ARTHEMIS
Heroes
2010 - Helvete & Hate Records
LORENZO MORTAI
22/07/2016
Introduzione Recensione
Qualcuno di voi legge fumetti in maniera più o meno assidua? Se fate parte della fazione che ha risposto sì, ciò che diremo nelle prossime righe probabilmente vi sembrerà qualcosa di "già sentito", ma se invece non avete mai scorso un brossurato di chine colorate o bianche e nere, allora prestate bene attenzione. Da quando gli eroi in calzamaglia sono comparsi, ormai molti, moltissimi anni fa, schiere di studiosi si sono interrogati su cosa possa essere veramente definibile un eroe. E' il supremo uomo in costume che salva il mondo? E' un uomo che indossa una maschera per nascondere la propria identità e nel frattempo aiutare chi ne ha bisogno? Oppure semplicemente l'eroe è la persona in sé per sé? Tutte risposte giuste, e tutte completamente sbagliate, la verità come sempre sta nell'esatto centro. Certo, scorrendo le pagine dei fumetti, specialmente quelli americani, si ha sempre la sensazione che il supereroe sia un essere non di questo mondo, dotato di poteri al di là della nostra comprensione. Eppure, trasmigrando nel mondo reale, queste persone non esistono, ma ciò non vuol dire che non esistano gli eroi. Dalle persone che si spaccano la schiena per andare avanti nella vita, a coloro che prendono la vita stessa degli altri fra le mani, tutti siamo supereroi, e senza bisogno di saper sollevare un palazzo a mani nude o volare come un uccello. Viene da chiedersi a questo punto che cosa c'entri questo enorme papiè con una recensione di musica, beh, più di quanto possiate immaginare. Come abbiamo cercato di raccontare nelle recensioni precedenti, la storia dei nostrani Arthemis è stata ed è ancora costellata di successi e soddisfazioni; la voglia smodata di andare avanti, il sangue freddo e soprattutto quella incessante fiamma musicale che arde nel petto del buon Andy Martongelli, ha fatto sì che nel tempo la band non abbia mai perso il suo smalto, né tantomeno la voglia di suonare e spaccare teste che aveva quando si è formata, molti anni or sono. Nell'ultimo lavoro che avete letto, abbiamo lasciato la band alle prese con la realizzazione di Black Society, grande album, composizioni elevate, spirito libero che si esprime al massimo delle sue potenzialità. Per pubblicizzare il disco, la band gira e rimbalza da una parte all'altra del mondo, finendo perfino in Giappone, insospettabile (ai più) patria di alcuni dei fan metallari più grandi che ci siano. Gli abitanti del Sol Levante sono estimatori musicali fra i più attenti e corroboranti che ci possano essere per una band, specialmente se incanalata in alcuni generi (del resto, se Maiden Japan e Made in Japan recano tale epiteto alla fine, un motivo ci sarà). Ed è proprio in questa millenaria terra che Andy ed i suoi Arthemis collezionano date e fama, arrivando a farsi conoscere ancor meglio di quanto avvenuto fino a quel momento. Una volta tornati in patria però, stanchezza, impegni personali dei membri, o forse più semplicemente il tempo che passa, fanno si che la band si sfilacci (pur rimanendo in ottimi rapporti, che perdurano ancora oggi) e rimanga solo Andrea a fare da litico sostegno. Molti, quasi tutti, probabilmente si sarebbero fermati dopo una cosa come questa, ma non Andy; il tutto per lui diventa l'ennesima sfida da affrontare, l'ennesimo ostacolo da valicare con un balzo oltre il cuore e oltre le opinioni altrui, semplicemente facendo ciò che ama. In una estate solamente (siamo nel 2009) scrive i brani per il nuovo disco, animato dalla fiamma della sperimentazione e della caparbietà. Mancavano però nuove forze per mandare avanti la macchina Arthemis, nuova benzina da gettare sul fuoco per far si che il motore ripartisse di nuovo a tutta potenza, e sprigionasse di nuovo i cavalli che si erano assopiti in quei mesi. Alle spesse corde del basso viene reclutato Damian Perazzini, giovane promessa che ben si inseriva nel panorama che Martongelli voleva creare, mentre dietro alle pelli, il nerboruto fabbro che picchia la grancassa risponde al nome di Conrad Rontani. Reclutata la sezione ritmica, la neonata formazione degli Arthemis inizia a studiare i brani scritti da Andy, prove estenuanti e sessioni estive la fanno da padrone, ogni nota deve essere assimilata alla perfezione, ogni sezione deve essere inglobata dai membri fino in fondo, senza sbavature. Una volta finito il "rodaggio" della formazione rinverdita, manca però qualcuno, anzi, colui che riesca a dare voce (letteralmente) alle parole che si concatenano alla musica. Vengono provinati diversi cantanti, bravi e meno bravi, tutti sicuramente talentuosi e con un bagaglio di esperienze alto e continuativo. Ma niente fino in fondo riesce a smuovere le acque, per quanto le varie ugole provinate abbiano ognuna un valido motivo per restare; finché un giorno, quasi da Musteniana memoria durante i provini dei Metallica, si presenta alla porta Fabio D. All'epoca giovanissimo frontman (aveva neanche 24 anni), Martongelli vede in lui qualcosa di unico, una voce riconoscibile in maniera immediata, accostandolo a tanti altri cantanti che, per quanto non abbiano nel tempo incontrato il furor di popolo totale (basti pensare a Mustaine stesso, ma anche ad Ozzy Osbourne o David Coverdale, frontman che piacciono a moltissimo pubblico, ma non a tutti, cosa che non accade ad esempio con un Dickinson o un Halford, che hanno voci nettamente più clean e tecniche), appena la loro gola scatena la potenza, si riconoscono al primo tocco. La voce era stata dunque trovata, adesso alla new entry non restava altro che imparare i nuovi brani scritti da Andy, infondergli la sua energia ed il gioco era fatto. A livello musicale però, che cosa è cambiato nei due anni che sono intercorsi fra Black Society e l'argomento di oggi, ovvero Heroes? Beh, sostanzialmente niente, parliamo sempre di quel sano e corroborante Heavy Metal venato da filoni Speed e Power, il tutto contornato da quella furia tempestiva di Andy con la sua sei corde, sempre sul pezzo e pronto a prenderci a schiaffi con la Cadillac fra le dita. L'album è uscito ufficialmente il 7 Giugno 2010, quasi un anno dopo la scrittura dei pezzi, e quindi in relativamente poco tempo rispetto a quanto solitamente trascorre fra un album e l'altro (compreso nella carriera degli Arthemis stessi, basti pensare che fra Back from The Heat e Black Society sono passati ben 3 anni interi), per la Helvete & Hate Records, piccola label che fra le sue fila ha avuto artisti come gli Abgott ed i Throne of Molok. Per l'artwork Martongelli voleva stavolta qualcosa di diretto e preciso come un fuso; niente disegni, niente navi fantasma che solcano oceani scuri, stavolta, dati gli eventi e la formazione i cui fasti erano stati rinverditi, occorreva metterci la faccia. Una scelta sicuramente coraggiosa e che avrebbe potuto portare anche aspre critiche, considerando che nell'ambiente Heavy Metal spesso e volentieri si tende a relegare la foto della band o al retro del disco, o ai live album. Ed invece per Heroes il font fu abbastanza semplice; abbiamo in alto a sinistra il logo della band, stavolta racchiuso in un cerchio con stelle americane e la A in bella vista (font ispirato al logo della DC Americana, nota casa di fumetti e padre putativo di Batman, Superman e molti altri), mentre accanto abbiamo il nome degli Arthemis scritto nella forma che conserva ancora oggi, vale a dire la stella a cinque punte sopra (quasi simile a quella utilizzata dai Metallica) e lettere zigrinate, dure e taglienti come diamanti. Stavolta il logo è stato anche personalizzato con una spolverata di rosso sangue, stile rinascita, per sottolineare che gli Arthemis non muoiono mai. Al centro poi troviamo la foto della band, con Fabio D. in bella vista di fronte che indica verso di noi, e dietro gli altri membri che fissano lo spettatore con aria di sfida. Altro elemento da non sottovalutare di questa copertina, e fu come per la foto una scelta di Andy stesso, è la presenza dei nomi dei membri al di sotto della foto, mentre a lato troviamo una frase ad effetto che recita: "an exhilerating, high powered, metal avenger". A vederla così sembra davvero la copertina di un fumetto USA style, che potremmo tranquillamente trovare in una edicola mentre osserviamo le varie uscite. E qui infatti ci ricolleghiamo al fiume di parole con cui abbiamo aperto questa introduzione; il main theme del nuovo album, e poi lo vedremo ancor meglio nel track by track, si pone sostanzialmente una domanda, che cosa voglia dire essere un eroe. Come potremo constatare quando tireremo le fila a fine articolo, un eroe è chiunque compia atti di sacrificio personale, colui che si da per gli altri, le persone comuni, i nostri genitori, l'uomo che tutte le mattine pulisce la strada, l'autista di una ambulanza o il vigile del fuoco. Non v'è bisogno di mutande e mantelli colorati, di mascherine con corna da pipistrello o di anelli verdi, basta l'animo del guerriero e quella intrinseca e maledettamente grande forza interiore per essere considerati supereroi. Un tema maturo quindi, nonostante di base abbiamo sempre quella spensieratezza che non ha mai abbandonato totalmente la nostra italica band, e soprattutto il suo fondatore, anche se più che di spensieratezza, sarebbe opportuno parlare di freschezza. Freschezza nel sound e nella scrittura, freschezza nel non farsi fermare da niente e da nessuno, i muri che la vita ci mette davanti, che siano dolorose scelte personali o casi della vita, non devono fermarci. Bando ad ulteriori indugi però, è il momento di avvicinare il dito al pulsante play, e sparare queste 10 tracce direttamente nelle nostre vene, benvenuti nel sesto disco firmato Arthemis.
Scars On Scars
Il disco ci viene aperto da Scars On Scars (Cicatrici su Cicatrici); brano che si sviluppa a partire da uno strano effetto dal sapore quasi cinematografico, con fumo ed una voce gutturale in sottofondo che fanno da viatico ai primissimi secondi. Viatico che viene bruscamente interrotto dall'ingresso di Andy e la sua sei corde fra le mani, un corposo e corroborante riff di chitarra apre le porte al pezzo vero e proprio. Riff dal sapore prettamente Metal classico, con una pennata alternata che va a concatenarsi ed a inalberarsi su sé stessa, mentre aspettiamo l'ingresso del resto della band. Ingresso che viene seguito prima dalla batteria, dolcemente deflorata e con la grancassa ed i piatti in prima linea, il tutto in parallelo col basso che, nonostante per questi primi momenti venga relegato a metronomo, si riesce comunque ben a distinguere nel caos generato. La band, una volta fatto il suo ingresso nella sua totalità ritmica, attende il buon Fabio al microfono mentre produce il ritmo che ci ha introdotto alla canzone stessa, ma stavolta con un pizzico in più di cattiveria nel proprio modo di suonare. L'annodamento della traccia si fa sempre più lisergico e carico di energia man mano che i secondi scorrono nelle nostre orecchie; facciamo ufficialmente la conoscenza di Fabio dopo oltre un minuto di brano, ed il nostro nuovo frontman aggredisce nettamente le strofe con un cantato rauco e carico di sprizzante sagacia. Non è una voce che punta molto né agli acuti né tantomeno soltanto ai toni bassi (anche se come vedremo nei brani e dischi successivi, qualche scivolata ogni tanto è stata intrapresa), eppure D. risulta essere davvero appetibile, e soprattutto perfettamente incastrato nella musica che gli viene suonata intorno. E' un tono di voce che, una volta ascoltato 2/3 volte di seguito, ti rimane in testa e non ne esce più, ogni volta che lo risentirai ad un live, saprai che è lui. Il brano procede a spron battuto mentre Fabio declina le proprie parole di disappunto ed analisi, Andy invece dal canto suo prosegue l'ottima opera sulla sua ascia da battaglia, e quali altre parole spendere che non siano già state spese per questo chitarrista dal tocco magico? Tecnica e sovrumana velocità si fondono insieme in un ibrido che mette d'accordo i puristi ed i moderni, il sound che ne deriva (e che lo ha contraddistinto fin dai primi vagiti di carriera, culminati poi nel suo primo album solista) è come per la voce di Fabio immediatamente riconoscibile. Non c'è nessuna sbavatura, e la nostra opener diretta come un fuso continua ad annodarsi su sé stessa; su momenti tirati di Fabio si ergono strutture anche più aggressive, mentre nel blocco centrale il ritmo di sottofondo cambia, divenendo più distorto, prima che una poderosa accelerata brusca e repentina non ci faccia saltare dalla sedia e ci porti al primo ritornello. Ritornello che consta di un azzeccato bridge, su cui si erge la ripetizione del titolo, e il nostro Martongelli che dietro scatena l'inferno andando a toccare la parte alta del contagiri musicale. Il blocco che ci trasporta alla seconda parte di canzone ci viene dato da un preciso segnale della batteria, ed ecco che il brano deflagra in una suite dal sapore quasi maideniano, ritmi concatenati ed epici che si legano fra loro in giri di chitarra assurdi, prima dell'immenso assolo di Andy. Solo che va a foraggiare la parte classicheggiante della musica Heavy Metal, salendo e scendendo e modificando la propria velocità man mano che si procede. Il solo, protrattosi per diversi secondi, trasporta l'ascoltatore al blocco finale, in cui la traccia continua imperterrita la sua corsa prima del secondo ritornello e di un ennesimo cambio di tempo che ci farà arrivare alla dissolvenza finale. Cambio che consta di un progressivo innalzarsi dei toni, su cui si va nuovamente a concatenare un solo di chitarra, dal sapore più distorto e meno classicheggiante del primo, ma comunque di grande impatto. La traccia si va a chiudere con la riproposizione del main theme e di altrettanto cronometrici colpi di batteria, che danno il punto definitivo al cerchio. La vita altri non è che una collezione di cicatrici, questo è il diretto e dannatamente vero messaggio della canzone; ogni episodio della nostra esistenza non è altro che un altro segno sulla nostra pelle, ma che non ci deve far sentire diversi. La collezione delle nostre cicatrici sarà un vanto negli anni a venire, quando saggeremo la nostra intera conduzione della vita, mettendo le mani nel fango dei ricordi. E sarà allora che ci accorgeremo di quanto quegli stessi segni siano l'esatta somma e risultato di quel che siamo oggi. Un amico che se ne va, una donna che ci lascia, il lavoro perso, le persone intorno a noi che ci abbandonano, tutte cose che potrebbero far crollare anche il più nerboruto e convinto degli uomini. Ed invece gli Arthemis mettono un punto fermo su quanto tali esperienze debbano diventare il bagaglio da portarci sulle spalle per andare avanti nella vita, un enorme zaino di esperienze che ci farà muovere con fare nettamente più coraggioso nella giungla immensa dell'esistenza in questo mondo. E quando ci toglieremo la maglietta, conteremo le cicatrici sul nostro corpo ed una lacrima solcherà il viso, ricordandoci tutti gli episodi che ci hanno portato a quel preciso istante in cui le stiamo guardando.
Vortex
I successivi (quasi) cinque minuti invece sono occupati da Vortex (Vortice). Uno dei due brani da cui vennero estratti videoclip per la promozione di Heroes, Vortex è una traccia che, come vedremo meglio durante l'analisi musicale, è direttamente stampata sul nostro viso, fin dai suoi primi accordi. Accordi che partono con in your face appunto, una progressione devastante di chitarra e batteria ci trascina in un loop di sacra devastazione metallara, il basso dietro percuote le proprie spesse corde a più non posso, e di seguito un ritmo Power (di caratura ed ispirazione americana primordiale, quel che poi sarebbe ufficialmente stato chiamato Thrash) ci fa da apripista. Il sapore che ci lascia sulla punta della lingua è quello di una suite che riserverà enormi sorprese; l'andante così classico dell'intro viene protratto e tirato letteralmente per le gambe dal nostro Andy, mentre Fabio D. fa il suo ingresso in scena con un cantato effettato, secco e pieno di emozioni, come se stesse comunicando con noi attraverso un microfono radiofonico o un comunicato stampa. Il "vortice" sprigionato da questo primo minuto, probabilmente da il suo meglio in sede live; è un pezzo che ben si presta infatti ad un headbanging serrato e continuo, con centinaia di teste che all'unisono muovono le folte chiome e le corna al cielo, mentre gli Arthemis gliele suonano di santa ragione. Botte da orbi dunque, ma anche quel costante e perentorio gusto nel comporre che li ha sempre contraddistinti, anzi, che ha sempre contraddistinto il loro fondatore. La successione di ritmi presi ed estrapolati dal loro contesto qui e là nel mondo Heavy Metal, fa si che questi slot siano delle enormi sessioni quasi di improvvisazione in sala prove, in cui si cerca di dare fiato alle proprie esperienze e metterle sul tavolo. Arriviamo al primo ritornello con la foga di voler continuare a sapere cosa ci sia dopo, ed il buon Fabio mette in piedi un andamento lemme e cadenzato, mentre dietro lo stargate spaziotemporale in cui Martongelli sembra voler risucchiarci, diventa più aggressivo ogni secondo che passa. Un brano la cui energia risiede comunque nella semplicità di suono; niente fronzoli, niente effetti o pedaliere a fare da ovattatura del sound stesso, solo la band, il ritmo incalzante della batteria, voce e la sei corde che ci malmena ad ogni piè sospinto. Man mano che il ritornello volge al termine, sentiamo l'axeman tricolore cambiare l'accordatura ed il passo della propria chitarra, finché non si erge quasi a protagonista sfornando una struttura assai veloce e decisamente più aggressiva di quanto ascoltato fino a questo punto. I cori azzeccatissimi durante la ripetizione di "wake, wake, wake me up!", ci fanno da ampio contralto a quel che sta scorrendo sotto i nostri piedi; come un fiume in piena che è ormai arrivato al livello dell'esondazione, gli Arthemis affrontano i successivi due minuti e mezzo di brano (che vengono preceduti da un incredibile urlo di Fabio, pieno di rabbiosa voglia di gridarci in faccia), prima con una pennata alternata di Andy, a cui il biondone lega un solo sempre di pregevole fattura classica. Le distorsioni vengono lasciate quasi al minimo, ma il wah che si percepisce tira il brano per i capelli e lo porta diretto nella stratosfera del suono. Da sottolineare, perché non è mai abbastanza, l'ottimo lavoro della sezione ritmica, da parte della ditta Conrad e Damian; due soggetti che sanno assolutamente il fatto loro, e ce lo dimostrano ad esempio gettandosi in una quasi improvvisazione mentre Andy protrae per diversi secondi il proprio assolo. Ad un preciso cenno della stessa sei corde, dato da una "tirata d'orecchie" del proprio strumento, riappare anche Fabio per guerreggiare con la band nell'ultimo blocco di brano. Si riprende in mano il tema portante, e lo si eleva ancor di più grazie ad una rabbia di fondo nel suonare che, visti i risultati dell'assolo, è decisamente aumentata. Andando avanti la canzone come ormai è tradizione, si prepara per il ritornello finale, ed anche D. scalda la propria ugola; ad una rullata e successiva accelerazione della batteria, Fabio impronta il cantato ed i cori dietro sul filo dell'epicità senza compromessi. La sei corde nel mentre non si fa certo gli affari suoi, ma inanella una serie di combo una dietro l'altra senza alcun ritegno per noi poveri ascoltatori, e sulla colonna di acciaio armato che ci ha aperto il brano, questo stesso va a chiudersi, tenendo alta la voce su l'ennesimo "wake me up", che viene protratto fino alla fine. Voglia di rivalsa e rivoluzione nelle parole di questa canzone; rivoluzione certamente non armata, ma quel vortice in cui veniamo trascinati è un mondo nel quale stiamo vivendo un enorme ed oscuro incubo. Ed allora l'unica soluzione è che qualcuno ci svegli e ci riporti alla realtà, prima che sia troppo tardi. Si sentono nel disco varie e più o meno velate analisi di quel che accadeva in quegli anni nel mondo, era un periodo di forti tensioni (come sempre, del resto), e quindi i nostri Arthemis non si esimono certo dal mettere in piedi una suite che, attraverso il concetto del "vortice", qualcosa che ti risucchia al suo interno e se potesse ti risputerebbe dopo averti masticato, cerca di dare un senso a qualcosa che un senso non ce l'ha. E' un mondo dominato dalla rabbia questo, dalla rabbia e dalla violenza, e noi, non possiamo far altro che svegliarci, svegliarci e combattere. Senza imbracciare fucili o pistole, ma combattere l'ignoranza con l'intelligenza, il senso di abbandono con quello del dovere, e gli incubi bui ed oscuri con i sogni bianchi.
7Days
Prossimo slot è occupato da 7Days (Sette Giorni): il brano ci viene aperto come sempre dalla aggressiva chitarra di Andy, che fa dell'intro il suo mondo ricamando un riff dal gain e dal refrain assolutamente alti. Il tiro del brano è roccioso, ed i primi secondi sono occupati da una serie di pennate assolutamente devastanti da parte della sei corde, a cui ben presto si vanno a legare i piatti della batteria di Conrad, sempre pronto a dare man forte al gruppo ed al suo tiro generale. Una volta che il treno del brano è partito, difficile capire dove voglia andare a parare e soprattutto quando si fermerà del tutto; la voce di Fabio arriva dopo il solito intro abbastanza lungo, e questa volta il frontman sceglie un tipo di vocalizzo sempre improntato sulla sua unicità nel cantare, ma leggermente più lineare, almeno in questo primo blocco di pezzo. Blocco che si estende e protrae mentre la sei corde continua a concatenare riffi e bridge come se non ci fosse un domani, tant'è che in svariate occasioni abbiamo la netta sensazione che siano due i chitarristi invece che uno solo. Poi ci accorgiamo che è tutta farina del sacco di Andy, e ci viene spontaneamente da chiederci come faccia a suonare ed a comporre così; ciò che traspare in maniera forse più incisiva, è l'assoluto divertimento che il nostro axeman mette sia quando suona, sia e soprattutto quando compone. Il risultato finale infatti è un suono fresco, che non stanca assolutamente dopo diversi ascolti, e che anzi, ti prende la testa fra le mani e cerca di schiacciarla con la sua forza ed energia, che paiono inesauribili. Proseguendo in ordine, il pezzo muta la propria pelle ad ogni secondo che passa, e ci fa ascoltare ritmi sempre diversi; andiamo da un cadenzato ritmico di forte impatto, preso in prestito sempre dalle tradizioni classiche, a brusche accelerate che non ci aspettiamo mai, e che sono una costante sorpresa. In questo modo la musica degli Arthemis non risulta mai banale, ma porta l'ascoltatore a voler andare avanti nei vari blocchi per capire e scoprire come va avanti il pezzo; al primo ritornello abbiamo gli ennesimi chorus azzeccati, sulla ripetizione del titolo, ed una batteria che aumenta i bpm man mano che si procede, finché durante il ritornello stesso non sforna alcuni pesanti colpi sulla grancassa ed i tom in particolare, foraggiandone la propria bruta forza. Il ritornello si prolunga finché, sulla ripetizione di nuovo del titolo, Andy non mette in opra un altro main riff di ingenti proporzioni, che ci spacca il cranio in due. Le strofe da parte di Fabio vengono, in questo blocco centrale, cantate con ancora più forza, soppesando ogni parola che fa parte del testo; sorpresa ennesima da parte degli Arthemis, poco prima dei tre minuti una serie di pennate dal sapore classicheggiante fanno da apripista ad un incalzante ritmo Thrash/Power, con la batteria e la chitarra in prima linea che all'unisono ce le suonano, prima del lungo ed ennesimo assolo di Andy. Tecnico come non mai, sale e scende il ligneo manico della chitarra a più non posso, tapping, alternate picking e qualche effetto sporadico, si ergono su tutto il resto, mentre ogni tanto vengono inframezzati dalla voce di D. effettata che dona un sapore davvero particolare al pezzo. Il solo viene tirato anche quando il testo della canzone riprende la sua corsa, ma invece che continuare a svegliare il demonio Thrash Metal, Andy decide per qualcosa di più classico, quasi anni '70 nella sua resa completa, e nel mentre il nostro frontman aggredisce le strofe per portarci al finale vero e proprio. Finale che arriva dopo poco meno di un minuto dall'annuncio che abbiamo appena fatto, e che vede al suo interno la ripetizione ossessiva del ritornello prima di una esplosione sincopata alternando main riff e distorsioni, il tutto sormontato dalla voce di Fabio. Il vero finale del pezzo però ci viene dato dalla chitarra in solitaria di Andy, che mette in piedi un granitico ritmo sempre sincopato, martellandoci il petto prima dell'effettiva dissolvenza. Come era accaduto per il brano precedente, anche in questo si annusa e si percepisce bene una enorme voglia di rivalsa sociale; il protagonista del brano "vive per il domani", come annuncia al soggetto con cui sta parlando. Il mondo è un brutto posto, lo sappiamo tutti quanti, eppure siamo anche consapevoli che se riusciamo a portare le nostre ossa a letto la sera ed a risvegliarci la mattina, abbiamo ottenuto un enorme risultato. Il male non si combatte sparando a qualcuno, ma vivendo la vita ogni giorno in maniera dura e cristallina; ed è anche un riferimento al titolo ed al significato del brano. Per essere eroi basta essere uomini, non importa indossare un mantello o una mascherina sugli occhi; questa traccia in particolare ci fa quasi scendere una lacrima di commozione leggendo il testo, nonostante la musica che la accompagna sia decisamente aggressiva e piena di rabbia. Liriche che trasudano critica sociale e quel bisogno irrefrenabile di essere vivi ogni volta che alziamo il culo dal letto ed affrontiamo il mondo. Sette giorni non sono tanti, prima o poi finiscono, è vero, poi il loop ricomincia da capo, e dovremo trovare altri modi e sistemi per sopravvivere, ma la vita stessa è una sfida continua, con noi e soprattutto con le persone che ci circondano, niente deve fermarci, tutto fa esperienza, anche la sofferenza più atroce.
This Is Revolution
Quarta traccia in scaletta è This Is Revolution (Questa è Rivoluzione): aperta da un refrain assolutamente elettrico, per la prima volta dall'inizio del brano la voce entra praticamente subito, prima comunque di lasciare spazio alla musica in solitaria col suo carico e sete di sangue. Dopo pochi secondi altre pennate alternate da parte di Andy danno il via ufficialmente alle danze, ispirandosi anche qui a filoni classici e lontani nel tempo; l'ennesimo brano che si stampa in piena faccia, pur mantenendo intatta la base sperimentale ed acida che gli Arthemis hanno sempre avuto anche con la vecchia formazione. Il vecchio lupo Martongelli prosegue col suo inanellare combo senza sosta, mentre D. urla in faccia all'ascoltatore le strofe utilizzando nuovamente l'effetto al microfono che avevamo sentito un paio di brani fa. L'atmosfera che si viene a creare è quella di un enorme turbine che ti avvolge le orecchie ed inizia a percuoterle come un martello, il brano è duro, granitico e pieno di gain, la sete di sangue della quale accennavamo prima non si arresta neanche per un secondo, impedendo all'ascoltatore di perdere attenzione. Questa è anche una delle tracce più brevi assieme alle due strumentali che vedremo in seguito; il prosieguo della canzone è affidato ad un dannato ritmo sincopato e quasi meccanico, cui poi si va a legare il primo ritornello. C'è da dire che, grande capacità degli Arthemis, è quella di sviluppare ritornelli immediati e che non possono non rimanere in testa al primo ascolto; semplici nella loro fattura, constano spesso e volentieri della ossessiva e rabbiosa ripetizione del titolo, su cui si ergono al contempo i ricami chitarristici di Andy. Questa rabbia che monda man mano che procediamo nell'ascolto, fa si che il corpus basilare della canzone sia una discreta collezione di schiaffi, di quelli che fanno male e che si stampano nel viso lasciando il segno. Fabio dal canto suo, con il vocalizzo tipico e che dopo l'ingresso nella band lo ha reso definitivamente celebre, è la classica ciliegina sulla torta che va a completare il tutto. Superata la prima metà del brano ci addentriamo nel blocco centrale, blocco in cui gli Arthemis scelgono di dare l'ennesima scossa dopo il ritornello, improntando la canzone su un andante da cane rabbioso e pieno di energia. Sembra che stiamo spendendo sempre le stesse parole, ma in realtà sono le uniche che vanno usate per un album del genere; la forza e la costanza di questa band certo non si è mai dovuta misurare nella compattezza delle loro scelte stilistiche, quanto piuttosto nella stoicità e durevolezza dimostrata dal loro carismatico leader. Andy ha preso la decisione degli ex membri di andarsene come l'ennesima sfida contro sé stesso e tutto ciò che lo circonda (nonostante lo scioglimento degli ex membri sia avvenuto in maniera assolutamente pacifica, essendoci una lunga amicizia dietro), ha quindi preso il proverbiale toro per le corna e lo ha guidato verso la vittoria. Heroes è l'album della rinascita, della smodata voglia di andare avanti e combattere, rialzarsi dopo aver mangiato la polvere e guardare in maniera guardinga il proprio avversario, pugno serrato e pronti a duellare. Il clangore della chitarra di Martongelli si staglia anche sopra la voce di Fabio in questo slot, e la canzone procede ripetendo il proprio main theme per quasi tutta la sua durata. Come sempre ottimo il lavoro ritmico della batteria e del basso, che conferiscono quel groove e quella durezza in più che vanno a completare il lavoro, come sono sempre azzeccati i cori, che altro non fanno che il loro sporco mestiere, invogliarci a cantare con loro. Arriva anche il solo di Andy poco dopo i due minuti, ed è un solo pregno di tecnica, pulito, acido quasi in certi punti, che stringe le spire attorno a noi come un enorme serpente, e ci avvolge col suo caldo e dannato abbraccio. Prolungato il solo abbiamo un'altra cadenzata ritmica che ci collega al ritornello finale, in cui l'intera suite esplode nel nostro padiglione auricolare, aiutata da altrettanti cori che arrivano sempre al momento giusto. Niente dissolvenza lemme e costante, in questo caso la canzone si ferma con uno stop deciso e duro, esattamente con la stessa pomposa attitudine con cui aveva fatto il suo ingresso nel disco. Nonostante le tematiche affrontate siano improntate quasi tutte sulla stessa linea di pensiero, questa quarta traccia forma una specie di catena con le due precedenti, un trittico da vedere quasi come un unico slot diviso in più sezioni. Si parla sempre di rivalsa sociale, quella voglia senza confini di alzarsi in piedi e dare contro a coloro che vogliono schiavizzare le nostre onde celebrali; in un momento della storia in cui il tumulto è alla base del nostro vivere quotidiano, noi semplici abitanti del mondo non possiamo fare molto per risollevare le sorti del mondo. In realtà però, se si va a vedere bene sotto la cenere, anche le più piccole azioni comportano una grande risonanza nell'universo; la rivoluzione non si fa uccidendo, bensì elevandosi al di sopra di coloro che risolvono sempre tutto con la violenza, e cercando di fargli capire che esiste anche altro, la fiamma che muove il cosmo può essere di ben altra natura. La volontà guida il mondo diceva un vecchio ed importante filosofo, e la rivoluzione può essere espressione di quella volontà, volontà di voler un mondo migliore per chi verrà dopo di noi, volontà di vedere finalmente realizzati i nostri sogni, la vera rivoluzione non è trovarsi con passamontagna e cappello militare inneggiando cori contro il governo in questione, quanto piuttosto vivere, vivere è la più grande rivoluzione che ci sia.
Home
Aperta da un intro decisamente più strano di quanto ascoltato fino ad ora è la successiva Home (Casa); una serie di pennate elettriche piene di effetti e che rendono il sound quasi ovattato risiedono nella primissima parte di brano, ma sappiamo, ed ormai arrivati a metà disco lo possiamo dire con certezza, che ad un certo punto il pezzo prenderà il via come una lucente macchina sportiva. L'intro dura ben pochi secondi, presto o tardi infatti fa il suo ingresso in scena anche la batteria, e la chitarra, dall'annodamento effettato che produceva in prima battuta, adesso si prodiga in un solo iniziale di pregevole fattura, spire che si annodano attorno al nostro collo e la sensazione che la tempesta stia per scatenarsi. Quasi di seguito fa capolino la voce di Fabio, che prosegue con la sua scelta stilistica di aggredire le strofe senza troppi complimenti; mentre le prime frasi delle liriche vengono pronunciate, abbiamo sempre la sensazione che il pezzo ad un certo punto decollerà ancor più di quanto non stia già facendo adesso, ma potremmo anche sbagliarci. Proseguiamo con questo loop spiralico mentre Andy dal canto suo fa sfoggio della propria sei corde verso l'ascoltatore; Home è forse una delle tracce, assieme alle due strumentali, in cui viene fuori maggiormente il rimando di Martongelli alla cultura chitarristica degli anni '70. Si ha sempre la sensazione infatti che il nostro biondo axeman voglia dedicarsi ed inserire nelle proprie partiture, elementi di spicco di quella cultura che al Metal ha dato i natali molti anni or sono; ci ritroviamo quindi, e durante questo slot lo percepiamo ancor meglio, una serie di anelli concentrici che vanno a distaccarsi per un attimo dall'Heavy/Power canonico cui gli Arthemis ci hanno abituato, per concentrarsi su qualcosa di più morbido e lisergico. Si prosegue sul ritmo cadenzato che ci aveva aperto la canzone poco dopo lo strano intro, finché non arriviamo al primo ritornello, che altri non è che la ripetizione di alcune strofe montate su una accelerazione della band, la prima da quando la canzone ha preso il via ufficialmente. La batteria monda un attimo sballottandoci alcuni secondi, ma nel ritornello in questione la vera protagonista è la voce di D.; il suo carismatico accento e tono di cantare lo rendono perfettamente in sincrono con la musica suonata, e come vedremo nell'album che seguirà Heroes, il buon Fabio svilupperà una attitudine che lo rende unico ancora oggi. Una volta finito il ritornello, non finisce invece l'accelerazione, che si sviluppa sulla sei corde e sulla batteria, prima di fermarsi in maniera dolce e tornare al main theme del pezzo e poi successivamente di nuovo al ritornello, montato sulla stessa base che abbiamo sentito prima. Parlavamo di cerchi concentrici, e non siamo tanto lontani da ciò che abbiamo detto poc'anzi; la sensazione che si ha durante questa Home è proprio quella di una spirale, spirale che invece di essere a forma di aggressivo Heavy Metal come è stato fin'ora, ha quasi il sapore di una power ballad melanconica e piena di sentimento. Una volta conclusosi il secondo ritornello, e siamo a circa due minuti dalla conclusione, gli Arthemis trovano il tempo per un momento corale davvero bello da ascoltare, in cui Andy fa di nuovo sfoggio della sua abilità grazie ad un solo nettamente meno aggressivo e con meno gain dei precedenti, ma morbido e setoso. Si sale e si scende per svariati secondi, prima che con un colpo degno del miglior smasher di tennis, Andy riprende in mano il pezzo e permette a Fabio di tornare di fronte al microfono, legandoci la dissolvenza del proprio solo prima del blocco finale che traghetta l'ascoltatore allo sciogliersi definitivo del brano. Scioglimento che avviene dopo un altro intero minuto di ascolto, in cui ci si ritaglia il tempo anche per una ultima detonazione finale, in cui la cacofonia della sei corde la fa da padrone e ci scatena attorno una tempesta di note, prima che il silenzio cupo ed oscuro si porti via tutto. Il ritorno a casa è sempre una sensazione gratificante, quando varchiamo la porta del nostro appartamento ci sentiamo finalmente dentro un involucro che è davvero nostro a tutti gli effetti. Eppure ci sono persone che una casa non la hanno, che barcollano sanguinando per le strade in cerca di un posto dove stare, e per le quali la "casa" è un concetto davvero lontano nel tempo. Si respirano anche in queste liriche quelle voglie incontrollabili di rivalsa sociale, quel sentore di alzare e battere i piedi contro il suolo per far sentire la propria voce; Home strugge il cuore di chi la ascolta grazie al connubio fra musica non aggressiva e liriche ricolme di sentimento, trasportando l'ascoltatore in un mondo di sofferenza, sangue e strade da percorrere con la vista annebbiata, ma in fondo alle quali si staglia un flebile ma percepibile cono di luce bianca.
Crossfire
Successivo slot è occupato da uno dei due strumentali di Heroes, ed in questo caso parliamo di Crossfire (Fuoco Incrociato). Brano in your face e che non lascia spazio a troppi prigionieri; aperto da una combo devastante di batteria e chitarra, il pezzo fin dai primi vagiti risulta essere un demone affamato della nostra carne, ed un fuoco guerresco pronto a colpirci nel petto. Andy fa nuovamente sfoggio della sua abilità pennando la sua ascia a più non posso, ritmi alternati uniti alle rullate della grancassa donano al sound un corpo ed una forma oscure, prima che un enorme saliscendi di Malmsteeniana memoria ci prenda a schiaffi dall'inizio alla fine. Tapping, hammer on e powerchords sono la ricetta vincente di questa prima parte di brano, i cui due minuti scarsi di durata riescono a concentrare egregiamente tutta la tecnica di questo chitarrista straordinario. Il saliscendi ben presto si lega ad un altro solo di caratura molto più classica, veloce ed aggressivo al punto giusto. Le pennate si susseguono come impazzite, il manico della chitarra e le sue corde vengono quasi strappate dalla loro sede, ed il groove che ne esce è di ingenti proporzioni. Si trova anche spazio per un veloce e bellissimo scambio fra la batteria ed un micro-solo di basso, suonato con le dita (e si sente dannatamente bene durante l'ascolto), il che ci trasporta per un attimo fuori dal mondo a cui siamo abituati dall'inizio di questo Heroes, per andare a saggiare lidi musicali mai sentiti prima di quel momento. Una volta conclusosi lo scambio repentino, la chitarra di Andy muta la propria pelle per il blocco finale; blocco nettamente più rabbioso e sadico di quanto ascoltato fin'ora, con uno shredding prepotente e che ci martella le orecchie, velocità smodata e la batteria in seconda linea che non perde colpi neanche un secondo. Qui, più che Malmsteen, sentiamo le influenze dei vari Satriani, Vai, ma anche qualcosina del primo Jeff Beck, specialmente per quanto riguarda il sincopato di base, che ad un ascolto più attento non sfugge. Il trasporto al finale ci viene dato da un pad spaziale della chitarra, distorsione al massimo e le corde vengono sollevate dal corpo dello strumento, mentre rullate ed accelerazioni fulminee delle pelli fanno da sfondo a questo momento di pura estasi folle. Lo stop deciso e la successiva conclusione vera del brano arrivano quando meno ce lo aspettiamo, ne avremo voluto forse di più. Nonostante l'assenza completa delle liriche, ascoltando il pezzo si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte ad uno scenario apocalittico, da guerra in pieno svolgimento; siamo soldati al fronte ed imbracciamo il nostro fucile, una granata esplode alla nostra destra (il primo cambio di tempo), la mitragliatrice rastrema l'aria con i suoi lucenti colpi di morte (le varie pennate ed accelerazioni a forza G elevata che subisce la canzone), mentre ad un certo punto la calma prende il sopravvento, anche se è solo una quiete temporanea. Il finale nuovamente ci sbatte con forza verso il lido della battaglia, il fucile sporco nelle nostre mani colpirà qualcuno e lo lascerà esanime a terra. Il senso di oppressione e cacofonia finale che viene dato all'ascoltatore, lo mettono in una posizione quasi claustrofobica, come se quegli orrori solo immaginati dalla fervida mente si palesassero davvero di fronte ai suoi occhi.
Heroes
Arriviamo dunque ora alla title track dell'album, Heroes (Eroi); aperta da uno stranissimo passaggio corale, con la batteria quasi elettronica per i primi secondi, ben presto una aggressiva pennata della chitarra ci apre le porte del pezzo, portandoci sulla punta siderale del cosmo. La sei corde di Andy si annoda su sé stessa come è solita fare, e mentre l'ingresso della voce non è ancora avvenuto, Fabio si prodiga solo in un gutturale urlo corale che dura un istante, ma che forse ci fa ben intuire quale sarà l'atmosfera del pezzo. Una accelerata dei toni ci fa quasi pensare all'ennesimo brano aggressivo e pieno di gain, ma invece gli Arthemis stupiscono le nostre orecchie abbassando bruscamente i toni all'arrivo della voce, ed improntando questo secondo blocco sul filo della morbidezza. Fabio stavolta recita le strofe con la parte più calda ed accogliente della sua ugola, mentre di sottofondo il sentore ritmico della batteria unito ad alcuni ricami della chitarra, proseguono l'ascolto senza problemi; ben presto però anche la suite nuovamente esplode, D. dal canto suo aggredisce le strofe alzando il timbro, e la chitarra di Andy, che si era stancata di rimanere in disparte, ricomincia la sua opera di ricamo veloce e con timbrica rabbiosa. Si va qui a saggiare sempre le radici classiche, con una dinamica Heavy di forte impatto e che non stanca assolutamente; una volta conclusosi il blocco abbiamo legato il ritornello, che consta di un progressivo innalzamento dei toni, nel più puro stile Power di scuola europea, voce in prima linea e dietro il comparto ritmico che deflagra piano piano. Finito il ritornello una piccola sezione oscura abbassa notevolmente i toni, mentre Fabio reincarna lo spirito delle liriche muovendosi fra esse senza alcun problema. Probabilmente uno dei brani più belli dell'intero album, la title track si sviluppa su più livelli stilistici, combinando come gli Arthemis hanno sempre fatto, vari ambiti della cultura Rock ed Heavy Metal. Abbiamo infatti abbinati insieme momenti corali (che possiamo, ad esempio, ritrovare nel Martongelli solista), ma altrettanti nettamente più duri e crudi, che ci fanno sanguinare le orecchie. Veniamo sballottati da una parte all'altra senza controllo, persi in balia delle meravigliose note che vengono suonate; e ribadiamo, non sono assolutamente note che annoiano. Perfino un non amante del Power non può annoiarsi di fronte ad una musica così, dato l'inserimento di dinamiche proprie dello Speed più marcio ed ottantiano ad esempio, ma anche grazie ad alcuni passaggi di Heavy classico che la fanno da padrone ogni volta che vogliono. Il blocco centrale del pezzo è occupato da un'altra sezione simile alla precedente, che ben presto si allaccia al ritornello, con il successivo abbassamento dei toni, che da rabbiosi ed aggressivi diventano power e pieni di setosa energia attorno a sé; un pezzo in continua evoluzione quindi, con il nostro Martongelli che si è ben prodigato nel raccontare una storia seguendo sostanzialmente il proprio istinto e la propria voglia di fare, ed i risultati si vedono eccome. Veniamo portati al blocco pre-finale del pezzo sempre dalla voce di Fabio in concomitanza con un altro ricamo encomiabile della chitarra; non è una power ballad, non è un pezzo dal tiro irrefrenabile, si colloca esattamente nel mezzo a queste due scuole, donando all'ascolto un sapore davvero particolare. Si ha poi, dopo il secondo ritornello, un altro progressivo abbassarsi dei toni, mentre Andy pizzica le corde del suo strumento con sapore spagnoleggiante ed arabo al tempo stesso, facendoci (forse) intuire che stiamo per assistere ad un immenso assolo; le pizzicate morbide e setose accelerano progressivamente nel più puro stile rock, e ben presto la distorsione rientra in scena per mettere in piedi un solo di ingenti proporzioni. E' un comparto chitarristico che lega fra sé i ritmi sentiti durante le "pizzicate", ed un gain distorto e pieno di tecnica al suo interno. I saliscendi la fanno da padrone, prima che un altro colpo ben assestato non invogli Fabio a tornare di fronte al microfono per le ultime strofe da recitare; la sezione finale invece consta di una perentoria accelerata e decelerata dei toni prima dell'ultimo ritornello, cantato solo dal frontman. Una cosa che abbiamo notato in questo pezzo, è che non ci sono chorus, cosa che invece persisteva nella prima parte di brano; memorabile l'enorme acuto di Fabio poco prima del finale, a cui si lega indissolubilmente un altro solo di Andy, ancor più tecnico del precedente, e che poi ben presto si trasforma in uno spingere duro il piede sul gas per gli ultimi secondi. Qui forse abbiamo l'unico "coro" se così possiamo definirlo, di tutto il brano, la band infatti si prodiga in una serie di "oh, oh,oh", mentre la suite implode attorno a loro. Come era arrivato il brano se ne va, fra ritmi arabeggianti e la calda sabbia del deserto che sembra avvolgere le nostre membra. Ci chiedevamo all'inizio di questa recensione, cosa volesse dire essere eroi, beh, la title track cerca di dare una risposta a questa domanda, ed è sempre la stessa che ci siamo già dati. Un eroe non è colui che salva il mondo, un eroe è colui che vive nel mondo: colui che ci porterà ad un mondo migliore certo non è il protagonista di un fumetto, ma l'uomo della strada, la persona che incontriamo tutte le mattine andando a lavoro, l'essere umano nella sua più semplice forma. Ed è di questo che forse noi abbiamo bisogno, un altro eroe in cui riconoscerci, ma che in realtà non è altro che il viso che vediamo allo specchio ogni mattina quando ci alziamo; combattere la battaglia più grande, la vita, fare sacrifici su sacrifici per andare avanti, portare a casa quanto serve per mandare avanti la propria famiglia, queste sono le cose importanti, e tutti possiamo essere eroi. Una canzone dal significato sicuramente alto e pieno di ragionamenti logici, in cui Andy cerca di farci riflettere su quanto il mondo patinato delle vignette, debba rimanere relegato ad essere letto e goduto per quel che è, senza andare cercando quegli stessi super-uomini nel mondo reale. Una regola permane fin da quando abbiamo memoria, tutti i bambini vedono nel loro padre la stregua di un eroe quasi decadente, un uomo in grado di fare qualsiasi cosa, di alzare il mondo con una mano sopra, eppure il padre non è altro che uno qualunque, una persona; ricollegatevi a quanto letto nelle liriche e riflettete su questo.
Until The End
Siamo quasi giunti alla fine di questo nuovo album targato Arthemis, ma prima di lasciarci andare del tutto, i nostri metalheads hanno ancora qualche cartuccia da sparare nel loro caricatore; la prima fra questa è Until The End (Fino Alla Fine). Viene aperta da un melanconico intro di chitarra elettrica, cui ben presto si lega la batteria con fare sincopato e ritmico, e successivamente un ponte sempre da parte della sei corde che ricomincia a ricamare. Il momento corale poi man mano alza progressivamente il tiro del proprio sound, aspettando l'ingresso del carismatico frontman di fronte al microfono. Ingresso che avviene poco dopo, mentre Andy continua a ricamare sulla sua sei corde, Fabio impronta la prima parte di liriche con un cantato melanconico e ricolmo di sentimento, che va a foraggiare la parte quasi più moderna del Rock sperimentale di questi ultimi anni. Il tutto mentre dietro la tempesta infuria e prosegue la sua corsa senza alcun problema, l'intero gruppo suona per il proprio cantante, mentre il loro biondo leader detta le regole da seguire e tutti quanti seguono le sue direttive. I piccoli intarsi della sei corde contribuiscono a dare ancor più forza al cantato di D., che una volta impostata la propria ugola su questo tipo di vocalizzo così moderno, ed anche distante da quanto ascoltato finora, va avanti per la sua strada senza preoccuparsi troppo. Siamo ben oltre il primo minuto ed ancora il pezzo non accelera del tutto, ma anzi, si ritaglia sempre più momenti di stanca in cui farci rilassare; ogni angolo però si sa, nasconde anche un vizio oscuro, ed ecco che infatti un acutizzarsi della voce di Fabio da il segnale perché la suite acceleri senza problemi, pur risultando sempre non aggressiva né tantomeno cacofonica nella sua resa. Una volta conclusosi il secondo blocco grazie al ritornello sapientemente orchestrale ed orchestrato, abbiamo il grande assolo di Andy, che stavolta decide di rispolverare in pompa magna alcune meccaniche che avevamo sentito in prima battuta d'album. Il solo tira i capelli dell'ascoltatore, lo trascina verso di sé e lo costringe ad assimilare ogni singola nota che viene prodotta, non che questo annoi, l'esatto contrario, l'attenzione viene mantenuta in maniera costante mentre Martongelli deflora la sua ascia lignea andando a farci ricordare qualche dinamica classica unita ad altrettante moderne. E' una dichiarazione d'amore al proprio strumento, che ribadiamo, se ascoltiamo poi i lavori solisti di Andy, tali meccaniche vengono fuori ancor più in maniera incisiva. Finito il solo, nuovamente la quiete prende possesso del pezzo, andando sempre a saggiare quella ritmica moderna e lemme che ci aveva aperto il pezzo. Fabio permea le liriche di un sapore quasi ricolmo di tristezza, e conferisce alle parole un suono dolce e melanconico al tempo stesso; la sezione ritmica in questo caso si ritaglia ben pochi attimi di improvvisazione, preferisce piuttosto fungere da accompagnamento per dare ancor più forza alle liriche che vengono cantate. Arrivano anche i chorus nell'ultimo blocco, mentre il pezzo piano piano acquisisce un po' di forza, che risulta essere solo temporanea, perché prima di arrivare al gap finale che ci porterà via questa traccia, Andy si ritaglia un altro momento solista, assolutamente non aggressivo, in cui farci assaggiare quelle che sono le sue competenze. Combattere fino alla fine dei nostri giorni, questo è il messaggio della canzone; siamo nati in un mondo fittizio, pieno di bugie messe davanti ai nostri occhi da uomini che non vogliono altro che schiavizzare la nostra mente. Squarciare letteralmente il velo che ci lega alle menzogne, è l'unico modo per essere davvero vivi in questo mondo, ed è questo il sentore che si ha ascoltando questa canzone. Nessuno si deve permettere di dirci quel che dobbiamo fare, noi vogliamo, dobbiamo, essere liberi in tutto e per tutto; liberi di pensare, agire, scrivere e volere quel che ci passa per la testa, e quando arriveremo alla fine, continueremo a lottare, finché anche un barlume di fiato albergherà i nostri cuori, noi non ci arrenderemo, ma anzi, troveremo nella sconfitta la nuova forza per combattere ancora ed ancora. Indosseremo la nostra armatura fatta di esperienze, dolori, persone che se ne sono andate ed altre che sono rimaste, ed affronteremo il demone della vita con fare da antichi guerrieri, fino alla fine, fino a che il respiro non abbandonerà totalmente i nostri corpi.
Resurrection
Penultimo brano in scaletta è Resurrection (Resurrezione); viene aperto da un ritmo ossessivo compulsivo della chitarra, questa volta in pieno stile Power. Velocità di esecuzione e ritmi serrati sono le armi vincenti della prima sezione di brano, nel quale la sei corde di Andy come impazzita si muove da una parte all'altra delle scale improvvisando ed inanellando ritmi uno dietro l'altro. Questa folle corsa giunge al suo apice quando, dopo una piccola sezione cadenzata, la voce di Fabio entra di prepotenza all'interno della canzone, scegliendo stavolta un cantato molto più simile a quanto ascoltato fino a questo momento, escludendo la traccia appena passata. Le strofe vengono letteralmente urlate in faccia all'ascoltatore, che altro non può fare se non stare lì, seduto sulla propria sedia, volume a palla e prenderle di santa ragione dagli Arthemis durante tutta la durata dell'ascolto. I ritmi ed i ricami Power si fondo anche con una meccanica Speed di sottofondo che non ha mai abbandonato i nostri ragazzi fin dagli esordi di Church; quelle ritmiche così incalzanti, ed anche quel Power che affonda la sua faccia più nella scuola americana che in quella europea (salvo in alcuni passaggi), fanno si che anche un neofita di questo filone non si annoi assolutamente durante l'ascolto, ma anzi, proceda a tambur battente assieme alla band in questa folle corsa. Corsa che, proseguendo nella analisi, da il suo personalissimo tiro ad ogni nota suonata, con batteria e chitarra in prima e seconda linea che alcune volte dettano il tempo da seguire, altrettante si ergono su un piedistallo senza scendere mai. In tutto questo, e come sempre in pienissima forma, D. scatena tutta la sua collimazione di stili per spararci in faccia l'ultimo proiettile della sua ugola per questo disco (considerando che la conclusione dell'album sarà una strumentale). Il corale momento in cui i ritmi si abbassano e si alzano è da puro headbanging serrato e continuo, gli Arthemis incalzano la nostra testa e le nostre braccia, invogliandoci ad alzarle al cielo e fare il gesto delle corna mentre il turbine della loro forza si scatena attorno a noi ed a loro, creando un legame indissolubile. Il ritornello arriva anche esso senza avvertire minimamente, e ci investe in pieno con tutta la sua forza, momento nel quale forse la band fa a foraggiare più la scuola europea del Power, con quel carico di pomposo sound affine a band come Hellowen et similia. Neanche il tempo di riprendere fiato che subito lo slot riparte a tutta birra verso il blocco pre-finale, nel quale abbiamo una sezione prima dal sapore quasi Thrash, e poi una immensa pioggia di note da parte di Andy, che si cimenta in un assolo dai ritmi corroboranti e tamarri al punto giusto, saliscendi continui e tecnica esagerata, soprattutto una pulizia ed una spazzolata del sound che hanno del magico in alcuni frangenti. Si ha la chiara percezione di ogni nota suonata, ed anche durante questo enorme vortice solista della sei corde, i vari passaggi che Martongelli lega fra loro, risultano cristallini nelle nostre orecchie e precisi come un cronometro, senza alcuna sbavatura. Concluso l'enorme solo che si protrae all'infinito, un altro colpo ben assestato ed una serie di "yeah!" di Fabio ci riportano al main theme prima dell'ultimo blocco. Blocco che consta di una serie di chorus ben azzeccati e della solita velocità smodata che questo brano ha fin da quando è partita la sua corsa qualche minuto fa; tempo di un ultimo e corroborante ritornello, e ci si getta di nuovo nella mischia, andando a concatenare per il finale un andante Thrash fin nell'animo, ritmico, roccioso e granitico nella nostra testa, che si collega poi al brusco finale stoppato che si porta via l'intera suite. Ci si chiede se ci sarà mai fine al dolore che avvolge il mondo in queste liriche, che trasudano come sempre quella voglia immensa di andare avanti; può sembrare ripetitivo, ma in questo Heroes gli Arthemis hanno esplorato ogni sfaccettatura dell'animo umano riguardante la resurrezione del corpo e l'andare avanti senza farsi fermare da nulla e da nessuno. La coperta di male che avvolge il nostro pianeta forse può essere tolta, e noi, come proverbiali e bibliche fenici, risorgeremo dalle nostre ceneri e combatteremo ancora. In più, considerando anche la musica che viene proposta, questa Resurrection assume in alcuni frangenti un significato ed un sentore ancor più onirico quasi, con le liriche che vengono sparate in faccia all'ascoltatore, e quel senso di mestizia che abbiamo quando partiamo, data la tristezza delle prime parole, viene assolutamente spazzato via quando il ritornello, con quel "resurrection!", così tirato da Fabio, ci fa vedere la luce in fondo al tunnel. Un pezzo dedicato a tutti i guerrieri della strada, a tutti coloro che combattono le loro guerre personali ogni giorno della loro vita, a tutti coloro che ogni tanto si sentono come Gesù, inchiodati ad una croce per il male degli uomini, ma con la forza in corpo di chiedere perdono al padre celeste perché "non sanno quel che fanno", ed aspettare la successiva reincarnazione dell'anima e del corpo.
Road To Nowhere
Chiude definitivamente il cerchio di Heroes la strumentale Road To Nowhere (Strada per Il Nulla): due minuti scarsi per questa suite in cui Andy fa nuovamente sfoggio delle proprie abilità, e ci accorgiamo anche di quanto funzioni la scelta di aver piazzato l'altra strumentale esattamente al centro del disco, e la seconda al finale. Due facce della stessa medaglia, da vedere quasi come uno slot unico diviso in due parti, inframezzate dai vari racconti che compongono il secondo lato del disco. La traccia viene aperta da un intro melodico e ritmico al tempo stesso, pregno di malinconia e sentimento; ben presto ad esso si lega una lunga progressione di strumentazione quasi da musica classica, rispolverando atmosfere sinfoniche e diverse da tante cose sentite fino ad ora. Neanche il tempo di abituarci, che un rullante di batteria da il tempo per la prima deflagrazione ed il progressivo innalzarsi della traccia fin nella stratosfera del suono. Il rullante ben presto si lega ai piatti e ad un ritmo militaresco, mentre Andy fa sfoggio di abilità improntando un lungo solo di ingenti proporzioni, di fattura Satrianiana ed anche esso classicheggiante; in realtà, se ascoltiamo bene il brano, ci sembra quasi che esso sia l'enorme intro di un pezzo, o che comunque ad un certo punto debba arrivare uno stacco improvviso per collegarci a qualcos'altro. L'idea che si è fatto chi vi scrive sentendo la conclusione del disco, è che questo sia il sugello e la chiusura del cerchio, nel senso che se rimettiamo il disco da zero, allora l'ultima traccia funge da tappeto per la prima, in una enorme spirale infinita. Possiamo anche non pensarla così, ma la sensazione che si ha ascoltando, o almeno è quella che ho avuto io, è proprio questa; l'enorme ed acido solo di Andy continua la sua corsa fino agli ultimi secondi di brano, mentre la sezione ritmica procede nella sua marcia funerea e dal ritmo marziale, dando il tempo e scandendo il tutto. La conclusione del brano (o dell'intro mancato se volete), arriva in fondo anche troppo presto, ci saremo aspettati una progressione più veloce o comunque collegata a qualcosa, ed invece vaghi sentori di tastiera organistica si portano via la suite, anche se, fermo restando che la teoria esplicata poc'anzi potrebbe anche essere fasulla, si immagina che se questo sia l'intro, il brano dopo, ovvero Scars On Scars, ci darà la botta necessaria che qui non è che è mancata, ma forse ci sarebbe stata altrettanto bene. Nonostante la mancanza di un testo, la sensazione che si ha è quella di un malinconico viaggio verso il nulla cosmico, siamo come stelle alla deriva nell'universo, ci trasciniamo avanti vagando come impazzite, mentre questa bellissima conclusione ci fa da colonna sonora. Una suite pregna di tristezza atavica e di tutto quel sentimento che ha chi ha perso la strada di casa; un affondare le proprie mani in quegli aspetti dell'animo umano che spesso vengono lasciati in disparte, ma che rappresentano alla fine la parte più vitale e nascosta di noi stessi, quella che mostriamo soltanto a chi se lo merita.
Conclusioni
Tirando le fila, cosa possiamo dire di questo Heroes? Beh, sicuramente un album che, come accade per tanti altri che compongono la discografia della band, mette d'accordo un po' tutti. Al suo interno infatti possiamo trovare tracce di chiara matrice Heavy classica, ma anche lunghe scivolate verso il Power di matrice USA ed Europea, così come quella vena Speed che non accenna mai ad andarsene. Il nuovo acquisto alla voce, Fabio D., è una scelta che definire azzeccata è dire poco; veloce, ritmico, con un timbro che incalza l'ascoltatore e rimane conficcato nella sua testa ogni volta che lo si sente. Una voce che, nonostante non sia sfoggio di tecnica sovrumana (anche se è vero solo in parte, dato che la tecnica invece c'è eccome) è un vocalizzo che diventa immediatamente riconoscibile, appena apre bocca. Per quanto riguarda invece la sezione ritmica, ottimo il lavoro sia di Conrad, memorabile dietro le pelli con il suo essere drummer tanto aggressivo e sporco quanto pulito e di accompagnamento. Menzione d'onore anche per Damian al basso, il quale si ritaglia un unico momento solista nel brano (durante la prima strumentale), ma le cui spesse corde comunque si sentono assai bene per tutta la durata dell'ascolto. E poi arriviamo a lui, il king, l'uomo dietro alla band, per la band e con la band, Andrea. Questo biondo axeman ha ripreso in mano le redini del proprio gruppo ad ogni difficoltà che si è presentata, ed ogni volta sfornando un disco migliore dell'altro; la progressione degli Arthemis è stata notevole, da quel sound primordiale, giovanile e sporco dell'esordio, fino alla consacrazione eterna con The Damned Ship e seguenti, e poi la svolta di formazione in questo Heores. Autore di tutto il materiale suonato, Andy ha stilato una vera e propria dichiarazione d'intenti con questo album, dichiarazione che poi culminerà nel successivo We Fight con il suo carico di rabbia ancor più grande. Un album da distillare e spararsi direttamente in vena questo, da recuperare e possedere, e non solo per le veloci ed al contempo melodiche strutture contenute al suo interno, ma anche per il messaggio di fondo che contiene. Quella sana voglia di rivalsa che permea tutto l'ascolto a tratti risulta davvero geniale, con un comparto musicale in piena forma, tanta voglia di fare, e soprattutto liriche profonde e dirette. Niente di così dantesco né poetico, spesso si va dritti al punto senza molti giri di parole, eppure nonostante la semplicità intrinseca dei testi, il messaggio che ne traspare è profondo come il mare più scuro, ed una analisi molto personale delle dinamiche umane. Mi sento di consigliare questo disco sia a chi cerca qualcosa con cui sparare il volume a manetta e fare headbanging serrato e continuo, ma anche a chi ha voglia di ritrovarsi fra le mani qualche piccola perla melodica, incastonata fra tutta la rabbia e l'energia sprigionata dalla maggior parte dei pezzi. Menzione d'onore, parlando dei pezzi, sicuramente a Scars On Scars, alla meravigliosa Until The End, ed anche alla title track.
2) Vortex
3) 7Days
4) This Is Revolution
5) Home
6) Crossfire
7) Heroes
8) Until The End
9) Resurrection
10) Road To Nowhere