ASIA
Alpha
1983 - Geffen Records
SANDRO PISTOLESI
04/06/2022
Introduzione Recensione
Non si può dire che John David Kalodner, dirigente della divisione A&R della Geffen, non abbia avuto l'occhio lungo, mettendo insieme un quartetto di musicisti che hanno dimostrato sin dai primi momenti un affiatamento ed un songwriting fuori dal comune, tirando fuori tre singoli da classifica e un devastante debut album che imperversarono per tutto il globo, toccando l'apice negli Stati Uniti. Spinti dalla neonata Videomusic, gli Asia ben presto diventarono una delle band più in voga di inizio anni '80. Il successo planetario del primo ed omonimo disco, spinse i dirigenti della Geffen a chiedere un immediato bis al supergruppo albionico, chiedendo specificatamente a Wetton e Downes, di scrivere tutte le nuove canzoni, in quanto autori dei tre singoli spacca classifica presenti sul disco precedente, estromettendo senza mezzi termini Steve Howe dalle composizioni, le cui fantasie barocche tendevano in qualche maniera a riabbracciare il suo amato progressive rock. Inutile dire che l'ex Yes non la prese per niente bene, iniziando a manifestare preoccupanti malumori che mettevano a rischio l'integrità della band proprio nel momento cruciale della carriera. Una volta finito il tour mondiale, la Geffen rinchiuse la loro gallina dalle uova d'oro nei Le Studio di Québec, in Canada. I dirigenti del colosso discografico americano spingevano per un secondo album da pubblicare il prima possibile, in modo da capitalizzare al meglio il successo dell'album precedente, rendendo però fin troppo frettolose le sezioni di songwriting. Il dualismo fra Wetton e Howe iniziava ad emergere. Inoltre, la band, chiusa forzatamente durante il rigido inverno canadese all'intero dello studio di registrazione, ubicato nelle sperdute lande dei Monti Laurenziani, iniziava a manifestare preoccupanti sintomi che riconducevano alla Sindrome della Capanna (Cabin Fever). Episodi di irritabilità, stanchezza, letargia, angoscia e frustrazione misero a serio rischio la nascita del nuovo disco, che i nostri intitolarono non a caso "Alpha", dando vita ad una lunga tradizione che vedrà per molto tempo i titoli degli album degli Asia iniziare e terminare con la lettera "A". Alpha, oltre ad essere la prima lettera dell'alfabeto greco, in finanza è il termine che viene usato per denotare un rendimento superiore a quello che ci si attende dal mercato, ergo la traduzione prefetta dei voleri della Geffen. Sonorità accattivanti e ritornelli iper-orecchiabili sono le peculiarità di "Alpha", che senza la mano di Steve Howe imbocca in maniera definitiva le autostrade radiofoniche dell'AOR americano, se pur mettendo in mostra la classe sopraffina e la padronanza dei quattro musicisti albionici. Per continuare a cavalcare l'onda del successo sancita dal sempiterno debut album, le nuove composizioni si limitano quasi sempre ad una semplice struttura strofa - bridge - ritornello, guarnite con liriche facili a sfondo sentimentale atte ad accaparrarsi nuovi fan, ma che allontanano i nostri da quel progressive rock di cui sono i precursori. Nonostante la strada radiofonica intrapresa, l'album non riuscirà però a bissare il successo del suo predecessore. Secondo il mio modesto e sindacabile parere, "Alpha" è un disco dalle enormi potenzialità che avrebbe potuto tener testa al suo predecessore, se la produzione ed il mixaggio di Mike Stone, coadiuvato dall'ingegnere del suono Paul Northfield, fossero stati all'altezza. Forse spinto dalla Geffen, il produttore albionico stavolta penalizza la chitarra e la batteria, sovrastate dalle prepotenti tastiere di Downes, togliendo al disco quel graffiante e genuino sound rock che aveva il suo predecessore. I ritardi dell'uscita dell'album furono dovuti al malcontento della band relativi al sound, in particolare Steve Howe non era convinto del risultato. Mike Stone si adoperò per un secondo remix che però non si avvicinò al sound voluto dai nostri. Con la data di uscita alle porte, non ci fu tempo per ulteriori ritocchi e Howe e compagni dovettero accontentarsi a loro malgrado del risultato finale. "Alpha" è stato l'album con cui ho scoperto gli Asia, grazie ad un caro amico, ergo l'affetto che provo per questo album è immenso. Se pur conscio che lo storico debut album è un disco superiore, io lo amo ugualmente. "Don't Cry" e "The Smile Has Left Your Eyes" sono due singoli di successo, "The Heat Goes On" e "Open Your Eyes" e "My Own Time "sono ottime composizioni che lasciano trapelare flebili venature di progressive e che non avrebbero sfigurato sul debut album, mentre le contagiose linee vocali presenti su "Never In A Million Eyes", Eye To Eye" e "True Colors" si sono installate in pianta stabile nella mia mente e nel mio cuore. È giunta l'ora di fare un viaggio indietro nel tempo ed ascoltarci questo disco, la cui copertina che analizzeremo più avanti da sola ne giustifica l'acquisto.
Don't Cry
La versione in vinile era divisa in "lato Alpha" e "lato Beta", affascinante dettaglio che si è perso nella più comoda versione in CD. Come successo per "Heat Of The Moment", anche "Don't Cry (Non Piangere)", è stata scritta all'ultimo minuto, per poi diventare la prima traccia del nuovo album ed essere lanciata come singolo apripista nel Luglio del 1983. Tre minuti e mezzo di accattivante e raffinato pop rock con un John Wetton stratosferico che ci cattura con le sue magnetiche linee vocali. Geoff Downes apre il brano con una arcano pattern di pianoforte, ricamato dai lamenti della chitarra di Howe. Nonostante siano penalizzati dal mixaggio, le corse sulle pelli di Mr. Palmer risultano micidiali. L'intro è top ed apre il sentiero a John Wetton, che tanto per cambiare imposta le liriche sul sentimentale. Ma se il testo lascia a desiderare, le linee vocali sono degli irresistibili hook. Seguendo la cavalcata ritmica sporcata dalla chitarra elettrica, l'Ex King Crimson ci presenta una ragazza che non ha avuto vita facile. Ha vissuto tempi duri, è stata maltrattata, imbrogliata, ma come nelle favole della Disney, è arrivato il principe azzurro, ci ha messo del tempo ma è riuscito a trovarla ed ora saprà darle la vita che merita. Gli strumenti crescono ed insieme ai vocalizzi di Wetton aprono i cancelli al contagioso ritornello. Il botta e risposta tra l'armonia vocale che recita "Don't Cry" e John Wetton è un amo ben innescato a cui è impossibile resistere. La ragazza finalmente non deve più piangere, deve solo pensare a divertirsi assieme al sue prode salvatore. Il brano scorre fluidamente senza aggiungere di nuovo ne musicalmente ne liricamente, sfruttando la classica alternanza strofa ritornello, con in mezzo un fugace ritorno dell'ottimo intro che poi lascia il campo all'inciso che in loop ci accompagna verso la fine, dove le pompose tastiere di Downes colorano il tutto. Con MTV nel suo massimo splendore, gli Asia investirono molto per realizzare un divertente videoclip avventuroso, liberamente ispirato alla pellicola di Steven Spielberg "I predatori dell'arca perduta", un vero e proprio simbolo del decennio. Pare che l'opera, affidata alla regia di Brian Grant e registrata nei Twickenham Film Studios di Londra, sia costata ben 35000 dollari. I quattro improbabili avventurieri si divertirono molto a girare questo video, cancellando tutto lo stress accumulato in Canada durante le faticose sessioni di registrazione. Se la parte di John Wetton all'interno di uno sperduto bar del Medio Oriente era piuttosto dignitosa, non si può dire lo stesso per gli altri, con Palmer e Howe in classica mise color cachi, alle prese con le insidie di una giungla che in qualche maniera ricreava lo splendido artwork di Roger Dean. Mentre Carl annaspava nella giungla rischiando di annegare in una palude di sabbie mobili e Steve si disimpegnava in una pericolosa scalata, Geoff inseguiva un piramide in cartapesta fra le roventi sabbie del deserto indossando una improbabile tunica bianca e l'immancabile fascia ai capelli. Spinto dal diverte videoclip il singolo raggiunse la posizione numero dieci in Canada e negli Stati Uniti, oscillando fra la posizione diciassette e la cinquanta nel resto del Mondo, con una sorprendente ventiduesima posizione nella classifica dei singolo più venduti in Italia.
The Smile Has Left Your Eyes
Si continua con "The Smile Has Left Your Eyes (Il Sorriso Ha lasciato I Tuoi Occhi)", una delle tante preziosissime perle che ci hanno donato gli Asia, una struggente ballata firmata dal solo John Wetton che mixa perfettamente dolcezza e tristezza. Rilasciata come singolo nell'Ottobre del 1983, fa colpo grazie al bellissimo videoclip girato da Brian Grant sottoforma di vecchio melodramma francese, con tanto di sottotitoli e cast, girato nella suggestiva città di Parigi. Geoff Downes apre il brano con uno struggente pad orchestrale, accompagnando poi con il pianoforte il Vocalist Di Willington, che con ci mostra tutto il disappunto di un uomo che ha visto sua moglie mano nella mano con un amante. I delicati fil di Carl Palmer potenziano la seconda strofa, accompagnandoci verso lo struggente inciso. Wetton recita con tristezza la frase hook "The Smile Has Left Your Eyes (Il Sorriso Ha lasciato I Tuoi Occhi)", ricamato dalle note della chitarra che sembra piangere di fronte a cotanta tristezza. Con la sezione ritmica a pieno regime, il brano si fa più brillante e trascinante, le tastiere di Downes sembrano una brezza gentile che trasporta lontano i delicati vocalizzi vintage a la Beach Boys, un bellissimo tributo di Wetton nei confronti di una delle sue band preferite. L'importante salto di tono del bridge spruzza energia sul brano, l'uomo caccia via la moglie che con un deplorevole gesto fedifrago ha rovinato una splendida famiglia, rompendo il fragile sigillo del matrimonio. Le infinite corse sulle pelli di Palmer ci portano verso la parte finale del brano, dove brillano le tastiere e Wetton ci dice chiaramente che il rapporto non ha nessuna possibilità di ricucirsi, il "sorriso ha lasciato i tuoi occhi" dice il nostro a più riprese. A differenza del video clip di "Don't Cry", stavolta Brian Grant segue alla perfezione il copione scritto da Wetton. Come spesso accade nei matrimoni giunti ad un punto di rottura, ad avere la peggio sono i figli, in questo caso la piccola Danielle, interpretata da Natasha King, vede con i suoi occhi li matrimonio dei suoi genitori sgretolarsi, il padre Jaques è interpretato da Terry Grant, sua madre Chantal da Vivienne Chandler, come recitano i sottotitoli iniziali del video clip. Il cortometraggio alterna immagini dei nostri che suonano il brano con scene che ci mostrano il dramma vissuto dalla piccola Danielle, che non sopportando più la situazione riesce a fuggire dalla madre. I due genitori, riuniti momentaneamente dalla disperazione, si gettano freneticamente alla ricerca della bambina. La tragedia si consuma quando i due, assieme ad un agente della polizia, vedono la bambola preferita di Danielle galleggiare nelle acque della Senna. Ma proprio quando le ultime note del pianoforte accompagnano le parole finali di Wetton, ecco il lieto fine, Danielle si affaccia sulla soglia dello studio dove gli Asia stavano suonando, e stavolta un luminoso sorriso illumina il suo bel faccino, stavolta il sorriso non ha abbandonato i suoi occhioni pieni di gioia. Difficile raccogliere così tante emozioni in poco più di tre minuti, gli Asia ci sono riusciti.
Never In A Million
"Never In A Million (Mai In Un Milione)" è un brano dalle enormi potenzialità che a mio avviso non sono state sfruttate a pieno, a causa delle dubbie scelte in fase di produzione. La magnetica linea vocale di Wetton e le epiche tastiere di Downes sono ok, quel che manca è un maggior apporto della chitarra ed un suono più brillante ed incisivo dell'incessante drumming di Palmer. Pare che Howe abbia lottato duramente affinché la sua chitarra risultasse più incisiva per tutto il brano, ma la strada di adottare un sound più soft da parte di Mike Stone ha avuto la meglio sull'eclettico Chitarrista Di Holloway. In vero il buon Steve parte bene, facendo centro con un bel tema di chitarra sporcato dallo wah-wah che emerge nella breve introduzione, ma una volta entrato in scena Wetton con una delle sue contagiose linee vocali della chitarra aimè se ne perdono le tracce, fagocitata dalle dense sabbie mobili delle tastiere. Le liriche, sempre sul sentimentale, non sono certo impegnative, facili licenze poetiche girano attorno a promesse inerenti a un amore duraturo, il nostro non lascerà mai la sua amata neanche fra un milione di anni, come recita nell'ammaliante ritornello, dove le tastiere colorano la vincente armonia vocale. Nella seconda strofa, le sinfoniche tastiere di Downes sottolineano l'ottimo cantato. Superata la metà del brano, si rivede Steve Howe, che ci ripropone il bel tema di chitarra sentito all'inizio, per poi essere nuovamente soffocato dalle pompose tastiere. I nostri si attengono alle linee imposte dalla Geffen, alternando strofa e ritornello senza l'aggiunta di nessun guizzo strumentale che ci fa drizzare le orecchie e facendo sfumare lentamente in fader il contagioso inciso.
My Own Time (I'll Do What I Want
Steve Howe si rifà nella successiva My Own Time (I'll Do What I Want) ["Il Mio Tempo (Farò Quello Che Voglio)]". Dopo una effimera ma brillante introduzione, l'ex Yes ci ipnotizza con una bellissima escursione sulla sei corde, suonata rigorosamente con le dita, rievocando i suoni barocchi del decennio precedente. Downes stende un soffice tappeto di tastiera che accoglie la calda voce di Wetton. Se pur sempre sul sentimentale, le sue liriche stavolta risultano molto più importanti. Stavolta la rottura del rapporto sembra aver dato forza al nostro, che liberato dalle catene si sente libero come mai si era sentito prima. Una volta libero, anche la luce del Sole appare più bella. Non deve più rendere conto a nessuno, non deve più dimostrare nulla, non ha più niente da perdere ora che è da solo. Profonde pennate di basso e colpi ben assestati di batteria ritmano la seconda strofa, dove il nostro riavvolge il nastro e ripensa a quando doveva giocare secondo le regole imposte dalla sua ex. In chiusura di strofa brilla la frase "Faith in myself gives me the strength to carry on (La fiducia in me stesso mi dà la forza di andare avanti)", un mantra che ognuno di noi dovrebbe adottare in ogni tipo di circostanza. Nel solare ritornello ottantiano, Wetton sottolinea che ora sarà libero di fare quello che vuole. Un brillante passaggio all'unisono ci riporta alla strofa, dove le atmosfere barocche sono rinvigorite dalla sezione ritmica. Wetton si leva qualche sassolino dalla scarpa per poi sfogarsi nuovamente nel solare inciso dal piacevole retrogusto anni'80. Nel breve special, un importante salto di tono spinge il Vocalist Di Willington in alto, per poi atterrare sulle solari atmosfere dell'inciso che ci accompagna verso la fine, colorato dalle pennellate di Steve Howe, che in chiusura si disimpegna in un assolo che rievoca i tempi d'oro, mixando sapientemente le sonorità degli anni Settanta a quelle del decennio successivo, sostituito poi dall'epico pattern di tastiera che ci accompagna verso l'epilogo.
The Heat Goes On
E siamo arrivati ad uno dei miei brani preferiti dell'intera discografia Asiatica, "The Heat Goes On", il brano che va a chiudere il "lato Alpha" e con il quale ho scoperto gli Asia innamorandomene pazzamente. Downes apre con una manciata di tenebrosi accordi di pianoforte. Il drumming in crescendo di Palmer fa esplodere l'intro, dove brillano le tastiere thrilling bombardate da ben assestati colpi della sezione ritmica che vanno ad aprire i cancelli a Mr. Howe, il quale ci incanta con un melodicissimo tema di chitarra. Wetton canta con grinta, seguendo la melodica strada aperta dal Biondo Tastierista di Stockport, dando un seguito alla celeberrima e intramontabile "The Heat Of The Moment". Con licenze poetiche facilmente assimilabili, il nostro ci canta di un uomo invaso dalla passione amorosa, con la testa fra le nuvole, un uomo che travolto dalla passione non sia accorge di pensare ad alta voce. L'armonia vocale dell'inciso è contagiosa, come lo sono i preziosi ricami di chitarra. Dopo un secondo passaggio della strofa (impreziosita dai bellissimi ricami pianistici) e del ritornello, calano i bpm ed arriva il bridge. Le paradisiache tastiere di Geoff Downes vengono sporcate dai graffianti fraseggi del basso e dai delicati fil di Mr. Palmer, mentre Wetton canta con il cuore in mano. Una breve ma eccellente chiusura, dove brilla un pungente fraseggio di basso, ci riporta verso la strofa, dove stavolta pianoforte e chitarra ricamano la grintosa linea vocale. A seguire troviamo naturalmente l'anthemico inciso, seguito da un funambolico e travolgente assolo di organo che odora di progressive e va a rispolverare i fasti di "Drama". Un Palmer scatenato ci va giù duro, sovente in sede live era solito prolungare la coda con un micidiale assolo di batteria, prima del l'ultimo ritorno dell'inciso. Una solenne partitura di organo dai sentori clericali, pone fine a questo fantastico brano che non è mai mancato nelle set list live e che farà felici i progger dalla mente più aperta. Chapeau.
Eye To Eye
Il "lato Beta" si apre con "Eye To Eye", una espressione traducibile con il nostro "non la vediamo allo stesso modo". Brano breve ed immediato, dalla linea vocale molto orecchiabile e contagiosa e che a mio avviso andava sfruttato meglio. Sebbene le liriche affrontino l'ennesima relazione amorosa non andata a buon fine, voci maligne dicono che molti versi sono riferiti al difficile rapporto fra Howe e Wetton che stava dando dei preoccupanti cenni di cedimento, a causa della strada commerciale intrapresa dal supergruppo albionico. Howe apre il brano con un piangente tema di chitarra che nella strofa va a ricamare l'ammaliante linea vocale di Wetton, che nell'occasiona sposta in lato il sue regime vocale. Il Vocalist Di Willington non ne vuole sapere di voltarsi indietro dopo la brusca interruzione di una storia d'amore. La donna, forse peccando in fierezza, credeva di camminare sull'acqua, ma in realtà stava camminando sopra una sottile ponte di ghiaccio, è questa l'interessante licenza poetica usata da Wetton per far venire a galla i problemi della relazioni. Nel bridge strumentale, con un sibillino tema di tastiera Geoff Downes rievoca le elettroniche sonorità dei The Buggles, spalancando le porte al trascinate ritornello, dove la solare armonia vocale che recita "perché non la vediamo allo stesso modo" viene evidenziata dalla cavalcata di Mr. Howe. In effetti è proprio nelle pungenti frecciatine del ritornello che possiamo scorgere velati messaggi lanciati da Wetton nei confronti di Steve Howe, visto che i due non la vedevano allo stesso modo riguardo alla direzione musicale da intraprendere. I nostri si attengono ai voleri della Geffen, sfruttando allo sfinimento la classica struttura strofa-bridge-ritornello, riproposta a più riprese. La coda strumentale di quasi un minuto è molto interessante. Steve Howe si scatena con la sei corde, seguendo la strada melodica aperta dalle tastiere e fuggendo dai micidiali colpi di un incontenibile Carl Palmer. Quando ad inizio brano ho parlato di un brano che poteva essere sfruttato meglio, mi riferisco proprio a questa coda strumentale, dove brillano i voli pindarici da parte di tutti gli strumentisti che però sfumano troppo presto in fader, lasciandoci con l'amaro in bocca.
The Last to Know
The Last to Know (L'Ultimo A Sapere)" è un brano meno scontato dal piacevole retrogusto settantiano che mixa le atmosfere melanconiche della strofa con un ritornello anthemico carico di speranza. Le tristi note del pianoforte si distendono su un soffice tappeto di organo, accompagnando la straziante performance di John Wetton, che con poche righe riesce ad esternare tutta la desolazione di un uomo dopo la rottura di un rapporto d'amore. La solitudine lo risucchia come delle melmose sabbie mobili, le sue mani sono bagnate dalle sue lacrime, mentre nella sua testa albergano pericolosi demoni che gli stanno risucchiando le essenze vitali. Un profondo glissato di basso e i colpi ben assestati di Carl Palmer fanno crescere rapidamente i brano e spalancano le porte al caloroso ritornello, dove nonostante si respiri una piacevole sensazione di speranza, viene a galla che il rapporto amoroso è stato rovinato da un gesto fedifrago da parte della donna, e come sempre il diretto interessato è stato l'ultimo a sapere dalla relazione clandestina. I tristi lamenti della chitarra elettrica ci riportano verso la strofa, dove ritroviamo una malsana atmosfera carica di angoscia. Basso e batteria pulsano come un cuore ferito, l'uomo, offuscato dall'amore si fidava ciecamente della compagna, non poteva neanche immaginarsi un tragico epilogo del genere, fino a quel maledetto giorno in cui sorprese la donna con il suo amante, il peggiore degli inganni per un uomo accecato dall'amore. Il ritorno dell'inciso porta nuovamente la speranza nell'uomo, che deve ritrovare le forze per poter continuare la sua vita. Al minuto numero tre incontriamo un bellissimo interludio strumentale. Le arcane tastiere di Downes vanno ad a sfogliare pagine di musica classica, bombardate da oscuri fraseggi di chitarra e micidiali colpi della sezione ritmica che accentuano la tensione. Questo epico intermezzo cresce lentamente per poi deflagrare nel solare ritornello che ci accompagna lentamente verso la fine, impreziosito dai raffinati ricami della chitarra elettrica.
True Colors
Tastiere importanti ed una linea vocale contagiosa confezionano la successiva "True Colors (Colori Reali)" altro brano dalle notevoli potenzialità che a mio avviso non è stato sfruttato al meglio, magari dando molta più libertà a Carl Palmer, tenuto troppo a freno dalla produzione. Impossibile non innamorarsi dell'ammaliante melodia che esala dal castello di tastiere di King Downes. La triste atmosfera avvolge John Wetton che si riallaccia alle liriche del brano precedente. Il tradimento da parte della donna è stata un'amara sorpresa. Sottolineati dai ruggiti del basso, nella mente di Wetton scorrono vecchi ricordi, dietro i quali si celavano i primi indizi di una storia d'amore destinata a finir male. L'improvviso aumento di intensità dell'effimero bridge annuncia l'inciso. La gran cassa pulsa come un cuore impazzito, gli strumenti si muovono all'unisono, evidenziando i colori reali della menzogna che brillano negli occhi della donna, svelando il terribile inganno, sottolineato da preziosi intarsi di chitarra. Le arcane tastiere di Downes riportano la calma, Palmer si limita al mino indispensabile, mentre Wetton rievoca ricordi e avverte la donna di stare attenta a tutte quelle persone che lei chiama amici. Il cerchio si è chiuso dopo una spiacevole susseguenza di eventi, e magari qualcuno vede la donna con occhi diversi. Torna a brillare il coro "True Colors" dell'inciso, seguito da un energico special. Nonostante si evidente che l'energia di Palmer sia tenuta a freno, il nostro riesce ugualmente a far crescere il brano con i suoi fil, aiutato dai ruggiti del basso. Il picco culmina con pompose tastiere inseguite da inquietanti armonie vocali di Yessane memorie che ci portano dritte all'inciso conclusivo. Si ha l'idea che il brano volga al termine in maniera frettolosa, sembra che i nostri avessero una gran voglia di finirlo quanto prima. Peccato.
Midnight Sun
"Midnight Sun (Sole Di Mezzanotte)" è l'esempio lampante di come la Geffen e la produzione easy listening di Mike Stone abbiano sminuito la bellezza delle composizioni del supergruppo albionico. Infatti, il brano è una vecchia composizione, la prima dopo il debut album ed è stato spesso eseguito dal vivo nel 1982, presentato come nuova canzone. La bellissima introduzione di batteria è stata tolta del tutto, il travolgente assolo di chitarra è stato ridotto ai minimi termini, le tastiere Yessane sono state addolcite e semplificate, la durata da oltre sette minuti è stata ridotta a soli 3.48 minuti, spazzando via in buona parte l'anima progressive che aveva in origine il brano, che nonostante tutto è fra quelli che più si avvicinano al sound e allo stile dell'album d'esordio. L'unica cosa che è rimasta invariata e la melanconica linea vocale. Il Sole di mezzanotte è un fenomeno astronomico che si verifica nelle regioni polari. A causa dell'inclinazione dell'asse terrestre con l'avvicinarsi del solstizio d'estate, nelle regioni al di sopra dei circoli polari si verifica il fenomeno del Sole di mezzanotte: in questi luoghi, il Sole non scende mai sotto l'orizzonte per almeno 20 ore; quindi, né sorge e né tramonta e di conseguenza non cala mai la notte. È uno spettacola che assieme all'aurora boreale attira molti turisti a Capo Nord, celebre promontorio che si trova sulla punta nord dell'isola di Magerøya, nella parte più settentrionale della Norvegia. Le spaziali tastiere di Downes ci trasportano nelle gelide lande della Norvegia, l'apporto di Palmer è ridotto ai minimi termini rispetto alla versione embrionale. Wetton finalmente riesce a staccarsi dal filone sentimentale, impreziosendo le liriche con quelle profonde licenze poetiche capaci di dipingere quadretti mozzafiato tanto care ai progger. La voce di Wetton, carica di reverbero ci porta verso l'inciso, dove in sottofondo possiamo apprezzare i lamenti della chitarra, commossa di fronte allo spettacolo del sole di mezzanotte. Le liriche ci invitano ad apprezzare i miracoli di Madre Nature, ci invitano a cogliere i segnali che essa ci lancia, ci invitano a sforzarci di entrare in piena sintonia con la Natura e volare lontano con la mente, allontanandosi momentaneamente dalla vita frenetica quotidiana. Nel breve stacco strumentale che ci separa dalla strofa successiva, tastiere e chitarra fanno affiorare lievi sentori di progressive. Per qualche secondo "Drama" è dietro l'angolo. Dopo un secondo di passaggio di strofa e ritornello, finalmente arriva il momento di gloria per Steve Howe, il mago della sei corde ci fa sognare con un fantastico assolo di chitarra, nonostante la produzione lo abbia stagliato in maniere smodata ed inopportuna rispetto alla versione primordiale. Fraseggi vertiginosi e passaggi melodici da brividi ci trasportano lontano facendosi sognare ad occhi aperti e provocandoci una buona dose di brividi, fino a quando il ritornello non torna per una ultima volta, stroncando il sublime assolo proprio sul più bello. Grazie Geffen.
Open Your Eyes
In "Open Your Eyes (Apri I Tuoi Occhi)" i nostri riescono finalmente a liberarsi dalle catene e sfogare tutta la loro esuberanza strumentale. Già dalla durata, che supera abbondantemente i sei minuti, è facile intuire che in questo brano i nostri si avvicinano allo stile dell'album d'esordio ma soprattutto fanno riaffiorare il progressive rock che ancora scorre nelle loro vene, chiudendo il nuovo disco con il botto. Dal castello di tastiere si innalza una gelida nebbia dove spettrali "Open Your Eyes" sporcati dal vocoder danzano come fuochi fatui. John Wetton, con una linea vocale carica di mistero ci presenta una bellissima ragazza orientale in cerca di sé stessa, smarrita e spaesata fra le tradizioni e gli usi del mondo occidentale. Come un fulmine a ciel sereno sopraggiunge Carl Palmer a spezzare le fragili e gelide atmosfere con un drumming finalmente travolgente. Spinto dalla batteria e dalla chitarra di Howe, il cantato si dell'Ex King Crimson si fa più energico e ci porta verso il solare ritornello, dove brillano pomposi pattern di tastiera e il martellante ride di Palmer scandisce il tempo. La contagiosa armonia vocale spinge al ragazza ad aprire gli occhi e credere in sé stessa, un mantra sempre attuale che si sposa bene in qualsiasi occasione. Nella seconda strofa calano i bpm, sezione ritmica e chitarra vanno momentaneamente in stand-by, lasciando solo il settantiano organo di Downes ad accompagnare Wetton. Posseduta dal tremendo demone della mancanza di autostima, la ragazza è in cerca di qualcosa di nuovo, sfoglia riviste di moda, dove se pur bellissime, le modelle non raggiungeranno mai la sua venerea bellezza. Il ritorno di Palmer riporta il brano su binari energici, "Do you see in photographs an angel that once was you? (Vedi nelle fotografie un angelo che una volta eri tu?)" canta poeticamente il nostro prima dell'avvento dell'inciso. Una dolce armonia vocale a metà fra gli Yes e i Beach Boys annuncia lo special. Calano nuovamente i giri del motore, le tastiere avvolgono Wetton che fa da motivatore alla ragazza, Howe spara un power chord che da il là ad un crescendo rossiniano che culmina con un bellissimo assolo, dove le magie di Howe e Downes si intrecciano magicamente, rievocando le bellissime evoluzioni in aria di uno stormo di storni al calar del Sole. Nella strofa successiva, uno Steve Howe finalmente libero dalle catene ricama splendidamente le dolci licenze poetiche che esaltano la bellezza della ragazza. Dopo il ritornello ritroviamo l'armonia vocale, l'ira degli strumenti si placa, Geoff Downes crea un magico limbo con le tastiere, dove ritroviamo gli spettrali "Open Your Eyes", in sottofondo, a piccoli passi si fa vivo il rullante di Carl Palmer che fa crescere il brano. Enigmatiche note di pianoforte si mischiano ai lamenti della chitarra e alla babele di voci che recitano in maniera inquietante "Open Your Eyes". Il basso pompa, Howe spara tre energici power chords che fanno esplodere definitivamente il crescendo. Palmer trascina tutti massacrando tom e rullante, le spettrali tastiere di Downes vengono insidiata dalle evoluzioni chitarristiche di Howe che ci trascinano lentamente verso il finale, che sfuma in fader proprio sul più bello. Per la Geffen oltre sei minuti sono fin troppi, noi amanti della buona musica ne avremmo graditi altri tre o quattro. Chapeau. Vista la bellezza di questa traccia conclusiva, che da sola vale l'acquisto del disco, la domanda sorge spontanea: perché la Geffen non ha lasciato carta bianca a questi quattro fantastici musicisti?
Conclusioni
Seppur conscio che il disco d'esordio degli Asia fosse assai più esaltante di questo controverso "Alpha", l'album a me è sempre piaciuto, forse perché è stato il primo disco Asiatico che ho acquistato, quando ancora si andava in centro a passare giornate nei negozi di dischi con gli amici. L'album ha enormi potenzialità che se fossero state sfruttate in maniera più adeguata lo avrebbero portato come minimo ad eguagliare la magnificenza del debut album degli Asia. La bramosia di denaro della Geffen, che voleva sfruttare al massimo il successo di Wetton e soci, ha spinto il produttore Mike Stone ad avvicinare il sound verso l'AOR allontanandolo da quel progressive rock dei quali i nostri sono i pionieri. La versione finale di "Midnight Sun" ne è la prova lampante, pensate dove potrebbero essere arrivati brani come "Eye To Eye", "True Colors" e Never In A Million" se i nostri avessero avuto quella libertà compositiva che gli era stata concessa nel disco d'esordio. I punti deboli dell'album sono senza ombra di dubbio il sound ed il mixaggio, non brillante ed incisivo, ma soprattutto le briglie che Mike Stone e la Geffen hanno messo a Howe e Palmer, estromettendoli di fatto dalle composizioni e frenando il loro unico ed inimitabile estro, riducendoli quasi al mero ruolo di comprimari dell'ispiratissimo duo Wetton-Downes. Nonostante tutto, comunque in alcuni momenti i due riescono a districarsi dalle vischiose ragnatele regalandoci momenti memorabili, facendosi largo fra i fantastici pattern di tastiera di un esuberante Geoff Downes e la incantevole e romantica voce di John Wetton. Oltre alla micidiale coppia di singoli di successo che troviamo in apertura, non mancano brani memorabili come "The Heat Goes On" e "Open Your Eyes", composizioni in linea con l'album precedente che lasciano timidamente riaffiorare venature progressive e che entreranno in pianta stabile nelle future set list live. Gli altri brani della track list si muovono su standard più che discreti, anche se come sottolineato in fase di track by track, le loro enormi potenzialità non sono state sfruttate in maniera adeguata. Nonostante la strada mainstream intrapresa, "Alpha" non è riuscito comunque ad eguagliare il successo del suo predecessore, raggiungendo comunque posizioni più che soddisfacenti nelle classifiche mondiali degli album più venduti. Si va da una dignitosa quinta posizione nel Regno Unito ad una sesta negli Stati Uniti. Discreto il responso del pubblico canadese che ha relegato l'album alla posizione numero dieci. Gli Asia si stavano apprestando ad invadere il Giappone, arrivando alla quarta posizione nella classifica dei dischi più venduti nel Paese del Sol Levante. Discreto il responso nel resto d'Europa. I nostri hanno comunque portato a casa un disco di platino grazie milione abbondante di copie vendute in America ed un disco di argento ottenuto con le sessantamila copie vendute nel paese natale. Numeri discreti ma purtroppo lontani dal successo planetario del disco d'esordio. "Alpha" è stato registrato fra il Febbraio ed il Maggio del 1983 nelle fredde lande canadesi, precisamente nei Le Studio ubicati a Montreal e nei Manta Sound di Toronto. La Geffen, dopo una serie di ritardi lo ha finalmente rilasciato l'8 Agosto del 1982. La produzione, non all'altezza del disco precedente è sempre opera di Mike Stone, coadiuvato dall'ingegnere del suono Paul Northfield. Le estenuanti sessioni di registrazione, l'imposizione della Geffen per un album più commerciale e la fretta messa dalla stessa casa discografica non hanno certo giovato sul risultato finale, sminuendo le interessantissime potenzialità del platter. Merita un doveroso approfondimento la copertina firmata Roger Dean, senza ombra di dubbio uno dei punti di forza del disco, un'esplosione di forme e colori di quelle che invitano ad acquistare il disco ad occhi, o meglio ad orecchi chiusi. Nell'opera del talentuoso Artista di Ashford predominano il celeste ed il verde, due colori frizzanti che si sposavano perfettamente con l'uscita estiva dell'album Una vegetazione dalle forme bizzarre colora di verde un paesaggio metropolitano alieno in riva al mare dove predomina il colore celeste e si ergono maestose strutture fungiformi ed altre torri che ricordano dei giganteschi fiori. Sullo sfondo celeste si erge una piramide del medesimo colore, dove all'apice giganteggia il logo piramidale della band, stavolta corredato di due occhi saccenti che osservano la natura. Subito sotto la punta della piramide, il titolo dell'album, integrato perfettamente nel logo. In primo piano, dalla fitta vegetazione dai sentori preistorici, sbuca una bellissima aquila in procinto di catturare una preda marina. Questo meraviglioso disegno ha la capacita di portarci indietro nel tempo a respirare le colorate e frizzanti atmosfere dei magici anni'80. Tirando le somme "Alpha" è comunque un ottimo album, perfetto come colonna sonora di una vacanza in mezzo alla natura. Consigliatissimo a chi vuole andare a riscoprire le frizzanti ed affascinanti sonorità degli anni Ottanta e agli amanti di sonorità dove predominano le tastiere e ammalianti linee vocali. La mia altissima valutazione finale è dovuta all'enorme amore che provo nei confronti di questo album, un album che ad ogni ascolto rievoca in me fantastici ricordi e ha la capacita di portarmi indietro nel tempo, e credetemi, purtroppo oggigiorno, abbiamo spesso bisogno di viaggiare lontano con la mente, distaccandoci da guerre e pandemie che ormai da troppo tempo ci stanno facendo compagnia.
2) The Smile Has Left Your Eyes
3) Never In A Million
4) My Own Time (I'll Do What I Want
5) The Heat Goes On
6) Eye To Eye
7) The Last to Know
8) True Colors
9) Midnight Sun
10) Open Your Eyes