmente dritti al coinvolgente ritornello. I potenti power chords sparati da Al Pitrelli inseguiti da epiche tastiere valorizzano al massimo l'inciso, che si limita ad un banale ma funzionale "Don't Call Me, Don't Call Me, No More (Non Chiamarmi, Non Chiamarmi, Non Più)". Senza ombra di dubbio, la nuova versione Asiatica dell'inciso risulta assai più magnetica rispetto all'originale. La strofa successiva è ben ritmata da Nigel Glockler (credo) e dal pulsante basso di John Payne, che ci dice che nonostante l'impegno e gli sforzi, per l'uomo è molto difficile dimenticare la storia, i due hanno passato troppo tempo insieme, impossibile credere che tutto sia finito. Geoff Downes fa un grande lavoro con le tastiere sia nella strofe che nei ritornelli, che piano piano riescono ad insinuarsi nella nostra testa. Al minuto 03:16 Al Pitrelli attira la nostra attenzione con un oscuro e melanconico assolo di chitarra, le sue note emanano sentori di disperazione e si sposano perfettamente con lo stato d'animo del protagonista. Dopo un ultimo passaggio di strofa e ritornello, la chitarra di Pitrelli mette il sigillo sul brano, salutandoci con un breve ma intenso assolo eseguito come sempre in maniera impeccabile.
Heaven On Earth
Si va avanti con "Heaven On Earth (Paradiso Sulla Terra)" un'altra power ballad di pregevole fattura interpretata magistralmente da John Payne, che la firma a quattro mani assieme al musicista britannico Andy Nye, che vanta numerose collaborazioni in ambito rock, fra le quali spicca quella con Michael Schenker Group. I due, nel 2009 pubblicheranno un album sotto il nome di John Payne & Andy Nye, intitolato "The Passion", riproponendo il lavoro scaturito da una vecchia collaborazione avvenuta nel decennio precedente. L'introduzione thrilling di tastiera di Downes è di forte atmosfera ed avvolge magicamente l'incipit di John Payne, molto poetico e profondo che ci descrive le emozioni dovute ad una intensa relazione amorosa. Da brividi il bridge e l'inciso, interpretati magistralmente da Payne che sfrutta al meglio il grande lavoro tastieristico di un ispiratissimo Geoff Downes. L'amore della donna ha portato il paradiso sulla Terra, Payne non riesce ad immaginare un futuro senza di lei. Le sibilline note della tastiera ed un pastoso accordo di chitarra seguito da un glissato di basso fanno esplodere il brano. Qui ho pochi dubbi su chi sia seduto dietro al drum set, il potente drumming ci dice che è sicuramente Carl Palmer. Con l'apporto della sezione ritmica e della chitarra elettrica, il bridge e l'inciso sono molto più intensi e magnetici, l'energia della musica obbliga John Payne ad incattivire la linea vocale, esplodendo poi nel ritornello, dove mette bene in mostra le sue notevoli capacità canore. Intorno al minuto 02.45 un oscuro limbo spezza in due il brano. Le oscure tastiere di Downes creano una buona dose di tensione; dal Paradiso gli strumenti ci catapultano in un girone dell'Inferno, effetti spaziali di tastiera, grida lorde di terrore, strazianti note di chitarra e tetre pennate di basso creano un'oscura e terrorizzante atmosfera, dove brillano i magici tocchi di Palmer sul suo set di piatti. Finalmente arriva un breve fraseggio di chitarra che ha lo stesso effetto di un timido raggio di Sole durante un forte temporale. Carl Palmer, con una scolastica ma efficace corsa sulle pelli sporcata da uno strano effetto spazza prepotentemente via le malsane atmosfere che ci hanno terrorizzato per oltre un minuto, annunciando il travolgente assolo di Al Pitrelli. Le note sparate dall'Axeman Newyorkese spaziano con una naturalità disarmante da passaggi melodici a funambolici fraseggi dai sentori hard'n'heavy, accompagnandoci piacevolmente verso un ultimo passaggio di bridge e ritornello.
Aqua Part II
L'album si conclude come era iniziato, ossia con un brano strumentale intitolato "Aqua Part II" firmato Downes-Payne, che i con l'opener ha in comune solo il titolo. Purtroppo, non ritroviamo le magiche note della chitarra acustica di Steve Howe, qui il protagonista assoluto è Geoff Downes, che apre con effetti acquatici che sposano perfettamente il titolo del brano. Lentamente prendono piede le epiche fanfare di tastiera, ricamate da un soffice tappeto di organo e dai preziosi intarsi chitarristici di Al Pitrelli, gli strumenti crescono lentamente, seguendo i freddi battiti della drum machine. Il brano non sarebbe sfigurato nella colonna sonora di un film fantasy. Proprio quando le tastiere raggiungono il loro massimo splendore una improvvisa implosione sonora risucchia tutti gli strumenti, estinguendosi molto lentamente e mettendo la parola fine a questo fantastico album che senza ombra di dubbio da nuova linfa alla carriera degli Asia.
Conclusioni
Devo dire che sono rimasto favorevolmente impressionato dalle sonorità degli Asia 2.0. Vista la preoccupante discesa qualitativa avvenuta dopo i due primi strepitosi album e l'instabilità della line-up che non ha trovato pace dopo la dipartita di Steve Howe, era impensabile che negli anni'90, i nostri sfornassero un prodotto di ottima fattura, che guarda caso è coinciso con il ritorno dell'insuperabile Chitarrista Di Holloway. Gran parte del merito va attribuito senza ombra di dubbio a Geoff Downes, che pur rischiando ha scommesso contro ogni pronostico sul carneade John Payne per sostituire una leggenda del calibro di John Wetton. Una volta trovato finalmente un chitarrista valido, è stato semplice coinvolgere, se pur part time, Carl Palmer e Steve Howe. "Aqua" si muove in maniera omogenea su standard musicali medio alti, specie dove danno il contributo i vecchi compagni di merenda. L'album, le cui sonorità hanno dovuto per forza di cose adeguarsi ai tempi, se pur lontano dal progressive pop degli esordi. Spaziando fra l'AOR e l'Hard Rock melodico lascia affiorare di tanto in tanto flebili note di progressive, risultando gradevole all'ascolto e mettendo in mostra un songwriting di alto livello ed una puntigliosa e cristallina produzione. Non ci sono assolutamente brani che giustificano lo skipping, ma questa non è una novità quando si tratta di un album degli Asia. In tutto il platter, Geoff Downes sovente domina dall'alto del suo castello di tastiere, dispensando avvolgenti atmosfere e pattern dal piacevole sentore retrò che emergono in ogni traccia. John Payne ci sorprende, le sue capacità canore non si discutono, anche se qualche volta si lascia prendere la mano, sfiorando l'istrionismo. Dà il meglio di sé nelle power ballads. Promosso a pieni voti, il nostro ci convince anche con la penna, le liriche pur trattando spesso questioni d'amore, non cadono mai nel banale. Tenendo conto che è il suo primo album dove suona il basso, direi che ha superato brillantemente anche questa non semplice prova. Le taglienti chitarre di Al Pitrelli si sposano perfettamente con il nuovo sound asiatico. Riff vincenti e assolo da manuale lasciano il segno su ogni brano. Steve Howe non è sempre presente, ma nei brani dove compare con la sue chitarre, alza notevolmente il livello. Stessa cosa possiamo dire per Carl Palmer, senza nulla togliere agli altri colleghi che si sono alternati nel corso dell'album. Senza ombra di dubbio, fra i vari batteristi ospiti sull'album, Simon Philips è una spanna sopra il buon Nigel Glockler e al non accreditato ma presente Michael Sturgis. Diciamocelo chiaro, il non aver specificato dove operano i vari musicisti ospiti coinvolti è una lacuna che poteva essere evitata. Per la cronaca alle chitarre vengono accreditati lo stesso John Payne e Anthony Glynne, ma sapere in quali momenti danno il loro apporto, è praticamente impossibile. Nonostante sia rimasto lo storico logo made in Roger Dean, per la copertina è stato ingaggiato un altro grande artista, l'illustratore inglese Rodney Clive Matthews. Nato il 6 Luglio del 1945 nel suggestivo villaggio di Paulton, nella contea di Somerset, Rodney Matthews vanta un curriculum di tutto rispetto nel campo degli artwork. Si parla di oltre 140 copertine, per lo più in ambito rock, metal e progressive rock. Il suo inconfondibile stile che alterna o mixa il fantasy alla fantascienza ha colorato la musica di svariati artisti, fra i quali spiccano i Magnum, gli Eloy e i Praiyng Mantis. La copertina di "Aqua" è di quelle che da sole invogliano all'acquisto. Si tratta di un surreale universo subacqueo, dove tra una serie di pianeti simili a Saturno transita un'enorme nave corrazzata che ha le sembianze di un capodoglio, attorno alla quale svolazzano bellissimi ed affascinati esemplari di delfini dotati di ali. Curiosamente, se pur riportanti il medesimo disegno, le copertine della versione americana e di quella europea portano vistose differenze. La versione rilasciata in Europa dalla Musidisc l'8 Giugno del 1992 ed assemblata da Brian Burrows, sfoggia il disegno che si estende per tutto il cartoncino, protraendosi nell'ultima pagina del libretto. In alto al centro, il caratteristico logo asiatico e subito sotto il titolo dell'album, in un affascinate font creato appositamente dall'illustratore britannico. Qui le colorazioni spaziano fra le varie sfumature del celeste. All'interno del booklet, line-up, crediti e liriche ma nessuna fotografia. Nel back del CD, sopra l' ingrandimento di un particolare che ritrae una parte della mastodontica nave, campeggia la track list, che vi ricordo comprende un brano in più per un totale di tredici tracce. La versione americana è stata rilasciata il 15 Settembre del 1992 dalla Great Pyramid Records. La track list, oltre a contenere un brano in meno, è disposta con un ordine differente. Mantengono invariata la posizione solamente le due strumentali e "Who Will Stop The Rain?". La copertina assemblata da Hugh Syme è visibilmente diversa, due bande nere fanno da cornice al disegno, qui leggermente più piccolo, e riproposto in una colorazione assai più vivace che rende ancora più bella l'opera. Il mare (o il cielo) è di un azzurro brillante ed intenso, mentre per il resto, più o meno siamo in linea con le colorazioni del disegno della versione rilasciata nel Vecchio Continente. In alto campeggia lo storico logo, sensibilmente più grande, mentre sulla banda era inferiore troviamo il titolo. Il back del CD è meno attraente, qui la track list è impressa su un supporto metallico azzurro. Assai più completo ed interessante è invece il booklet interno, dove oltre alle varie informazioni troviamo le foto a colori dei nostri cinque eroi ed una bellissima replica del disegno che occupa due pagine. L'eccellente produzione è opera di Geoff Downes supportato al mix da John Brand e dall'ingegnere del suono Pete Craigie. Nel 2004 la Inside Out ha pubblicato una ristampa dell'albo, contenete come bonus track le versioni live dei brani "Little Rich Boy" e Love Under Fire", registrate il 10 Novembre del 1992 al Town & Country di Londra. La ristampa comprende inoltre un brano inedito intitolato "Obsession", brano che ho deciso di analizzare insieme ad altri inediti presenti sulle future ristampe quando arriveremo alle due raccolte di inediti intitolate "Archivia" . Anche la Snapper Music, nel 1998 ha pubblicato una ristampa contenente il brano "Obsession" come bonus track. Tirando le somme, mi sento di consigliare caldamente "Aqua" a tutti i cultori del rock di gran classe, oltre che ai fan di vecchia data tormentati da ingiustificati dubbi relativi all'abbandono di Wetton. Si tratta di un album che ha distanza di anni si mantiene ancora fresco e attuale, destinato a non risentire il peso degli anni. Grazie al suono piacevole e mai invadente. "Aqua" si presta bene come sottofondo per una cena, per un ascolto al buio in cuffia, ma anche come edenica colonna sonora per un viaggio in auto, ovviamente con una località balneare come meta.
2) Who Will Stop The Rain?
3) Back in Town
4) Love Under Fire
5) Someday
6) Little Rich Boy
7) The Voice of Reason
8) Lay Down Your Arms
9) Crime of the Heart
10) A Far Cry
11) Don't Call Me
12) Heaven On Earth
13) Aqua Part II