ARTHEMIS

Golden Dawn

2003 - Underground Symphony

A CURA DI
ELEONORA STEVA VAIANA
15/01/2016
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Il 2003 è l'anno in cui il terzo album in studio firmato Arthemis vede la luce. Un titolo che promette bene, che fornisce subito una caratterizzazione al lavoro che si dimostrerà esserne completamente affine al momento dell'ascolto: "Golden Dawn", ovvero alba dorata. E' inevitabile non lasciare che la mente si rimandi automaticamente a quell'ordine, egemonizzato da Aleister Crowley, omonimo, nato alla fine del XIX secolo e fondato dai massoni Woodman, Westcott e Samuel Liddel MacGregor Mathers. A dire il vero, alba dorata sta a sottolineare la voglia di ritagliarsi un proprio stile, che differenziasse gli Arthemis da tutte le altre band del panorama, la voglia di migliorarsi continuamente con coraggio e attitudine. La voglia, anche, di migliorarsi rispetto al passato e aprirsi una porta splendente e luminosa su quello che sarebbe stato il futuro: la voglia di farsi sentire e di caratterizzarsi per la propria musica e il proprio sound è evidente sin dalle prime battute iniziali di questo lavoro. A spiegarlo in maniera eloquente ci pensa l'artwork, realizzato da Jonathon Earl Bowser, che ci mostra un panorama glaciale sul quale trionfa il bellissimo angelo dolcemente adagiato tra le nuvole. Il logo della band, color oro proprio come il titolo, illumina il cielo che assume, per questo motivo, delle morbide tonalità rosate, tipiche del momento dell'alba. Un'alba che apre un nuovo inizio, dove riff tipicamente thrash metal incontrano e convivono alla perfezione con parti strumentali tipicamente neoclassiche, come in "The End of the World": è l'album che rappresenta un salto di qualità e di audacia netto rispetto al precedente "The Damned Ship", dato che dimostra la necessità degli Arthemis di abbracciare un gusto più thrash metal, piuttosto che power. Sonorità più cattive, chitarre baritono per rendere l'album più granitico e meno patinato, estrapolate dai più disparati generi musicali. La componente che però accomuna gli Arthemis dall'inizio della loro carriera, è il cercare di creare sempre cambi di direzioni interni al pezzo per mantenere viva e attiva l'attenzione dell'ascoltatore. E con Andrea Martongelli alla chitarra ci si può aspettare tutto: non un semplice chitarrista, ma un musicista in grado di far cantare la propria chitarra, trovandosi in perfetta sintonia con una voce pungente, energica e apprezzabile come quella di Alessio Garavello. La formazione vede anche la presenza di Matteo Ballottari alla seconda chitarra, di Matteo Galbier al basso e di Paolo Perazzani dietro alle pelli. Potenza, tecnica, qualità e maturità musicale sono gli elementi che accomunano tutti i musicisti schierati in questo "Golden Dawn", che regala all'Europa una chicca finale: la cover di "Might for Right", firmata Heavy Load. Il disco pullula di influenze che spaziano dall'hard rock, al thrash metal più classico, senza però perdere la vena speed e power metal alla quale gli Arthemis sono sempre stati affini. Tuttavia, per chi pensa che sia il solito disco power, il consiglio è di frenare: gli Arthemis di "Golden Dawn" inaugurano un'alba splendente su di un cammino fatto di sfumature che toccano persino le pendici del blues, esaltando ed evocando uno stile e un sound, ormai, inconfondibile.

Fire Set us Free

Il fuoco, la radice della civiltà: il mito di Prometeo, tramandatoci dagli antichi Greci, narra che a causa della sua volontà di portare civiltà e progresso, rubando il fuoco agli Dei, subisce la tremenda punizione di Zeus. Finisce incatenato a una rupe alla fine del mondo, per poi sprofondare nel Tartaro, nel cuore della Terra. Non è, dunque, forse un caso che ad aprire le danze di "Golden Dawn" ci sia proprio "Fire Set us Free" (Trad. Fuoco liberaci), una pioggia di adrenalina, letteralmente, da un cielo dorato. Introdotta da una mitragliata ritmica e chitarristica, ci introduce subito al riff iniziale spedito a mille, corposo e ricco di sei corde, proprio come ci si aspetterebbe da un disco degli Arthemis: se queste sono le premesse, prepariamoci a salutare i nostri colli, perché l'headbanging è assicurato. Nella strofa, sempre sparata a mille, compare la voce di Alessio Garavello, potente e melodica, che si lascia andare a saliscendi vertiginosi che fanno accapponare la pelle. Sulla stessa tematica musicale della strofa, si palesa un cambio di scena efficace e seducente che rende la situazione ancor più elettrizzata e coinvolgente: l'evoluzione di quanto incontrato nella sezione precedente, con un cambio di accordi veramente molto azzeccato e un mutamento evidente anche nella linea melodica, doppiata da un controcanto, che segue da vicino quanto prodotto dagli strumenti a corda. Il ritmo sparatissimo è la costante che rimane anche nell'ennesimo cambio di situazione, la preparazione al ritornello che si preannuncia estremamente potente e che, una volta arrivato, non delude assolutamente le aspettative. Trascinante, coinvolgente, orecchiabile, si palesa come il classico ritornello da intonare assieme al pubblico con le mani alzate e intente a sorreggere una birra per brindare alla qualità delle scelte di casa Arthemis. A partire dalla presenza di un bell'organo corposo, che dà un'impronta melodica leggera ma molto efficace, è la voce di Alessio a stupire con la sua elasticità e potenza, un incastro perfetto con un sottofondo da urlo. Ed eccoci approdare a una fase strumentale caratterizzata dalla presenza di un solo inizialmente quasi arabeggiante, che sfocia, successivamente in una bellissima sfilata di gusto e tecnica: seguendo i tasti di chitarra, si viene a unire delle tastiere che tendono a enfatizzare una situazione molto aperta e luminosa, quando, improvvisamente, compare da sola la voce che ci ripropone le prime battute del ritornello. Si vanno a unire tutti gli altri strumenti, in una ripetizione finale del ritornello dalla quale si distacca una variazione nella linea vocale e un assolo finale molto pulito, semplice, che si trasforma nel riff iniziale di apertura della traccia. Fuoco e fiamme per un pezzo che parla proprio di fuoco, esaminando come, nell'assenza di luce, le persone si facciano così propense a vivere solamente la presenza del terrore, condannati a correre senza alcun tipo di riparo. Una tortura che uccide gli uomini e li rende ciechi, procurando una strana sensazione di piacere che contrasta solo con l'odio predominante di colui che prova il fuoco dentro di sé. Le fiamme scaturite dalla sua condizione, bruciano sempre più in alto, mettendo in risalto come quella sensazione di forza e potenza sia solamente un'illusione: la certezza c'è, e sta nel cuore di chi prova il desiderio di trovare la ragione per distruggere questo cumulo di certezze così effimere e vuote. Non c'è via di scampo: il fuoco è sempre pronto a rivelare dove si trova la verità (e a polverizzare la tua faccia). Il fuoco ci libera, ci dà modo di vivere, ha fatto sì che l'uomo, attraverso i secoli, potesse innalzare il proprio spirito: non c'è bisogno di nascondere le proprie possibilità né il proprio potere, col fuoco la battaglia può avere inizio. E con gli occhi di fuoco e il cuore bruciante, in onore della propria anima, si può diventare, in un lampo, distruzione e devastazione.

Black Rain

E la lingua di fuoco lasciata con "Fire Set us Free", accende la miccia di "Black Rain" (Trad. Pioggia Nera), caustica fin dalle sue battute iniziali, dato che si apre con un bell'I feel hate (trad. Io provo odio). Il riff di chitarra che si protrae evidenzia fin da subito l'impronta molto hard rock della traccia, che denota immediatamente una presenza più corposa delle evoluzioni di basso, aggrappato saldamente alle sei corde e sorretto da un tappeto ritmico sempre sparato a mille. Un breve stacco lascia modo alla voce di prendere in mano la situazione, stando in equilibrio proprio sulle quattro corde lasciate sole con la batteria a sorreggere l'energica e adrenalinica strofa: qualche stacco di chitarra, che fa la sua presenza sempre più spesso nella seconda parte, e ci dirigiamo, con un cambio di situazione molto melodico, verso la ripetizione di quell'I feel hate iniziale. Torna in scena la strofa, sempre con la voce ben in vista, che questa volta può contare anche della presenza della chitarra, che conduce il pezzo alle pendici del ritornello: orecchiabile, piacevole, molto aperto e melodico, trascina le emozioni in un vortice inarrestabile, catturandole alla comparsa del successivo cambio di situazione. Ci troviamo in una scena differente, più cupa, ma sempre tiratissima: entra a gamba tesa il primo solo di chitarra in linea con il mood del brano. Al cambiare delle ritmiche, cambiano anche le situazioni, e di conseguenza anche lo stile dell'assolo muta la propria essenza: un coro di chitarra vorticosa e frenetica ci delizia con delle piroette energiche che si stoppano al comparire di una voce molto cupa e cavernosa, condita da una bella risata diabolica finale. Ricompare il ritornello, dopo questo tocco tenebroso, al finale del quale si protrae un altro solo conclusivo, più calmo ma molto grooveggiante, posizionato su ritmiche molto ricercate e curate con le quali si chiude il brano. Energia da vendere per una traccia corposa ed estremamente orecchiabile, che potrà essere molto apprezzata anche dagli amanti più incalliti degli anni 80. Si parla di odio che esplode dentro di sé, di uno spirito desideroso di vendetta e di guerra, fuori controllo. Piove, ma nonostante tutto le mani continuano a essere sporche e l'unica cosa che si può fare è gridare, in cerca di una sorta di riscatto, di rinascita, di risurrezione. È tempo di rompere questa catena maledetta che continua a procurare una copiosa pioggia nera direttamente sull'anima, è tempo di cambiare i colori della vita e di cercare il sole anche nella notte più buia. E quando le braccia si sono fatte più forti, grazie alla ventata di cambiamento procurata dai propri pensieri, è tempo di dare inizio a una nuova vita, più luminosa, più brillante, più vitale. Con il potere della mente è possibile eliminare il malvagio stregone, ma ogni volta che la vittima di questa maledizione si trova a pregare quel dio che potrebbe salvare e tenere al sicuro la sua anima, il nero continua a tornare, con una sana e grassa risata che echeggia nello spirito e nella mente. Ciò che conta è l'indelebile consapevolezza di essere in grado di cambiare le cose, di ripararsi da quella pioggia nera continuamente pronta a bussare all'anima, per vedere il mondo sotto una luce inesplorata e la propria vita ricca di colori.

The End of the World

Passiamo a "The End of the World" (Trad. La fine del mondo), introdotta da un'incendiaria batteria che pesta senza demordere, sulla quale va a incastonarsi la chitarra e, successivamente, un come on gridato che lascia modo al pezzo di cambiarsi di veste, abbracciando varianti molto intriganti. Un breve stacco e la strofa ha modo di trovare la propria strada: accordi molto coinvolgenti, una voce che sembra essere sempre più instancabile, ritmiche tiratissime e serratissime che non lasciano un secondo di respiro. La variazione musicale e della linea melodica sul finale della strofa annuncia il pre-chorous nel quale cambia assolutamente la ritmica, facendosi sempre più spedita: la preparazione al ritornello funziona in maniera egregia, l'apertura che si ha con lo scoppio della melodia che lo costituisce è molto funzionale. Energico, potente, caratterizzato dalla voce che non demorde, si lascia andare a una variazione strumentale che porta il mood in una direzione più cupa e contorta. Allo stesso modo il primo solo che troviamo ci propone una melodia molto particolare, che, con un breve passaggio ritmico cambia una prima volta divenendo più convulsivo per poi marcare ancora di più questo aspetto lasciandosi andare a una pioggia di note spremute direttamente dalle sei corde. Tornano pre-chorous e ritornello, il quale, alla sua fine, apre una situazione inesplorata: molto luminosa, aperta e melodica, grazie sia agli strumenti che alla linea vocale, si trasforma corrugando le proprie note per porre la parola fine alla traccia. L'ambientazione, anche solo ascoltando, si capisce subito essere un passato probabilmente abbastanza lontano, in cui le maledizioni riuscivano a colpire in maniera pungente il destino di ogni uomo. Si parla di una ricerca finalizzata proprio alla rottura di una maledizione, quella che attanaglia l'uomo non in grado di vincere la guerra, ma buono soltanto a cospargere sangue sul terreno. È la fine del mondo. Un indizio lo dà la sensazione che qualcosa stia bruciando negli abissi, nel cuore della terra, mentre la rabbia del Diavolo diventa sempre più spessa: lui vuole prendersi quello che vuole. Intanto le Trombe dell'Apocalisse risuonano trionfali, perché è la fine del mondo: la morte è alle porte, la fine ci attende tutti. Cosa si può fare in questa situazione? Immaginiamo. La fine del mondo descritta nei testi biblici è così teatrale da sembrare semplicemente una storiella, ma se ci trovassimo a viverla, si ribalterebbero tutti i paradigmi. Anche il più acerrimo degli atei inizierebbe a sentir vacillare le proprie convinzioni, proverebbe a invocare la misericordia divina chiedendo aiuto a Dio, colui che ha il potere di proteggere l'umanità. In questa situazione, solo unendosi, uno per tutti e tutti per uno, si potrebbe salvare il mondo.

The Traveller

La colonna sonora ideale per ogni individuo che prende coscienza della propria posizione di potenziale salvatore del mondo e che si incammina per andare a farlo, probabilmente potrebbe essere proprio la successiva "The Traveller" (Trad. Il viandante). Introdotta da quello che successivamente scopriremo essere il ritornello, cantato in solitaria da Alessio, si presenta con un bel giro che introduce la strofa, estremamente ricco di carica, vitale e molto vivace. La strofa, ben sostenuta dalle ritmiche, presenta chitarre lasciate libere a lasciar riecheggiare gli accordi e una linea vocale molto d'impatto, estremamente catchy e cantereccia. Dopo una sfilata introduttiva, si ripete il tutto, questa volta con una mutazione evidente sulla conclusione che preannuncia l'arrivo di una nuova situazione musicale: ci troviamo alle pendici di una situazione del tutto nuova, più tesa ma sempre molto melodica, dove le ritmiche trovano lo spazio necessario per compiere le proprie piroette seguendo, quasi, quelle proposte dalla voce che si impenna in tutta la propria maestosità. Torna in scena quel ritornello già ascoltato all'inizio del brano, cantato soltanto da Alessio: questa volta troviamo tutti i musicisti schierati in prima linea per dar vita a un vitale motivetto assolutamente indimenticabile, proprio come il giro di chitarra che segue. Una serie di note che caratterizzano il pezzo, al quale si attacca una situazione del tutto nuova: più inquieta, cambiando anche le ritmiche, consente al solo di mutare la propria melodia divenendo prima più contorto, poi più lineare, in entrambi i casi assolutamente lodevole e piacevolissimo all'ascolto. Il sottofondo è caratterizzato dalla presenza di basso e batteria, che per l'occasione rimane abbastanza in sordina, conducendo i viandanti verso i ritornelli conclusivi che si lasciano ascoltare con una piacevolezza veramente sorprendente. Le battute finali sono affidate allasei corde che ripropone quel riff così caratteristico che, con un lieve cambio, conclude il pezzo. Anche in questo caso l'ambientazione della vicenda narrata dalle liriche è evidente fin da subito: molto medievale, da boccale di birra e uno sguardo colmo di speranza eroica, si parla di un cammino tra foreste e deserti di sabbia rovente. A parlarci è il pioniere dei nuovi mondi (I want to be the pioneer of new worlds), che ha attraversato tormente invernali, per poi camminare e camminare sotto il sole cocente, vivendo la propria vita giorno per giorno. Sul suo percorso ha conosciuto tutti i tipi di uomini, di tutte le religioni e di tutte le razze, imparando sempre qualcosa di nuovo ogni giorno. Finché si vive e si lascia vivere, la libertà è lì, pronta per tutti: è la debolezza dell'uomo ad aver creato guerre e disastri. Il segreto del viandante, di colui che viaggia per il mondo ci viene rivelato: quando si cammina, si incontrerà sempre qualcuno che ci mentirà, ma non dovremo ascoltarlo. Guardando le stelle troveremo la nostra strada. Il viandante è colui che, quando si ha un sogno nel quale si crede moltissimo, viaggerà con noi aiutandoci a catturare la nostra stella, per far sì che lo spirito possa finalmente volare libero.

Master of the Souls

Si prosegue con "Master of the Souls" (Trad. Signore delle anime), dove, analizzando le liriche, ci troviamo immersi in un ambiente passato ricco di bugie e stregonerie che hanno intrappolato lo spirito del personaggio che ci sta parlando, inviandolo direttamente verso l'inferno. Una sostanza mistica dà forza alle sue mani, infonde uno strano desiderio perverso finalizzato a uccidere, rubare e rifiutare le proprie terribili colpe. In un momento di lucidità morale, resosi conto di essere diventato un mostro, chiede di rompere questo incantesimo, di bloccare questa maledizione che non smetta mai di crescere. È una strada difficile e sconnessa, che si sente di dover percorrere per poter finalmente rivedere il sole, nascondendosi, però, nell'oscurità e chiamare a gran voce il Signore delle Anime. È l'unico in grado di donargli una nuova vita, di cancellare quei venti di guerra che lo hanno portato a vivere questo dolore dal quale chiede di essere liberato, al punto di essere pronto a pagare pur di non vedere la propria anima bruciata. E' vero, non c'è modo di cancellare il proprio passato, pronto a farsi sentire sempre dietro alla testa, non c'è più speranza che questo avvenga, ma l'unica figura che può salvarlo è colui che può liberare il suo spirito. Al Signore delle Anime è rivolta la preghiera finale, quella che chiede di eliminare quella voglia e sete di sangue, quella che permette di vedere tutte le strade percorribili per potersi liberare dal dolore. E, probabilmente, l'unica a disposizione di chi ha un briciolo di speranza ancora in vita è quella di donare la propria anima al Signore delle Anime, certo della sua possibilità di farlo, finalmente, redimere. La traccia, nonostante la sua essenza così introspettiva, si avvia con una potenza assolutamente elegante e raffinata, con un riff molto corposo, lineare e piuttosto sospeso che, a seguito di uno stacco, si trasforma in energia pura. Si profilano, così, i lineamenti della strofa, tra variazioni di accordi ed evoluzioni ritmiche: la strofa vera e propria compare a 0:36, con una voce ricca e squillante posizionata ad hoc su un bel giro di accordi molto intenso. Sull'ultimo verso compare uno sdoppiamento della voce, dove, quella in aggiunta, riesce a dare armonia e a variare la situazione, rendendola ancor più ricca, ma al contempo piuttosto oscura. Queste lievi striature di nero persistono anche nella seconda strofa, che compare dopo qualche veloce battuta di stacco e, mentre la parte strumentale rimane invariate, la voce tocca i vertici più alti dell'estensione vocale del singer. Lo special si apre con degli accordi molto particolari, che nell'immediato non lasciano trasparire quale sarà il mood successivo, che scopriamo essere estremamente luminoso ed energico, pronto a sfociare in un bel ritornello classico e ben studiato, dove si apprezza in particolar modo la presenza di tastiere che riescono a dare quel tocco in più di epicità alla situazione generale. Un bellissimo solo fa seguito al ritornello, Andrea lascia cantare la propria chitarra in una maniera delicata e intensa, per poi farle prendere una strada del tutto inaspettata, molto vorticosa e velocissima, fulminea, estasiante. Uno stacco ritmico e strumentale introduce la terza strofa, alla quale segue lo special introdotto da quella successione di accordi così particolare da non lasciar intravedere il proprio futuro. Di nuovo il ritornello, da cantare a pieni polmoni in un'estasi generale da immaginare in sede live. Un solo finale dà l'impressione di trovarci di fronte a una chiusura piuttosto enigmatica, che riprende il proprio cammino alla comparsa libera della voce che si lascia andare in una sorta di solo, per poi lasciare il proprio spazio alla conclusione effettiva, a opera del riff di apertura e delle sue variazioni. Un pezzo completo, che riesce a far spaziare l'ascoltatore tra una serie di stati d'animo così diversi fra loro: si passa dalla tensione all'accentuazione della tensione stessa, per poi trovarsi in una pioggia di endorfine con la comparsa del ritornello, che ripaga con la giusta moneta a seguito di una preparazione così ben studiata e riuscita.

Arthemis

La traccia seguente, "Arthemis", porta con sé un'ambientazione orientale piuttosto inaspettata, sia nell'introduzione a opera della sei corde, sia nell'evoluzione del riff che conta della presenza di tutti gli strumenti, ma in particolare di un synth che dona alla situazione uno spessore ancor più orientale ed arabeggiante. Variazioni ritmiche si susseguono man mano che il riff si distende, presentandoci diverse situazioni: un'alternanza di tensione e risoluzione, che si accentua ancor di più alla comparsa della linea vocale. Potente, imponente, si posiziona alla perfezione sul riff sottostante che prosegue sulla propria strada, giungendo a un picco situazionale massimo assicurato dal vocalizzo tipicamente arabo che spezza la prima dalla seconda strofa. Il ritornello arriva quasi inaspettatamente, perdendo la maggior parte degli elementi arabeggianti, acquisendo, invece, una vena molto più power. Segue un solo di chitarra inizialmente piuttosto lineare, scandito da passaggi ritmici molto interessanti, e successivamente la situazione si fa più ricca di tasti spremuti a dovere al fine di rendere una situazione molto piacevole, completa e godereccia. Compare un'altra strofa, portando di nuovo in scena tutti gli elementi che già caratterizzavano le prime due, con l'unica differenza che, al vocalizzo arabeggiante, si collega immediatamente il ritornello. Un altro solo, che prende gli elementi melodici del ritornello, per poi trasformare tutta la situazione e lasciarci su un sospesissimo finale a opera di un gong. Arthemis non solo è il moniker della band, ma rappresenta una importantissima divinità del pantheon greco classico, in quanto dea della caccia, del tiro con l'arco, della selvaggina e degli animali. Il tributo che l'omonima band le offre si apre con un ritorno da una terra, La terra del Fuoco, che porta con sé la volontà di mostrare e dimostrare il potere degli Dei. Un potere deriso e ignorato da chi vive la propria vita ridendo di questi deliri divini, ma che infondo sa benissimo che la minaccia di finire a scappare dalla battuta di caccia è lì, pronta con le sue frecce d'argento e il suo arco bianco. Diventa mio schiavo o muori per sempre (become my slave or die forever), brucia all'inferno e paga per le tue colpe (burn in Hell and pay for your faults), una dichiarazione evidente ed esplicita di guerra finalizzata a intimorire le menti folli e demoniache di chi vuole creare nuovi seguaci, senza ricordarsi di serbare un po' di paura per la sua lama. E Artemide colpisce per salvare tutti, non si arrende, non smette di combattere, illuminando il cielo con il fuoco. E per assicurare la giustizia in questo mondo, la divinità promette di eliminare i tiranni della Terra e tutta la loro stirpe, pur di non lasciare che questa scia di disgustosa prepotenza abbia modo di proseguire.

The Axe is Coming

In "The Axe is Coming" (Trad. L'ascia sta arrivando, dove Axe sta in realtà per chitarra) si parla di una forza interiore che arriva come un'ispirazione in grado di colpire lo spirito. Un'ispirazione talmente forte da essere praticamente incomprensibile per chi non riesce a provarla né a vedere le luci che rendono il proprio mondo così adrenalinico, incomprensibile per chi non sa che la fiamma interiore non si potrà spegnere. Ci si sente forti e ci si sente elevati, ci si vuole elevare ancora di più, al punto di rompere le nuvole e preparare chiunque per l'attacco. Il sentimento che la musica innesca è come quello di diecimila coltelli affilati nella pelle, mentre la mani di Dio in persona danno il potere al punto da far comprendere che sia l'unica entità da meritare la devozione. Perché tutti i sensi mi portano su fino al cielo? (Why all the senses bring me up to the sky?), una domanda che non ha risposta ma che comporta solo un'azione: continuare a suonare per sempre, fino al giorno della propria morte. L'ascia colpisce per portare su nel cielo, per donare sensazioni alle nostre menti. L'ascia colpirà dando la forza di continuare, ma attenzione: la sua furia è incontrastabile. L'ascia sta per colpire e spazzerà via tutto. Una splendida metafora dell'ispirazione che un musicista vive, metabolizza e utilizza per poter comporre i propri pezzi. Un testo del genere non poteva meritare nient'altro se non una traccia così spedita, violenta ed energica come quella che si propone come tale fin dal suo riff di apertura: velocità alla massima potenza, da parte di tutti gli strumenti e in particolare delle pelli che si incendiano fino a creare il giusto spazio per la voce. La linea vocale si trova intrappolata in una corsa furiosa che la costringe a seguire la linea musicale, seguendo le sequenze di accorti proposti da basso e chitarra, salendo sulle pendici più alte della propria estensione vocale. Dopo la prima strofa e il primo pre-chorous, subito la traccia si getta a capofitto nella seconda strofa, alla quale fa seguito una situazione più tesa ed emozionale che apre la strada al ritornello. Classico, orecchiabile, ricco di pathos, conduce a una smitragliata di pelli infuriate e al successivo solo a opera di Andrea. Frenetico e vivace, si estende cantando attraverso i tasti in fiamme, mentre le situazioni continuano a cambiare: un passaggio procura un cambiamento generale del mood, che diventa più cupo e accigliato. Il solo si fa più morbido, in modo da preparare la situazione che riporta a pre-chorous e successivo ritornello ripetuto due volte per annunciare e anticipare il finale della traccia, affidato a un riff tiratissimo, a un coro di voci sulle quali si staglia prepotentemente quella di Alessio e, successivamente, con un passaggio si arriva alla fine. Una traccia che concentra dentro di sé il massimo della potenza, aprendo però spiragli di luce su una caratterizzazione che rende il songwriting eccellente.

From Hell to Hell

E dopo la battaglia, arriva l'inferno con "From Hell to Hell" (Trad. Dall'inferno all'Inferno) che, fin dal riff iniziale, si presenta come diabolica, cupa e oscura. Un tocco di tastiere riesce a dare corpo alla situazione, molto dinamica e corposa grazie all'operato di basso e chitarra. La strofa compare quasi all'improvviso, proponendosi come una dimostrazione di particolarità stracolma di groove, dove la voce del singer può lasciarsi andare ad un'altalena melodica che porta, in maniera fluida e del tutto inaspettata, alla soglia del ritornello. Bello, ricco di sfumature grazie, di nuovo, all'operato di tastiere e controcanti, infonde una sensazione di calore e frenesia, che si blocca di colpo con lo stacco successivo nel quale rimangono basso e tastiera. Si aggiunge successivamente la chitarra, che ripropone il giro di basso solista, per poi lasciarsi andare a capofitto in un solo splendido: seducente, arrogante, perfettamente in grado di cambiare dinamica per cantare, letteralmente, un susseguirsi di situazioni che passano dall'oscurità alla luminosità più accecante e superbamente diabolica per poi lasciar modo, di nuovo, alla strofa di comparire. Tutti gli elementi fino ad ora incontrati si ripetono su se stessi, strofa, pre-chorous, ritornello. Una linearità vivace ed entusiasmante, garantita da un songwriting perfetto e da una eleganza fulminea per rendere merito a un brano che arriva, lascia il segno e in poco più di 3 minuti se ne va. La traccia racconta la storia di un personaggio che ha vissuto la propria vita tra furti e omicidi, che al momento non sa esattamente cosa sta cercando. Tutti si ricordano, però, il suo sguardo, perché ha il Diavolo negli occhi: faccia a faccia, tutti hanno provato ad affrontarlo, finendo travolti dalla sua furia selvaggia necessaria per poter sopravvivere, ma d'intralcio per poter scappare. E, una volta morto, tutte le cose fatte in vita cadranno direttamente sul futuro della propria anima: non c'è più modo di nascondere la testa sotto la sabbia, è arrivato il momento di soffrire. Condannato a correre per l'eternità da un inferno all'altro, non c'è più vita, ma c'è speranza e determinazione da parte di un'anima maledetta che non si arrenderà, proverà per sempre (I won't give up, I'll try forever) senza, però, trovare la pace. Una croce eterna che fa rima con lussuria e rabbia, la condanna all'eterna corsa da un inferno all'altro. 

Golden Dawn

Giungiamo alla title track "Golden Dawn" (Trad. Alba Dorata), la ballad del disco che porta con sé il fardello di essere la traccia che intitola il lavoro. Le ballad, poi, sono sempre un po' snobbate dagli ascoltatori sia in fase live che in fase di ascolto di un disco, per cui il carico sulle sue spalle è decisamente molto pesante: ce la farà a sopportarlo? Un indizio ci viene subito dato con il riff introduttivo del lavoro, pulito, elegante, caratteristico. È una chitarra molto romantica a parlarci, con un sottofondo ritmico appena percettibile che conferisce all'atmosfera una sensazione di piacevole incanto. Alla comparsa della voce, i tintinnii di piatti si fanno da parte, per lasciare spazio ai vocalizzi di Alessio, al soffice accompagnamento di sei corde e a un'armonia splendida e malinconica, matura dal punto di vista melodico ed estremamente raffinata. La strofa è propria solamente di voce e chitarra, almeno nella prima metà, mentre nella seconda si vanno ad aggiungere basso e una lieve batteria donando al pezzo un mood piuttosto blueseggiante e sì, anche molto inaspettato. Si prosegue con la variazione del tema, a opera di chitarra ma soprattutto di voce, fino ad arrivare a un meraviglioso ritornello colmo di emozioni e classe. Non c'è parola migliore per descrivere quanto piacevole sia l'ascolto di questo pezzo così maturo, che fa seguito a una serie di smitragliate violenti che ci hanno accompagnato nel corso di tutto l'ascolto, lasciandoci in un incantevole meraviglioso mondo glaciale e luminoso. Bellissimo il solo stracolmo di sentimento che segue il ritornello, trasformandosi camaleonticamente in un magistrale esempio di gusto e qualità. Prosegue sul suo cammino ben delineato e perfettamente progettato, fino a farsi da parte per lasciar modo alla traccia di riprendere il proprio sentiero magico, quello del ritornello, arricchito da un coro di uh che dà corpo alla situazione, per poi proseguire con un assolo di voce finale assolutamente pregevole. Il tema della canzone viene ripreso sul finale attraverso un riff leggermente cangiato rispetto a quanto ascoltato fino ad adesso, ma il finale vero e proprio viene affidato a un ultimo verso cantato da una voce delicata e pacata e da un accordo lasciato solo di tastiera. Parliamo di libertà che comporta un bel sogno, trovata nel cammino da una collina a un lago: spesso siamo troppo ciechi per vedere che le risposte alle proprie paure si trovano nel nostro essere, e nessun altro che le può mostrare. Nessuno vuol vedere il proprio sole cadere di nuovo, portando il buio sul proprio io: quando si sperimenta la libertà, non la si vuole più abbandonare, un momento di solitudine può aiutare a capire quanto sia bello il tocco caldo di un bel sole splendente. E se non si vede quella luce? Si inizia a piangere. Ma se quell'alba dorata inizia a risplendere sul volto, tutte le lacrime se andranno. Un testo breve ma ricchissimo di contenuto, che infonda una piacevole sensazione di tepore direttamente nell'anima, portando a riflettere su quanto spesso un raggio di sole solitario può fare molto di più di mille luci gelide. E, in definitiva, come se la cava questa ballad, con tutti i suoi oneri? Se la cava alla grande, rendendo grazia a un lavoro completo da tutti i punti di vista, ricco di sfumature e di sensazioni così distanti, talvolta contrastanti, tra di loro.

Might for Right

A concludere il lavoro, ci pensa la cover di "Might for Right" (Trad. Il potere della giustizia) degli Heavy Load, band heavy metal svedese di Stoccolma, formatasi nel 1976. Nota per le tematiche vichinghe, la band è stata fondata dai fratelli Wahlquist che decisero di metter su, parallelamente, la label Thunderload Records per produrre i propri lavori. Purtroppo, negli anni 2000, un allagamento a distrutto gli studios, comportando la chiusura dell'etichetta stessa. La traccia, molto potente già a partire dalle liriche, ci parla della determinazione e della forza di colui che non vuole essere schiavo della società, per questo motivo decide di scegliere il proprio look, il proprio modo di parlare, senza seguire la volontà degli altri. Un uomo libero che ha la forza per combattere, che è pronto a combattere, mentre tutti seguono la loro strada diretta verso una tomba di miseria, tristezza e assoluta mancanza di personalità. Provano a fermarlo, a imporre il loro volere su di lui, ma lui combatte, gli dimostra di essere più forte, più duro, d'acciaio. È la natura stessa a volere che il più forte possa sopravvivere, il protagonista se ne rende conto restando in piedi e in forze sulle proprie gambe. Riesce a vedere quella luce proprio grazie alla sua forza, desideroso di scatenare la bestia che è in lui per liberare il proprio spirito. La versione che ci propongono gli Arthemis, porta subito una bella scarica di adrenalina sparata a mille, resa energica da un bel riff di chitarra predominante e da ritmiche molto tirate. Appare subito la voce, impegnata a districarsi tra una strofa velocissima e un ritornello che non tarda a presentarsi, con la sua semplicità ma il suo impatto immediato. Concluso il ritornello, si ripete il riff iniziale e prosegue, la traccia, con la seconda traccia: tutto rimane invariato a livello strumentale, mentre la voce si lascia andare a qualche variazione che carica e spezza quella che altrimenti potrebbe esser stata monotonia. Un bel solo di chitarra fa la sua comparsa, portando con sé un'esplosione di energia melodica molto piacevole, coinvolgente, fluida, che segue i passaggi e gli uptempo di sottofondo. In un baleno, torna la strofa con tutte le sue componenti già incontrate, proseguendo nel proprio cammino verso il ritornello che non comporta particolari variazioni se non per il prolungamento dell'acuto finale a opera della voce, che conclude il pezzo. Il brano è reso 100% Arthemis rispetto all'originale, ripercorre perfettamente il loro stile pur mantenendo saldo il contatto con quanto gli Heavy Load hanno prodotto.

Conclusioni

"Golden Dawn" è un album ricco di sfaccettature e sfumature assolutamente lodevoli. Un concentrato di idee che hanno modo di esplodere lasciando andare la creatività degli Arthemis libera su di un cammino liscio, fluido e ben levigato. In questo lavoro si può trovare praticamente tutto: stupisce, forse, quel tocco di blues della title track, che a dire il vero riesce a dare ulteriore corpo a un lavoro già di per sé da promuovere a pieni voti. Forse, tra tutte, è la traccia che lascia la sensazione più particolare nell'anima, un sapore agre, gelido ma in grado di far riscaldare il cuore, con la sua luminosità tinteggiata di una punta di malinconia, praticamente indispensabile per un testo così introspettivo. Si trova, poi, la componente esotica e orientale, propria di "Arthemis", ennesima traccia ad aver un compito importante, in quanto omonima della band che l'ha partorita. Riesce a testimoniare alla perfezione quello che il gruppo riesce a fare, ovvero mixare influenze, attitudini e gusti anche molto lontani fra di loro, rimuovendo quel concetto arretrato e controproducente di incompatibilità di genere. Non esiste incompatibilità di genere nella musica, e probabilmente è proprio questo a darle la forza: chi si ferma e si impunta a proporre sempre la solita minestra riscaldata, o è molto bravo a farlo, o alla fine viene a noia. Gli Arthemis, con "Golden Dawn", dimostrano per l'ennesima volta di essere degli autentici maestri nel creare soluzioni composte da altrettante soluzioni che funzionano benissimo, coinvolgendo l'ascoltatore. Quando durante l'ascolto di un album si prova a immaginare come suonerebbero quei pezzi in fase live e si avverte una sensazione di energia pura e genuina, una volontà candida e incontrollata di lasciarsi andare al più sano degli headbanging, significa che l'album è in perfetta sintonia con il nostro spirito. "Golden Dawn", vista la miriade di componenti e idee che porta in grembo, è un lavoro capace di sintonizzarsi, praticamente, con tutto ciò che riesce a regalare e con tutte le sue sfumature. È completo perché in grado di carezzarti dolcemente con una melodia malinconica, per poi spezzarti il collo con una sfuriata strumentale, dando la mazzata finale con un bell'acuto di voce. È un alba dorata, proprio come riassume il titolo. E soprattutto è la riprova che l'Italia è ricca di grandissime realtà spesso assolutamente ignorate per puro e semplice pregiudizio. Chi lo ha detto che una produzione italiana non possa essere degna o paragonata a una straniera? Probabilmente, già dalla traccia di apertura, "Fire, Set us Free", chiunque lo avesse mai detto o pensato, sarà pronto a ricredersi.

1) Fire Set us Free
2) Black Rain
3) The End of the World
4) The Traveller
5) Master of the Souls
6) Arthemis
7) The Axe is Coming
8) From Hell to Hell
9) Golden Dawn
10) Might for Right
correlati