ASIA

Anthology

1999 - Snapper Music, InsideOut Music

A CURA DI
SANDRO PISTOLESI
17/01/2023
TEMPO DI LETTURA:
6,5

Introduzione Recensione

Dopo il gradito ritorno al progressive rock sancito con l'ottimo "Arena", gli Asia hanno rallentato molto la loro attività compositiva. È come se l'album datato 1995 avesse spremuto fino all'osso i nostri. Nel 1996, a pochi giorni di distanza rilasciano due crestomazie di vecchie demo e outakes (molte delle quali, guarda caso, relative alle sessioni di "Arena"). Nel 1997, ricorreva il quindicesimo anniversario del supergruppo albionico, che aveva debuttato con il botto nel lontano 1982. I fan, di conseguenza, si aspettavano un nuovo album, magari accompagnato da un tour mondiale, vista la prolungata assenza dai palchi degli Asia. I nostri, a corto di nuove idee, per celebrare l'anniversario, optarono per rilasciare una raccolta, intitolata semplicemente "Anthology". Per il sottoscritto, le raccolte sono pubblicazioni molto rischiose per una band, perché in qualche maniera riescono sempre a scontentare qualcuno, e per chi scrive, anche questa crestomazia Asiatica conferma la regola. Mi sono sempre domandato chi ha più potere nel decidere i brani che vanno a comporre un greatest hits, la band o la casa discografica? Ma veniamo a noi, oltre a due graditissimi inediti, uno dei quali è una cover di un altro celebre supergruppo, troviamo nove tracce estratte dal primo trittico di album dell'era Payne, e qui sorgono i primi dubbi. Lasciar fuori da una compilation brani come "A Far Cry", "Desire" ma soprattutto l'epica "The Day Before The War" mi suona come un delitto commesso alla luce del Sole, specie se poi troviamo in scaletta la b-side "Reality" oppure "Someday" e "Two Sides Of The Moon", ottime canzoni sì, ma non certo le migliori dei rispettivi album. In ottica anniversario, i nostri decisero di includere anche i classicissimi Asiatici estratti dai primi tre storici album con John Wetton, il quale non la prese bene e ben supportato dalla Geffen, obbligò gli Asia ad incidere nuovamente i brani con l'attuale formazione. Solo pochi fortunati sono in possesso delle prime copie contenenti le versioni originali dei brani, che furono rilasciate anticipatamente per il mercato giapponese e immediatamente tolte dagli scaffali per problemi legali con la Geffen. E anche qui sorgono ulteriori dubbi, andare a scomodare brani sempiterni come "Go", "Heat Of The Moment", "Don't Cry", "The Heat Goes On" e "Only Time Will Tell" è un'operazione rischiosa che suona come "cover band". Gli stessi DownesPayne, a posteriori, hanno ammesso che si è trattato di una mossa infelice, dettata dal tempo che incombeva e dalla Snapper Music che aveva visto stravolti i propri piani, in quanto non era riuscita ad accaparrarsi i diritti dei brani originali marchiati Geffen. Quindi, anche stavolta, siamo di fronte ad un prodotto che fa storcere il naso a molti e fonte di dibattito. Brani fondamentali assenti nettamente superiori rispetto a quelli finiti in tracklist, i forti dubbi lasciati dalle nuove registrazioni, senza nulla togliere ai nuovi interpreti. Nemmeno i due inediti riuscirono a metter tutti d'accordo, in quanto una piccola parte del popolo Asiatico non era del tutto soddisfatta dalla cover che apre questa nuova antologia. Per quanto mi riguarda, sin dal primo ascolto ho avuto qualche dubbio sulle nuove registrazioni dei brani dell'era Wetton, fatta eccezione per "Go", canzone che ritengo possa rientrare tranquillamente nelle corde di John Payne. Qualche dubbio anche sulla scelta dei brani dell'era Payne inseriti in track list. Mi ritengo invece più che soddisfatto dei due inediti. C'è poc'altro da aggiungere su questo periodo stranamente poco prolifico del supergruppo albionico; quindi, non ci resta che analizzare questo controverso "Anthology".

The Hunter

L'album viene aperto da un brano inedito per gli Asia, ma non inedito per chi bazzica nel giro del progressive rock. "The Hunter (Il Cacciatore)" è infatti un successo di un altro supergruppo albionico, i GTR, progetto che vedeva coinvolti quelli che possono considerarsi i due più grandi chitarristi del progressive, Steve Hackett ex Genesis e Steve Howe degli Yes. Il progetto iniziò a materializzarsi sotto il volere del manager Brian Lane nel 1984, immediatamente dopo la dipartita di Howe dagli Asia. A completare la lineup fu ingaggiata la brillante ugola Max Bacon, che all'poca fece storcere il naso ai fan di Yes e Genesis a causa delle sue doti canore da tenore. La sezione ritmica era formata dal turnista inglese Philip Spalding e dal batterista americano Jonathan Mover, che aveva fatto una fugace apparizione con i Marillion, prima di essere sostituito dallo storico drummer marillico Ian Mosley a causa di alcuni dissapori con il vulcanico Fish. Howe voleva allontanarsi dal sound lordo di tastiere degli Asia, e per questo i GTR optarono per una formazione senza tastierista, ovviando alla lacuna con un sintetizzatore per chitarra della Roland attaccato agli strumenti dei due dinosauri del progressive. Nel 1987 diedero alla luce il loro primo, omonimo ed unico album (due galli nel pollaio erano troppi n.d.r.), spinto ai vertici delle classifiche mondiali dalla hit di successo "When The Heart Rules The Mind". Geoff Downes era presente sotto le vesti di produttore, firmando anche il secondo singolo di successo della band, "The Hunter". Gli Asia hanno saputo mettere il proprio marchio sul brano aumentando di qualche giro il numero dei bpm. Sia ben chiaro, con tutto il rispetto e l'ammirazione che nutro nei confronti di John Payne, la chitarra portoghese di Howe che domina nella strofa e le parti soliste di Steve Hackett hanno tutto un altro fascino rispetto alle nuove trame chitarristiche, che comunque riescono a donare una veste più moderna ad un brano che all'epoca strizzava l'occhio al decennio precedente, rendendolo piacevole l'ascolto, specie per i pochi che non conoscono la versione originale. John Payne è indubbiamente più convincente con la prestazione canora. In passato gli era già capitato di cimentarsi in brani interpretati da Bacon, e spesso non aveva retto il confronto con le doti da tenore dell'ex Nightwing, ma in questo caso riesce a far suo il brano in manera impeccabile. La canzone si apre con un'arcana atmosfera che evapora dal castello di tastiere, dalla quale emerge il dominante giro di basso di Payne. Nella strofa, l'affascinate chitarra portoghese di Howe viene sostituita da uno sferragliante e freddo strumming con la sei corde acustica, spazzando via le calde atmosfere settantine della versione originale. Abusando dell'istrionismo che lo ha sempre contraddistinto, Payne stavolta riesce a reggere il confronto con Bacon interpretando in maniera convincente le liriche, che mettono in luce l'aspetto peggiore della caccia, quello di considerare la preda come un prezioso trofeo di cui vantarsi. La seconda strofa viene rafforzata da potenti power chords che richiamano all'appello Mike Sturgis, il nostro entra in punta di piedi per poi essere determinate nel ritornello, dove troviamo un tagliente controcanto che recita semplicemente " Hah" e che appare fuoriluogo per chi conosce la versione originale. Rimangono comunque inalterate le ottime linee vocali e le melodie, vero punto di forza della canzone, che vi ricordo porta la firma del solo Geoff Downes. Al minuto 02:22 troviamo l'assolo di chitarra. Payne fa tutto il possibile per avvicinarsi alle trame originali di Hackett, che, come tutti i grandi chitarristi, ha un suo tocco magico impossibile da replicare. Downes ricama con dei pad orchestrali che sostituiscono i violini della versione datata 1986. Strofe e ritornelli si alternano, accompagnandoci piacevolmente verso la coda finale, ben più ricca e prolungata rispetto alla versione originale, dove troviamo interessanti fraseggi di chitarra trascinati dall'ossessivo giro di basso e supportati da un solenne tappeto di organo. Sono sincero, nel 1997, fui ammaliato sin dai primi ascolti da questa versione Asiatica di "The Hunter". Riascoltandola adesso, con il tempo che ha maturato le mie conoscenze ed i miei gusti musicali, grazie anche alla fantastica opportunità che mi sta offrendo Rock & Metal In My Blood, riesco a percepire chiaramente le differenze con la versione originale, differenze che prima non percepivo, offuscato dall'emozione di un nuovo brano inedito degli Asia, band a cui sono particolarmente legato da molto tempo. Ad ogni modo, pur riconoscendo la mancanza delle affascinanti atmosfere dal piacevole retrogusto settantiano diffuse dai due Steve, il mio affetto nei confronti di questa rivisitazione Asiatica rimane inalterato.

Only Time Will Tell

Si continua con il primo dei cinque brani appartenenti all'era Wetton riproposti con la nuova formazione, "Only Time Will Tell (Solo Il Tempo Lo Dirà)", una delle canzoni più altisonanti del fantastico debut album degli Asia, secondo singolo estratto pubblicato a Luglio del 1982 e firmato dal duo Wetton-Downes, le cui liriche girano attorno alla vita sentimentale di Wetton, parlandoci della sua prima cotta adolescenziale, relazione non andata a buon fine e che ha lasciato una profonda cicatrice nel cuore dell'Ex King Crimson. Si tratta di una delle primissime composizioni buttate su pentagramma da John Wetton per gli Asia, in origine si intitolava "Starry Eyes" e la leggenda narra che sia stata provata con una formazione embrionale che vedeva presente anche Trevor Rabin. Sin dalle prime strofe è più che evidente il fatto che la voce di Payne non riesca ad emanare le forti emozioni che trasmetteva la magica interpretazione di Wetton, forte di cantare con il cuore in mano un momento fondamentale della sua vita sentimentale. Le fanfare di Geoff Downes che aprono il brano suonano più squillanti rispetto alla versione originale a causa di una buona dose di reverbero aggiunta in fase di mixaggio. Con tanto di campanaccio, Mike Sturgis tiene bene il confronto con Carl Palmer. Alla chitarra troviamo Elliott Randall, senza ombra di dubbio fra tutti i chitarristi che fino ad ora si sono alternati alla corte di Re Downes, quello che più si avvicina al peculiare stile di Steve Howe grazie ad una tecnica sopraffina e al suo felpato stile jazzato. I suoi preziosi intarsi chitarristici che predominano su tutto il brano si avvicinano moltissimo a quelli originali. La contagiosa linea vocale della prima strofa non riesce a trasmettere le stesse emozioni emanate da John Wetton risultando assai più fredda e meno coinvolgente. L'esplosivo ritornello viene colorato da ammalianti armonie vocali che diffondono oscure atmosfere già percepite su "Aria". Rispetto all'inciso datato 1982, un vigoroso strumming di chitarra dai sentori jazz e un tappeto di organo tentano di proporci qualcosa di nuovo, senza lasciare il segno. Abbastanza fedele il fugace passaggio strumentale che rivendica il glorioso passato dei membri del supergruppo albionico. Strofe e ritornelli si susseguono mixate a suggestivi intermezzi strumentali senza stravolgere la struttura originale della canzone, mantenendo inalterata anche la consueta evaporazione in fader che a mio avviso poteva essere modificata con qualcosa di più originale.

Arena

È il turno di un brano dell'era Payne, i nostri optano per "Arena" (1995), pregevole title track della terza fatica in studio del nuovo corso, brano che trovo giusto sia presente in scaletta e che a tratti rievoca le fantastiche atmosfere del progressive rock americano della seconda metà degli anni Settanta, molto più melodico e fluido e meno sinfonico rispetto a quello inglese. Le melanconiche tastiere di Downes ci catapultano dritti dentro l'arena, dove poi veniamo assaliti da un travolgente pattern di organo, ben ritmato dal tagliente charleston di Mike Sturgis. Nella strofa calano vistosamente i bpm, le percussioni di Luis Jardim si fondono perfettamente con lo zoppicante lavoro della sezione ritmica. Le vellutate tastiere avvolgono la voce di Payne come un soffice kimono di seta, il nostro ci conduce all'interno di un'arena, dove in passato i gladiatori si battevano fino all'ultimo respiro per soddisfare il piacere delle classi benestanti. Payne usa le sanguinolente sabbie dell'anfiteatro come metafora per descrivere le dure battaglie che dobbiamo affrontare durante il duro e tortuoso cammino della vita, ma anche durante una relazione di coppia. Messaggi positivi e lordi di speranza ci esortano a non mollare. Ai gladiatori potevano portare via la carne ma non l'anima, dice poeticamente il nostro. Le spaziali tastiere del bridge spalancano i cancelli all'inciso. È l'organo, insieme al basso, a reggere in piedi il ritornello che ostenta frasi facilmente assimilabili e che ti entrano subito in testa, pronte ad essere ricanticchiate. Geoff Downes è particolarmente ispirato, in questo brano dove la chitarra si limita e sottilissimi ricami, è lui a portare avanti la baracca. Al minuto 02:43 inizia a far capolino l'anima latente del progressive rock. Tastiera e chitarra dialogano con dolcezza, lasciando poi il campo ad un melanconico pattern di pianoforte che fa momentaneamente calare le tenebre sul brano. I preziosi fraseggi della chitarra di Elliott Randall si insinuano magicamente fra le meste note del pianoforte. Un trascinante e vetusto pattern di organo riaccende la canzone annunciando una suggestiva versione del bridge, dove brillano interessanti controcanti ed eleganti contrappunti di chitarra che vanno a ricamare originali licenze poetiche (Bella Nova). Dopo un ultimo passaggio dell'inciso, Elliott Randall mette l'ombrellino nel long drink e suggella il brano con un breve ma intenso assolo di chitarra.

Anytime

Si pesca nell'ottimo "Aria", l'album Asiatico più oscuro e datato 1994 con l'opener e primo singolo estratto "Anytime (Ogni Volta)". Il brano ci fa capire in maniera cristallina la direzione sonora intrapresa dai nostri all'epoca, che vira decisa verso un ammaliante AOR esaltato da una produzione pressoché perfetta. Geoff Downes fa esalare un'arcana nebbia di suoni dal suo castello di tastiere, schiamazzi, oscure atmosfere e altri suoni thrilling si muovono su una azzeccata progressione di accordi per quasi un minuto (questa introduzione è stata tagliata nella versione singolo) tenendoci sulle spine prima che il brano decolli in maniera definitiva. La produzione esalta al massimo il brillante drumming di Mike Sturgis, che senza timore si scrolla di dosso l'ingombrante fantasma di Carl Palmer. La strofa è ben delineata, il riff ruffiano di Al Pitrelli si amalgama perfettamente con le tastiere, creando l'habitat naturale per la calda voce di John Payne, che ci parla del profondo ed insolubile legame dell'amicizia. Tutti da bambini abbiamo giocato alla guerra, ma una volta finito il gioco tornavano a regnare la pace e l'amore. Il bridge sale ti un tono e fa crescere il brano mettendo in mostra grintosi vocalizzi colorati dalle tastiere, preparandoci all'esplosivo ritornello, dove riecheggia più volte la parola "Anytime" trasportata da un funambolico pattern di organo, ricamato sapientemente dalla chitarra. Nell'inciso viene a galla il vero senso dell'amicizia che possiamo riassumere in quella che può sembrare una frase fatta ma che è pura e semplice verità: gli amici, quelli veri, si vedono nel momento del bisogno. Strofa e ritornello si fanno piacevolmente ascoltare, musicando profonde licenze poetiche che sugellano il valore dell'amicizia. Dopo circa tre minuti, seguendo il classico schema della musica AOR arriva lo special. L'importante salto di tono fa brillare il grande lavoro di chitarra e tastiera, ma ad emergere sono gli scintillanti piatti ed i colpi sulle pelli di Mike Sturgis, che poi si mette in stand-by per una versione soft dell'inciso, dove Payne viene accompagnato solo da avvolgenti pad di tastiera. Al Pitrelli mette poi in bella vista il riff portante, bombardato dai tamburi. I nostri ci salutano con l'anthemico ritornello, impreziosito da epiche tastiere e controcanti. Esiste anche un videoclip, di cui sono a conoscenza solo i fan più incalliti della band, a causa di una bassissima se non nulla rotazione da parte di MTV.

Don't Cry

Gli sbalzi temporali della scaletta ci portano al 1983, quando gli Asia pubblicarono il fantastico "Alpha". "Don't Cry (Non Piangere)", fu scritta all'ultimo minuto su richiesta della Geffen che pretendeva un nuovo singolo spacca classifiche. In origine si trattava di tre minuti e mezzo di accattivante e raffinato pop rock scritti a pennello per la suadente voce di John Wetton e per valorizzare le sue magnetiche linee vocali. Quindi anche in questo caso, gli eventi hanno messo nuovamente John Payne di fronte ad una prova ardua da superare, considerando che oltre al basso, il nostro su questo brano si è occupato anche delle peculiari parti di chitarra che furono di Steve Howe. L'arcana introduzione viene replicata in maniera abbastanza fedele da parte dei nuovi interpetri. Il pattern di pianoforte suona in maniera più brillante, d'altra parte, l'unica pecca di "Alpha" era il mixaggio, che penalizzava un po' tutti, ma in special modo basso batteria e chitarra. Payne fa il possibile per imitare i ricami chitarristici di Howe, mentre le corse sulle pelli di Mike Sturgis se pur impeccabili dal punto di vista tecnico, risultano meno potenti rispetto al drumming devastante di Palmer. Ma se l'intro possiamo promuoverla, i primi dubbi giungono con la strofa, dove i gracchianti accordi sparati da Payne non si avvicinano neanche lontanamente all'intricata partitura di chitarra di Steve Howe, ma in questo caso possiamo giustificarlo, in quanto penso che nessuno altro chitarrista al Mondo sia in grado di replicarle in maniera fedele. La strofa, lasciata nelle mani del pianoforte di Downes suona vuota e scarna. Non va certo meglio per le parti vocali; le nostre orecchie sono ormai abituate da troppo tempo alla melodiosa voce di John Wetton, per poter accettare un'altra voce che ci parla di una ragazza che non ha avuto vita facile. Una ragazza che ha vissuto tempi duri, che è stata maltrattata, imbrogliata. Ma come nelle favole della Disney, è arrivato il principe azzurro, ci ha messo del tempo ma è riuscito a trovarla ed ora saprà darle la vita che merita. Gli strumenti crescono ed insieme ai vocalizzi forzati di Payne aprono i cancelli al contagioso ritornello che ovviamente non mantiene lo stesso fascino della versione datata 1983. Il botta e risposta tra l'armonia vocale che recita "Don't Cry" e Payne è comunque un amo ben innescato a cui è ugualmente difficile resistere. Il brano scorre fluidamente senza aggiungere di nuovo, orfano di una partitura di chitarra all'altezza, sfruttando la classica alternanza strofa ritornello, con in mezzo un fugace ritorno dell'ottimo intro, unico momento in cui la nuova lineup è capace di tener testa alla versione originale. I nostri ci salutano con inciso che in loop ci accompagna verso la fine, dove le pompose tastiere di Downes colorano il tutto evaporando in dissolvenza e lasciando molti dubbi sulla scelta di andar a scomodare questo brano. Forse, e sottolineo forse, con Elliott Randall alla sei corde, le nostre impressioni sarebbero state differenti.

Aqua Part 1

Se pur breve e strumentale, sicuramente meglio la successiva "Aqua Part 1", opener e co-title track del primo album dell'era Payne datato 1992, presente forse perché strettamente legata alla traccia successiva. La canzone è firmata dallo storico triumvirato Howe-Payne-Downes. Il rilassante rumore delle onde che si infrangono sulla battigia apre il pezzo strumentale. Gli effetti acquatici di Downes si mischiano al rilassante rumore che possiamo assaporare in riva al mare e all'inconfondibile canto del gabbiano. Si respirano aria salmastra e atmosfere new age. L'avvolgente pad di tastiera ci catapulta in un mondo sommerso circondando con un'aura mistica le scintillanti note della chitarra acustica di Steve Howe. Il Chitarrista di Holloway di perle acustiche ne ha composte molte in carriera, sia con gli Yes che da solista, per non parlare dello spagnoleggiante cameo da brividi su "Innuendo" dei Queen. Ma le sue escursioni sulla chitarra acustica hanno quasi sempre emanato sentori barocchi che ci catapultavano indietro nel tempo, qui invece il nostro esce dai binari, le gelide e cristalline note generano melodie lorda di tristezza che ci avvolgono e ci accompagnano in un fantastico mondo sommerso. Dal castello di tastiere fuoriescono spettrali note che si fondono perfettamente con quelle della chitarra acustica, valorizzandone ulteriormente la bellezza. Steve Howe ci fa letteralmente sognare; se chiudiamo gli occhi, la musica ci trasporta magicamente in una sperduta isola dimenticata dal tempo che cela un magico mondo sommerso.

Who Will Stop The Rain?

A seguire troviamo il brano migliore di "Aqua" (1992), dall'evocativo titolo "Who Will Stop The Rain? (Chi Fermerà La Pioggia?)", dove i nostri mixano perfettamente nozioni di progressive all'hard rock, miscelate perfettamente grazie a certosini arrangiamenti ed una produzione certosina. Le origini del brano sono ben più lontane del 1992 e risalgono alla fine degli anni '80, quando Geoff Downes era intenzionato a dar vita ad un progetto musicale denominato "Rain", dove fra i tanti musicisti coinvolti vi erano Michael Sturgis, John Payne e Max Bacon. Infatti, potete trovare una versione alternativa del brano intitolata "Who Can Stop The Rain" sull'album "From The Banks Of The River Irwell" di Max Bacon. Downes ha scritto il brano insieme al cantautore britannico Johnny Warman che nel 1981 raggiunse l'apice del successo con l'album "Walking Into Mirrors" e a Jane Woolfenden, compositrice moglie del celebre compositore e direttore d'orchestra Guy Woolfenden. Dopo un avvolgente introduzione di Mr. Downes, il brano esplode grazie al ridondante pattern di tastiera, bombardato dai taglienti riff sparati da Al Pitrelli. John Payne con una linea vocale aggressiva e vincente, affronta problemi ambientali, attraverso intelligenti liriche e licenze poetiche che non cadono mai nel banale. Arriva l'inciso, non siamo di fronte ad un ritornello facilmente assimilabile ma comunque di grande effetto. Nella strofa successiva, un leggiadro pattern di tastiera trasporta le scintillanti note della chitarra acustica di Howe, Payne ci dice che non dobbiamo biasimare Madre Natura, se di tanto in tanto si ribella con le potenti armi che ha a disposizione, come precisa nel travolgente inciso, "Who tells the wind which way to blow? I wonder who will stop the rain (Chi dice al vento da che parte soffiare? Mi chiedo chi fermerà la pioggia)" sono significativi versi che evidenziano l'impotenza dell'uomo di fronte ad una Natura incazzata, solo i vecchi saggi hanno l'umiltà di alzare le mani e chiedere perdono. Un breve stacco strumentale vede protagonista le tastiere e il brillante drumming di Michael Sturgis. Familiarizzando con la strofa, possiamo apprezzare il grande lavoro che Geoff Downes ha fatto in fase di produzione; la chitarra acustica di Howe e quella elettrica di Pitrelli vanno perfettamente a braccetto senza pestarsi i piedi come una coppia di novelli sposi. Un altro passaggio dell'inciso e poi al minuto 02:23 Steve Howe sale sul trono e ci delizia con un incredibile assolo con la chitarra acustica. Dopo la solare interpretazione dell'Ex Yes, sul brano piomba l'oscurità. Basso e batteria fanno il minimo indispensabile, le tastiere avvolgono i raffinati intarsi dei due chitarristi. Significativi i versi dell'ultimo ritornello, dove il ciclico pattern di tastiera colora parole di stima nei confronti di chi da anni combatte per il bene del Pianeta portando avanti ideali ambientalisti. A seguire uno straziante assolo di Al Pitrelli. La chitarra sembra piangere di fronte allo scempio dell'uomo nei confronti della Natura. Nel finale, lo strumming acustico di Howe apre i cancelli ad un inquietante canto tribale. Solitamente i pellerossa erano soliti invocare la piaggia con le colorate e caratteristiche danze, qui invece invocano la Natura di farla cessare. Come diceva qualcuno, non può piovere per sempre. Nell'agosto del 1992 il brano fu lanciato come singolo, ma il poco supporto da parte della casa discografica, che non finanziò neanche il videoclip, lo fece far passare nel dimenticatoio dopo qualche mese.

The Heat Goes On

I nostri vanno a rivisitare un brano a cui sono particolarmente affezionato, in quanto si tratta della canzone che mi ha aperto i cancelli del fantastico Asia World. In origine "The Heat Goes On" era presente sul fantastico "Alpha", un album che io adoro nonostante alcune pecche e decisioni per me errate prese in fase di produzione. Rispetto alla versione datata 1983, l'intro, pur mantenendo gran parte della sua maestosità, suona più cupa e meno incisiva. Downes ha scelto un pianoforte meno brillante, che accosta il sound alle cupe sonorità già sentite su "Aria". Aziz Ibrahim si impegna per far sì che i suoi fraseggi si avvicinino il più possibile a quelli del maestro Howe, ma lui stesso è ben conscio che nessuno, se pur in possesso di tutta la tecnica dell'Universo, sia in grado di replicare il peculiare tocco divino dello storico Chitarrista degli Yes. John Payne decide di interpretare le liriche con una buona dose di epicità, liriche che attraverso licenze poetiche facilmente assimilabili, ci parlano di un uomo invaso dalla passione amorosa, con la testa fra le nuvole, un uomo che travolto dalla passione non sia accorge neanche di pensare ad alta voce. Apprezzo l'impegno, ma le mie orecchie faticano a sentire il brano con una voce diversa da quella di John Wetton. Stesso discorso vale per il drumming di Mike Sturgis, che io per primo ritengo uno fra i migliori interpreti dello strumento, tecnica e classe da vendere non sono però sufficienti per poter avvicinarsi al potente drumming di Mr. Palmer, d'altronde stiamo parlando di uno dei migliori batteristi della storia del rock, se non il migliore. Il nostro d'ogni modo, riesce a far crescere il brano, fino all'esplosivo ritornello, che senza i fraseggi di Mr. Howe e l'armoniosa voce di Wetton, non riesce trasmettere le stesse emozioni di quasi cinque lustri prima. Dopo un secondo passaggio della strofa (impreziosita dai bellissimi ricami pianistici) e del ritornello, calano i bpm ed arriva il bridge, forse la parte migliore di questa new version del brano. Le paradisiache tastiere di Geoff Downes vengono sporcate dai vellutati fraseggi del basso e dai delicati fil di Mike Sturgis, mentre Payne canta con il cuore in mano, tentando di avvicinarsi il più possibile alla bellissima interpretazione che fu di John Wetton. Una breve ma eccellente chiusura, dove brilla un pungente fraseggio di basso, ci riporta verso la strofa, dove stavolta pianoforte e chitarra ricamano la grintosa linea vocale. A seguire troviamo naturalmente l'anthemico inciso, seguito da un funambolico e travolgente assolo di organo che odora di progressive e va a rispolverare i fasti di "Drama". Una solenne partitura di organo dai sentori clericali, pone fine a questo brano che nella sua veste tradizionale è fra i miei preferiti dell'intera discografia Asiatica, ma che a tratti mi perplime in questa nuova rivisitazione.

Two Sides Of The Moon

La timeline della track list ci porta nel recente passato e va a pescare nelle sabbiose e roventi sabbie di "Arena" (1995). Come già detto in precedenza, una antologia Asiatica senza "The Day Before The War" è per me inconcepibile. Il brano occupava la posizione numero cinque nella track list del terzo album in studio dell'era Payne, i nostri ci vanno vicino e optano per la quarta traccia che è pur sempre validissima, la simpatica e peculiare "Two Sides Of The Moon (Le Due Facce Della Luna)", un insolito brano lordo di sorprese che inizialmente rivisita in chiave Asiatica il pop rock degli anni'80, lo si intuisce dal delicato riff a la " Every Breath You Take" che apre il brano, prima che le tastiere dai sentori orientaleggianti prendano il sopravvento. Glaciali accordi di chitarra bombardano la voce di John Payne, che attraverso delle liriche criptiche ci parla di una relazione fra due persone che possono considerarsi agli antipodi, proprio come le due facce della Luna. Sembra che il testo sia stato scritto appositamente per entrarti in testa, con una attenzione meticolosa alla metrica ed una certosina ricerca di termini che sembrano esser messi lì solo per fare rima. Comunque sia, leggendolo attentamente possiamo intuire che la relazione che si è instaurata è fra due persone di etnie e culture totalmente diverse, la ragazza che viene dal Sol Levante, sembra fare fatica ad accettare usi e costumi del mondo occidentale, ma la forza dell'amore risulta essere sempre la più potente e grazie ad essa anche gli ostacoli apparentemente insormontabili possono essere superati, permettendo alla relazione di andare avanti, nonostante le due persone abbiano una cultura differente, proprio come le due facce della Luna, gemelle ma diverse, una sempre in bella vista, l'altra avvolta nel mistero. Geoff Downes fa un grandissimo lavoro in tutto il brano, aiutato dalle incredibili evoluzioni in contro tempo sul charleston di Mike Sturgis, che come sottolineato più volte, a me fanno impazzire. Scintillanti pattern di tastiera fanno crescere il brano nell'effimero bridge, che ci catapulta precipitosamente fra le soffici ed avvolgenti atmosfere dell'inciso sorretto dalle fiabesche trame delle tastiere. Uno spaziale interludio strumentale in cui domina Mr. Downes ci separa dalla strofa successiva, dove brillano i preziosi intarsi di Elliott Randall. Ma gli Asia 2.0 che volevano allontanarsi dall'AOR e progredire il loro sound potevano limitarsi ad un banale pop rock dal piacevole retrogusto ottantiano? Certo che no, ecco che dopo un altro passaggio dell'affascinate ritornello, il brano si sposta verso lidi più progressive. Un malvagio riff di chitarra viene assalito dalle percussioni tribali di Luis Jardim. Elliott Randall si esibisce con un assolo caotico e malsano che spazza via prepotentemente le soffici atmosfere respirate fino a pochi istanti prima. Il duo ritmico Sturgis-Jardim dimostra di essere in perfetta sintonia ed accompagna con una ritmica da paura che è impossibile da descrivere. Al minuto 03.33 un magico interludio dove primeggiano le tastiere dai sentori fantasy riporta la calma, spalancando nuovamente le porte all'inciso, impreziosito dalle fanfare di Downes. Quando il brano sembra volgere al termine ecco un'altra sorpresa, un ultimo interludio strumentale dove i nostri sconfinano nelle calde e rilassanti sonorità del reggae e ci salutano poi con una versione Marleyana dell'inciso. Anche questo è progressive.

Reality

La successiva "Reality (Realtà)" è la canzone la cui presenza in scaletta mi ha sorpreso molto. Se lo scopo era quello di inserire una traccia a rappresentare i due "Archiva", bè, ci sono almeno altri quattro brani che avrebbero meritato di prenderne il posto. Si tratta di una composizione risalente al novembre del 1993 firmato Downes-Payne. Il brano, registrato ai Parkgate Studios di Catsfield e che rievoca il brillante synth pop dei The Buggles, ha fatto la sua prima apparizione come b-side del primo singolo tratto dall'album "Aria" "Anytime", per poi finire ad essere una delle tracce più interessanti di "Archiva1". I primi colpi di batteria di Mike Sturgis ricordano forse volutamente l'incipit di "Take On Me" degli A-ha, altra band che ha influenzato chiaramente le frizzanti sonorità eighties della canzone. La progressione di quattro accordi che compone il riff portante era il frutto di un'idea su cui stava lavorando John Payne, poi è stata rielaborata in chiave tastieristica da Geoff Downes, il quale ha confessato che dopo la prima registrazione, la band non ha dedicato poi molto tempo al brano, limitandosi a pochi ritocchi durante il mixaggio. John Payne riesce a districarsi bene dalla ragnatela di suoni spaziali sparati da Downes, addentrandosi negli affascinati meandri della realtà virtuale e mettendo nel mirino pay-tv e sistema, che con messaggi subliminali trascinano al di fuori della realtà molti giovani, facendogli vedere ciò che vogliono vedere e sentire ciò che vogliono sentire. Payne con messaggi positivi esorta i giovani a trovare forza e coraggio per rimanere ancorati alla loro realtà, seguendo i propri pensieri ed evitando di farsi trascinare fuori strada dai canali di disinformazione. Nell'inciso guidato dai glaciali accordi distorti che odorano di sintetico sparati da Al Pitrelli, salta fuori l'affascinate e robotico vocoder di Geoff Downes, suo peculiare vecchio compagno di mille battaglie, che devo dire si sposa perfettamente con le fantascientifiche sonorità elettropop della canzone, la quale si lascia ascoltare piacevolmente, sfruttando la marea elettronica dispensata da Downes. Al minuto 02:49 con una maestria disarmante, Al Pitrelli riesce a incastonare perfettamente un assolo di chitarra rock in un contesto prettamente elettronico, sfruttando fraseggi lordi di melodia e chiudendo perfettamente con un brillante finale Van Haleniano. Successivamente il brano si calma in maniera surreale, dal castello di tastiere di Lord Downes esala un'eterea nebbia; Sturgis fa crescere il brano fino al ritorno dell'inciso, con il vocoder ed i suoi robotici "Reality" che sfumano lentamente in fader.

Go

Fra le cinque tracce estrapolate dal primo micidiale trittico in studio Asiatico e rivisitate con la nuova formazione, "Go (Vai)", all'epoca presente su "Astra" (1985) è senza ombra di dubbio quella meglio riuscita. Si tratta di un brano accattivante e potente che permette a John Payne un'interpretazione naturale che possiamo considerare più che soddisfacente e perfettamente in linea con quella originale made in Wetton. Geoff Downes apre con un clericale e tetro organo, affiancato poi da raffinate trame di chitarra e spaziali fiammate di tastiera che spalancano i cancelli al potente riff sparato da Aziz Ibrahim. Il nostro ci bombarda con una trascinante cavalcata dai sentori hard'n'heavy che accompagna John Payne per quasi tutta la prima strofa. Le liriche, sottolineate da cristallini rintocchi di tastiera, lanciano messaggi positivi che ci invitano ad andare avanti, a non abbattersi anche quando la situazione si fa tragica, ci invitano a lottare duro per arrivare fino alla vittoria, a scavare in profondità per cercare dove si nasconde l'oro. L'ingresso di Mike Sturgis fa crescere il brano fino all'esplosivo e breve ritornello. Fra le ruggenti note della chitarra e le epiche tastiere riecheggiano i messaggi positivi di Payne che urla a squarcia gola "Get up and go (Alzati e vai)". La seconda strofa scorre liscia come l'olio, fra le cavalcate della chitarra emergono le liriche sempre positive, che sottolineano come spesso la dura strada della vita si piena di ostacoli, come spesso camminiamo sul filo del rasoio e basterebbe un'inerzia per farci perdere l'equilibrio e cadere nel baratro, ma se mai dovesse succedere, i nostri ci invitano a rialzarsi ed andare, come gridano nel secondo trascinante inciso, impreziosito da funambolici fraseggi di chitarra che odorano di metal. Circa a metà brano calano i bpm, le tastiere disegnano oscure trame fiabesche che poi lasciano il campo alla chitarra, sostenuta dai tom tom massacrati da Mike Sturgis. Questo breve stacco prepara la strada al ritorno di Mr. Ibrahim, che in completa solitudine mette in mostra il potente riffing portante, bombardato da un graffiante poker di note eseguito all'unisono dalla sezione ritmica. C'è tempo per un'ultima strofa, dove le liriche sottolineano che possiamo sconfiggere il fato se peschiamo la carta vincente. I nostri ci accompagnano verso la fine con l'inciso mandato in loop, colorato da funambolici fraseggi di chitarra di Aziz Ibrahim ed un ciclico pattern di tastiera che si installa prepotentemente nella nostra mente prima di evaporare in fader.

Feels Like Love

"Aria" è per chi scrive un grande album e dove si pesca si pesca si va sul sicuro. Sebbene io inorridisca di fronte all'assenza in scaletta di "Desire" e "Don't Cut The Wire (Brother)", "Feels Like Love (Sembra Amore)" è uno dei momenti più altisonanti dell'album datato 1994. Inizialmente la canzone imbocca un sentiero decisamente soft, una suggestiva ballad semi acustica che deflagra nell'energico ritornello. Gelidi venti spirano dal castello di tastiere, anticipando un'avvolgente atmosfera decisamente fantasy. Le cristalline note arpeggiate della chitarra si amalgamano perfettamente con gli oscuri accordi di pianoforte e le fiabesche trame del flauto, confezionando l'habitat ideale per John Payne che nelle prime righe si supera in quanto ad emotività interpretativa, sottolineando con profonde licenze poetiche come tutte le forti emozioni provate dall'uomo riconducano sempre all'amore. Che si combatta per un'ideale, che si lotti per raggiungere un obbiettivo, che si faccia una qualsiasi cosa per le persone che amiamo, facciamo tutto sfruttando l'energia prodotta dall'amore. Liriche che potremmo riassumere semplicemente in cinquanta sfumature dell'amore. Da brividi il bridge, dove i nostri ci esortano ad essere forti e determinati. Si continua con la poetica strofa e l'emozionante bridge, lasciando momentaneamente la batteria ferma ai box. Una fiabesca trama di pianoforte irrompe solitaria, aggraziate note di tastiera gli svolazzano attorno come leggiadre rondini. Mike Sturgis inizia a stuzzicare il charleston, dando un senso di ritmo alla strofa, dove emerge un'epica armonia vocale che emana positività da tutti i pori. Spinti dalla forza dell'amore, per raggiungere i nostri obbiettivi possiamo trovare l'energia per avanzare contro un vento impetuoso, possiamo respingere l'impeto di un mare in tempesta. Uno scolastico ed energico fil di batteria annuncia l'arrivo del ritornello, con il quale il brano esplode definitivamente, abbandonando le dolci ed avvolgenti atmosfere della prima metà. Sfruttando l'energia dell'organo e della chitarra, Payne urla ai quattro venti "Feels Like Love? (Sembra Amore?)" ripetendolo più volte, prima che per qualche istante ritorni la calma. Le note arpeggiate della chitarra e gli accordi del pianoforte colorano una bellissima poesia che Payne dedica alla Statua della Libertà, simbolo di New York e dell'interi Stati Uniti D'America; uno dei monumenti più famosi al mondo, lordo di piccoli dettagli che raccolgono la storia dell'intera umanità, non a caso, il regista Franklin J. Schaffner, nel 1968 scelse proprio i ruderi della Statua della Libertà per l'apocalittico finale della sempiterna pellicola fantascientifica "Il Pianeta Delle Scimmie" lanciando messaggi significativi con un solo fotogramma. Il drumming in crescendo di Mike Sturgis annuncia che è arrivato il momento per Al Pitrelli, il nostro mette la ciliegina sulla torta con l'ennesimo assolo praticamente perfetto. Delicate note legate fra loro magistralmente sfruttano il trascinante lavoro della sezione ritmica, confezionando un sound prettamente AOR. Torna la calma dopo la tempesta, le paradisiache tastiere di Downes ci mettono in pace con noi stessi. Spettrali pad di tastiera accompagnano gli strazianti "Feels Like Love" di Payne, il brano sembra sfumare delicatamente verso l'epilogo, ma una forsennata corsa sulle pelli di Michael Sturgis dice che c'è tempo per un ultimo passaggio dell'energico ritornello.

Someday

Si va indietro di due anni fino a trovare l'altrettanto ottimo "Aqua", altro album lordo di pregevoli composizioni, i nostri vanno a pescare una delle tracce meno appariscenti ma molto amata dai fan,  "Someday (Un Giorno)", brano firmato Geoff Downes-Johnny Warman risalente alle sessioni demo del famoso e purtroppo incompiuto progetto "Rain", presente anche sull'album "From The Banks Of The River Irwell" di Max Bacon. Nella prima parte del brano siamo lontani dal classico sound Asiatico e vicini a quell'hard rock melodico che imperversava alla fine degli anni Ottanta, come si evince dal riff portante di basso e chitarra che si muovono all'unisono, poi con il passare dei minuti, le tastiere di Downes e la chitarra acustica di Howe imprimono il marchio Asia in maniera indelebile. Sicuramente siamo di fronte ad uno dei brani più hard mai composti dai nostri, il fatto che inizialmente si allontani dalle vecchie sonorità della band non significa affatto che siamo di fronte ad una canzone scadente, anzi, la canzone ha ottime potenzialità e le ostenta senza indugi, lo dimostra anche il fatto che vanta un discreto numero di presenze sulle scalette live. Dopo aver familiarizzato con il riffing portante, vagamente Sabbathiano e ben supportato dall'incessante drumming di Mike Sturgis, le tastiere di Downes addolciscono l'atmosfera ed accolgono la calda voce di John Payne, irreparabilmente ammaliato da una ragazza, tanto da non sognare nessun'altra donna e da non immaginare un Mondo privo di lei. Arriva l'inciso, tastiere e chitarra colorano una pomposa armonia vocale che grida "Someday", John Payne ostenta tutti i suoi timori di perdere la ragazza in un giorno futuro. Breve stacco strumentale con un paradisiaco pattern di tastiera ricamato da strazianti fraseggi di chitarra e poi ritorna la strofa, caratterizzata da power chords che riprendono il potente riff portante. Dopo un secondo passaggio dell'inciso, calano i bpm, tastiera e chitarra si intrecciano magicamente annunciando lo special, dove si sale di qualche tono e dove brillano le pompose tastiere di Downes. Payne con i sogni si è costruito un mondo tutto suo, dove ha sempre la sua amata al proprio fianco. Al minuto 02.32 fa il suo ritorno il riff portante, inseguito da oscuri ruggiti di tastiera che sembrano usciti dalle fauci di una mostruosa creatura Lovecraftiana. Fiammate di tastiera ed un bel fraseggio di basso fanno calare nuovamente la quiete, si respirano atmosfere rilassanti grazie alle paradisiache tastiere e alle delicate trame della sei corde acustica di Steve Howe. Geoff Downes fa un grande lavoro con le tastiere, luccicanti suoni svolazzano leggiadri, mentre pompose trame rievocano il glorioso passato della band. Spettrali "Someday" aleggiano come fuochi fatui, poi con un grintoso vocalizzo Payne apre i cancelli ad Al Pitrelli, che ci incanta con un sontuoso assolo lordo di tecnica, melodia e mestizia lasciando poi il campo all'inciso, che colorato da epiche trame di tastiera ci accompagna verso il finale, dove troviamo Steve Howe che ci delizia con una dolcissima trama con la sua inseparabile chitarra acustica, trama che purtroppo evapora fin troppo presto in fader, lasciandoci con l'amaro in bocca.

Heat Of The Moment

E siamo arrivati alla vera e propria nota dolente di questa controversa crestomazia, la rivisitazione con la nuova formazione del brano Asiatico per eccellenza, la sempiterna "Heat Of The Moment (Il Calore Del Momento)", opener dello stratosferico omonimo debut album datato 1982. Siamo di fronte ad un brano che non andrebbe mai scomodato, una canzone che anche se reinterpretata da un ipotetico dream team che schiera i migliori musicisti del Globo, non riuscirà mai a trasmettere nemmeno lontanamente le emozioni della versione originale, a partire dallo storico riff iniziale, suonato da John Payne frettolosamente e senza cuore, neanche lontano parente di quello sparato dalla Gibson Les Paul Junior di Steve Howe, che per raggiungere il suono perfetto, usò la tecnica dell'overdubbing, incidendo il riff per ben sette volte, usando sempre un diverso amplificatore. È curioso il fatto che una canzone nata quasi per caso sia diventata il maggior successo degli Asia. Quando il primo storico debut album era praticamente ultimato, la Geffen chiese agli Asia un singolo da classifica per completare la track list. Wetton e Downes si misero al lavoro, e in quattro e quattr'otto i due tirarono fuori dal cilindro il loro gioiello più prezioso, ideatori rispettivamente dell'ammaliante ritornello e della strofa. Dopo essere stato corrotto, Steve Howe, sparò una manciata di power chords, decisamente non il suo stile, ma il nostro riuscì a sfornare un riff memorabile che può essere annoverato fra i più azzeccati della storia del rock, non a caso presente sul celebre videogioco Guitar Hero. Per ironia della sorte, l'ultimo brano composto divenne il primo singolo estratto, nonché il brano più famoso degli Asia ed un vero e proprio inno degli anni'80. Le liriche, scritte da Wetton, sono una sorta di redenzione per riparare al brutto comportamento che il nostro ha avuto in adolescenza agli inizi della relazione amorosa con Jill, che poi diventerà la sua prima moglie. Per la cronaca, i due divorzieranno dopo dieci anni di matrimonio. Ma veniamo a questa nuova versione del brano aperto dallo scarno riff sparato dalla chitarra di John Payne, in evidente difficoltà anche a reinterpretare la bellissima linea vocale di Wetton, lorda di irresistibili hook. Mike Sturgis accompagna con semplici passaggi non molto lontani da quelli di Palmer passaggi semplici ma che funzionano alla grande. Come un treno arriva l'anthemico ritornello, pronto a stamparsi in maniera indelebile nella nostra mente anche in questa triste rivisitazione. Nella strofa successiva il tempo scorre e ci porta nel 1982, dove le la donna non sopporta più le goliardie da ventenni, ma si sente più matura. "You catch the pearl and ride the dragon's wings (Prendi la perla e cavalca le ali del drago)" è un lapalissiano omaggio alla memorabile copertina firmata Roger Dean. Al minuto 01:45, Geoff Downes domina dall'alto del suo castello di tastiere, creando un'atmosfera arcana contaminata dalle orientaleggianti note del koto che spezza in due il brano. Si respirano le affascinanti atmosfere degli anni Ottanta. Questo interludio riesce a tener testa a quello della versione originale, nonostante una eccessiva dose di reverbero che può risultare disturbante. La strofa successiva viene impreziosita dal pianoforte, Il ritornello funziona, i nostri lo sanno e lo usano a più riprese fino all'atteso momento dell'assolo. L'amore che provo nei confronti di John Payne mi obbliga a non inferire sulla sua prestazione chitarristica. I suoi fraseggi non sono nemmeno lontani parenti del leggendario assolo di Steve Howe. Pessimo anche il finale, che pur mantenendo la consueta sfumatura in dissolvenza suona scarno e triste, orfano dei preziosi fraseggi di chitarra che furono di Steve Howe.

Military Man

Sicuramente meglio la successiva "Military Man (Militare)", uno dei brani più brillanti di "Aria" (1994). Il brano è nato negli ultimi momenti relativi alle sessioni di "Aqua", ma poi i nostri per rispettare le scadenze, non hanno avuto tempo utile per portarlo a termine ed è rimasto fuori dalla track list. È per questo che la canzone si avvicina molto al sound dell'album precedente, forse è stato un bene che non sia stata completata per "Aqua"; con più tempo a disposizione e un maggiore affiatamento, i nostri hanno reso praticamente perfetta questa composizione che non ha faticato ad entrare nel cuore dei fan e spesso presente nelle scalette live. Un punto fermo del brano sono le liriche, che vanno a scavare in maniera introspettiva all'interno delle umide trincee dove i militari rischiano la vita ogni giorno. Le epiche tastiere di Downes, che rievocano gli esordi del gruppo, vengono letteralmente bombardate (tanto per rimanere in tema) dai potentissimi power chord sparati da Al Pitrelli, che successivamente colora la parte finale dell'intro con un solenne inno chitarristico. Nella strofa la violenza degli strumenti si placa, lasciando il compito alle melanconiche tastiere di Mr. Downes di colorare le liriche che ci portano nei meandri della mente di un militare, attanagliato dal terrore e circondato da demoni nefasti, costretto a combattere con la coscienza mentre le munizioni si stanno esaurendo. La marcia militare di Palmeriane memorie di Sturgis viene armonizzata dalle pulsanti note del basso e ci porta piacevolmente verso l'emozionante ritornello, dove Geoff Downes fa un grande lavoro con le tastiere, coadiuvato dai potenti accordi distorti della chitarra. La linea vocale di Payne trasuda paura e tristezza quando in maniera esplicita riassume la vita dei militari con un cinico ma significativo "And as I spin this wheel of fortune (E mentre giro questa ruota della fortuna)", sottolineando come un soldato quando è sul campo di battaglia rischi la vita ogni istante e senza fine di continuità. Un potente interludio strumentale dove chitarra e tastiera si danno battaglia ci separa dalla strofa, dove ritorna quella calma surreale creata da un ispiratissimo Geoffrey Downes. Glaciali accordi di chitarra priva di distorsore armonizzano la linea vocale di Payne, che continua a scavare all'interno della mente dei soldati, spesso mandati al fronte nel nome di una causa in cui nemmeno credono, costretti a spezzare i legami d'amore che gli legano ai propri cari, con l'atroce dubbio di non poterli più riabbracciare. Il ritornello torna ad emanare forti emozioni, prima che al minuto 02:57 l'anima progressive della band riaffiori timidamente. L'ira degli strumenti si placa, il palco è tutto per un emozionante duetto pianoforte - voce, attorno al quale svolazzano gli spettrali sussurri del vocoder. Il rullante marziale di Michael Sturgis fa crescere repentinamente il brano annunciando il travolgente assolo di Mr. Al Pitrelli, che dà sfogo a tutta la sua indole metallica, sprigionando taglienti note e funambolici passaggi in tapping che duellano con ataviche armonie vocali accompagnandoci verso il mesto finale pianistico.

Different Worlds

E siamo finalmente arrivati al brano che da solo giustifica l'acquisto di questo controverso florilegio Asiatico, l'inedito "Different Worlds (Mondi Diversi)". Si tratta di una nuova canzone scritta appositamente per "Anthology" e che mette momentaneamente fine al digiuno compositivo dell'affiatato duo Downes-Payne. È un brano cupo e lordo di mistero che stilisticamente si colloca esattamente a metà fra le tenebrose atmosfere di "Aria" e le più solari sonorità di "Arena". La nuova composizione, che ha un clock di quasi sei minuti, punta forte su un ammaliante refrain di chitarra ricorrente e su una linea vocale arcana, trasportata dagli avvolgenti pad di Geoff Downes. Un pad di tastiera dai sentori thrilling annuncia il main theme di chitarra di John Payne, semplice quanto bello, di quelli che ti entrano subito in testa. Le note della chitarra si mixano perfettamente con il pianoforte e con le oscure note del basso, confezionando uno dei migliori momenti dell'era Payne. Le liriche, lorde di profonde licenze poetiche, sono molto riflessive. I "Mondi Diversi" sono quelli moderni, mondi in cui i nostri non si riconoscono, mondi privi dei vecchi valori di una volta, mondi dove la fede verso Dio evapora minacciosamente, mondi dove l'uomo sembra essere allo sbando, orfano di un grande profeta che gli illumini la giusta via da intraprendere. Le liriche si chiudono con un quesito che ci fa riflettere profondamente: il nostro Mondo, pieno di confort e dominato dalla tecnologia, è realmente un Mondo migliore? A voi l'ardua sentenza. Nella strofa, la chitarra si limita e preziosi ricami, lasciando il compito alle tastiere di Downes di trasportare la bellissima linea vocale che emana affascinati sentori carichi di mistero. La chitarra fa crescere il brano nell'effimero bridge, per poi essere protagonista insieme all'organo nel ritornello, ben strutturato e facilmente assimilabile grazie ad una vincente armonia vocale che duetta con Payne. Il main theme di chitarra ci separa dalla strofa successiva, che mantiene le arcane atmosfere. La canzone scorre bene, trasportata del brillante drumming di Mike Sturgis, che di tanto in tanto impreziosisce con i suoi peculiari controtempi sul charleston. Dopo un'altra dose di ritornello, troviamo lo special, dove un importante salto di tono guidato dalle tastiere fa emergere le calde sonorità già sentite su "Arena". A seguire, John Payne si disimpegna egregiamente con un breve assolo, molto scolastico e ricco di melodia, assolo che sposa perfettamente il contesto melodico della canzone e che devo dire funziona perfettamente. Tornano le atmosfere misteriose con la strofa, seguita da una versione alternativa dell'inciso, che poi torna prepotentemente, spinto dai power chords sparati da Payne. Molto bella la coda finale, con i suadenti "Different Worlds" che si mixano la main theme di chitarra, che negli ultimi secondi di brano si trasforma in un effimero assolo che purtroppo sfuma troppo precocemente in dissolvenza.

Time Again

Nel 2010, la inside out Music ha rilasciato la sua versione, con la consueta bonus track. Stavolta è stata inserita una suggestiva versione acustica di "Time Again", trascinante brano che nello storico omonimo debut album datato 1982 faceva emergere il passato progressive del super gruppo albionico. Le liriche, fra le più interessanti del primo album Asiatico affrontano in materia più matura rispetto agli standard il tema dell'amore. Insoddisfazioni e bugie sono i demoni che hanno rotto il fragile equilibrio di un rapporto amoroso ormai offuscato dalla menzogna. La canzone si apre con un vorticoso refrain di chitarra acustica che poi lascia il campo alle suadenti note del pianoforte, che accompagnano l'ottima interpretazione vocale di John Payne. I brillanti interludi strumentali della versione originale vengono replicati suggestivamente dalle tastiere di Downes. Grazie ad una bellissima partitura di pianoforte, il brano scorre bene, se pur lontano dalla travolgente versione del 1982. Arrivati verso la metà del brano chitarra e tastiera confezionano un avvolgente interludio strumentale, per poi lasciare il campo a Mr. Downes, che ci ipnotizza con un bellissimo assolo di tastiera, ben supportato dalla chitarra acustica. Il nostro disegna fantastici arabeschi che poi cedono lo scettro alla sei corde acustica. I nostri ci salutano con un ultimo passaggio di strofa e ritornello, dimostrando che questa era la strada giusta per riproporre i brani dell'era Wetton.

Conclusioni

Partiamo dal presupposto che il greatest hits perfetto non esiste, o meglio esiste se ognuno di noi se lo crea con le proprie mani, seguendo i propri gusti ma soprattutto il cuore. Siamo di fronte ad una raccolta che se priva dei due inediti si sarebbe presa un bel quattro in pagella. Le nuove versioni delle storiche hit dell'era Wetton in alcuni momenti fanno rabbrividire e alimentano giustificati dubbi su questa scelta infelice voluta dalla Snapper Music. La Geffen aveva messo i bastoni fra le ruote alla Snapper Music per aver inserito alcuni brani in scaletta? Bene, fortunati i possessori delle poche copie rilasciate in Giappone, ma la soluzione migliore era quella di ridisegnare ex novo la track list e completare le caselle mancanti con altri brani appartenenti all'era Payne, visto che "Aqua", "Aria" ed "Arena" pullulano di eccellenti composizioni. Andare a scomodare brani del leggendario trittico degli anni '80 (a proposito, io avrei inserito "The Smile Has Left Your Eyes", per chi scrive forse uno dei pochi brani dell'era Wetton capace di rientrare nelle corde di Payne senza farci gridare allo scandalo) si è rivelata una pericolosa arma a doppio taglio. Fare paragoni con il glorioso passato è inevitabile e i deludenti risultati ci indicano in maniera cristallina che si è trattato del primo (e per me unico) passo falso fatto da Geoffrey Downes. Gli stessi Payne e Downes, a posteriori hanno ammesso che si è trattata di una scelta infelice, ma i nostri erano con le mani legate e l'album andava comunque rilasciato anche nel resto del Mondo, e all'epoca questa pareva la scelta migliore. La bonus track che chiude la ristampa targata Inside Out Music ci mostra un'altra valida alternativa per ovviare al problema, ovvero riproporre i classici del passato in una suggestiva versione acustica che avrebbe innalzato notevolmente il valore dell'album. Anche brani dell'era Payne inseriti nella track list danno alito a dubbi giustificati. Canzoni che io ritengo imprescindibili non hanno trovato spazio, a scapito di scelte dubbie come la presenza di "Reality", tanto per citare un esempio. "Anthology" è stato rilasciato dalla Snapper Music in un giorno imprecisato del 1997. Essendo una raccolta, studi di registrazione, produzione e ingegneri del suono sono i medesimi degli album di appartenenza. Le nuove registrazioni sono state effettuate presso i Loco Studios ubicati nel Galles, sotto l'attenta produzione dell'ormai affiatato duo Downes-Payne. Purtroppo, non essendo in possesso della ristampa targata Inside Out Music rilasciata nel 2010, non sono riuscito a trovare informazioni utili inerenti alla versione unplugged di "Time Again", che comunque dovrebbe risalire al 1997. L'artwork, ideato da Geoff Downes e prodotto dalla Mixed Images Ltd., nella sua semplicità, ha comunque il suo fascino. Uno sfondo totalmente bianco mette in risalto lo storico logo ideato da Roger Dean nel lontano 1982, stavolta riproposto in una stuzzicante versione tridimensionale che sfrutta le varie sfumature del blu, variegate in rosso, con delle scintille che esaltano il culmine delle varie lettere. Sotto, in un interessante font, il titolo dell'album. Nel booklet interno, oltre a qualche foto, le liriche e artisti coinvolti, troviamo un interessantissimo albero genealogico degli Asia, che ripercorre tutta la carriera della band, album per album, con i vari membri che si sono alternati a fianco del sempre presente Geoff Downes e le loro band di appartenenza. Non mi sento di consigliare questa antologia se non ai collezionisti compulsivi del brand Asia. In giro si possono trovare molte raccolte ben più soddisfacenti di questa, che comunque si lascia apprezzare per i due inediti. "Anthology" punta molto sulla curiosità che suscitano le vecchie canzoni registrate con la nuova formazione, curiosità che evaporano precocemente sin dai primi ascolti, lasciandoci con l'amaro in bocca e sollevando molti dubbi, fatta eccezione di "Go", l'unica delle vecchie tracce che riesce a funzionare anche con la nuova line up. Ne giustificano invece l'acquisto i due brani inediti, in special modo "Different Words" canzone che contribuisce notevolmente ad una valutazione più che sufficiente.

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1) The Hunter
2) Only Time Will Tell
3) Arena
4) Anytime
5) Don't Cry
6) Aqua Part 1
7) Who Will Stop The Rain?
8) The Heat Goes On
9) Two Sides Of The Moon
10) Reality
11) Go
12) Feels Like Love
13) Someday
14) Heat Of The Moment
15) Military Man
16) Different Worlds
17) Time Again
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